Contro le morti quotidiane che ci assediano, togliendo respiro al nostro cuore; contro l’inquinamento delle nostre relazioni che soffoca l’amore; contro l’angoscia e la paura della morte, la nostra e quella dei nostri cari, Gesù ci apre alla speranza della vita eterna. E, allora, in tutto ciò che vivi: ricordati che devi risorgere!

I SADDUCEI DELLA PORTA ACCANTO
La mia riflessione domenicale

P. Manuel João Pereira Correia

Cari amici, sono partito col chiedermi: Cosa potrei dire di questo vangelo? E mi trovo adesso a chiedermi invece: Cosa non devo dire, dove focalizzare il mio sguardo, poiché una ciliegia tira l’altra… Il brano del vangelo di questa domenica è bello e sfidante… per tutti! Il tema è chiaro: si tratta della risurrezione dei corpi. E va precisato che qui non si parla dell’immortalità dell’anima, che è un’altra cosa. I protagonisti sono i sadducei. È l’unica volta che troviamo il gruppo dei sadducei nel vangelo di Luca, mentre troviamo i farisei innumerevoli volte.

Chi erano questi sadducei? Erano un gruppo laico-politico-clericale dell’aristocrazia del popolo d’Israele, ricchi e potenti proprietari terrieri, collaboratori con il potere romano. Erano i capi del popolo. Non godevano della stima della gente. Saranno essi a condannare Gesù. Tutti i sommi sacerdoti erano scelti da loro. Erano profondamente conservatori e tradizionalisti, e praticavano una lettura fondamentalista delle Scritture, di cui accettavano solo la Torah, cioè il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia. Non ammettevano neanche i Profeti (figurati! i profeti parlavano sempre contro l’ingiustizia dei ricchi e dei potenti!). Secondo loro non c’era risurrezione perché non se ne parlava nel Pentateuco. Bisogna pur dire che la fede nella risurrezione dei morti appare relativamente tardi nella Bibbia, attorno al II secolo prima di Cristo. Tutto si giocava sul presente. La benedizione di Dio si limitava alla vita terrena.

Ebbene, qui nel loro ‘territorio’, nella capitale e nel tempio di Gerusalemme, durante i suoi ultimi giorni, anche i sadducei interloquiscono con Gesù, questo rabbi galileo, venuto dalla periferia, dai confini del nord. Il tema è quello da loro preferito: la risurrezione. Non per chiedere il parere di Gesù, nemmeno per metterlo alla prova, ma semplicemente per prenderlo in giro. E Gesù accetta la sfida proprio nel loro ristretto campo.

Gli presentano il ‘caso’, ridicolo e assurdo, di una donna sette volte vedova e mai madre, come caricatura della fede nella risurrezione. Si tratterebbe dell’applicazione della legge del levirato, che prevedeva che il cognato prendesse la moglie di suo fratello, rimasta vedova senza figli, per garantirgli la discendenza e il nome (Deuteronomio 25).

La risposta di Gesù corregge, prima di tutto, l’idea che prevaleva sulla vita futura, che era vista come una semplice rianimazione del cadavere. Basti pensare che il celebre rabbi Gamaliele affermava: “Verrà un tempo in cui la donna partorirà ogni giorno una volta”! Gesù, di seguito, ribadisce la verità della risurrezione, citando un passo del Pentateuco in cui Dio si presenta a Mosè come “il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di GiacobbecommentandoDio non è dei morti, ma dei viventi”.

Nel brano parallelo di Marco e di Matteo Gesù dice: “Voi siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio”; e concluderà: “Voi siete in grave errore”! (Mc 12,24.27; cf. Mt 22,29), accusa terribile, rivolta ai sacerdoti che dovevano impartire al popolo la conoscenza di Dio (cf. Os 4,6)!

