Lunedì 7 settembre 2015
Fr. Enzo Biemmi, della Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia, è stato invitato a seguire come facilitatore i lavori del XVIII Capitolo Generale dei Missionari Comboniani che si svolge dal 6 settembre al 4 ottobre a Roma. Nella settimana di preparazione al Capitolo, giovedì scorso, Fr. Biemmi ha presentato ai capitolari un tema intitolato “Il Capitolo Generale evento di discernimento e di comunione”, sottolineando tra l’altro come si entra, come si vive e come si esce da un Capitolo. Di seguito pubblichiamo il testo base dell’intervento di Fr. Biemmi.

 


Il Capitolo Generale
evento di discernimento
e di comunione

 


 

Introduzione


Saluto tutti voi fraternamente. Ho accettato di accompagnarvi in questo momento così importante per la vostra famiglia religiosa perché ho una grande stima e ammirazione per il vostro carisma e per coloro di voi che ho avuto la grazia di conoscere meglio. Ai miei confratelli ho detto: ho accettato perché voglio stare per un mese alla scuola di santità di tanti uomini che donano la loro vita per il vangelo. Nello stesso tempo vi offro in questo mese il mio accompagnamento, mettendo a disposizione un po’ di esperienza nella partecipazione e nel coordinamento dei capitoli e in genere di competenza acquisita in quei luoghi nei quali ci si trova per operare una verifica, per discernere, programmare, prendere decisioni, progettare i passi da fare per attuare le decisioni. Per fare tutto questo è necessario mettere in atto una serie di atteggiamenti e di procedure che condizionano sostanzialmente i risultati. La posta in gioco ogni volta è quella di lavorare bene insieme. Sarò in mezzo a voi una presenza discreta e fraterna. Interpreto il mandato che il capitolo mi conferirà come accompagnamento della commissione centrale, in particolare, per favorire i processi di discernimento e di decisione.

Lunedi pomeriggio avete condiviso nei gruppi e portato nella preghiera le vostre attese, le paure, quello che ciascuno intende offrire al capitolo. Si è già delineata una serie di attese e di atteggiamenti raccolti attorno a delle parole chiave. È soprattutto emersa una grande disponibilità a rimettere in gioco se stessi, in un clima di ascolto, di rispetto, di ricerca comune dalla volontà di Dio. Quello che vi dico ora, è in sintonia con quanto emerso lunedì pomeriggio.

Divido il mio intervento in tre parti: nella prima indicherò l’importanza di poter disporre di un orizzonte, di una prospettiva di vita religiosa, aspetto questo decisivo per poter dialogare e discernere insieme. Nella seconda evidenzierò alcuni atteggiamenti da coltivare, sia in entrata, sia durante, sia in uscita di un Capitolo: riconoscerete molte cose che avete condiviso. Nella terza indicherò alcune attenzioni di metodo perché gli orizzonti e gli atteggiamenti possano prendere corpo e giungere ad una progettualità condivisa.


1. Un orizzonte e una prospettiva condivisi – il sogno

Il primo aspetto che intendo mettere in evidenza, non vi stupisca, è la necessità che un Capitolo abbia un’ispirazione, una prospettiva, una passione che lo attraversa. Sappiamo che i primi Capitoli dopo il Concilio sono stati finalizzati a rinnovare i nostri Istituti e le loro Costituzioni nel clima di primavera del Vaticano II e nella linea di Perfectae caritatis. È stato il tempo della riscoperta dei nostri carismi e di quello che fu chiamato “aggiornamento”.  L’ispirazione era forte e motivava impegno e speranza. Terminata la fase dei Capitoli di rinnovamento, in molti Istituti abbiamo scelto la via di celebrare Capitoli tematici. Proprio il tema scelto di volta in volta ha costituito fino ad ora la prospettiva trasversale per rivisitare il carisma e rivedere la vita di un Istituto ogni volta attraverso una particolare angolatura. Il tema ha avuto la funzione di fornire un’ispirazione, un sogno, un elemento unificatore ma anche propulsore. Il tema guarda sempre in due direzioni: il carisma e i segni dei tempi; la grazia che lo Spirito ha affidato al Fondatore e all’Istituto e la situazione concreta nella quale questo dono è chiamato a essere speso.

Non si può comunque nascondere che il rischio di installarsi in modalità ripetitive è stato reale, particolarmente negli anni recenti, nei quali è subentrata una certa stanchezza e anche una abbassamento della speranza, per le difficoltà e la crisi che tutte le forme di vita religiosa stanno sperimentando: aumento dell’età, diminuzione delle vocazioni, gestione sempre più faticosa delle strutture, abbandoni, crisi spirituale. È una delle ragioni, non l’unica, che ha portato a rimanere delusi e frustrati dopo gli ultimi Capitoli generali. Le decisioni prese nei Capitoli generali non hanno risolto la crisi in atto.

Ma le cose sono cambiate. Segnalo tre fattori di novità. Si presentano a noi senza merito, ma aprono una nuova stagione per la nostra vita religiosa.

a) Il primo è il magistero e lo stile di Papa Francesco. È innegabile che egli stia dando uno scossone forte alla Chiesa e all’interno di essa alla vita consacrata. Sta avvenendo una cosa che succede molto di raro nella storia della Chiesa: la profezia è portata avanti da chi esercita il governo. Profezia e governance vengono a coincidere. La parola chiave di Papa Franccesco, “una chiesa in uscita”, invita a guardare la realtà dalla periferia, dalla vita concreta delle persone, dalla prospettiva dei poveri e non dal centro. È una visione in grado di risvegliare ancora una volta, dopo la stagione di grazia del Concilio, dei carismi che inevitabilmente tendono a strutturarsi, a divenire ripetitivi e anche autoreferenziali. Possiamo immaginare la gioia dei nostri Fondatori di fronte a questa spinta di Papa Francesco, capace di far rifiorire le loro intenzioni.

b) La seconda condizione favorevole è quella che ormai segna tutte le nostre Congregazioni: l’interculturalità. È evidente che il testimone dei carismi nati nell’occidente sta passando nelle mani di culture africane e asiatiche. Questo passaggio sarà concluso a breve. I membri di questo Capitolo e le loro età sono lo specchio di questo passaggio. L’incontro con culture nelle quali il carisma delle origini non è nato diventa una crogiuolo formidabile per ridare vita al carisma stesso. Aggiungiamo a questo la condivisione del carisma con i laici, che ormai è patrimonio di tutte le Congregazioni religiose. Si tratta di una doppia estensione del carisma, culturale ed ecclesiale. I nostri carismi nel futuro prossimo parleranno lingue e canteranno canzoni diverse da quelle sentite fino ad ora, anche se occorrerà probabilmente che coloro di noi che sono più avanti nell’età siano morti perché ciò avvenga pienamente.

c) Il terzo elemento ci viene ancora da Papa Francesco. Nella sua lettera per l’anno della vita consacrata egli ha ripreso quello che aveva detto ai Superiori Generali in una lunga conversazione avuta con loro. Ciò che connota la vita religiosa, ha detto, non è la radicalità, ma la profezia. «La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti»[1]. Tutti sono stati amati radicalmente da Dio, tutti sono chiamati ad amarlo radicalmente. Chi di noi oserebbe dire, ad esempio, che la propria mamma è meno radicale di lui nel vivere la sua vita umana e cristiana? Noi non siamo migliori degli altri, ma chiamati nella nostra debolezza a investire sul futuro di Dio e ad anticiparlo nel nostro limite. Mostriamo a tutti il traguardo verso il quale il mondo cammina per la grazia della Pasqua. E lo facciamo vedere in forme di vita comunitaria, nella presenza con i più deboli, nel custodire la speranza delle persone sfiduciate, malate, senza lavoro e senza prospettive. Siamo come san Giuseppe “custodi” di speranza e anticipatori di futuro. Davanti ai nostri fratelli e sorelle annunciamo che la vita preverrà sulla morte e che questo mondo non va verso la deriva, ma verso il Regno di Dio. Denunciamo anche ciò che non è secondo il disegno di Dio, che ne rallenta i passi dentro la nostra storia. Anche la denuncia è profezia, ma sempre una denuncia a favore, mai una denuncia contro. C’è dunque in noi, nella misura in cui coltiviamo la relazione con il Signore e con la gente, una lucidità spirituale, la capacità di vedere oltre. Non per merito, ma per dono.

Papa Francesco ci invita a far parlare i nostri carismi, a liberarne la profezia. Per questo ricorda che il carisma non coincide con le opere apostoliche: le opere passano, il carisma resta. Usa anche espressioni efficaci per dirci che non dobbiamo identificare la profezia del nostro carisma con le opere che stiamo mettendo in atto. Dice che il carisma non può essere “imbottigliato” né “pietrificato”, oppure che: «La fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro».

Non siamo chiamati a essere perfetti, ma a far vedere nella nostra carne che Dio è più generoso di quello che immaginiamo, che riesce a farci stare insieme nelle nostre diversità, che si serve di persone raggiunte dalla sua misericordia per portare misericordia ai più poveri. È dunque piuttosto nella linea del “meno” che si sviluppa la profezia della vita religiosa, non nella linea del “più”: una profezia sostenibile per noi e udibile da ogni uomo e donna.

Una vita religiosa in uscita, connotata da una straordinaria biodiversità culturale, chiamata a essere profezia dell’amore eccedente di Dio nella propria debolezza. Eravamo in deficit di profezia. La prima condizione per un Capitolo generale è di alimentare una capacità di sogno, di speranza, di prospettiva.

Non è pensabile, con papa Francesco, immaginare un capitolo che non rilanci la profezia, il sogno, la passione per il vangelo e per gli uomini e le donne di oggi.

Impossibile nel 2015 immaginare un Capitolo uguale a quello degli anni precedenti. Il clima ecclesiale è cambiato.

La condivisione avvenuta nell’eucaristia serale di lunedì ha espresso in modo chiaro che desiderate ricuperare profezia.

2. Alcuni atteggiamenti per costruire comunione – la partecipazione

È lo Spirito Santo la fonte di ogni profezia, di ogni sogno evangelico. Non siamo noi la sorgente della profezia. Ora la docilità alla sua azione all’interno di un Capitolo chiede che coltiviamo alcuni atteggiamenti che gli permettano di agire dentro le nostre persone e negli scambi interpersonali. In questo secondo punto mi fermo dunque sugli atteggiamenti. Ne esploro alcuni in modo non esaustivo, raccogliendoli in tre gruppi: gli atteggiamenti con cui si arriva ad un Capitolo, quelli con i quali si vive un Capitolo, quelli con i quali si esce.

2.1 Come si entra in Capitolo: una storia segnata

Arrivando ad un Capitolo una comunità religiosa vi porta tutta la sua storia, con i suoi aspetti positivi e i suoi limiti. Un Capitolo non viene mai scritto su una lavagna bianca.  È vero per le aspettative, per le relazioni, per le visioni differenti.

a) Per quanto riguarda le aspettative esse si possono collocare tra due estremi.

Taluni vivono per la prima volta questo avvenimento congregazionale e vi investono convinzioni e speranze di cambiamento.

Altri, che hanno partecipato tante volte ai Capitoli, possono venirci con un certo pessimismo dovuto al fatto di avere sperimentato che le cose non sono cambiate semplicemente perché sono state decise. Un eccesso di attese ma anche il disincanto richiedono dunque una conversione, l’accettazione che la realtà sia sempre più complessa dei sogni, ma anche la fiducia che la vita è sempre portatrice di una sorpresa e di un’eccedenza. È possibile una novità.

Credo che la vostra assemblea giocherà molto su questo primo aspetto.

b) Le relazioni, a loro volta, sono già segnate da una storia, positiva e negativa. Quando ci si conosce e magari si è vissuto insieme si può essere condizionati da precomprensioni, cliché, resistenze nei riguardi di questa o quella persona. Oppure semplicemente si può essere ostili o prevenuti nei riguardi di chi ha ricoperto il ruolo dell’autorità, per il semplice fatto che è l’autorità. Non c’è Congregazione che sia esente da questi limiti.

