Nato il 30 luglio 1898 a Casarsa della Delizia, fu chierico nel Seminario di Portogruaro, donde entrò nel nostro noviziato nel 1922. Ordinato sacerdote a Milano il 19 aprile 1924, partiva per il Bahr el Ghazal il 10 settembre successivo. Rimase sempre a Mboro, dove ultimamente era Superiore. Ardeva di un grande zelo per la conversione delle anime. Spirò munito di tutti i sacri carismi il 27 ottobre 1927 a Wau, e di là la sua salma venne trasportata a Mboro.
Da Bollettino n. 2, marzo 1928, p. 44
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Brescia 5.2.1928
Reverendissimo Padre
Se dolorosa per tutti dovea essere la notizia della morte del buon P. Colussi, molto più dolorosa lo fu per me, che ho avuto il piacere d'averlo per compagno in Missione, nella mia cara ed indimenticabile stazione di Mboro; e che anche quando più tardi la obbedienza ci separò, la nostra non fu che separazione materiale; sempre vivemmo uniti di pensiero e di cuore aiutandoci sempre da buoni confratelli. Tre anni e fu a Mboro nel Vicariato Ap. del Bahu el Jaral, uno come suddito, due come Superiore. Ricordo come ieri quando io stesso l'andai a prendere a Wau appena seppi che era giunto dall'Italia. Insieme facemmo in bicicletta la strada da Wau a Mboro, e (dico che) in questo solo viaggio mi fu dato di conoscere e si dare sul nuovo Missionario, che l'obbedienza mi dava come compagno, i più lusinghieri pronostici; e le mie speranze non andarono mai deluse. Mi si rivelò saputo come religioso edificante e Missionario zelante. Partita da Wau volli con lui far visita al cimitero della Missione, ove riposano diversi dei nostri confratelli, che ci precedettero. Recitammo insieme un deprofundis, e poi mi presi la libertà di fargli da cicerone parlando un po’ dei Missionari, che lì riposavano e dei quali molto ebbi l'onore di conoscere. Tutta gente giovane, caro Padre", gli dissi. "Questo è il mio ideale, viver poco, ma far molto, molto in poco" rispose P. Pio.
Alla prima stazione del Governo mi fermai pensando che egli per essere novello forse non era allenato. Tacque credendo che mi fossi fermato per me; ma quando s'accorse che era per riguardo suo, quasi offeso di questo; scattò in piedi, e porca l'ostrega (tale era il suo intercalare) semo Missionari cosa semo? via via non femo storie.
Ad Abusciaka dove abbiamo un buon centro, mi fermai affinché il novello Missionario incominciasse a conoscere la gente colla quale avrebbe avuto da che fare. In pochi minuti il P. Colussi si vide innanzi una sessantina di ragazzi fra cristiani e catecumeni, tutti vispo ed allegri tutti intorno a fargli festa. Al buon Padre vennero le lagrime agli occhi, e rivolto a me; Padre, giacché Lei sa la loro lingua, dica loro che io non son molto contento d'essere venuto qui, e che io vorrò loro sempre bene e sarò contento di morire qui e per loro: e poi ciò che non mi sarei mai aspettato, da Lui che da tutto il complesso mi fece subito l'impressione di un po’ rozza, si fu che commosso, abbracciandomi mi disse: Padre, Lei è vecchio di Missione, io sono nuovo, ed inesperto, mi dica quindi liberamente tutto quello che crede necessario perché possa fare molto bene a questi neri. Indi prendendo dalle braccia di una mamma il suo tenero figliuolo, baciandolo, con te disse, intendo baciare tutti gli Ndogo, tutti i Sudanesi. Il buon P. Pio, ben conoscendo che senza lingua poco avrebbe potuto fare, si mise subito e con gran impegno allo studio della lingua indigena. Mi par di vederlo, alla mattina dopo messa, ancor prima di far colazione venire in mia stanza per una ora di lezione. Ma trovò non poche difficoltà ad apprendere quella lingua monosillabica; e con quali sforzi dovette fare e quanta pazienza esercitare prima di arrivarci. Ed ora lui stesso più che persuaso di questo che ciò che il progresso era piuttosto poco - e si Padre mi diceva che non vado mai a letto alla sera prima di mezzanotte, ma insomma se vede che sono una zucca vuota, sta lingua non la vuol andar dentro. Io cercavo di fargli coraggio. Una mattina dopo ripetuta la sua lezione in modo poco soddisfacente "Padre mi disse e non è ancora stufo di me? Son venti giorni che son qui, e ancora non so la lingua". Ma caro Padre, credeva Lei di imparare la lingua di questi Neri in venti giorni? ci vogliono altro che venti giorni! Coraggio, non si spaventi per così poco". "Non mi interruppe il Padre, no, no, così non va, da qui in avanti mi dia un castigo quando non so esaurientemente la lezione.