I SADDUCEI DELLA PORTA ACCANTO

I sadducei non ci sono più, ma il loro fermento è rimasto. Essi vivono tra noi, sono quelli della “porta accanto”, usando questa espressione cara a Papa Francesco. Con questo non mi riferisco al vicino di casa ma al nostro cuore, che non è una camera intima, bensì un palazzo con tante stanze dove sono installati tanti modi di pensare e credenze, usi e costumi, ben radicati o mai interamente sfrattati.
Vorrei condividere quattro di questi fermenti.

1. La porta del paradiso… che non c’è!

La forma più comune della mentalità dei sadducei è quella di vivere impostando la propria vita sulle speranze terrene. Come se un’altra vita non ci fosse. Oggi attraversiamo una grande crisi di Speranza. In passato si pensava troppo all’aldilà, alienandosi dal presente. Marx aveva ben ragione dicendo che la religione era l’oppio del popolo. Oggi non ci si pensa più alla vita futura, e l’oppio è un altro: il consumismo sfrenato. Vogliamo il paradiso qui, subito, adesso. E tanto peggio per coloro – l’extra-grande maggioranza – che vivono invece l’inferno sulla terra!

Questa mentalità sussiste anche in alcune forme di religiosità cristiana, come in certi gruppi pentecostali, che sembrano ignorare l’invito di Cristo alla sequela caricando la propria croce, “rendendo vana la croce di Cristo” (1Corinzi 1,17). Una sensibilità a cui nessuno di noi è estraneo. In fondo si crede e… non crede alla vita futura!

La porta di questa stanza è spalancata dal dubbio, dall’influsso del secolarismo, dalla mentalità imperante, e questo sadduceo fermenta furtivamente la pasta della nostra vita quotidiana!

2. La porta sull’abisso del nulla

Più radicale ancora è una visione della vita pura e semplicemente come una meteora, una scintilla che erompe dalla tenebra del nulla e in quel nulla rapidamente precipita. Il nulla è il “buco nero” che inghiottisce ogni raggio di luce. È la prospettiva del non-senso della vita. Tutto è “un’ombra di un sogno fugace”. Il libro della Sapienza fa una descrizione bellissima di questa concezione dell’esistenza (cap. 2).

La persona non sa da dove viene e dove va. L’uomo è uno che cammina, e si cammina sempre partendo da casa o per tornare a casa. Altrimenti è un vagabondo, non sa dove andare. Questa potrebbe essere una metafora della condizione attuale della nostra società.

Davanti a tale visione pessimista e nichilista della vita, ci sono due possibilità. La prima è rincorrere l’attimo sfuggente, cercando l’elisir dell’eterna giovinezza (coltivando il culto del corpo) e sognando il mito dell’immortalità. L’alternativa è vivere nel vuoto e nell’angoscia. Non c’è Dio e non ci resta che l’aldiquà.

Una buona fetta di cristiani e di cattolici non credono alla risurrezione. Mi domando che senso abbia per loro celebrare l’Eucaristia ed essere cristiani. “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Corinzi 15,19).

Anche questo sadduceo abita nella stanza accanto ed ha la sua porta sempre socchiusa! Difficilmente siamo immuni all’influsso del materialismo, dell’ateismo e dell’agnosticismo di una società che ha estromesso Dio dal mondo!

3. La porta dei fantasmi o del sub-mondo delle ombre

Il popolo di Dio prima di arrivare alla fede nella risurrezione concepiva la vita oltretomba come il regno dei morti, gli inferi o sheol, il triste mondo delle ombre, una sotto-forma indefinita di sopravvivenza. C’era la tentazione di stabilire un contatto con i morti, una pratica fortemente condannata nella Bibbia (vedi 1Samuele 28). Si tratta della negromanzia, una pratica che non è di certo sparita anche tra certi cristiani “della notte”. Sono i cristiani che credono che “qualcosa c’è” dopo la morte ma qualcosa di fluido, indefinito che non suscita né entusiasmo né speranza.

Anche se questa porta rimane (ufficialmente) chiusa, questi fantasmi possono vagare nel nostro immaginario, seminando confusione e perplessità. È anche questo un fermento negazionista dei sadducei.