Qui c’è una seconda conversione non facile: l’altro non coincide con quello che noi abbiamo percepito ed è di più di quanto ha fino ad ora manifestato. È un credito di speranza da farsi reciprocamente. Siete disporsi a concedervi reciprocamente questo credito?

c) Si arriva inoltre con visioni differenti, legate alle proprie culture e alle proprie convinzioni teologiche, di Chiesa, di fede, di vita religiosa. La differenza di cultura e di età comporta visioni di vita cristiana e religiosa molto differenti, spesso molto distanti se non proprio contrapposte.

Aspettative, relazioni e visioni sono la base di partenza che caratterizza una distanza.

Come mettere in dialogo tutto questo in vista di un discernimento fatto nella libertà (cioè in modo adulto) e nella fede (cioè con disponibilità alla conversione)?

Risulta evidente quanto sia necessaria per tutti, quando si inizia un Capitolo, una purificazione, che è al contempo un fatto umano e di fede. Si tratta di creare una autentico spazio di libertà nello Spirito. Il primo punto del discernimento è la libertà interiore.

In genere, uno degli obiettivi della preparazione di un Capitolo e in particolare la settimana di entrata (a carattere più spirituale, almeno in molte congregazioni) ha questa intenzione.

Senza questa purificazione, il conto si pagherà durante lo svolgimento del Capitolo stesso. Ma è durante tutto il Capitolo che va curata questa continua purificazione, che costituisce la condizione indispensabile per il discernimento.

Possiamo vedere un’analogia con il Sinodo e con lo stile di Papa Francesco. Egli ha ripetutamente chiesto che nessuno entrasse in Sinodo per fare battaglie, con soluzioni già decise. Tutti sono invitati da una parte a dire francamente le proprie convinzioni e preoccupazioni, dall’altra ad ascoltare senza prevenzioni quelle degli altri.  Questa duplice disposizione (libertà di parola e quindi assertività; disponibilità ad ascoltare le posizioni diverse e quindi apertura) costituisce lo spazio dell’ascolto della voce dello Spirito, del discernimento.

Non so quale delle due è più difficile in un Capitolo. Per un certo senso errato della comunione, ad esempio, si tace con grave perdita per sé e per gli altri.

Ciò che mi sembra importante è che le posizioni diverse restino posizioni e non diventino ideologie. Le posizioni diverse sono offerte come prospettive diverse, le ideologie (anche quelle più positive) diventano violente e uccidono.

2.2 Come si vive un Capitolo: partire da quello che ci unisce; valorizzare quello che ci differenzia

Circa gli atteggiamenti che favoriscono comunione all’interno di un Capitolo ne raccolgo alcuni attorno a due fuochi: l’importanza di ricentrarsi tutti su ciò che unisce; la necessità di percorrere la strada a partire da quello che ci differenza.

2.2.1 Ritrovarsi fuori di sé attorno a quello che unisce

Quello che veramente ci unisce non è dentro di noi, ma fuori di noi. La comunione parte da un duplice decentramento.

Le relazioni comunitarie sono il grande crogiuolo delle nostre comunità religiose, l’aspetto che più ci fa tribolare. Un Capitolo, spesso, è la cassa di risonanza di questa situazione relazionale faticosa. Come creare comunione in un Capitolo quando facciamo fatica a crearla nelle nostre comunità di origine? Non si risolve il problema delle relazioni comunitarie cercando la soluzione all’interno delle dinamiche comunitarie: gireremmo all’infinito su noi stessi. Ci sono due poli verso cui convergere, quelli che ci costituiscono a ogni istante come comunità consacrata e missionaria: la stessa fede nel Signore Gesù, lasciandoci ogni giorno costituire dalla sua Parola; la stessa passione e missione per l’uomo.

Decentrandoci su questi due poli troveremo non l’unità ma una progressiva unificazione,  non per nostra virtù, ma per la forza al tempo stesso centripeta e centrifuga del nostro amore per Gesù, vissuto insieme, e del nostro amore per tutti i piccoli e i poveri della terra, amore portato avanti insieme come fratelli di tutti. A quel punto, le nostre miserie relazionali più o meno grandi, saranno solo un salutare sassolino nella scarpa per il nostro cammino. Ci manterranno nell’umiltà. Più saremo concentrati a camminare per l’amore di Cristo e degli altri, meno lo sentiremo. Più ci concentreremo su di noi, più ci darà fastidio. Nessuno ce lo toglierà mai dalle scarpe. È controproducente rimanere continuamente concentrati sulle dinamiche interne: non si fa che aumentarne la consistenza e l’involuzione. E’ per questo che per sottrarre energie a dinamiche intracomunitarie non positive, non c’è altra strada che dislocarci, investendo le nostre energie nel comune amore per Cristo e per i fratelli.

Questi due poli che decentrano da sé sono quelli che veramente vi uniranno tra di noi.

L’amore per Cristo e per i poveri è dunque l’unico vero collante di un Capitolo Generale.

2.2.2 Valorizzare le nostre distanze

Ricompattati attorno a questo terreno comune, lo dico come un paradosso, punteremo sulle nostre differenze e non ricorreremo mai alle scorciatoie dei processi di omologazione. Può sembrare sconveniente dire che il percorso della comunione si costruisce sulle differenze, ma è vero. È un percorso che matura attraverso tre passaggi.

1) Partire dalla distanza che ci separa significa accettare che l’unità non è mai data all’inizio, come una cosa da conservare e da non incrinare. È piuttosto il punto di arrivo o almeno di tensione. L’unità data all’inizio dura poco nel tempo. Quella raggiunta attraverso un percorso che parte dalla legittimazione delle distanze (di età, di cultura, di formazione, di carattere, di sensibilità…) dura nel tempo. Se noi in un Capitolo cancelliamo la distanza, questa si vendicherà lungo tutto il percorso e riemergerà inconsapevolmente come un continuo ostacolo al cammino. Se la riconosciamo, la nominiamo, la ascoltiamo… essa diventerà la nostra alleata.

Alcune dinamiche di ritorsione, sfiducia e disimpegno nascono dal fatto che non è stato preso come punto di partenza normale ciò che ci distingue e ci distanzia.

2) Dal momento che la verità non la possiede nessuno, ci dobbiamo concedere reciprocamente e con magnanimità il diritto di avere un posto nel discorso comunitario. Ognuno deve avere la possibilità di dire ciò che gli sta a cuore, ciò che lo preoccupa, il suo punto di vista. Se qualcuno non avrà il suo posto (per sua rinuncia, per prevaricazione da parte di qualcuno, per timidità, per una falsa concezione di rispetto…) allora si metteranno in atto dei meccanismi di resistenza attiva e passiva pericolosi.

3) Il terzo passaggio di atteggiamento corregge sapientemente il secondo: la rinuncia a presentare il proprio punto di vista o la propria esperienza personale come la regola della fede o la norma della verità. È la scelta di rinunciare alla presunzione. Ognuno ha diritto di dire il suo pensiero, e se questo viene ascoltato, ognuno deve farsi un dovere di ascoltare quello degli altri, e non volere continuamente imporre il proprio.

Il risultato di questo percorso è l’approdo a un punto nel quale nessuno era e tutti si ritrovano. La comunione come traguardo (e non come dato di partenza) si raggiunge proprio quando tutti accettano di andare verso un appuntamento che non coincide con il punto di partenza di nessuno. I pensieri di Dio sono un passo più in là dei nostri pensieri, e le nostre distanze salvaguardano la sua distanza. È forse questo l’aspetto che nella mia esperienza ho verificato più spesso, con sorpresa e gratitudine. Nella misura in cui tutti sono stati legittimati, tutti hanno liberamente espresso senza condizionamenti il loro pensiero, tutti si sono guardati dalla presunzione, allora improvvisamente ci si accorge, lavorando, che si è approdati a un punto più in là, che ci si trova ormai a un livello superiore o più profondo, in un terreno comune, nel quale ognuno ha mollato la presa e tutti (o almeno gran parte)  sentono che stanno lavorando per una causa comune, la causa di Dio e non la propria. È così chiarito che la ricerca del consenso non elimina i conflitti, ma se ne nutre continuamente. Più si dà il tempo a ognuno di dire quello che pensa, più si rende possibile l’appuntamento di tutti verso un punto nel quale non abita ancora nessuno.

