Venerdì 4 marzo 2022
Nel giardino antistante la sede dell’Onu a New York si trova una campana di stile giapponese. Si tratta della campana della pace. Fu offerta dal giapponese Chiyoji Nakagawa nel 1954. Nakagawa raccolse monete d’ora da tutto il mondo per farle fondere in una unica campana che fosse “simbolo di speranza per la pace nel mondo da parte di tutta l’umanità, indipendentemente dalla nazionalità, razza, ideologia politica o religione”.

Nel basamento della struttura si trova della terra proveniente da Hiroshima e Nagasaki, le due città distrutte dalle bombe atomiche nel 1945. Dal 1954, la campana viene suonata il 21 settembre, Giornata Internazionale della Pace, e da qualche anno anche il 21 marzo, Giornata della Terra. L’intenzione di Nakagawa era che la campana venisse suonata ogni giorno, quando non c’erano conflitti nel mondo. Questo non è mai successo!

In queste settimane i nostri giornali sono pieni di articoli sulla guerra in Ucraina. Questa è una guerra che attira l’attenzione: è in Europa, dove si sperava in una pace duratura dopo la tragedia della seconda guerra mondiale; coinvolge nazioni ricche e ha un impatto sull’economia mondiale. Ma quanti sono conflitti che perdurano da anni e causano indicibili distruzioni e perdita di vita umana?

In questo capitolo, Papa Francesco ci ricorda che la pace è un processo, non una conquista duratura. La pace richiede formazione delle persone; e questa può essere ottenuta solo coinvolgendo la popolazione, non solo un piccolo gruppo di persone sensibili alla tematica. Formazione alla pace vuol dire, prima di tutto, riscoprire la propria storia, e la storia altrui. È negativo vedere quanti giovani europei non conoscano le vicende che hanno portato alla seconda guerra mondiale, con il dramma della Shoah (il genocidio delle persone di fede ebraica), ma anche agli eccidi contro tutte le minoranze e i disabili. Quando questa storia non è condivisa è facile che si ripeta. Non a caso vediamo in Europa il risorgere di gruppi neo-nazisti, di partiti di estrema destra e di un rinnovato interesse per i dittatori che architettarono i regimi pre-conflitto. Lo stesso si può dire di molte altre situazioni in altri continenti.

Se la pace è il risultato di un processo, le comunità cristiane sono chiamate ad essere vere operatrici di pace. Nel commentare il primo capitolo di Fratelli tutti avevo scritto che “la shalom biblica indica la situazione sociale in cui ogni persona può realizzarsi appieno, usando i propri talenti e sapendo attingere alle risorse comuni. La shalom biblica richiede un vero cammino comunitario per raggiungere la giustizia sociale, l’equa distribuzione delle risorse, un vero spazio personale in cui la singola persona può maturare la realizzazione personale e i rapporti personali”. La comunità cristiana deve essere cosciente di questa prospettiva biblica. Deve essere cosciente anche che il vangelo ha delle esigenze di trasformazione della società che non possono essere disattese.

La pace richiede anche uno sforzo ecumenico. Questo è un valore caro all’Islam, ma anche all’induismo, alle religioni tradizionali africane, e a molte altre tradizioni religiose. Le comunità di fede possono veramente unirsi e divenire formatrici di costruttori di pace. Questo può sembrare utopico, e allo stesso tempo è un progetto che la storia ci impone di prendere in considerazione.

Non a caso Papa Francesco ci ricorda che “ai cristiani che dubitano e si sentono tentati di cedere a qualsiasi forma di violenza, li invito a ricordare l’annuncio del libro di Isaia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri» (2,4). Per noi questa profezia prende carne in Gesù Cristo, che di fronte a un discepolo eccitato dalla violenza disse con fermezza: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Mt 26,52). Era un’eco di quell’antico ammonimento: «Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso» (Gen 9,5-6). Questa reazione di Gesù, che uscì spontanea dal suo cuore, supera la distanza dei secoli e giunge fino a oggi come un costante richiamo” (FT 270).

P. Giuseppe Caramazza mccj
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