Roma, venerdì 3 giugno 2011
Il 1° giugno i Missionari Comboniani hanno celebrato, a Roma, il 144º anniversario della fondazione dell’Opera del Buon Pastore per la Rigenerazione della Nigrizia che segna l’inizio ufficiale del servizio missionario dei Comboniani.

Con il decreto Magno Sane Perfundimur Gaudio del 1° giugno 1867, preparato dallo stesso san Daniele Comboni e promulgato da mons. di Canossa, si dichiarava fondata a Verona l’Opera del Buon Pastore per la Rigenerazione della Nigrizia che, pur prevedendo un’ampia partecipazione di tutti alla missione africana, trovava negli incipienti istituti missionari veronesi (maschile e femminile) una prima espressione significativa. Celebrare la 144ma ricorrenza di questa data significa celebrare altrettanti anni di storia di servizio missionario della famiglia comboniana.

Nella celebrazione solenne dell’Eucaristia, il Superiore Generale, P. Enrique Sánchez González, ha fatto la seguente omelia che pubblichiamo integralmente.

«Cari fratelli,

nel ricordare l’anniversario della fondazione del nostro Istituto, mi viene spontaneo ringraziare il Signore per questi 144 anni di storia missionaria comboniana e per la vita e l’opera di tutti i nostri confratelli che, con la loro consacrazione e passione missionaria, hanno scritto questa storia. Ricordiamo oggi la data in cui ufficialmente iniziò la nostra famiglia e l’opera che san Daniele Comboniha voluto per rispondere a quella che per lui era l’impresa più importante del suo tempo: l’evangelizzazione dell’Africa.

Guardando indietro, ci accorgiamo che all’origine c’è una storia con radici molto umili, ma allo stesso tempo sorprendenti, sicuramente perché si tratta di un’opera che non nasce da un desiderio umano, ma dalla volontà di Dio. Di conseguenza, dobbiamo riconoscere che siamo dentro una storia che continua a meravigliarci e ci fa entrare nel mistero delle opere di Dio che vanno avanti facendo cadere tutte le nostre previsioni.

Radici umili e sorprendenti
Fare memoria della data di fondazione del nostro Istituto è per noi oggi un’occasione importante per riconoscere come il Signore, attraverso il tempo, ci è rimasto fedele e non ha mai abbandonato la nostra famiglia missionaria. Dicevo che le origini sono molto umili, ed è stato sicuramente così per dare al Signore l’opportunità di manifestare la sua grandezza attraverso la vita dei 3911 missionari comboniani che con la loro consacrazione hanno dato vita alla missione del Africa Centrale e a tante altre missioni che, secondo il nostro carisma, sono realtà che parlano dell’urgenza dell’annuncio del Vangelo ai nostri fratelli e sorelle.

Quando si congratulava per la nascita degli Istituti per l’Africa, Comboni era praticamente da solo e aveva in mano soltanto un documento di fondazione, una missione grande come un continente, una passione e un amore per gli africani grande come il suo cuore, una fede nel Signore più grande di tutti gli ostacoli immaginabili e un piano che gli faceva sognare un’Africa già cristiana. Comboni intuiva che il suo grande desiderio non era un suo progetto o la sua missione, ma piuttosto il segno del grande amore di Dio per quella parte dell’umanità che per lui era diventata sorella,  madre e sposa, l’oggetto del suo amore e la ragione della sua vita.

Comboni sapeva che da quel 1° giugno 1867 diventava il testimone privilegiato di tantissime opere che il Signore stava per fare davanti ai suoi occhi, e così non ha fatto altro che sorprendersi e lasciarsi affascinare trasformandosi in fondatore di un’opera che lui non aveva immaginato e che continua a sorprendere chi ha ereditato il suo carisma.

L’Istituto ieri e oggi
Ricordando il passato, appare davanti a noi un Istituto piccolo, povero e fragile - anche se composto da uomini sicuramente coraggiosi e di grande fede - ma allo stesso tempo chiamato a diventare un Istituto grande, forse non tanto per il numero dei suoi membri o delle sue impresse, quanto piuttosto perché opera del Signore. Basti ricordare che nei primi 14 anni della nostra storia, dei 126 missionari entrati nell’Istituto, 78 uscirono perché coinvolti in una missione troppo ardua e difficile, stando a quanto diceva Comboni.

Siamo un Istituto che ha vissuto momenti di grandi prove, di precarietà in tutto: povertà di mezzi, di strutture e di personale. Sembra che la parola sufficienza non faccia parte del nostro vocabolario. Allo stesso tempo, abbiamo tanti esempi di confratelli che ci fanno vedere grande ricchezza, impossibile da misurare e calcolare con le nostre bilance: ricchezza umana, cristiana, di fede, di amore alla vocazione, di dedizione e spirito di sacrificio, di martirio e di orgoglio comboniano, nel senso positivo della parola. E tutto questo non è altro che dono, grazia del Signore che continua a benedirci. Mai siamo stati sufficienti alle richieste della missione. Mai abbiamo potuto dire: adesso siamo a posto. Mai le vocazioni non sono state abbastanza numerose. La missione è sempre stata più grande delle nostre forze e delle nostre capacità. E così siamo sempre stati costretti a riconoscere che la nostra grandezza, la nostra forza, i nostri successi non hanno mai avuto origine in noi stessi. Nel celebrare l’anniversario del nostro Istituto ci conviene ricordarlo con molta semplicità. Soprattutto in questo momento in cui rischiamo di leggere la nostra storia attraverso gli occhiali delle nostre forze, dei nostri mezzi e dei nostri criteri. Dobbiamo ricordarci che, oggi come ieri, siamo nelle mani di Dio e che l’opera dipende da lui, anche se questo non ci impedisce di fare il discernimento necessario per rispondere meglio alla volontà di Dio nel nostro tempo.