Nella liturgia serale di lunedì la parola che è ritornata di più è stata: ascolto. Questa disponibilità è il patrimonio più prezioso su cui potete contare.

2.3 Come si esce da un Capitolo: il senso del limite

Con quali atteggiamenti siamo chiamati a uscire da un Capitolo? Ne evidenzio due:

a) L’accettazione del limite. Non c’è Capitolo dal quale non si esca con la consapevolezza che si sarebbe potuto fare meglio e di più, e quindi anche con un po’ di frustrazione. Rimane sempre un po’ di amaro in bocca. Eppure questa imperfezione è una grande lezione ed è il cammino stesso dell’incarnazione. Accettare il limite è la condizione prima per fare passi avanti. Noi non possiamo dominare la storia. Non siamo neanche condannati a subirla. Possiamo invece starci dentro disposti a servirla. Ricordo sempre con gratitudine un episodio che mi è successo in uno dei miei Capitoli Generali, che stavo coordinando perché eletto dall’assemblea come moderatore. Nei giorni precedenti ero visibilmente teso, perché le cose non andavano bene, secondo il mio punto di vista. La mattina, prima di iniziare i lavori, quando tutti eravamo già riuniti, un confratello mi ha portato al tavolo della presidenza un pacchetto regalo. Sono rimasto un po’ sorpreso, perché non era il mio compleanno e neppure qualche particolare anniversario. L’ho aperto e ne è uscita una maglietta bianca, sulla quale c’era questa scritta in spagnolo: “Qualcuno ha già salvato il mondo. Rilassati”. È forse il più bel regalo che abbia mai ricevuto, perché ha fatto centro in modo ironico su un mio punto fragile: il desiderio di perfezione e l’immaginario che le cose debbano andare come le penso io.

b) La disponibilità a fare la verità. La verità si raggiunge insieme facendola, e facendola la si incontra. Questo vuol dire che quanto viene discusso e deciso deve essere accompagnato dal desiderio profondo di sperimentarlo, di farlo diventare vita, altrimenti non sarebbe che puro esercizio letterario.  Solo facendola, la verità intravista ci verrà incontro.

3. Un metodo adeguato – la comunicazione

Un ultimo accenno, breve, deve essere fatto sulla metodologia messa in atto, perché essa è la modalità di rendere possibile il discernimento.

Papa Francesco si esprime così: «Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia» (EG 33). Se il fine è di compiere la volontà di Dio sulle nostre persone e la nostra famiglia religiosa, l’adeguata ricerca dei mezzi richiede in una grande cura metodologica. 

Su questo punto, è chiaro, dovremmo affrontare molte questioni organizzative e metodologiche.

a) Pensiamo, ad esempio, alla fase di preparazione, che deve coinvolgere tutti i membri di un Istituto, in modo semplice e diretto. Non è raro, infatti, che ci facciamo del male, complicando le cose, con questionari complessi, caricando di incontri sproporzionati le comunità, rischiando poi di tenere conto poco o niente di quanto emerso per incapacità di precisare obiettivi e modalità in fase di consultazione e poi per la fatica di leggere i dati emersi in fase di sintesi.

Una preoccupazione costante nella preparazione di questo Capitolo è stata proprio quella di dare la voce a tutti i membri dell’Istituto in modo semplice e far arrivar al Capitolo il sentire di tutti. Continuare a custodire tutto questo è vostro dovere e vostra responsabilità.

b) Pensiamo anche all’importanza di pervenire a un Istrumentum laboris come risultato di una consulta a livello di Istituto, strumento che deve servire per i lavori capitolari. Anche su questo punto noi abbiamo assistito a documenti preparati con molta fatica e poi praticamente ignorati dai Capitoli, oppure così complicati da rendere difficile poi il lavoro per gruppi tematici o per commissioni. Ho imparato a mie spese che uno strumento semplice, breve, con alcune domande di fondo è l’ideale per lavorare e far lavorare.

