E’ questa la seconda domenica nella quale Gesù invita a rivolgere l’attenzione sulle “cose ultime”. Invita infatti, in un linguaggio simbolico, a cogliere il rapporto che intercorre tra il “tempo presente” e il “tempo definitivo”.

La perseveranza porta alla vita

Ml 3,19-20; Salmo 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19

E’ questa la seconda domenica nella quale Gesù invita a rivolgere l’attenzione sulle “cose ultime”. Invita infatti, in un linguaggio simbolico, a cogliere il rapporto che intercorre tra il “tempo presente” e il “tempo definitivo”.

Un esempio di questo linguaggio del genere apocalittico è la prima lettura dal libro di Malachia. Il profeta che parla al nome di Dio annuncia un oracolo sulla fine del tempo, indicata come “giorno del Signore”. Sarà il giorno della giustizia, cioè giorno di premio e punizione per buoni e cattivi.

Malachia parla in effetti di un giudizio di condanna per “tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia”.Essi finiranno bruciati “come paglia”. Il fuoco qui evoca l’ira di Dio ed esprime la sua reazione alle malvagità degli uomini; fa anche intuire che il giudizio di Dio porterà allo scoperto il male per eliminarlo definitivamente. Ma l’intervento di Dio mette anche in evidenza il positivo. Perciò il profeta annuncia una parola di conforto per i giusti: “per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”. Per quelli che si fidano di Dio, il suo giudizio quindi è un giorno favorevole , simbolizzato dai raggi benefici del sole che inaugura sempre un giorno nuovo. Dio è fedele alle sue promesse di salvezza. Questo tema del giudizio di Dio appare anche nel salmo responsoriale, che fa parte del gruppo dei salmi in cui si riconosce la signoria di Dio nella creazione, nei suoi interventi storici per liberare il suo popolo, ma soprattutto nel giudizio finale. Nel giudizio finale si renderà manifesta la giustizia di Dio che salva quelli che vi si affidano, mentre adesso si manifesta la sua misericordia per il peccatore che si pente. Dio non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione.

Del giudizio di Dio parla anche il brano evangelico da Luca. Invitano Gesù ad ammirare la maestosa costruzione del Tempio. Egli sorprende tutti con una profezia agghiacciante:”Verranno giorni in cui, di tutto che voi ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”. E’ un colpo terribile contro la sicurezza dei Giudei, basata sulla solidità di quest’edificio e sulla continuità del culto, garanzie incrollabili della sopravvivenza del popolo ebraico. Comincia così il difficile discorso escatologico-apocalittico di Gesù, alla vigilia della sua passione. E’, in un certo senso, l’addio ufficiale di Gesù alla città santa e alla storia del suo popolo, sintetizzata nel Tempio, simbolo dell’Alleanza antica. Per i Greci il tempo ha un carattere ciclico, riportando immancabilmente gli stessi avvenimenti. Per cui non c’è da attendersi nulla di sostanzialmente nuovo. L’uomo della Bibbia, invece, considera il tempo nella prospettiva di una storia orizzontale e di uno svolgimento lineare, sotto la guida di Dio, verso un termine ben definito.

Il tempo è quindi aperto alla novità, all’inatteso e alla speranza. La storia ha, perciò, due protagonisti: Dio e l’uomo. Il compito dell’uomo è di trasformare la realtà del mondo in modo che diventi pronta per la parusia, cioè per la venuta finale del Signore. Il tempo presente è l’ora della vigilanza fiduciosa, della laboriosità piena di pazienza, e della perseveranza nel bene.

Quelli che ascoltavano Gesù gli chiesero:”Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?”. Nella sua risposta Gesù invita gli ascoltatori a non lasciarsi ingannare dai falsi profeti cha annunciano come imminente la venuta del giudizio di Dio. Anche gli eventi nefasti (guerre e rivoluzioni), che contrassegnano normalmente la storia umana, non devono essere considerati come i prodromi del tempo della fine. Oppure gli sconvolgimenti sociali e cosmici (terremoti, carestie e pestilenze), come anche i “fatti terrificanti e segni grandi del cielo” (che rientrano nel quadro tradizionale dell’apocalittica), non devono consentire di fissare il calendario dell’intervento finale di Dio.

Al posto della curiosità sterile, Gesù invita a considerare la propria responsabilità nella storia presente. I discepoli devono affrontare questo “tempo intermedio” con il coraggio e la fedeltà ed essendo sempre pronti a rendere testimonianza per la fede di fronte a chiunque e qualunque prezzo. Niente illusioni: “Sarete odiati da tutti per causa del mio nome”. Ma, “Questo vi darà occasione di render testimonianza… Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”. La via della salvezza passa attraverso la fedeltà che ha il suo sigillo nella morte. Gesù assicura i suoi discepoli: “Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà”. In effetti la morte fisica del testimone di Cristo non pregiudica la sua salvezza.
Don Joseph Ndoum

