In Pace Christi

Hanriot Leon

Hanriot Leon
Data di nascita : 07/04/1847
Luogo di nascita : Morville-sur-Nied/F
Data decesso : 09/07/1894
Luogo decesso : Asmara/ER

Oltre che a mandare P. Bonomi a Massawa, Mons. Sogaro pensa­va di aprire una missione nel bassopiano Eritreo. Scrivendo dal Cairo il 17 maggio del 1893, de­scrive con vivi dettagli la missione di Suakim sul Mar Rosso ed ag­giunge: "In questo momento spe­riamo e stiamo facendo del nostro meglio per iniziare una nuova missione. A Suakim uno dei no­stri padri sta studiando da alcuni mesi la lingua di una tribù impor­tante del Sudan Orientale, nel cui territorio speriamo di aprire un nuovo campo di attività. Spero di iniziare presto una nuova impresa". Il Missionario del Comboni scelto per aprire la nuova missio­ne era il francese Padre Leon Hanriot. Sfortunatamente venne in Eritrea solo a morire, perché la sua permanenza durò solo pochi mesi.

Nato il 7 aprile 1847 a Morville-sur-Nied in Lorena, diocesi dì Namur, P. Hanriot, come P. Bonomi, era già prete quando dopo un pel­legrinaggio in Terra Santa entrò nell'Istituto del Comboni al Cairo il 20 maggio 1878. Dai documenti che ci rimangono, sembra essere stato un uomo coraggioso e deci­so, un missionario ideale ed un po' un avventuriero. Rimase in Africa per 15 anni e partecipò ad imprese straordinarie. All'inizio lavorò a Khartoum, poi ad El Obeid e nelle montagne della Nubia. Dopo la morte del Comboni ritornò a Khartoum, mandato lì nel dicem­bre del 1881 come parroco e supe­riore della missione".

La rivolta Mahdista era già in­cominciata, come lo stesso P. Hanriot scrisse al Giulianelli al Cairo l'11 marzo del 1882: "La ri­volta si era sparsa nel Darfur, nel Sennar ed al sud-est di El Obeid nel Kordofan. Sentendo la sua responsabilità per la missione cat­tolica, P. Hanriot lasciò Khartoum all'inizio di agosto con una settan­tina di persone. Il suo piano era di andare in barca prima a Berber e poi di raggiungere Suakim a cam­mello. Ma Propaganda Fide gli or­dinò di rimanere a Berber e quan­do il pericolo fosse passato di ri­tornare a Khartoum; ciò che egli fece alla fine di ottobre.

All'inizio del 1883 si sapeva che El Obeid era caduta nel gennaio dello stesso anno e che i missionari di Delen erano stati fatti prigio­nieri nel settembre del 1882. Inol­tre alcuni missionari, preti e suo­re, erano morti essendo ancora prigionieri del Mahdi. Il nuovo Vi­cario Apostolico, Mons. Sogaro, visitò Khartoum l'8 marzo del 1883 per rendersi conto personal­mente della situazione che stava peggiorando. Egli ordinò a P. Hanriot di lasciare Khartoum con tutti i membri della missione. Partirono l'11 dicembre del 1883 su due chiatte, fermandosi per il Natale a Berber. Raggiunsero poi Korosko a cammello e, di nuovo su una chiatta, il Cairo dove la ca­rovana di circa 100 persone arrivò nell'estate del 1884.

Dopo un lungo riposo a Namur, alla fine di luglio del 1885, P. Han­riot ritornò al Cairo. Nel novem­bre dello stesso anno, insieme a P. Speeke, fondò la nuova missione di Suakim. Da lì cercò di aiutare i missionari prigionieri del Mahdi a fuggire. Era questo il momento critico per le relazioni tra i vetera­ni del Comboni ed i religiosi mis­sionari di Verona. P. Hanriot era uno dei più contrari al cambia­mento fatto come appare da una lettera che scrisse a Mons. Sogaro nel 1890. Tuttavia rimase fedele alla sua vocazione missionaria fi­no alla morte.

