Si comincia con un’indicazione temporale: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato...”. Il Signore decifra l’uscita di scena del Battista come il momento in cui tocca a lui entrare. Perciò si trasferisce a Cafarnao, comincia a predicare e chiama i primi discepoli. La maestà del Figlio di Dio si rivela anche in questo particolare: cogliere il momento in cui “tocca a lui”. (...)

Si parte, finalmente!

Matteo 4,12-23
Domenica della Parola di Dio

Iniziamo oggi la lettura del vangelo di Matteo, che ci accompagnerà per più di trenta domeniche (tranne durante il tempo quaresimale e pasquale, dal Mercoledì delle ceneri alla Pentecoste), fino alla fine di novembre. 

Il brano del vangelo di questa domenica racconta l’inizio del ministero pubblico di Gesù. Oggi egli entra in scena. Quanto abbiamo visto prima, il battesimo e il soggiorno nel deserto, erano soltanto il preambolo. Vediamo come avviene questa sua partenza.

Crisi e discernimento

Tutto inizia da un evento drammatico: l’arresto di Giovanni, un momento di crisi anche per Gesù. Giovanni era un amico, era un punto di riferimento. La sua scomparsa dalla scena avrà lasciato i suoi discepoli nello sconcerto. “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea”. Sembra una fuga. Lascia la Giudea e si ritira a casa sua. Ma questa battuta di arresto diventa un momento forte di discernimento. Gesù sente che il movimento iniziato da Giovanni non deve scomparire. Qualcuno deve continuarlo. Gesù si sente interpellato dal Padre: è arrivato il suo momento, ora tocca a lui! E allora Gesù esce allo scoperto: “lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare”. E così, quando tutto sembrava finito, tutto ricomincia!

Spesso pensiamo che Gesù sapesse tutto in anticipo, che tutto fosse chiaro per lui, in partenza: la sua identità, la sua missione, le mosse da fare, i tempi… Alcuni credono, addirittura, che già dal grembo materno Gesù fosse cosciente di essere il Figlio di Dio. Ma questo sarebbe ignorare l’incarnazione. Gesù, come ognuno di noi, “cresceva” (Luca 2,40)! Nel battesimo prende coscienza di essere il Figlio di Dio, nel deserto si interroga sul suo messianismo…

Siamo nel mistero insondabile della autocoscienza di Gesù, certo, ma ad esso sottostà quello dell’incarnazione. Anche Gesù ha dovuto passare attraverso i dubbi, le incertezze, la riflessione sugli eventi, la preghiera per discernere la volontà del Padre. “Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Ebrei 4,15). Uomo come noi, ha dovuto imparare, anche in modo drammatico: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Ebrei 5,8).

Equi mi rivedo anch’io nel mio travaglio vocazionale, come di tanti altri. Entrato in seminario ad undici anni, quanto ho sofferto da giovane con i miei dubbi, se quella fosse la mia strada! Invidiavo i colleghi che ne erano certi e sicuri e volevano anticipare la professione perpetua e l’ordinazione, mentre io cercavo di rimandarle il più possibile! E mi lamentavo con Dio di non essere più chiaro. Non volevo accettare che questa fosse la legge dell’incarnazione di Dio, della sua presenza, della sua voce e dei suoi segni. E mi stupisco ancora oggi che siano state due ragazze, a loro insaputa, il segno o la luce che Dio mi ha inviato per prendere la grande decisione. Fu nell’estate del 1977, a Londra, durante un periodo di lavoro in un ristorante, con tanti altri studenti di diverse nazionalità. Verso la fine di quella esperienza, due ragazze (irlandesi?), avendo scoperto che ero un seminarista, mi confidarono che avevano notato in me qualcosa di “speciale” e, per mia sorpresa, mi incoraggiarono ad andare avanti. Lì ho preso coscienza della perla che portavo in me e che, con il tempo e la routine, si era impolverata, ecco perché non provavo più il suo fascino. Quello fu il momento della mia ripartenza. Di ritorno a Roma per finire gli studi, chiesi, con grande serenità, la professione perpetua e l’ordinazione sacerdotale.

Camminare, la condizione del cristiano

Nel vangelo di oggi mi attira l’attenzione la rilevanza data ai verbi di movimento, che compaiono ben nove volte. Camminare diventa il modus vivendi di Gesù e dei suoi discepoli, cioè di quelli che gli stanno dietro. Gesù lascia Nazaret e va ad abitare a Cafarnao, ma solo come punto di partenza perché subito dopo inizia a percorrere tutta la Galilea, la Palestina e i territori confinanti, e non si fermerà più, fino al ritorno dal Padre che l’aveva inviato. La sua dimora sarà la via, a tal punto che lui stesso diventerà la Via (Giovanni 14,6).

La strada aperta da Gesù sarà designata “la Via” e i cristiani “seguaci della Via” (Atti degli Apostoli, 9, 2). E da allora tutto accade nel cammino. Quindi, non c’è condizione più contrastante con la vocazione del cristiano di quella di essersi fermato, di pensare di aver camminato abbastanza o, peggio ancora, di sentirsi arrivato. Una fede accomodata, da poltrona, rifugiata nella tana delle proprie sicurezze, siano esse umane o ecclesiali, è una fede senza respiro, paralizzata.

Si parte, finalmente!

Nelle domeniche precedenti abbiamo parlato di ripartire dalle successive epifanie o rivelazioni su Gesù. Oggi si parte, finalmente! È una partenza solenne con una chiamata a seguire Gesù, come gli apostoli: Vieni e seguimi! Gesù non è un solitario, ma una persona che ama la compagnia; va davanti, apre la strada ma non vuole camminare da solo!