Un Padre amoroso che ha cura perfino dei nostri capelli

Malachia 3,19-20; Salmo 97; 2Tessalonicesi 3,7-12; Luca 21,5-19

Riflessioni
La fine del mondo, o il fine (lo scopo, il senso) del mondo? La parola di Gesù (Vangelo) non è proprio così catastrofica, come sembra a prima vista, ma piuttosto rivelatrice del mistero amoroso della vita e del cosmo. La conclusione ormai prossima dell’anno liturgico e dell’anno civile ispira la scelta di testi biblici complessi, dove piani diversi si sovrappongono: la distruzione della bella città di Gerusalemme (v. 6), guerre fra popoli, terremoti e altre calamità, segni grandi dal cielo tali far pensare all’imminente fine di tutto (v. 9-11). San Luca usa un linguaggio dai toni accesi, anzi roventi, come dice il profeta Malachia (I lettura), il quale si scagliava contro i superbi e gli ingiusti, destinati a bruciare come paglia (v. 19); mentre il Signore proteggerà con raggi benefici i cultori del suo nome (v. 20).

Il genere letterario detto ‘apocalittico’, proprio di queste letture, più che incutere terrore, è portatore di una rivelazione, di un messaggio di salvezza. ‘Apocalisse significa ‘rivelazione - svelamento’. Infatti, l’ultimo libro della Bibbia, con un linguaggio poetico e misterioso, presenta la fine del mondo non come catastrofe ma come evento di speranza e di vita: cieli nuovi e terra nuova, come un banchetto di nozze (Apoc 21,1-2). Sempre, la Parola di Dio, anche se di tipo apocalittico, illumina, giudica, salva, consola; si fa più vicina nelle prove della vita e della fede. Con le parole «non sarà lasciata pietra su pietra» (Lc 21,6) Gesù non vuole fare paura, né preannuncia la fine del mondo. Non è di questa che dobbiamo occuparci, ma di vivere con responsabilità il nostro tempo: interessarci del fine del mondo e del senso della storia, dare senso alla nostra vita; aver cura della nostra casa comune, creare una terra di fraternità tra tutti i popoli, una dimora di pace, di rispetto mutuo, riconciliazione e misericordia.

La comunità del Vangelo di Luca (intorno agli anni 70-80) stava soffrendo persecuzioni e morte da parte di forze esterne (impero, sinagoga, tribunali..., v. 12); ma soffriva anche per debolezze all’interno (abbandoni, tradimenti, odio...), sempre per causa del nome di Gesù (v. 17). Perciò Luca scrive queste parole di Gesù, il quale mette in guardia i suoi seguaci dagli annunci ingannevoli (v. 8); li invita a non lasciarsi terrorizzare da guerre e rivoluzioni (v. 9). Le persecuzioni saranno per loro un tempo di grazia, un kairòs, una “occasione di rendere testimonianza” del nome di Gesù (v. 13), nella certezza della Sua speciale assistenza: il Signore metterà sulle loro labbra le parole sapienti per il momento opportuno (v. 15). E per rassicurarli, Gesù usa un’immagine concreta, per nulla banale: anche i capelli del vostro capo sono tutti contati e importanti (v. 18). (*)

Abbiamo un Dio che ‘perde tempo’ ad aver cura dei capelli che abbiamo in testa! Se Dio ha cura anche dei frammenti, se mette la sua onnipotenza a servizio anche delle cose piccole, se è un Padre che si prende cura degli uccelli del cielo e dei gigli del campo (cfr. Mt 6,26s), quanto più avrà cura dei suoi figli. Di qui l’invito ai cristiani a perseverare nella prova, per quanto dura, con la certezza dell’esito finale (v. 19), grazie al sostegno perenne e provvidente del Padre. La storia dei martiri di ogni epoca (nei prossimi giorni ne ricordiamo alcuni: i martiri del Paraguay il 16 novembre, Cecilia il 22, Agostino Pro il 23, i martiri del Vietnam il 24) dà prova della verità e fedeltà della parola di Gesù. Egli sostiene quanti Gli rendono testimonianza. Il cristiano è persona di speranza: continua a seminare con pazienza, sempre pronto a ricominciare. Con perseveranza e fiducia in Dio. La storia dell’evangelizzazione del mondo è costellata della presenza amorosa del Signore verso i suoi figli.

Le prove passano, la missione si estende: i frutti restano e sono segni di vita. Nel campo del Signore c’è posto e lavoro per tutti quelli che vogliono impegnarvisi. San Paolo invita i fedeli di Tessalonica (II lettura) a mettere in atto le proprie capacità a beneficio degli altri, rifuggendo dal vivere “disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione” (v. 11). L’apostolo non esita a proporsi “come esempio da imitare”, in quanto ha “lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno” (v. 8-9). Un richiamo, certamente, ed un modello per ogni operaio del Vangelo!