P. Hanriot aveva sognato per tanti anni di andare in Eritrea ad evangelizzare la tribù dei Cunama. Mentre era a Suakim aveva studiato ed imparato la loro lin­gua così bene da poter comporre in Cunama, con l'aiuto di un ser­vo, una piccola grammatica, un vocabolario di due mila parole, un catechismo ed una breve Sto­ria Sacra. Nel dicembre del 1891 lo ritroviamo ancora una volta a Suakim, in visita da Tokar sul confine con l'Eritrea. Così scri­ve Don Giacomelli nel suo diario: "A Natale abbiamo avuto la felice sorpresa dell'arrivo del nostro amato confratello P. Leon. Pieno di zelo com'è, non vede l'ora di ri­tornare in Sudan. Appena ebbe notizia che Tokar era stata ricon­quistata corse là ad aprire una colonia agricola per i Neri". A Tokar P. Leone visse in una capan­na, ma quello stesso anno la mis­sione fu chiusa.

Per ultimo Mons. Sogaro, nel 1894, mandò P. Hanriot a Massawa. Voleva aprire una missione tra i Baza (o Cunama) nel bassopiano meridionale. Da Massawa P. Hanriot scrive a Mons. Sogaro: "Massawa, 11 febbraio 1894. Dal giorno che misi piedi sul battello ho avuto sempre la febbre ed ho continuato a vomitare dalla bile. I due dottori che mi hanno visitato mi suggeriscono di andare in montagna. Partirò appena che mi è possibile". Infatti, in aprile è ad Agordat, dove era giunto con una carovana forse seguendo la pista dei Nafka. Di là scrisse la sua ultima lettera a Mons. Sogaro.

Avendo ottenuto il permesso dal Generale Barattieri di visitare i Baza, ebbe la fortuna di trovare ad Agordat il Generale Giardino (il futuro eroe del Monte Grappa), che lo affidò al Capo Bakhit Cokene il quale parlava Arabo. "Oggi stesso partirò per Cianglete, a metà strada tra Agordat e Mogolo. Poi andrò a Mogolo. In seguito vi­siterò con Cokene l'altopiano di Afila che io ho sempre ritenuto come il posto adatto per una mis­sione... Spero che il mio viaggio sia benedetto da Dio... Lei poi mi ha scritto promettendomi che mi avrebbe mandato un compagno. Ci sono vari dialetti della lingua locale che deve essere studiata sul posto". Queste ultime parole di­mostrano un fervoroso spirito missionario.

Subito dopo P. Hanriot si am­malò gravemente. Portato all'o­spedale di Asmara, venne curato per circa un mese, premurosa­mente assistito da P. Bonomi e dai Cappuccini fino al giorno della sua morte il 9 luglio del 1894. Nel 1945 il Cappuccino P. Geremia ri­cordava ancora vividamente la morte solitaria del missionario comboniano ad Asmara.

Nigrizia aggiunse questi detta­gli: "Nella sua malattia il P. Hanriot fu sempre cosciente fino alla fine. Domandò l'Estrema Unzione e la benedizione 'in articulo mortis'. Pienamente rassegnato alla Volontà di Dio, pregò P. Bonomi di chiedere a nome suo perdono a tutte le persone che avesse offeso in missione".

Sebbene fosse uno dei più vec­chi Missionari del Comboni, P. Hanriot aveva solo 47 anni quan­do morì. Fu sepolto nel cimitero di Asmara (campo A, linea A, tom­ba 45). Vi rimase fino all'8 settem­bre del 1952, quando i suoi resti furono esumati e sepolti nella fos­sa comune.  P. Antonino Orlando

Da Mccj Bulletin n. 206, aprile 2000,  pp. 77-79

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Don Leone Hanriot (non Henriot), nato il 7 aprile 1847 a Morville-sur-Nied, Lorena, diocesi di Namur, entrò prete in Cairo il 20.5.1878 durante un pellegrinaggio in Palestina. Passò poi a Khartum, El Obeid e Nuba, e di nuovo a Khartum dopo la morte di Comboni. Morì ad Asmara (Eritrea), il 9.7.1894 (SPV, 99). Rolleri aggiunge: "partito per l'interno il 6.2.1879" (SPC, 13, p. 11- 12) .