La commissione precapitolare avrà modo di spiegarvi i criteri di stesura dell’Instrumentum laboris, chiamato opportunamente “Sintesi tematica per il discernimento”. Ha le caratteristiche della semplicità, della brevità e della fedeltà a quanto emerso.

c) Pensiamo all’importanza di un regolamento del Capitolo, quello che chiamate Statuto, di una metodologia corretta per i lavori nei gruppi tematici, della chiarezza sul documento finale, sulla sua natura e su come si arriva a scriverlo, discuterlo ed approvarlo.

Voi avete visto che lo Statuto, rispetto ai Capitoli precedenti, è stato modificato. Anche queste modifiche, fatte per favorire il confronto e evitare alcuni inconvenienti sperimentati nei Capitoli precedenti, vi verranno motivati dalla Commissione preparatoria.

d) Pensiamo a come vanno predisposti i processi decisionali, fino alle votazioni.

La cura della metodologia è la forma che la carità assume nel costruire comunicazione e comunione.

Ognuno dei temi accennati merita approfondimento. Io segnalo semplicemente quello che mi pare sia ormai diventato un patrimonio comune: le tappe del processo di discernimento. Queste tappe a grandi linee riprendono i passaggi del vedere, giudicare, agire, ma con alcune significative variazioni.

e) Il primo passo consiste nel dire sulle varie questioni affrontate a che punto ci si trova, come stiamo (vedere); alla luce della Parola di Dio, delle fonti carismatiche, degli appelli della Chiesa, dei segni dei tempi chiederci a quali conversioni siamo chiamati (giudicare; N. B. qui il “giudicare” ha il sapore del lasciarsi giudicare da Dio); decidere gli obiettivi e i passi concreti da fare per dare corpo al volto che il Signore ci chiede di assumere qui e ora nelle differenti situazioni in cui ci troviamo (agire).

Non è necessario che questo processo in tre tempi sia rigidamente applicato su ogni questione che viene affrontata: deve essere piuttosto uno stile assunto costantemente, una forma mentis.

La scorciatoia più pericolosa è quella del vedere/agire (senza passare da un tempo di conversione), perché si arriva a decisioni affrettate e prive di interiorità, e quindi destinate a rimanere sulla carta.

Il passaggio fondamentale è quello centrale, quello della conversione. Esso permette di impostare il problema non in maniera estrinsecista, immaginando che basti cambiare strategie o regole. Si tratta di una conversione personale e comunitaria da operare.

Conclusione: Il Capitolo esperienza pasquale

Il Cardinal Pironio, quando fu Prefetto per la vita consacrata, ebbe a dire: «Un Capitolo è sempre una celebrazione pasquale. Deve essere vissuto in un contesto essenziale di Pasqua, con quanto la Pasqua comporta di croce e speranza, di morte e risurrezione. Un Capitolo non è una semplice riunione di studio, un incontro superficiale o una transitoria revisione di vita. È portatore di una grande novità pasquale – una creazione nuova nello Spirito – e una ferma e impegnata speranza».

La dinamica pasquale attraversa tutta la vita religiosa e tutti i processi che essa mette in atto. In particolare le relazioni tra di noi sono segnate dalla Pasqua, da un lento processo di morte e risurrezione che vedrà il suo compimento solo oltre la storia. Fare di un Capitolo un evento di discernimento e di comunione è essere consapevoli che questo si attua a caro prezzo: il prezzo che ciascuno è disposto a pagare perché il proprio carisma riprenda le ali della profezia per la grazia dello Spirito e in vista dell’amore per i fratelli.

Vi auguro proprio che possiate vivere in questo Capitolo una autentica esperienza pasquale.
Fratel Enzo Biemmi, fsf

 


[1] «Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. Come ho detto ai Superiori Generali “la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico”. È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia. Mi attendo dunque non che teniate vive delle “utopie”, ma che sappiate creare “altri luoghi”, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la “città sul monte” che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù» (Lettera Apostolica del Santo Padre Francesco a tutti i consacrati in occasione dell'Anno della Vita Consacrata, 28.11.2014).