4. La porta delle anime riciclate e disincarnate

È un fermento negativo che da sempre coesiste con la fede nella risurrezione. Si tratta della credenza nella reincarnazione. L’idea che dopo la morte l’anima torna a vivere in un altro corpo. È come la rinascita dell’anima o dello spirito di un individuo, in un altro corpo fisico. Ciò potrebbe essere interpretato, a mio parere, come un “riciclaggio delle anime” (come se Dio non ne avesse abbastanza!). Oppure come una specie di espiazione per colpe commesse nella vita precedente e la necessità di una purificazione, una specie di purgatorio, insomma. Il corpo viene quindi svalutato e strumentalizzato a profitto dell’anima.

Una forma affine, sebbene assai differente e con sfumature diverse, è la nozione filosofica dell’immortalità dell’anima che però attribuisce un ruolo negativo o comunque spregiativo al corpo. Il corpo sarebbe un ostacolo, la prigione da cui l’anima cerca di liberarsi. Un esempio eloquente è l’episodio di Paolo deriso quando parla della risurrezione dei morti nell’areopago di Atena (Atti 17).

Sono idee che circolano anche in ambito cristiano ma che intaccano gravemente l’identità della fede. Per questo san Paolo non esita ad impiegare parole molto forti contro questo pensiero: “Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto!” (1Corinzi 15,12ss).

La risurrezione è il cardine della fede cristiana. Tutto è appeso a quel chiodo fondamentale. Se cade questo, crolla tutto l’edificio e il cristianesimo perde la sua ragione d’essere.

Paradossalmente, da sempre questo è forse il più insidioso fermento dei sadducei perché traghetta una fede che nega l’incarnazione.

COME NEUTRALIZZARE IL FERMENTO DEI SADDUCEI?

Propongo due modalità.

1. Coltivare la Speranza

La risposta di Gesù ai sadducei sulla risurrezione è bellissima ed è il “segreto” della Speranza: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui.

In questa preposizione «di» ripetuta 5 volte è racchiuso il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell’eternità. Il Signore non può pronunciare il proprio Nome senza pronunciare anche quello di coloro che ama. È il “loro” Dio. Sì, Dio è legato a noi, il Suo e il nostro destino sono interconnessi. È il Dio di mio padre Manuel, di mia zia Maria, di mia madrina Maria da Conceição, di mia nonna Gracinda, del mio vecchio parroco P. Matias, del mio caro vicino di casa e grande amico P. Zelito che Lui ha così presto chiamato a Sé… Ed è il MIO DIO. Se non è “mio”, Dio “non c’è”. E se io non sono Suo, io sono già morto, anzi sono piombato nel nulla. Finché Dio sarà, loro sono ed io sono! C’è speranza più bella? “Io sono del mio amato e il mio amato è mio” (Cantico dei Cantici 6,3).

2. Ascoltare i testimoni

La nostra epoca è quella del dubbio e del sospetto. Non possiamo evitarli. Ci fidiamo solo di quello che abbiamo “visto e udito” noi stessi.
Ogni qualvolta il dubbio e il sospetto sopravvengono, io ripeto a me stesso: Fidati dei Testimoni, dei santi e dei mistici, non dei “non-vedenti” che niente hanno visto, per brillanti ed intelligenti che siano! E ripeto la professione di fede: ”Credo la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen”.

P. Manuel João
Castel d’Azzano, 6 novembre 2022

Ricordati  che devi risorgere!

Che cosa sarà della nostra vita? Cosa possiamo sperare? Cosa ci attende dopo la morte? Queste domande di fondamentale importanza, ieri come oggi, vengono in qualche modo neutralizzate dai sadducei, un gruppo di sacerdoti che non credono nella risurrezione dalla morte. Essi, per sminuire la portata di questi interrogativi, presentano a Gesù un caso-limite, così da metterlo in imbarazzo e ridicolizzarlo.

Si dà il caso che, come previsto dalla Legge, sette fratelli sono subentrati in matrimoni successivi sempre con la stessa vedova, perché nessuno di essi ha lasciato discendenza. Questa donna, alla risurrezione dei morti, di chi sarà moglie, avendo avuto sette mariti?