Parola del Papa

(*) “Le costruzioni umane, anche le più sacre, sono passeggere e non bisogna riporre in esse la nostra sicurezza. Quante presunte certezze nella nostra vita pensavamo fossero definitive e poi si sono rivelate effimere! D’altra parte, quanti problemi ci sembravano senza uscita e poi sono stati superati!... Gesù sa che c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze. Perciò dice: «Badate di non lasciarvi ingannare» (v. 8), e mette in guardia dai tanti falsi messia che si sarebbero presentati (v. 9). Anche oggi ce ne sono! E aggiunge di non farsi terrorizzare e disorientare da guerre, rivoluzioni e calamità, perché anch’esse fanno parte della realtà di questo mondo (cfr. v. 10-11)… Gesù nel Vangelo ci esorta a tenere ben salda nella mente e nel cuore la certezza che Dio conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi. Sotto lo sguardo misericordioso del Signore si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male. Ma tutto quello che succede è conservato in Lui; la nostra vita non si può perdere perché è nelle sue mani”. 
Papa Francesco
Messaggio all’Angelus del 13 novembre 2016

P. Romeo Ballan, MCCJ

SIETE PRONTI? ARRIVA LA FINE DEL MONDO!
P. Manuel João Pereira Correia
Luca 21, 5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

Siamo arrivati verso la fine dell’anno liturgico, che inizia la prima domenica di Avvento e si conclude con la domenica di Cristo Re. La liturgia ne approfitta per parlare della Fine. La fine del tempo, la fine di questo mondo, la fine della nostra vita… Tutto quello che ha un inizio avrà pure una fine.
Gesù è verso la fine dei suoi giorni. Poco prima aveva pianto alla vista di Gerusalemme e ne aveva prevista la fine: non lasceranno in te pietra su pietraperché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata!”. Gesù ama la sua città, come ama la nostra oggi, ma ahimè “non abbiamo compreso quello che porta alla pace!” (Luca 19).
Adesso ci troviamo nel Tempio, ricostruito da Erode il Grande, una meraviglia architettonica, orgoglio d’Israele. Possiamo immaginare la sorpresa e lo sgomento quando Gesù profetizza la sua distruzione. È davvero la fine del mondo, per le orecchie e il cuore dei suoi uditori.
È in questo contesto che emerge anche il tema della “fine del mondo”. Gesù ne parla in un linguaggio apocalittico, un genere letterario che utilizza immagini simboliche molto forti. Basta vedere in proposito il libro dell’Apocalisse.

Quando sarà la fine del mondo?

Quando tutto questo avverrà? Gesù non risponde direttamente alla domanda. Anzi, altrove dirà di non saperlo. Per forza, non c’erano allora i computer, né internet. Oggi invece è diverso. Se chiedete a Google “Quando verrà la fine del mondo?” vi darà 22.600.000 riferimenti. La data più prossima che ho trovato è tra il 21 giugno e il 31 dicembre 2022, secondo la profezia del calendario Maya. Cioè imminente. Questo se Putin non decide di anticiparla. Per la precisione, la data era stata già prevista per il 12 dicembre 2012 ma ci sarebbe stato uno sbaglio di… battitura! Naturalmente potete trovare altre date più… fortunate!

Di quale squadra siete?

Siete pronti? Eh sì, questo avvenimento non va subito ma preparato, in collaborazione con… l’aldilà! Anche loro, i nostri compagni futuri, si danno da fare. Ma ci sono due squadre rivali, altrimenti che emozione ci sarebbe senza competizione?!
Ebbene, la nostra squadra è quella dell’inferno, che cerca di ricostruire la torre di Babele che era rimasta incompiuta (vi ricordate di Genesi 11?). Sì, ci si ritorna per cercare di finirla e raggiungere il cielo. Dice infatti il grande filosofo cattolico Jacques Maritain, nel suo libro Le cose del Cielo, che i dannati sono “degli attivi” che lavorano tutto il tempo: “Faranno delle città nell’inferno, delle torri, dei ponti, vi condurranno delle battaglie. Intraprenderanno a governare l’abisso, a ordinare il caos”. Ma tutto è destinato a crollare!
In cielo, invece, si lavora per preparare la Gerusalemme del cielo che Giovanni, il vedente del mondo futuro, contempla mentre scende dal cielo: “Vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo (Apocalisse 21).
Ebbene, per quale squadra tifiamo? O meglio con quale squadra giochiamo? Cerchiamo di ricostruire il vecchio mondo, malgrado tutti i tentativi andati a vuoto? O invece vogliamo fare della nostra vita un mattone della città futura?

Gravidi di vita o di vanità?

Una delle più belle e eloquenti immagini che Gesù utilizza per parlare del mondo nuovo è il travaglio delle doglie del parto: La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Giovanni 16,21). Questo travaglio è quello della persecuzione, della testimonianza e della perseveranza, dice il vangelo di oggi.
C’è pure un travaglio che non genera vita: Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza alla terra e non sono nati abitanti nel mondo” (Isaia 26, 17-18).
Il nostro è un travaglio fecondo di vita, o sofferenza sterile, inutile, sprecata? Tutto dipende da cosa nutriamo il grembo del nostro cuore: cioè della “parola e sapienza” che Gesù promette di darci nel vangelo di oggi, o di inutilità, di vanagloria, di vanità! In questo ultimo caso: “vanità delle vanità, tutto è vanità!” (Qoèlet 1,2).

P. Manuel João, MCCJ
Castel d'Azzano 12 dicembre 2022