Adesso che siamo stati introdotti nella conoscenza del Signore, Gesù si aspetta da noi uno scatto di generosità, come quello di Pietro e Andrea, di Giacomo e Giovanni e di tanti altri dopo di loro e prima di noi.

Spero che ci prenda l’entusiasmo degli inizi, quelli che segnalano la svolta di una vita. Se parti trascinando i piedi, svogliato, continua pure il tuo tram-tram di sempre, la tua vita senza storia, e lascia perdere, non è per te! Se hai già i tuoi piani e pretendi realizzarli prima di partire, lascia perdere, non sei fatto per il Regno di Dio! Se invece ti senti insoddisfatto di una esistenza grigia e piatta, cogli l’occasione! Se senti la voglia di iniziare qualcosa di nuovo, ma ti trascini dietro la zavorra dei tuoi precedenti insuccessi, delle tue delusioni, dei tuoi peccati e debolezze, fati coraggio, c’è una grazia speciale degli inizi!

Da dove si parte? Da dove sei, dalla tua Galilea, dal tuo ambito di vita, dalla tua quotidianità, dalla “Galilea delle genti”, dalla nostra società paganizzante. Lì si manifesterà la “grande luce” (vedi prima lettura, di Isaia).

Dove si va? La meta è il “monte della missione”, il traguardo finale del vangelo di Matteo (28,16-20). E l’itinerario?! Non lo sapiamo. Sapiamo solo che dobbiamo seguire Gesù. Forse nemmeno lui lo conosce in anticipo. Anche lui è guidato dallo Spirito e dagli eventi della vita. Anche per lui, il Viandante, non c’è una strada già tracciata, camminando si apre cammino!… Sarà un viaggio forse più insicuro, soggetto a imprevisti, ma respireremo il sapore della libertà e della novità!

Quale equipaggiamento prendere? Non ci serviranno degli zaini stracolmi. Ci serve solo la Parola! E, in questa Domenica della Parola di Dio, Papa Francesco ci dà le istruzioni per l’uso: “Abbiamo bisogno della sua Parola: di ascoltare, in mezzo alle migliaia di parole di ogni giorno, quella sola Parola che non ci parla di cose, ma ci parla di vita. Cari fratelli e sorelle, facciamo spazio dentro di noi alla Parola di Dio! Leggiamo quotidianamente qualche versetto della Bibbia. Cominciamo dal Vangelo: teniamolo aperto sul comodino di casa, portiamolo in tasca con noi o nella borsa, visualizziamolo sul cellulare, lasciamo che ogni giorno ci ispiri. Scopriremo che Dio ci è vicino, che illumina le nostre tenebre e che con amore conduce al largo la nostra vita” (26/01/2020).

Nunc coepi, ora comincio! 

Ma… partire o ripartire? Iniziare o riprendere il cammino? Cominciare o proseguire la strada? La questione non è indifferente!

Parecchi anni fa, ho letto un libro di un dominicano francese, A.-M. Carré, dal titolo “Aujourd’hui, je recommence”, Oggi, io ricomincio. Se la memoria non mi tradisce, l’autore si riferiva ad una frase che San Francesco di Sales aveva sulla sua scrivania:”Nunc coepi”, Adesso comincio! Carré faceva un ragionamento molto interessante. Una cosa è cominciare, un’altra è continuare. Si può continuare per inerzia, ormai stanchi, forse anche svogliati, avanzando a stento… Invece cominciare implica slancio, impulso nuovo, entusiasmo, una partenza di rinnovata freschezza… Ogni istante della nostra esistenza ci mette davanti ad una scelta: continuare la strada o cominciare il cammino!

Quante volte cominciare? Ad ogni nuova stagione della vita? Ogni anno? Ogni mese? Ogni settimana? Ogni giorno? Quante volte al giorno? Sette volte? Settanta volte sette! Ad ogni Nunc, ad ogni istante!

Che la strada si apra davanti a te,
che il vento soffi sempre alle tue spalle,
che il sole inondi e riscaldi il tuo volto,
che Dio ti custodisca nel palmo delle Sue mani!

(Benedizione Irlandese)

P. Manuel João, comboniano
Castel d’Azzano, 20 gennaio 2023
[comboni2000]

Tocca a me!

Si comincia con un’indicazione temporale: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato...”. Il Signore decifra l’uscita di scena del Battista come il momento in cui tocca a lui entrare. Perciò si trasferisce a Cafarnao, comincia a predicare e chiama i primi discepoli. La maestà del Figlio di Dio si rivela anche in questo particolare: cogliere il momento in cui “tocca a lui”. Essere suo discepolo, assumere il suo stile comporta quindi la prontezza nell’intuire il tempo in cui tocca a me. Senza dubbio è tra le cose più difficili, poiché in genere si è più svelti nell’indicare quando tocca agli altri, cioè quasi sempre.

Capire quand’è il nostro tempo è faticoso, non sembra mai quello giusto: adesso “sono troppo giovane”, “sono troppo vecchio”; “sono troppo impegnato”, “sono in vacanza”; “non sto tanto bene”, “sono troppo stanco”; “sono troppo felice”, “sono troppo triste”; “ho i figli piccoli”, “ho i figli adolescenti”, “ho il figlio che si sta sposando”, “ho i nipotini da curare”.

Aspettando il tempo ideale, non arriva mai il momento opportuno, perciò toccherà sempre a qualcun altro. Il continuo rinvio dell’ingresso in scena è anche causato dall’insensibilità. Se ho la pelle dura, se niente mi tocca, non toccherà mai a me. Se nulla e nessuno mi risulta toccante, non toccherà mai a me. Cosa mi tocca? Tocca a me!

La pagina evangelica indica anche un luogo. