La festa dell'ascensione al cielo del Signore nostro Gesù Cristo è una splendida occasione per riflettere su quelle parole del credo, che recitiamo nella messa ogni domenica: "credo in un solo Signore, Gesù Cristo, il quale fu crocifisso, è resuscitato, è salito al cielo, siede alla destra del Padre".

Solennità dell’Ascensione del Signore:
Festa dell’addio e dell’invio!

Di questo voi siete testimoni”.
Luca 24,42-49

Stiamo celebrando il “mistero pasquale”, che comprende i cinque momenti culminanti della vita del Signore: Passione, Morte, Risurrezione, Ascensione e Pentecoste. L'Ascensione conclude il periodo simbolico di quaranta giorni in cui il Risorto si è manifestato ai suoi discepoli: “Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni” (Atti 1,1-11, prima lettura). I “quaranta giorni” non rappresentano un tempo cronologico. Infatti, nel vangelo, diversamente dagli Atti, san Luca concentra in un unico giorno, quello di Pasqua, i racconti delle apparizioni del Risorto, concludendo con la sua ascensione, a indicare che l’esaltazione è inseparabile dalla risurrezione. I tempi da lui indicati: i quaranta giorni per l'ascensione e i cinquanta giorni per la Pentecoste sono “tempi teologici”, una raffinatezza letteraria, ricca di simbolismo biblico.

In diversi Paesi questa solennità, che accade il giovedì della VI settimana, 40 giorni dopo Pasqua, viene posticipata alla domenica seguente per permettere una più numerosa partecipazione dei fedeli.

L'Ascensione, la cenerentola delle feste cristiane?

La festa dell'Ascensione non era celebrata fino al V secolo. Si riteneva che essa fosse parte integrante della glorificazione di Gesù risorto (Filippesi 2,9-11). Difatti, l'Ascensione è l'altra faccia della Risurrezione, cioè l'innalzamento e l'esaltazione di Cristo.

Il pastore e teologo valdese Paolo Ricca (+2024) ha scritto che l'Ascensione è diventata “la cenerentola delle feste cristiane”. Infatti, è una festa che la Chiesa ha valorizzato poco, forse per il suo aspetto di mestizia dovuto alla “dipartita” definitiva di Gesù. Va detto però che “questo congedo non ha niente dell’addio: la tristezza, come il vecchio fermento, viene spazzata via dalla Pasqua…; l’ascensione lascia nel cuore degli apostoli ‘una grande gioia’. L’angoscia per la partenza del Signore si colloca cronologicamente prima della Passione; allora i discepoli si rattristano come la donna la cui ora è venuta (…) Qui si allude al rivedersi della Pasqua, e la gioia pasquale non è turbata dall’ascesa al cielo” (H.U. von Balthasar).

L'Ascensione ci porta un messaggio gioioso di una doppia presenza. Da una parte, il Signore Gesù, “elevato in cielo”, garantisce comunque la sua presenza sulla terra, in mezzo ai suoi. Dice sant'Agostino: “Cristo non ha lasciato il cielo quando è disceso tra noi e non ci ha lasciati quando è salito in cielo”. D'altra parte, stando noi ancora sulla terra, siamo già con lui in cielo, dove egli – quale “sacerdote grande nella casa di Dio” – intercede per noi. La nostra vera abitazione è in Dio ma, con l'incarnazione, la dimora di Dio è l'umanità. L'Ascensione ci manifesta “la via nuova e vivente che egli [Gesù] ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne” (Ebrei 10,20-21, seconda lettura) e rivela che Gesù è la vera “scala di Giacobbe” che mette in comunicazione terra e cielo (Giovanni 1,51).

L'Ascensione, festa dell'invio

Vorrei sottolineare la dimensione missionaria dell'Ascensione, che non sempre viene messa sufficientemente in rilievo. In genere, riteniamo la Pentecoste come la “festa della missione”, con l'effusione dello Spirito, la nascita della Chiesa e l'inizio della predicazione apostolica. Tutto questo è vero. Però, non possiamo lasciar passare sotto silenzio che il “mandato missionario” avviene il giorno dell'Ascensione. Oggi, quindi, è la festa dell'invio della Chiesa in missione! L'Ascensione è, contemporaneamente, il punto di arrivo per Gesù, cioè la fine del suo ministero, e il punto di partenza per la Chiesa, inviata in missione. Al movimento verticale di Gesù verso il cielo corrisponde quello orizzontale della Chiesa verso il mondo. Gesù conclude la sua missione sulla terra e si rende “invisibile” per dare spazio, visibilità e responsabilità alla missione dei suoi discepoli sulla terra.

La missione vista dall'Ascensione

Il brano odierno del Vangelo di Luca ci offre alcune indicazioni sulla missione:

Lo SCOPO della missione: “Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati”. Ci colpisce il fatto che san Luca ritenga l'invito alla conversione e la remissione dei peccati i due aspetti prioritari della missione. Siamo ben lontani dalla sensibilità odierna. Come tradurre concretamente questo doppio annuncio come “buona notizia” è la grande sfida che la Chiesa è chiamata ad affrontare!

DESTINATARI, LUOGHI e PROTAGONISTI della missione: la predicazione va rivolta “a tutti i popoli”, cioè dappertutto; la missione non ha confini e non esclude nessuno. Ma “cominciando da Gerusalemme”, per andare poi verso le periferie, ossia una “Chiesa in uscita”, come amava dire papa Francesco. Gerusalemme come punto di partenza garantisce la continuità – non senza rotture (vedi il concilio di Gerusalemme in Atti 15) – tra l'antico e il nuovo Israele. La Gerusalemme storica è il punto di partenza, ma quella metastorica, la Gerusalemme celeste, è il traguardo verso il quale la missione cammina.
I protagonisti della missione non sono solo gli Undici, ma tutti i discepoli di Cristo, in comunità, perché l'invio è collettivo.

La MODALITÀ della missione: “Di questo voi siete testimoni”. L'evangelista sottolinea soprattutto la dimensione missionaria della testimonianza. Questa testimonianza è possibile grazie alla nuova comprensione della Parola: “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (Luca 24,45); e alla potenza dello Spirito: “Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (24,49). La gioia e la lode sono la prima forma di testimonianza: “poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (24,52-53). Tutto questo è cosa risaputa a livello di idee, ma quanto pesano nella nostra programmazione e operato queste dimensioni fondanti della missione: la Parola, lo Spirito, la Gioia e la Lode?

La missione sotto il segno della BENEDIZIONE: “Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. La benedizione è l'ultima azione di Gesù sulla terra. La missione avviene sotto questa benedizione, sorgente della Lode e della Gioia. Senza di essa, facilmente cadiamo nella tentazione della mormorazione, nello scoraggiamento e nella tristezza, cioè nella “maledizione”!

La missione ravviva la speranza dell'attesa

Secondo gli Atti, i due angeli dell'Ascensione annunciano agli apostoli: “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo”. L'Ascensione comporta la speranza nel ritorno di Cristo per prenderci con sé.
La missione ha pure come compito di conservare viva la speranza e di aiutare la Chiesa a tenere accesa la lampada della fede nell'attesa del ritorno dello Sposo. Sul ritorno di Cristo, infatti, incombe uno dei più inquietanti interrogativi del vangelo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18,8).

P. Manuel João Pereira Correia, mccj

Testimoni e missionari
(Lc 24,46-53)

Testimone è chi si trova dentro un avvenimento e non sa in quel momento di doverne riferire successivamente. È testimone per caso o coincidenza, non preavvisato, non convocato. I veri testimoni spesso si contraddicono, si confondono, come ben sanno i giudici in un’aula di tribunale. Perché hanno avuto una visione parziale, fuggevole, perfino alterata se l’avvenimento ha comportato un coinvolgimento emotivo.

In questa pagina c’è invece un tutt’altro compito del testimoniare. Qui c’è un’investitura, la solenne consegna di riferire al mondo. Non sarà permessa una relazione soggettiva, dovranno invece attenersi a una formula e a una comune e irreprensibile interpretazione. Qui succede la trasformazione da persone a conoscenza dei fatti a missionari di un messaggio di fede. Dovranno essere gli occhi di chi non c’era, non ha visto e non ha conosciuto di persona. Dovranno essere la voce per chi non ha sentito, da trasmettere ai contemporanei e ai posteri.

È impresa perfino più ardua di quella del loro maestro. Egli ha espresso se stesso, si è rivelato in opere e discorsi suoi del tutto. Loro, discepoli, dovranno essere i vice, convincere gli altri di lui. Esserne all’altezza senza poterlo incarnare. Niente li ha preparati a questo. Neanche se il maestro fosse vissuto a lungo avrebbero assorbito a sufficienza la sua personalità. Maestro, si, ma senza lasciare una scuola, degli scritti. E poi è vissuto così poco presso di loro, si è rivelato pure cosi tardi. E ora li esorta a essere il suo seguito. Non ha potuto averne uno lui, come potranno loro?

A distanza di millenni si sa che riuscirono. Ma allora, in quel turbolento periodo? Cerco di comprendere come hanno potuto assumersi lo sbaraglio del compito. Il rigo finale della pagina mi aiuta: provarono entusiasmo, parola che indica la presenza della divinità dentro se stessi.

La poeta Russa Marina Zvetaeva ha scritto che Dio ha creato il mondo in un momento di entusiasmo. Eccola in loro la scintilla incendiaria. Con l’energia dell’entusiasmo potranno coinvolgere e trasmettere. È il viatico per il viaggio, il sigillo in loro della divinità. L’entusiasmo li scaraventerà ai quattro angoli del vento a conficcare nelle generazioni successive quello di cui sono stati i testimoni.
Erri De LucaL’Osservatore Romano

Gesù inizia nella Chiesa una nuova presenza

At 1,1-11; Salmo 46; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53

La festa dell'ascensione al cielo del Signore nostro Gesù Cristo è una splendida occasione per riflettere su quelle parole del credo, che recitiamo nella messa ogni domenica: "credo in un solo Signore, Gesù Cristo, il quale fu crocifisso, è resuscitato, è salito al cielo, siede alla destra del Padre".

Questa scena riferita da Luca, negli Atti e nel Vangelo, e accennata nella finale di Marco. Essa è caratterizzata da due aspetti: la separazione e l'elevazione. In quanto separazione, essa dice la cessazione di un certo modo di relazione tra Gesù e i suoi discepoli, pur rimanendo con loro fino alla fine del mondo. In questa elevazione in alto o salito al cielo, essa simboleggia l'esaltazione, la glorificazione o la Signoria del Figlio di Dio. Il Verbo di Dio, tornato al Padre, là prepara un posto per ognuno di noi. Quindi la celebrazione dell’Ascensione traduce il nostro desiderio, ogni anno, di vedere dilatare questo mistero del Risorto nella nostra persona in modo da condividere la stessa glorificazione.

Poiché la contemplazione di Gesù che sale al cielo esprime il punto di riferimento di ogni cristiano, che scopre come la propria esistenza sia un cammino proteso verso la pienezza della gloria. E' lassù il destino della nostra storia quotidiana. Questa tensione in avanti non dovrebbe farci dimenticare la serietà del nostro impegno nell'oggi concreto, ma ci dovrebbe anche permetterci di comprendere tutta la provvisorietà.

La celebrazione dell'Ascensione infatti, rappresenta il canto della speranza: in Cristo che sale al cielo, ogni uomo vede la meta della propria esistenza. Il cammino terreno risulta allora un pellegrinaggio, un itinerario verso la configurazione di tutti a Cristo. Quel posto, che Gesù è andato a preparare per ognuno di noi, è promesso e donato, ma va anche meritato. Per questo il cristiano vive nella speranza di vivere in cielo con Cristo facendo bene la sua parte quaggiù: in famiglia, nel lavoro, tra gli amici e dappertutto. Gli apostoli sono stati rimproverati proprio perché stavano lì impalati a guardare verso il cielo. Ormai occorre guardare verso la terra e verso i prossimi. Tocca a noi assicurare la presenza visibile di Cristo (scomparso all'orizzonte) nel mondo. Cristo deve continuare a manifestarsi, a parlare, a servire, a rendersi tangibile attraverso la nostra persona. Dobbiamo, in breve, essere presenza reale di Cristo nel mondo. Tuttavia, il guardare verso la terra, mal compreso o compreso unilateralmente, può essere un disastro. Non si tratta di un ostinazione a guardare troppo e soltanto in direzione della terra. Bisogna non dimenticare di guardare anche verso l'alto dove Cristo nostro fratello è andato a prepararci posti. Ci vuole questo equilibrio!
Don Joseph Ndoum

I "piedi" della Chiesa missionaria verso "tutti i popoli"

Atti 1,1-11; Salmo 46; Ebrei 9,24-28; 10,19-23; Luca 24,46-53

Riflessioni
L’Ascensione di Gesù al cielo si presenta sotto tre aspetti complementari: 1°. come una gloriosa manifestazione di Dio (I lettura), con la nube, uomini in bianche vesti, riferimenti al cielo… (v. 9-11); 2°. come epilogo di una impresa difficile e paradossale, ma riuscita (II lettura); 3°. come invio degli apostoli (Vangelo), in qualità di “testimoni” per una missione grande come il mondo: predicare, nel nome di Gesù, “a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47-48).

L’avvenimento pasquale di Gesù sostiene la gioiosa speranza della Chiesa e la “serena fiducia” dei fedeli di essere un giorno “nella stessa gloria” di Cristo (Prefazio). L’impegno apostolico e l’ottimismo che anima i missionari del Vangelo hanno la loro radice nella certezza di essere portatori di un messaggio e di un’esperienza di vita riuscita, grazie al sigillo della risurrezione. Anzitutto, è vita pienamente riuscita in Cristo risorto; ed è già, anche se solo in forma iniziale, una vita riuscita nei membri della comunità cristiana. I frutti di vita nuova ci sono: occorre vederli e sapere apprezzarli.

Gli Apostoli e i missionari di tutti i tempi diventano “testimoni (di Cristo) a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra” (At 1,8; Lc 24,48), in un percorso che si apre progressivamente a spirale, dal centro iniziale (Gerusalemme) verso una periferia vasta come il mondo intero. Tutto il mondo, infatti, è il campo al quale Gesù, prima di salire al cielo, manda i suoi discepoli-testimoni (Vangelo): “a tutti i popoli” per predicare la conversione al Dio della misericordia, che perdona i peccati e salva (v. 47).

La missione di testimonianza è radicale ed efficace, come lo dimostra la storia dell’evangelizzazione, dagli inizi (Atti degli Apostoli) fino ai nostri giorni. Essa è affidata alle persone adulte in età e fede, ma anche ai giovani. L'impegno missionario dei giovani si fonda, in particolare, sul sacramento della Cresima. Esso è una tappa significativa nel loro cammino cristiano, che li prepara alla testimonianza della fede e alla missione. La Cresima deve portare i giovani all’impegno apostolico e a essere evangelizzatori di altri giovani. Il Papa Benedetto XVI ripeteva ai giovani: "Siate gli apostoli dei giovani”.

Le ultime parole dei quattro Vangeli sono il lancio della Chiesa in missione - una Chiesa in stato permanente di Missione! -  per continuare l’opera di Gesù. Ovunque, sempre! Lo sguardo al cielo (Atti 1,11), meta finale e ispiratrice del grande viaggio della vita, non distrae e non toglie energie, anzi stimola i cristiani e gli evangelizzatori ad avere sempre uno sguardo d’amore sul mondo, un impegno missionario aderente alle situazioni concrete, generoso e creativo per la vita della famiglia umana. Occorre rifuggire da ogni spiritualismo alienante e stare ben radicati nella storia, luogo nel quale Cristo opera la nostra salvezza; non separare mai il cielo dalla terra, ma coniugare la Parola con la vita, la fede con la storia. È una missione da realizzare con speranza e realismo, sostenuti dalla “forza dello Spirito Santo” (Atti 1,8). Nella certezza della presenza continua di Gesù che benedice i suoi, li guarda con benevolenza e li riempie di “grande gioia” (Lc 24,50-52). (*) L'ascensione non significa assenza del Signore, ma un modo diverso di farsi presente (Mt 28,20; Mc 16,20). Egli è sempre Emanuele, tutti i giorni Egli agisce insieme con i discepoli e conferma con segni la Parola che essi predicano.