Va bene gli dissi io, da qui in avanti quando non saprà la lezione starà senza vino (vino non ne avevamo mai a tavola). Offeso della leggerezza con cui mostravo di prendere le cose che per lui erano della massima entità, bene; se Lei non mi castigherà saprò ben io castigarmi. Molte mattine lasciò contro mio desiderio la colazione in castigo della lezione non saputa sufficientemente.
Mi par di vederlo poi quando più tardi avendo incominciato a capire qualche cosa, si buttava subito senza vergogna in mezzi ai ragazzi per sforzarsi a conversare con loro; persuaso che questo era in fine il modo migliore per imparare più presto e bene una lingua.
Qui vorrei allungarmi per dimostrare la vita di sacrificio della quale il buon Pio era animato, ma prima lo voglio presentare come un religioso esemplare, un religioso edificante. Io che gli fui insieme per più di un anno come superiore e come direttore della sua bell'anima, dico senza cedere alla corrente della mia commozione che son in grado di presentarlo nella luce sua propria.
Era con me a Mboro appena da pochi giorni quando me lo vedo comparire in stanza col suo libretto dell'esame e con quello dell'anima per fare a me il suo rendiconto. Padre mi disse stando in piedi, non essendo stato capace di farlo sedere, Padre, io son giovane e quindi ho bisogno d'uno che mi indirizzi, ecco quindi che io le apro oggi tutto il mio interno, già l'esterno le è più manifesto. Per ironia lo chiamavo l'Homo gentile; ed egli chiamava me l'homo selvaticus.
Per tutto il tempo che io fui con lui a Mboro, infallibilmente ogni primo venerdì del mese, epoca nella quale facevamo il nostro ritiro mensile, veniva a me per il suo rendiconto, pratica che Egli continuò anche poi quando l'abbandonai per portarmi a Wau, anche allora veniva nel primo giorno libero dopo il ritiro per fare con la confessione mensile anche il suo abituale rendiconto. Sempre poi finché gli fui compagno a Mboro praticò la confessione settimanale, per questa si era fissata la domenica. E la sua meditazione, e il suo esame giornaliero?
Almeno pel tempo che gli fui compagno posso testificare che mai lasciò queste due pratiche tanto raccomandate del resto dalle nostre S.S. Regole. Quando alla mattina usciva per tempo per le visite ai catecumeni; e non pota quindi far prima la sua meditazione, vi suppliva appena ritornava a casa, e così si fermava in chiesa dopo pranzo per il suo esame di coscienza quando n'era stato impedito a compierlo nell'ora segnata nell'orario. Ma questo per riguardo alla Meditazione ed Esame.
Ma non si contentava di questo; egli era ben persuaso che un Missionario tanto fa, quanto è aiutato dal Signore, e il Nostro Pio usava molto della preghiera; per parlare a Dio delle anime, prima di parlare di Dio alle anime. Di qui il raccomandarsi che Egli faceva alle preghiere delle anime buone. Quante volte scrisse alla sorella suora, ora defunta, oppure alla sua Superiora, sempre raccomandava caldamente alle loro preghiere i poveri Neri. Il P. Pio pure pregava. Quante volte l'ho sorpreso in Chiesa orante, sempre devoto, fervoroso sempre; anche sulle pubbliche vie si deliziava a cantare qualche canzoncina sacra; quando non lo vedeva con la sua corona in mano. Ed ora come non comprendere il suo zelo davanti al tabernacolo il P. Pio si era sfogato con Dio delle sue anime, e Dio gli avea acceso in cuore la brama di condurgli altre anime, di innamorarle di Lui, di salvarle. Lo zelo suo fu uno zelo amoroso, industrioso, infaticabile, zelo di uno che vorrebbe bastare a tutti e che non dice mai basta.