La realtà dentro e fuori dall’Istituto è certamente cambiata con il passare del tempo, ma in un certo modo l’essenziale non è cambiato. Il Signore vuole continuare a servirsi del nostro piccolo cenacolo d’apostoli per farsi presente nella storia dell’umanità. La missione continua a essere la grande sfida del nostro tempo e il bisogno di annunciare il Vangelo diventa ogni giorno più urgente. Le realtà missionarie sono diventate più difficili, anche se il mondo in cui viviamo ha un estremo bisogno dell’incontro con il Signore. I nuovi areopaghi si sono moltiplicati nella nostra società e la resistenza ad accettare l’annuncio fa sì che la nostra vocazione non sia soltanto necessaria, ma indispensabile nella costruzione dell’umanità voluta da Dio.

Come Istituto, oggi come ieri, siamo chiamati non tanto a dare una risposta ai bisogni di sviluppo e promozione umana, urgenti in tanti posti dove siamo presenti, quanto piuttosto a diventare testimoni di Dio che ascolta e risponde alla ricerca di senso dell’essere umano del nostro tempo. È bello constatare che l’Istituto che abbiamo ereditato porta con sé una grande storia di passione missionaria, incarnata nelle tante belle figure che l’hanno scritta.

Credo che guardando ai nostri anziani, di cui oggi si parla tanto, non sia difficile riconoscere in essi un grande tesoro di vita donata gratuitamente ed esemplarmente in favore dei più poveri. È con loro che l’Istituto ha dimostrato di avere una vitalità unica e la capacità di vivere lunghi periodi di sacrificio, di donazione totale, di rinuncia senza calcoli, di amore vissuto con semplicità nel servizio degli altri.

L’odierna celebrazione è anche una buona occasione per riconoscere la creatività, la fedeltà, l’amore al carisma che tanti dei nostri confratelli stanno vivendo senza fare rumore, nascosti in posti dove nessuno si accorge del bene fatto, della carità vissuta, della lode gioiosa nel celebrare i misteri di Dio per renderlo presente nel mondo d’oggi. Allo stesso tempo è un momento straordinario per ringraziare il Signore della vitalità, l’entusiasmo, la radicalità, la generosità di non pochi giovani comboniani che con gioia vivono la donazione delle loro vite in ambienti dove si esalta il diritto a vivere per sé, a realizzare i progetti personali, a cercare la felicità individuale non permettendo ai bisognosi dell’umanità di disturbarli.

Una celebrazione che diventa sfida per il futuro
Per finire, penso che questa festa ci sfidi a pensare al futuro del nostro Istituto. Viviamo un momento molto difficile, se consideriamo tutte le situazioni che dobbiamo affrontare: ma andiamo avanti con la certezza che il Signore non ci farà mancare il suo Spirito.

Il tempo presente ci obbliga a riconoscere che l’Istituto non è una realtà che esiste fuori di noi, un oggetto con cui abbiamo una relazione, l’istituzione che riconosciamo sotto l’etichetta “comboniani”; non è una ONG in più impegnata nello sviluppo o nel portare un po’ d’aiuto a quanti ne hanno bisogno. Anche se facciamo un po’ di tutto questo, non dobbiamo dimenticare che siamo prima di tutto una famiglia missionaria chiamata a testimoniare la presenza di Dio nel mondo.

Siamo un dono per la chiesa, la quale vuole vedere in noi uomini capaci di vivere in comunione, impegnati a mettere Dio al centro di tutto quello che siamo e facciamo. Siamo eredi di un carisma che ci fa capire che la nostra vocazione nasce e cresce da un’esperienza di fede e, pertanto, siamo un Istituto formato di persone che vivono nella speranza e nella certezza che Dio è all’opera in mezzo a noi. Siamo i continuatori di una missione che è sempre stata un’opera di grande dinamicità e, di conseguenza, oggi non celebriamo soltanto un evento del passato, ma anche la sfida che ci lancia verso il futuro e ci obbliga a dare un volto nuovo a questo Istituto che vuole continuare a essere opera di Dio che si realizza attraverso l’umiltà e la povertà che portiamo in noi.

Il Signore ci benedica con il dono del suo Spirito affinché continui a guidarci e a sostenerci nel nostro impegno missionario; e San Daniel Comboni ci accompagni sempre come padre e fondatore di questo piccolo cenacolo di apostoli chiamati oggi a diventare presenza di Dio tra i più poveri.»