In alcune raffigurazioni del mistero dell'Ascensione, una nube avvolge il corpo di Gesù, lasciando vedere soltanto i suoi piedi: emblematicamente, sono i piedi della Chiesa missionaria, i piedi dei cristiani, evangelizzatori ed evangelizzatrici, che, sulle strade del mondo, portano a tutti il Vangelo, che è messaggio di misericordia, accoglienza, inclusione. Essi annunciano il Vangelo con la propria vita, con la parola, usando anche i media più moderni della comunicazione sociale (stampa, film, video, e-mail, internet, sms, blog, facebook, twitter, chat, siti web e altre reti digitali), che offrono opportunità nuove per l'evangelizzazione e la catechesi. Nella Giornata delle Comunicazioni Sociali Papa Francesco esorta i media a essere sempre strumenti di comunione fra le persone. Sono le sfide sempre nuove della Missione!

Parola del Papa
(*) «Solo facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere nell’arte di comunicare… La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso “ci si parla addosso”. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience. La buona comunicazione, invece, non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà… L’ascoltare è dunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione».
Papa Francesco
Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2022

P. Romeo Ballan, MCCJ

Ascensione del Signore

Il Vangelo secondo Luca inizia con il racconto di una benedizione mancata (cfr. Lc 1, 5-22); e termina invece con l’immagine di Gesù che conduce i suoi discepoli verso Betania e, “alzate le mani, li benedisse” (Lc 24, 50). La prima scena dell’inizio del Vangelo è questa: nel tempio di Gerusalemme ci sono i cortili pieni della folla che aspetta la benedizione di Dio; il sacerdote Zaccaria è entrato nel santuario per fare l’offerta, e dovrebbe uscire per benedire il popolo. Ma nel santuario ha un’esperienza straordinaria della presenza di Dio e quando esce è muto. Quindi non riesce a benedire la folla.

La conclusione è invece quella che abbiamo ascoltato: Gesù benedice i discepoli prima di lasciarli per quella che noi chiamiamo la sua “Ascensione”. La benedizione arriva adesso perché solo ora la vita di Gesù ha raggiunto il suo compimento – la sua pienezza – attraverso il dono di sé, l’offerta della croce e del calvario. Quando sulla croce Gesù ha trasformato la sua vita in dono, in obbedienza a Dio, ha fatto dono di sé stesso, lì Gesù è diventato perfetto e completo e diventa sorgente di benedizione per noi.

46: L’Ascensione rappresenta il passaggio di Gesù da questo mondo a Dio. L’umanità di Gesù, Gesù uomo, che appartiene alla nostra storia, al nostro mondo, quell’uomo concreto con la sua umanità è entrato nella bellezza e nello splendore della vita di Dio. E c’è entrato perché la sua vita è stata coerente di amore e di dono; perché non si è preoccupato di difendere se stesso, ma si è preoccupato di donare se stesso agli altri.

Per questo il traguardo, il culmine della sua vita è l’ingresso nel mistero di Dio, ciò che noi chiamiamo Ascensione. Ma se Gesù è salito a Dio certamente non ci ha per questo abbandonato. Quella benedizione che Gesù dà ai suoi discepoli è il segno di una corrente di vita che da lui risuscitato arriva agli uomini, e che permette agli uomini di continuare la sua opera.

Se la vita di Gesù è stata un dono di amore agli altri, noi siamo chiamati a fare della nostra vita un dono di amore agli altri. E quel Gesù che è salito alla destra di Dio è semplicemente lì per trasmettere a noi la ricchezza di vita e di amore che possedeva, perché questo amore si dilati nella storia e nel mondo e possa raggiungere ogni uomo, ogni bisognoso.

Il vangelo di Luca, diversamente dagli Atti, concentra in un unico giorno, il primo dopo il sabato, i fatti pasquali, a indicare che l’esaltazione è inseparabile dalla risurrezione. Al mattino pone l’incontro al sepolcro delle donne con i due uomini in vesti sfolgoranti, poi identificati come angeli e la visita di Pietro; durante il giorno avviene l’apparizione ai discepoli di Emmaus e alla sera l’apparizione agli Undici e agli altri riuniti.

Il racconto dell’Ascensione non ha indicazione di tempo ed inizia con il riferimento di Gesù alla passione e risurrezione, alla predicazione universale e alla testimonianza con la forza dello Spirito. Tutto è desunto dalla Scrittura; Gesù, infatti, sta aprendo la mente dei discepoli alla sua comprensione.