       Ecco un altro missionario del Comboni del quale è difficile scrivere. Anzitutto perché ci sono in archivio 145 sue lettere, tutte scritte con la sua minuta e incerta grafia di difficile lettura, in italiano (discreto), in francese (a seconda del destinatario). Ma questo sarebbe il meno, se i 15 anni da lui passati in Africa non l'avessero coinvolto in una serie di avventure fuori dell'ordinario, che fecero scattare le reazioni tipiche del suo temperamento. E cominciamo da questo.

       Dall'insieme dei documenti appare uomo intrepido e risoluto, disposto a tutto, che affronta disagi e sacrifici con disinvoltura, senza lamentarsene, quasi con gusto. Sembra il tipico missionario ideale, con un pizzico dell'avventuriero. Ora questi tipi sono molto adatti per imprese rischiose, per sfondare, per smuovere situazioni stagnanti , ma sanno meno bene adattarsi ad una vita quieta e regolare, e soprattutto non sono facili ad intendersela con gli altri. Molto personali nel loro modo di vedere ed agire, prendono decisioni improvvise e si buttano nell'impresa, incuranti del rischio, ma soprattutto senza tener conto delle esigenze altrui.

       Vediamo come ciò risulti dalle fonti. Non sembra ci sia una sola lettera del Comboni a lui diretta: anche se ne ricevette, non era l'uomo da conservarle . A p. Sembianti, che gli aveva chiesto di distruggere, dopo la morte del Comboni, le lettere che lui, Sembianti, aveva scritte al Comboni, Hanriot rispose di averle trovate tutte in un pacco e di averne fatto un falò (A/27/6/7). Né sembra abbia conservato le lettere a lui dirette da altri.

       La sua vocazione missionaria, forse l'aveva nel sangue, ma non sembra normale attuarla durante un pellegrinaggio in Terra Santa. Fu un colpo di testa? Ci aveva pensato prima? Ad ogni modo, rimase fedele fino alla morte, e attraverso quali prove!

       Mons. Comboni di solito ne parla bene, come del resto di tutti i missionari. Ebbe però da lui anche un grave dispiacere, cui accenna Grancelli (393 - 394) citando la lettera a p. Sembianti del l maggio 1881 da Malbes: "Altra croce mi è venuta l'altro giorno. Malgrado l'ordine che io ho dato fino dal 1872 (come fanno tutti i vicari apostolici) di non far stampare nulla senza la revisione del capo della missione, d. Leone 5 mesi fa, spinto da d. Losi, mandò a stampare un articolo sulla schiavitù contro il  governo egiziano, come fautore della schiavitù … L'articolo comparso nella Gazzetta di Colonia in tedesco venne in mano di Blum pascià, ministro delle Finanze al Cairo, e nello stesso tempo il ministro inglese si presentò al Khedive dicendogli: "Vedete cosa scrivono i missionari di mons. Comboni dall'Africa Centrale? È segno che è proprio vero che il governo di V. Altezza non fa nulla per reprimere la tratta. Il Khedive e tutti i ministri d'Egitto ne furono disgustati, e Blum pascià spedì questo articolo della Gazzetta di Colonia al governatore generale di Khartum coll'ordine di mandarlo a me e d'invitarmi a pronunciare il mio giudizio su quell'articolo (il quale porta che il governatore del Kordofan, fra le altre cose, riceve mori e more invece delle imposte; il che da alcuni anni non è vero. Naturalmente, ricevendo dai contribuenti schiavi rubati a Nuba invece di denaro, è mantenere la schiavitù). E il gran pascià me lo spedì l'altro ieri; ed ora io devo rispondere. Certamente se il governo ci accorda una gran protezione come fa , non si aspetta certo da noi ingratitudine : e tale è certo se noi, invece di rivolgersi a lui per manifestargli i disordini di Nuba, lo si mette in piazza sui giornali europei denunciandone con esagerazione il tristo governo". (A/1S/119)

       Naturalmente Comboni si scusò, dicendo che il responsabile dell'articolo era arrivato nel vicariato solo nel 1879, e ignora va l'ordine dato precedentemente dal vicario apostolico di sottomettere a lui quanto destinato alle stampe.