Fu tacciato di temerario, di imprudente, certo questo zelo non conosceva limiti, non s'arrestava nemmeno davanti al consiglio di chi lo dirigeva, fu certo quello che lo tolse troppo presto dalla missione. Il suo motto era e fu sempre questo: fare molto in poco tempo e questo pensiero gli dava forza per affrontare qualunque difficoltà, che sembrasse impedire il libero corso al suo zelo. Bastava per lui sapere che in qualche luogo fosse solo utile non che necessaria la sua presenza che non vi era né pioggia, né venti, né sentieri impraticabili, nemmeno l'oscurità della notte che potesse arrestare il suo zelo. Davanti al suo desiderio d'essere utile alle anime, la voce del superiore stesso era tenuta da lui come una tentazione da fuggire. Quanti pasti lasciati o presi in fretta; quante notti passate all'aperto, oppure in semplici capanne dei Neri sono ad attestare dello zelo del buon Padre Colussi.
Un giorno alla quattro dopo pranzo un corriere da Caiango mi porta la notizia che colà il P. Simoni era a letto con la febbre nera, e che si trovava in pericolo. Quattro e tre sette, alle sette posso essere a Caiango dissi fra me, e subito dato fiato alla bicicletta parto alla volta di Caiango, se non che dopo appena un'ora di strada incominciò un forte temporale, terminato il grosso del temporale credetti prudente ritornare indietro rimandando al giorno dopo la mia andata colà.
Giunsi a Mboro alle sette e un quarto, quando P. Colussi mi vide di ritorno, che Missionari, mi disse, vado io, cercai di dissuaderlo, l'assicurai che l'avrei lasciato andare la mattina dopo, vane furono le mie parole, per quanto energiche, P. Simoni ha bisogno di aiuto, quindi, quindi, prende la bicicletta, accende il fanale davanti e via per quei sentieri, dove nessun nero in quelle ore avrebbe osato passare. Se solo lui e il Signore quanto dovette tribolare quella notte basti il sapere che arrivò a Caiango il giorno dopo, dopo le 10 ant.
Il P. Colussi rimase a Caiango finchè stimò tile la sua presenza e dopo otto giorni quando pensava di ritornare a Mbono, venne colpito lui pure dalla febbre nera. Esempi di simil genere ne potrei portare diversi altri. Il suo zelo non conosceva difficoltà ecco tutto, il suo zelo non poté essere domato nemmeno da chi lo dirigeva. Però né a me, né a nessun altro è lecito pensare che il suo zelo non fosse guidato e unicamente dal desiderio di guadagnare anime a Dio.
Siamo venuti in Africa per salvare i poveri Neri, dicea sovente; e per procurare il bene loro egli dimenticava, anzi trascurava se stesso.
Se questo fece nel tempo che gli fui compagni a Mboro, questo suo zelo si accentuò ancor più quando ai primi del 1926 io lasciavo a lui unicamente la direzione della stazione e mi portavo a Wau.
Col primo di gennaio del 26 io lasciai il buon Pio, ma però benché lontano, non finiscono però qui i miei ricordi di questo buon Padre, perché anche dopo io andai spesso a Mboro, chiamato da lui per predicazioni o per aiutarlo a sciogliere delle questioni. Egli poi in media ogni mese venendo a Wau per i suoi affari, veniva volentieri a passare qualche mezz'ora con me, che sentiva d'amare, perché (suo primo compagni).
