Lunedì 28 febbraio 2022
Quella domenica stavo tornando alla mia comunità di Khartoum dopo aver celebrato la messa in uno dei centri parrocchiali di Masalma (Omdurman) alla periferia della città, dove si incontrano il deserto e la città e si sono stabiliti gli sfollati delle guerre nel Sud Sudan e nelle montagne Nuba.

Non guidavo la mia macchina, ma quella della scuola elementare, una grande Toyota Pajero più adatta ai viaggi fuori dall’asfalto della città. La notte stava già stendendo la sua coltre quando mi sono accorto di avere una foratura. Mi sono fermato e nel buio ho cercato gli strumenti per cambiare la gomma. Ma era troppo pesante per muoversi da solo. Una persona in una djellaba notò lo straniero in difficoltà e venne ad aiutarmi. Dopo venti minuti di lavoro insieme siamo riusciti a sostituire la gomma a terra. L’ho invitato a bere una bibita per recuperare le forze. Ma era l’ora della preghiera del pomeriggio (al-maghreb) e mi chiese di lasciarlo andare alla moschea per non fare tardi. Mi ha lasciato il suo nome e il suo numero di telefono nel caso volessi invitarlo per un rinfresco in un altro momento.

Questa persona si era avvicinata a me come il Buon Samaritano quando mi ha visto in difficoltà, ha espresso la sua volontà di aiutarmi, mi ha ascoltato, mi ha capito, ci siamo conosciuti e abbiamo affrontato un problema insieme. La persona che si è inginocchiata con me per cambiare la ruota era il direttore generale di una delle facoltà della Sudan University of Science and Technology. È curioso perché quattro anni dopo avrei occupato lo stesso posto al Collegio Comboniano di Scienza e Tecnologia e tredici anni dopo avrei completato il mio dottorato nella sua università.

In “Fratelli Tutti” Papa Francesco definisce il dialogo come un percorso che comprende i seguenti verbi: “Accostarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, cercare di capirsi, cercare punti di contatto” (FT198). In un modo o nell’altro, tutti questi verbi sono presenti in quella semplice incontro per a una gomma a terra.

Nel corso degli anni, esperienze simili hanno segnato il mio viaggio missionario in Sudan, in particolare attraverso il mio ministero al Comboni College of Science and Technology, dove quasi la metà degli studenti e la maggior parte del personale docente sono di fede islamica, e attraverso un incubatore di aziende digitali. Insieme cerchiamo di educare i nostri giovani a servire con un modello che cerca di integrare la loro diversità culturale e creare coesione sociale in particolare con coloro che vivono nelle periferie dell’area metropolitana della capitale, quelli che vengono da noi dalle periferie del paese (Darfur, Monti Nuba, Kasala…) o i rifugiati di origine eritrea o sud sudanese.

Camminando insieme, impariamo ad andare oltre i preconcetti che abbiamo sui nostri fratelli e sorelle di fedi o culture diverse e scopriamo la bellezza di un poliedro “dove le differenze coesistono, completandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda” (FT 215).

P. Naranjo Alcaide Jorge Carlos, MCCJ
(Nella foto sopra con la comboniana Sr. Conchita López in Sudan)
[combonimission.net]