       D. Leone se ne scusò col vescovo. Cosi, nonostante l'articolo sul "Kölnische Zeitung" le relazioni con le autorità ritornarono pacifiche, come lo erano da quando era governatore Rauf pascià.

       Non sembra d. Bonomi avesse un'alta opinione di Hanriot, perché mandandolo nel Kordofan, il 5 novembre 1879 scriveva al Comboni da Khartum: "D. Leone so quanto vale ed è molto se basterà per compagno a d. Losi" (A/20/6/S). E di nuovo a Comboni il 20 novembre 1880 da Khartum: "Ma se io avessi impedito (la partenza di Regnotto da El Obeid per Delen), chi sa quali lamenti avrebbero fatto quei di là, massime d. Leone, il quale ne ha fatti già abbastanza, essendo lui e non altri che può aversi lamentato dell'essersi a loro negato tutto, a vantaggio del solo Khartum" (Al 20"6/11). Però quando Comboni andò in visita nel Kordofan, d. Leone gli disse di non tener conto dei giudizi di d. Losi sui Nuba (cosi Comboni a suo padre, Malbes, 1.S.8.: A/16/S/68).

       Dopo la morte del Comboni, e la partenza improvvisa e inaspettata del Bouchard per Roma, d. Losi, incaricato della parte spirituale del vicariato, inviò a Khartum come parroco e superiore d. Leone Hanriot, che vi arrivò ai primi di dicembre 1881, ma per diverso tempo fu indisposto piuttosto gravemente, tanto che d. Dichtl, unico altro sacerdote e anche lui in poco buona salute, ne era preoccupato. Ma appena d. Leone si rimise alquanto dal suo mal di fegato, d. Dichtl gli affidò l'amministrazione e il libro dei conti, riservandosi la cura d'anime, cui si sentiva portato.

       In febbraio1882 d. Leone si recò a Berber, dove non potendo affittare la casa della missione, la vendette per mille talleri (42,000 franchi) a un cattolico siriano, che prometteva di dar alloggio ai missionari di passaggio. Motivi per la vendita: era una casa di fango, nessuno la voleva prendere in affitto, ed era diventata un ritrovo di immoralità. (A/27/2/4). Cosi Hanriot a Giulianelli il 24 febbraio 1882. Naturalmente questi ritenne nullo l 'atto di d. Leone e ne informò Propaganda, che a suo tempo, sentite le ragioni dell'interessato, concesse la sanatoria necessaria, tanto più che si era "sede vacante". Ma tutto ciò non favorì le pacifiche relazioni tra Hanriot e gli altri interessati.

       Lo stesso d. Leone ne informò anche p. Sembianti al suo ritorno da Berber il 28 febbraio 1882, aggiungendo anche alcune sue osservazioni, molti personali, sulle suore in genere, e nella stessa data ripetendole a Giulianelli in Cairo: "Qui in Sudan ci vogliono suore vigorose d'animo, virtuose, non pietose, e istruite bene in arabo" (A/27/2/5, 28.2.1882) .

       Nel frattempo auspicava che si togliessero presto i sigilli dalla roba di mons. Comboni, messi dal console Hansal come "protettore" della missione; ma già 1'11 marzo 1882 scriveva a Giulianelli in Cairo: "Gli affari del Sudan vanno molto male. C'è rivoluzione in Darfur, in Sennàr e al sudest di El Obeid in Kor dofan, e non so se siamo sicuri. I soldati sono pochi e i rivoluzionari molto numerosi. I signori di Khartum parlano molto, e hanno una certa paura. Se i soldati di Khartum saranno battuti di nuovo, l'è finita: i ribelli verranno ad assalire Khartum, e guai ai bianchi e principalmente a noi. Chi sa se saremo ancora vivi quando Lei riceverà questa mia. Imploriamo soccorso da Dio, affinché almeno moriamo bene, se Lui lo vuole. Forse non succederà niente e forse fuggiremo, non so, con tutti i cristiani" (A/- 27/2/6)....(omissis)