La domanda fittizia è mascherata di fedeltà alla Legge, ma si tratta solo di una rigida osservanza esteriore che fa della Legge una “lettera morta”. Infatti, la fede nella risurrezione, nel popolo di Israele, nasce e si sviluppa dopo Mosè; dunque, anche la legge è in cammino, si approfondisce, deve aprirsi al mistero di un Dio vivo che parla e agisce nella storia e, soprattutto, deve essere interpretata alla luce di Cristo.

La risposta di Gesù comprende due affermazioni importanti. La prima: la risurrezione dalla morte non è la riproduzione esatta di questa vita terrena, ma un mistero di trasformazione in cui tutto — anche i legami con le persone più care — sarà vissuto in un modo nuovo, in quella nuova creazione in cui saremo simili agli angeli. La seconda: in mezzo al roveto ardente, Dio si è presentato come “Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”, cioè un Dio vivo, personale, che si lega a ciascuno dei suoi figli, che si schiera visceralmente contro la morte.

Emerge il ritratto di un Dio vivo, amante della vita, speranza contro ogni morte. Se sostituiamo al nome di Abramo, Isacco e Giacobbe il nostro, possiamo aprirci alla gioia di scoprire Dio. Che non è un teorema astratto, ma il “mio” Dio, il Dio vivo che è legato alla mia storia personale e al cammino della mia vita. Il nome di Dio è legato a quello di ciascuno di noi e questo legame con Lui è più forte della morte.

Contro le morti quotidiane che ci assediano, togliendo respiro al nostro cuore; contro l’inquinamento delle nostre relazioni che soffoca l’amore; contro l’angoscia e la paura della morte, la nostra e quella dei nostri cari, Gesù ci apre alla speranza della vita eterna. E, allora, in tutto ciò che vivi: ricordati che devi risorgere!
[Francesco Cosentino – L’Osservatore Romano]

Perseveranti perché Dio è fedele

2Mac 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2Ts 2,16 - 3,5; Lc 20,27-38

La parola di Dio di questa domenica ha per filo conduttore la speranza nella risurrezione. Questo tema ci viene proposto dalla prima lettura, tratto dal libro dei Maccabei, attraverso la storia della morte di sette fratelli. Questa scena rappresenta la drammatica storia del popolo di Dio esposto all'estrema prova della fedeltà. Il resoconto dettagliato delle torture a cui sono sottoposti i sette fratelli, a causa della loro fede, ha lo scopo di presentarci un esempio di coraggio indomito di fronte alle sofferenze più atroci, specialmente quando si tratta di rimanere fedeli alla Legge di Dio . È in questo clima di resistenza spirituale, e non di fanatismo religioso, che la teologia spirituale verrà elaborata in seguito esaminando i martiri cristiani. Il martire è un testimone, testimone della sua fede

All'epoca in cui il libro dei Maccabei (martiri di Israele) fu scritto, nel II secolo a.C. J C, la fede nella risurrezione individuale è ben affermata, specialmente quella dei credenti. Sembra chiaramente che è grazie a Dio che siamo risorti e che dobbiamo esserne giudicati degni. Questo unisce la speranza e l'atto di fede del salmo responsoriale (sal 16) di questa domenica; senza che la resurrezione, sia direttamente affermata, essa è intravvista attraverso una professione di fede in Dio Salvatore e Maestro della vita: "Verrà il giorno in cui vedrò la tua gloria, Signore". Quindi c'è davvero una vita nel mondo a venire; questa è una evidenza, una logica conseguenza della fede; e il culto dei si situa nella linea di questa fede.