C’è uno stretto legame tra Ascensione e Risurrezione

Con l’Ascensione si vuole sottolineare il compimento del percorso che Gesù ha compiuto, di discesa (incarnazione, passione e morte) e di ascesa (risurrezione e ascensione al cielo), movimento che ha lo scopo di recuperare tutto il mondo alla comunione con Dio. Nella Scrittura l’Ascensione viene anche interpretata in senso sacerdotale (vedi seconda lettura): Gesù sale al cielo come sommo sacerdote.

In Eb 8,24ss è scritto che una sola volta all’anno, nel giorno dell’espiazione, il sommo sacerdote poteva entrare nel luogo del tempio detto “santo dei santi” con un capro espiatorio. Il sangue, l’offerta della vita, era lo strumento della comunione tra Dio e il popolo. Attraverso questi riti si compiva la espiazione del peccato che era sempre in funzione della comunione con Dio.

L’Ascensione è l’ingresso del Sommo Sacerdote (Gesù) nel santuario celeste per offrire a Dio il sacrificio perfetto con il suo sangue. È offerta unica, che vale per sempre, perché è perenne. Gesù è in atteggiamento sacerdotale davanti al Padre per salvare gli uomini. L’offerta di Gesù è perenne e il suo sangue è offerto in modo permanente.

47Vengono messe insieme due realtà, la conversione e il perdono dei peccati. A tutte le genti viene annunciata la conversione a cui fa seguito il perdono dei peccati. È importante non disgiungere mai la conversione e il perdono.

Quello che stupisce però è questo: innanzitutto l’essenzialità della predicazione che deve vertere su questo invito alla conversione e al perdono dei peccati. Ma accostando la conversione e il perdono dei peccati, vengono indicate queste due realtà come dono. Sia la conversione che il perdono non dipendono dalle capacità delle genti (e qui sta l’universalità, dal momento che per “gente” s’intende la non esclusione di nessuno da questo annuncio), ma sono frutto, ancora una volta, della Pasqua, del dono dello Spirito.

Si sottolinea la centralità di Gerusalemme. Non può che cominciare da Gerusalemme la predicazione a tutte le genti e la conversione e il perdono dei peccati. Ogni tentativo di abbandonare Gerusalemme finisce miseramente. Pensiamo ad esempio alla parabola del Samaritano. Incappare nei briganti è la causa del cammino inverso di quello che ha fatto il Signore. Quindi si sta lì. Non possiamo andare in altri posti; la nostra permanenza a Gerusalemme, cioè nei luoghi della Pasqua, è garanzia per non fallire. È da lì che si comincia ed è lì che bisogna ritornare.

48Il Signore Gesù, allorché sta per ascendere in cielo, investe i suoi apostoli di questa funzione importantissima: proclamare il suo vangelo a tutti i popoli, per invitarli alla conversione e alla fede. Perciò i credenti debbono rendere testimonianza al Cristo risorto non solo con la vita ma anche con la parola, con l’annuncio del vangelo. La missione evangelizzatrice del mondo intero forma uno dei compiti fondamentali della chiesa.

49Tradotto anche: “E io mando su di voi la Promessa del Padre mio; ma voi rimanete nella città, finché non siate rivestiti dalla Forza dall’alto”. La “Promessa del Padre” e la “Forza dall’alto” indicano la persona dello Spirito. In verità la testimonianza coraggiosa al Signore risorto con la parola e soprattutto con la vita sarà resa possibile dalla persona divina dello Spirito che è la potenza del Padre. Gli Atti degli apostoli documentano concretamente questa azione potente dello Spirito di Dio nella chiesa nascente.

51La prima azione di Gesù al momento di essere innalzato è la benedizione; in lui i discepoli ricevono la benedizione stessa di Dio. È l’atto di commiato che richiama le benedizioni patriarcali sulla famiglia o sul popolo dopo aver detto le ultime parole. Benedicendo i discepoli, Gesù benedice e feconda Israele e in essi tutti i popoli.

Dopo che Gesù ha benedetto i suoi, Luca descrive l’Ascensione come “distacco” e “innalzamento” verso il cielo, verso il Padre. Alla benedizione di Gesù corrisponde la benedizione riconoscente della chiesa (il verbo “lodare”, eulogheo, è lo stesso della benedizione con cui iniziano molte preghiere ebraiche e cristiane: “Benedetto sei tu…”).

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