E come dissi di sopra approfittava di questa occasioni per fare la sua confessione mensile e il suo rendiconto, con quella schiettezza e semplicità veramente ammirabili. Per la sua umiltà si credeva incapace di governarsi da solo; si consigliava molto per attenersi poi alla lettera a quanto in Domino gli suggeriva. Ma P. Colussi, sempre obbediente, docile in tutto, anche quando lo diressi lontano, mai però fui capace mi desse retta quando lo pregavo di aver più cura della sua salute, quando lo consigliavo di astenersi da certi strapazzi che io chiamavo stramberie. Quanto trascurava se stesso altrettanto poi aveva premura degli altri anche confratelli. Con quale insistenza infatti mi invitò quando fui ammalato a Wau, di andare a passare alcuni giorni di vacanza a Mboro, promettendomi che mi avrebbe trattato bene.
In Maggio, quando seppe che ormai era deciso, che io andassi in Italia, pensando che potea anche essere presto, venne a Wau. Non prese nemmeno un goccio di caffè, ma venne diritto in stanza, e P., mi disse, lei parte, ma neppur io sa sto bene, non son più quello di una volta. Padre, gli dissi io, guardi che lei da tutto l'insieme mi fa l'impressione sia alla vigilia di un'altra febbre nera, stia attento, perché se la prende ancora!! Vada a farsi visitare, stia un po’ di giorni qui a Wau, il cambiamento d'aria le farà bene. Bene allora starò qui, ma quando andremo dal medico? ormai aspettiamo domani, benissimo. Alla sera prese solo un po’ di minestra, prima d'andare a riposo gli volli dare un bel bicchierino di cognak in una soda, lo prese volentieri, e me ne domandò un secondo bicchierino puro, ma prenda la bottiglia, se la porti in stanza, e in questi giorni che sta qui ne beva qualche goccio ogni tanto.
Nikima, mi disse, che vuol dire grazie, andai con lui in stanza e parlammo ancora un po’ insieme, di poi ci separammo. Alla mattina quando alle quattro e mezza mi alzai, lo trovai in chiesa che stava dicendo Messa, finita la messa mi chiamò fuori, e parto oggi per Mboro, ora sto bene.
Lo pregai di rimanere, ma inutilmente, allora addio se lei parte presto, ma verrò ancora a trovarla, el me staga bene anca lu.
Lo rividi in giugno, in luglio e ai primi di agosto lo rividi mi sembrò più sofferente del solito, non notai più quel sorriso sulle sue labbra, alla domanda come stasse mi rispose: Padre Festa, semo a ramengo. Non finirò certo il mio triennio, lei vada, ritorni presto a Mboro e poi se ne ritornò a Mboro.
A Mboro il giorno dopo mandò un portatore con una lettera sua propria ed una quindicina di scritte dai miei vecchi amici di Mboro, di più nella sua lettera trovai una lira sterlina che il buon padre mi pregava di accettare per comperarmi qualche cosa pel viaggio; al portatore poi consegnò anche cinque galline ed un capretto per servirmene pel viaggio. Con quella sua lettera mi ringraziava di nuovo e mi pregava di perdonargli i disgusti che creda d'avermi arrecato.
Dalla sua condotta specie nei suoi due ultimi mesi mi è lecito pensare come Egli non dovesse star bene, e che sentendosi sempre più indebolire pensasse vicina la sua fine. P. Colussi non è più - consummatus in brevi explevit tempora multa - Egli fu solo tre anni in Missione, sempre a Mboro fra la tribù degli Ndogo e per ben 22 mesi come Superiore dando durante il suo governo un gran sviluppo a quella stazione; morì prima di vedere le suore della sua stazione; realizzato un sogno da lungo tempo vagheggiato, le suore nella sua stazione egli volle ma solo per il catechismo delle donne e non già come cuoche, mi diceva spesso. Il mio caro compagno non è più; egli è morto dopo tre anni di missione, morto sul campo del lavoro. Io non vedrò più il mio buon confratello col quale passai i più bei giorni di Missione. Non l'avrò più a fianco per confidargli i miei affanni e per avere da Lui conforti veri, sodi, perché fondati sempre sulla fede. Io non vedrò più quel buon Padre, cioè sì lo rivedrò in cielo, ma prima sarei ben contento di bagnare delle mie lagrime quella zolla che racchiude i suoi resti mortali. O P. Pio hai lasciato un vuoto fra noi, ci hai lasciato nel pianto. Dal cielo consolaci.
P. Ambrogio Testa