Sfortunatamente, la nostra speranza è sempre minacciata: facciamo finta di non sapere nulla dell'aldilà, se non che esiste. Il nostro sguardo è spesso bloccato e affascinato dal mondo da costruire quaggiù e rimane chiuso alla prospettiva di un mondo futuro. Il mondo, sappiamo come costruirlo, basta solo vedere tutto ciò che si realizza intorno a noi, e talvolta con noi. Per quanto riguarda l'aldilà, a volte sperimentiamo una profonda stanchezza o indifferenza e manteniamo una speranza così incerta da non saperne più tener conto. Tuttavia dobbiamo sempre stabilire un legame tra il nostro comportamento, la nostra fede in Dio e la nostra speranza nell'eternità.

Gesù Cristo ha tutto il suo posto nella speranza di eternità dei credenti. La sua risposta ai Sadducei, nel testo evangelico, comporta un intero insegnamento sulla vita nell'aldilà. Questi hanno una concezione troppo materiale della risurrezione e una conseguente mancanza di fede nella potenza di Dio. Affermavano che non c'era "né resurrezione, né angeli, né spirito". È sul rifiuto della risurrezione che entreranno in discussione con Gesù.

La risurrezione era un punto di dottrina che li separava dai farisei e, negandola, pretendevano attenersi all'antica credenza di Israele, dimenticando che la rivelazione di Dio è stata progressiva. Ammettevano la sopravvivenza dell'anima dei giusti, dopo la morte, ma nello Scheol, dove sono tutt'altro che felici, vivono si, ma le loro vite sono imperfette. La credenza nella risurrezione apparve nel periodo dei Maccabei, nel II secolo a.C. J C, sotto l'influenza di una vita religiosa più intensa, nel desiderio di una più stretta comunione con Dio e di un mondo migliore. L'esistenza miserabile nello Scheol non poteva riempire quelle aspirazioni. Questa concezione era ormai superata. Solo l'incontro dell'anima con il corpo, presso Dio, poteva soddisfare i credenti. Questa speranza della risurrezione si rafforzò durante le guerre di religione. Ma per i Sadducei era un nuovo dogma e lo respinsero con la stessa facilità con cui facendolo, si ritrovarono in accordo con la filosofia greca che insegnava che il corpo è una tomba per l'anima e appena ne esce fuori conosce una vera liberazione.

I sadducei iniziano invocando l'autorità di Mosè, che Gesù non può rifiutare. Secondo Dt 25, la legge di Mosè, quella del levirato, obbligava colui, il cui fratello sposato moriva senza avere figli a sposarne la vedova per dare posterità a suo fratello ; il figlio primogenito nato da questo matrimonio era considerato come il figlio del defunto. L'esempio è esagerato e interessato: propongono il caso di un morto senza figlio, i cui sei fratelli hanno successivamente sposato la vedova, senza che nessuno di loro abbia avuto figli, nemmeno lui. L'esagerazione nel numero sette è per gettare il discredito sulla risurrezione.

A sua volta, la donna muore. Quale sarà la sua situazione se avrà luogo la risurrezione? Di quale dei sette fratelli sarà la sposa? Tutti hanno uguali diritti su di lei, poiché nessuno di loro ha avuto un figlio, e tutti si sono conformati alla legge di Mosè. In effetti, questa situazione è grottesca, ma Gesù la confuta nella sua risposta. Nell'attuale ordine della natura, il matrimonio è una condizione normale dell'umanità: è necessario per la procreazione. Ma nel secolo futuro, per coloro che sono stati giudicati degni di prenderne parte, non può esserci questione di matrimonio. Ci sarà quindi un ordine di cose diverso da quello attuale: la ragione che rende il matrimonio oggi necessario non esisterà più. Infatti coloro che sono risuscitati dai morti non muoiono più: non devono più preoccuparsi della diffusione della razza umana, preoccuparsi di assicurare la continuità della discendenza, dato che per i patriarchi era l'unica possibilità di sopravvivere; da qui la sventura di morire senza avere figli.

Gesù dichiara inoltre che coloro che risorgeranno dai morti saranno come angeli, somiglianza che non è un'identità di natura, ma un'associazione alla stessa vita divina. D'altra parte, immortali come gli angeli, non dovranno più preoccuparsi della procreazione. La risurrezione dà loro nuova vita: figli della risurrezione, sono figli di Dio, acquisendo una vita incorruttibile.