Il 1883 portò la conferma della prigionia dei missionari di Delen dal Settembre, e della resa di El Obeid il 19 gennaio 1883, con la morte di alcuni missionari e suore. A Khartum continuavano le infermità, ma si sperava nella prossima visita del nuovo vicario apostolico, mons. Francesco Sogaro, che arrivò a Khartum 1'8 marzo 1883. La sua visita fu ritenuta necessaria e benefica, anche se breve, e appare evidente che d. Leone poté influire sul vicario accentuando certe sue idee. Difatti mons. Sogaro, scrisse il 13 marzo da Khartum a Sembianti: "D. Leone fa molto bene" (A/ 39/33/13), mentre il 19 agosto dal Cairo gli soggiungeva: "Hanriot lascia passare tutto; ora sono convinto che d. Leone sarà un buon missionario, ma mai un bravo superiore" (A/39/33/13).

       Ripartito il Sogaro per Cairo il 13 maggio 1883, e anche d. Dichtl  malato, restavano in Khartum due soli sacerdoti: Hanriot e Pimazzoni. A parte il mal d'occhi di Hanriot, "quasi cieco" (Dichtl a Rolleri, il 25 ottobre 1883: A/26/26/2), si accentuò la divergenza di vedute tra i due padri, specialmente per riguardo alla suore e per le osservazioni a lui scritte da Sogaro e Sembianti, tanto che d. Leone Hanriot inviò le sue dimissioni da superiore per telegrafo, anche se dovette quasi subito ritirarle in vista della situazione che non ammetteva alternative, e poco dopo per la morte inaspettata dello stesso Pimazzoni, il 6 ottobre 1883. Ma a questo punto appare evidente che d. Leone aveva i nervi a fior di pelle e che sentiva il bisogno di una vacanza, e la chiese al Sogaro, anche se questi dovrà imporsi con tutto il peso della sua autorità per farlo partire, e questa volta per ordine superiore, con tutto il personale della missione, quasi un centinaio di persone. Lasciarono Khartum su due barconi, 1'11 dicembre, arrivarono a Berber il 20 e vi si fermarono per celebrare il Natale. Proseguirono su cammelli fino a Korosko, e di lì di nuovo in barca fino a Scellal, ma per poco tempo, perché essendo considerata in pericolo di invasione anche quella posizione, la carovana dei pro fughi proseguì sul Nilo, in due barconi, prima per Manfalut, poi per il Cairo, dove giunse nell'estate 1884. In questo esodo Hanriot poté far valere il suo prestigio e spirito d'iniziativa, di cui c'era tanto bisogno, e di cui non tutti erano sufficientemente dotati.

       Sistemati provvisoriamente i profughi in Cairo alla fine del 1884, d. Leone poté prendersi una buona vacanza, pur interessandosi sempre della missione e in particolare dei prigionieri. Si dimostrò anche favorevole a una "riforma" dell'istituto di Verona, scrivendone a p. Sembianti da Namur il 27 luglio 1885, e promettendo di inviare qualche postulante, "se ci sarà riforma e riorganizzazione". In febbraio fece una puntata a Barcellona in Spagna, trattenendosi però la maggior parte del tempo in patria, dalla fine d'ottobre 1884 a fine luglio 1885. In dicembre si portò a Suakin, fino a marzo 1886, per vedere di aiutare la fuga dei prigionieri. Ritornato in maggio al Cairo, fu mandato allo stesso scopo ad Assuan, (donde si spinse anche fino a Wadi HaIfa) dal luglio 1886 fino ad ottobre 1887. Alla fine del 1889 subentrò a p. Giacomelli come superiore alla Gesira (Zamalek). Era il periodo critico per le relazioni tra missionari anziani e i nuovi religiosi venuti da Verona...(omissis)

Quando a Gesira subentrò come superiore p. Antonio Roveggio, d. Hanriot fu inviato dal Sogaro ad Assab sul Mar Rosso e aprì una missione a Tokar, che però si dovette chiudere entro l'anno. Nel 1894 fu mandato, sempre dal Sogaro, a Massaua, dove si trovava in febbraio, e in aprile era andato fino ad Agordat nel bassopiano eritreo verso Kassala, sempre nella speranza di prestare qualche aiuto ai prigionieri o rientrare addirittura nella missione. Ammalatosi e portato all'ospedale di Asmara, vi morì assistito per circa un mese da p. Bonomi e dai Cappuccini, il 9 luglio 1894.

