In Pace Christi

Pannice Vincenzo

Pannice Vincenzo
Data di nascita : 06/12/1930
Luogo di nascita : Napoli (I)
Voti temporanei : 07/10/1956
Voti perpetui : 09/09/1962
Data decesso : 29/08/2024
Luogo decesso : Castel d’Azzano (Italia)

Vincenzo era nato a Napoli il 6 dicembre 1930 in una famiglia povera. È la logica di Cristo scegliere gente semplice e povera, perché il povero ha un cuore libero, che può essere abitato dai piani di Dio.

Entrò in noviziato a Firenze, dove emise i primi voti il 7 ottobre 1956. Due anni dopo, era già in missione in Ecuador, dove fece la professione religiosa perpetua il 9 settembre 1962, a Santa Maria de los Cayapas.

Fratel Vincenzo ci ha lasciati a 94 anni. Quasi tutta la sua vita, distribuita in varie tappe alternate, è trascorsa in Ecuador e Messico. Due punti forti del suo ‘carisma’ erano la promozione vocazionale e l’animazione missionaria, attraverso la diffusione delle riviste, in particolare quelle per ragazzi. Era sempre in movimento, in visita alle parrocchie e alle scuole. In questo, ci sapeva fare e ottenne ottimi risultati.

In comunità non ha mai fatto tanto rumore. Era un uomo discreto e riservato, sempre “fuori dalla foto”, come dicono a Napoli. Svolgeva il suo lavoro con tenacia e perseveranza. Aveva parecchi difetti, ma non più di noi. Della “letteratura” di Comboni non sapeva molto, ma aveva captato la sua spiritualità e il suo amore alla missione.

Ecco alcune “virtù comboniane” che tutti hanno riconosciuto in lui. Innanzitutto, il sacrificio personale per la “missione ardua”, come diceva Comboni, e fratel Vincenzo non si risparmiava. Era pronto alla fatica e al totale dono di sé, perché amava il suo lavoro e la sua vocazione di fratello.

La sua era una “santità comboniana”: Comboni aveva voluto missionari santi e capaci, e fratel Vincenzo, non solo amava questo pensiero del Fondatore, ma lo metteva anche in pratica. Rifuggiva, tuttavia, da quel fanatismo religioso che è fratello della stupidità. Comboni aveva voluto missionari “umili” e fratel Vincenzo non si gloriava del suo lavoro e servizio: sì, lui possedeva una autentica umiltà.

Fratel Vincenzo metteva Dio sempre al primo posto, e questo lo portava ad avere una vita di preghiera. Tutti lo vedevano ritirarsi nella cappella la sera, a volte perfino di notte, quando rientrava tardi dai vari paesi che aveva visitato, e la mattina presto rieccolo di nuovo lì, in attesa della recita delle Lodi. Spesso lo si vedeva passeggiando lungo il viale del seminario, con il suo rosario missionario in mano.

Come già detto, aveva l’animazione missionaria nel sangue: non perdeva occasione per parlare della missione comboniana nelle scuole, nelle parrocchie e negli istituti religiosi, sia maschili che femminili. Era un instanca-bile diffusore delle nostre riviste e libri, sempre con buoni risultati. Era un insuperabile promotore vocazionale: il suo metodo preferito era il contatto personale con i possibili candidati, che visitava nelle loro famiglie e a cui inviata lettere personali. I seminaristi del seminario minore di San Francisco del Rincón, in Messico, lo stimavano molto e si divertivano ad ascoltarlo mentre parlava lo spagnolo con accento napoletano.

Non tutto, tuttavia, andava come lui avrebbe desiderato. Non mancavano confratelli che lo criticavano per il suo modo di lavorare. Qualcuno, magari scherzando, lo punzecchiava dicendogli: «Tu fai il lavoro dei preti». Lui, però, taceva e sopportava. Amava profondamente la vocazione del fratello, ma credeva anche – e lo ha dimostrato con fermezza – che l’animazione missionaria è compito e missione di ogni comboniano.

In alcune comunità in cui è stato, trovò anche ostacoli e opposizione circa le sue attività e iniziative, ma nessuno è mai stato capace di fermarlo. E per una semplice ragione: lui credeva in quello che faceva. I risultati e i frutti gli hanno dato ragione.

Fratel Vincenzo ha vissuto una fede concreta, umile e semplice. L’ha scritto nella sua testimonianza Franco Accardo, un laico comboniano di Ercolano, che tante volte ha ospitato in casa propria fratel Vincenzo quando tornava per le vacanze in Italia: «L’amore per la missione e lo stile comboniano trasparivano dalle sue parole, dagli sguardi e dai gesti. Si sentiva che viveva ciò che annunciava». (Padre Teresino Serra, mccj)