Tuttavia, va sottolineato, che l'amore sopravvivrà oltre la morte, ma sarà purificato e reso più vero. Gesù non dice che quelli che si sono amati non si conosceranno più; ma lascia piuttosto intravvedere il completamento di ogni l'amore, al di là della sessualità nel suo aspetto carnale, possessivo, esclusivo. Confrontandoci con gli angeli, Gesù usa un linguaggio simbolico per insinuare, soprattutto che a partire dalle realtà di questo mondo, non ci sono possibili rappresentazioni con il mondo futuro. Non sono né uomini né donne: gli angeli sono d'ora in poi in quello stato di perfezione che sarà il nostro. Vedono incessantemente il volto di Dio: noi pure vedremo e contempleremo Dio.

In questa discussione, per finire, Gesù porta una nuova prova sulla risurrezione, basata sull'autorità di Mosè che i Sadducei avevano appena invocato: nell'episodio del roveto ardente (Es 2, 1s,), Dio dice di essere il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Ora non è il Dio dei morti, ma dei vivi. A prima vista, può sembrare che si debba concludere superficialmente sull'immortalità dell'anima piuttosto che sulla resurrezione. Ma ciò che è molto interessante è che Gesù dà a questo brano un significato molto più profondo: cioè che il Signore continua ad essere il Dio di coloro che lo hanno servito e che continuano ad essere vivi per lui. I patriarchi sono dunque ancora vivi.

In verità, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; è attraverso l'invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo (Sg 2: 23-24). L'intenzione di Dio non poteva essere eternamente frustrata dall'intervento del diavolo. In Gesù Cristo, l'uomo ha riacquistato il suo diritto all'immortalità, che ha la sua più bella espressione nella risurrezione. Quindi c'è una vita nel mondo a venire.

È grazie a Dio nostro Salvatore e nostro Maestro di vita che siamo risorti. Questo raggiunge la speranza di eternità dei martiri di Israele della prima lettura. La nostra speranza nella risurrezione è radicata nella Rivelazione. È la parola di Dio, non degli uomini, che ci rivela il significato del destino del mondo e dell'uomo. Essa ci presenta, non l'illusione di una storia senza fine, una ripresa perpetua (reincarnazione), ma la pienezza del mondo con Gesù. Dio, in Gesù suo Figlio ci fa trionfare sul male e sulla morte. Tuttavia, un solo sentiero ci conduce verso la risurrezione e la vita eterna, poiché è di essa si tratta: questo cammino è la fedeltà alla Parola e alla volontà di Dio.
Don Joseph Ndoum

Missione è annuncio coraggioso e creativo delle realtà ultime

2Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2Tessalonicesi 2,16-3,5; Luca 20,27-38

Riflessioni
Tutte le religioni e le filosofie incrociano e si confrontano con lo stesso enigma, anzi un doppio enigma: perché la morte? e al di là della morte che cosa succede? Sono eventi ineluttabili, che interpellano ogni persona, qualunque siano i suoi riferimenti religiosi. Esiste qualcosa d’altro dopo la morte? Ma come sarà? Quale sorte tocca ai mortali? Contro questi enigmi si infrangono tutti i ragionamenti umani. Le religioni dei popoli offrono a questo riguardo un ventaglio di credenze, che vanno dalla negazione di una vita nell’oltretomba, a forme di reincarnazione, a opinioni nebulose circa un modo di esistere frammisto di passività, sopore, solitudine… I sadducei (Vangelo) erano scettici, cavillosi e negazionisti riguardo alla risurrezione dei morti (v. 27); per questo presentano a Gesù un caso estremo, una caricatura e una domanda capziosa e oltraggiosa verso la donna. I farisei, invece, ci credevano fermamente, ma pensavano che la vita eterna fosse solo un perfezionamento della vita terrena, una specie di fotocopia migliorata: una vita libera da sofferenze e ricca di piaceri.