       Questo mi fu confermato a voce dal cappuccino p. Geremia ad Asmara nel 1945, che ancora ricordava vivamente impressionato quella morte solitaria, di un missionario del Comboni.

       Meritano di venire ricordate alcun righe scritte da Hanriot al Sogaro nell'ultimo anno di vita: "Massaua, 11 febbraio 1894. Dal giorno in cui sono salito sul battello fino ad oggi, ho avuto tutti i giorni un po' di febbre e dei vomiti di bile o sostanza equivalente. Due medici che mi hanno visto di passaggio mi consigliano la montagna. Partirò il più presto possibile." (A/27/7/29) E dall'ultima lettera da Agordat, 20 aprile 1894: "Avendo ottenuto il permesso dal generale Baratieri di andare a fare un viaggio per intendermela col residente Giardino riguardo ai Baza, ho trovato qui anche questo residente, che cambia facilmente posto. Era appena arrivato da Mogolo, dove aveva fatto venire parecchi capi Baza, ai quali aveva dato le insegne d'onore.

        "Tra questi ce n'è uno di nome Bakhit Cokène, che è stato con gli egiziani e parla l' arabo. E a questo capo il residente Giardino mi ha raccomandato. Oggi stesso nel pomeriggio partirò per Chiaglète, a metà strada tra Agordat e Mogolo; il residente mi dà una guida armata di una delle bande del paese, che mi condurrà fino a Chiaglète, dove si trova un posto di ascari, partirò per Mogolo, per portarmi direttamente presso il capo dei Baza, con una lettera nella quale il residente mi raccomanda a lui e lo prega di far venire, dietro mia richiesta, il capo Cokène dei Baza, col quale visiterò l'altipiano d'Afila che io ho sempre ritenuto come il punto più favorevole per una missione, e su ciò sono d'accordo col vecchio e nuovo residente, punto più sicuro e più fresco dei Baza dell'est e del nord. Spero che il viaggio sia benedetto da Dio, e che troverò un posto conveniente per una stazione. E allora che fare? Io le scriverò naturalmente, ma per fissarci là tra i Baza ci vorrà il permesso del generale Baratieri, che forse mi dirà di aspettare dopo le piogge, per vedere se i dervisci faranno o no una spedizione di rivalsa. Se dice di sì subito, come potrò io da solo passare dei mesi presso i Baza? Del resto io ho con me l'altare portatile e altra roba a Massaua. Una valigia l'ho lasciata a Keren. Le piogge cominciano nel mese di giugno, verso il 15 o 20, e sarà quasi impossibile attraversare i torrenti con animali da soma. Dico ciò perché lei m'ha scritto che mi manderà un compagno, appena troverò un posto adatto.

       "Quanto alla lingua: ci sono vari dialetti, e bisognerà studiarla sul posto dove ci si fisserà. Agordat è caldo: certi giorni hanno avuto 43°. Intanto io faccio il viaggio. Gli ufficiali di qui dicono che ad Afila non c'è alcun pericolo da parte dei dervisci o degli abissini, perché verrebbero attaccati prima di arrivarci" (A/27 /7 /30).

       Lo spirito missionario che traspare da queste righe valga a perdonargli altre sue espressioni.

       Nigrizia aggiunge questi particolari. "Durante l'infermità egli fu sempre presente a sé stesso fin all'ultimo; chiese egli medesimo l'estrema unzione, che accompagnò in tutte le sue cerimonie, e poi la benedizione in articulo mortis. Si mostrò sempre perfettamente rassegnato al divino volere, e pregò il p. Bonomi di chieder perdono per lui a tutti della missione che avesse mai contristato. Il p. Leone Hanriot era uno dei più anziani della missione, e si distinse sempre pel grande suo zelo per la salvezza dei neri, per l'instancabile sua operosità e per la generosità con cui si sobbarcava ad ogni genere di sacrifizi." (Nigrizia, 1894, 151).

Da P. Leonzio Bano, Missionari del Comboni 4, p. 46-54