Da parte loro, i sette fratelli Maccabei che, insieme alla loro madre (I lettura), rifiutarono le proposte dell’empio re Antioco Epifane e ne affrontarono con coraggio le torture mortali (v. 2), professarono la loro fede nella risurrezione, pur avendone probabilmente una percezione imperfetta. Ma la loro posizione è chiara ed energica: “Il re dell’universo… ci risusciterà a vita nuova ed eterna” (v. 9); muoiono con “la speranza di essere da Dio di nuovo risuscitati” (v. 14). Con fede ardita e giovanile, i fratelli Maccabei mettono l’empio re davanti alla sua triste sorte: “Per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita” (v. 14).

Gesù presenta la sua novità di pieno rispetto per la persona-donna e la sua dignità: va oltre il comune immaginario dei più, parla di un’esistenza che, mantenendo l’identità della persona fra il prima e il dopo, continua a vivere ma in forma diversa. Per Gesù (Vangelo) la risurrezione non significa solo rinascere per una vita migliorata, ma per una vita sul versante degli angeli, nella realtà piena dei figli di Dio (v. 36). Lo vedremo non in maniera confusa, ma chiara, a faccia a faccia, dirà San Paolo (1Cor 13,12). Il “come saràfa parte della sorpresa di Dio, che ora ci è dato solo di sperare senza esitazioni, perché il nostro Dio è Padre “amante della vita” (Sap 11,25-26). È Dio dei viventi, “perché tutti vivono per Lui” (v. 38). Per noi cristiani la prova suprema della risurrezione dei morti non è solo Lazzaro ritorna in vita e poi muore, ma è soprattutto Cristo Risorto. È Lui, il Crocifisso-Risorto, il nucleo centrale della nostra fede e la ragion d’essere della missione. Il coraggio della madre e dei fratelli Maccabei, pronti a morire per la loro fede, trova un permanente riscontro nella storia della Chiesa, accompagnata e fecondata continuamente dal sangue dei martiri, fino ai nostri giorni, in ogni parte del mondo.

Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe (v. 37) è il Dio di Gesù, il Dio delle persone, è il Dio dei viventi. Gesù è la manifestazione più perfetta del Dio “amante della vita”; a pieno diritto si è proclamato “via, verità e vita” (Gv 14,6). E quindi è Lui la buona notizia che dà compimento alle aspirazioni di ogni religione e di tutti i popoli. Di fronte agli enigmi della vita, della morte e del dopo-morte, che da sempre tormentano lo spirito umano, solo la Parola di Dio è luce e speranza. Solo Dio ha sfidato la morte e l’ha superata qualitativamente nella risurrezione di Cristo. Questa fede spinge i missionari ad optare per la vita, a qualunque costo, annunciando il Vangelo e promuovendo, accanto alla gente, iniziative di pace, giustizia, solidarietà, difesa dei diritti di ogni persona.

L’attività missionaria ha un’eminente finalità e carattere escatologici. L’annuncio delle realtà ultime dell’esistenza è parte fondante della missione, perché rende presenti e operanti, fin da ora, tali realtà, in attesa del loro pieno compimento quando il Regno di Dio si realizzerà con splendore. (*) Solo con questa prospettiva di una vita futura, positiva e sicura, è possibile dare speranza all‘esistenza umana, che ogni giorno deve affrontare la lotta della vita tra sofferenze, angustie e precarietà di ogni genere. La missione promuove creativamente questo dinamismo e quindi è sempre un servizio qualificato alla famiglia umana.

Parola del Papa

(*) “Il periodo dell'attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo… Prima della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni… Con la predicazione e con i sacramenti… l'attività missionaria rende presente Cristo, autore della salvezza… Ogni elemento di bene, presente nel cuore e nell'anima umana o negli usi e civiltà particolari dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio… e la felicità dell'uomo”.
Concilio Vaticano II
Decreto Ad Gentes sull’ Attività Missionaria della Chiesa (1965), n. 9

P. Romeo Ballan, MCCJ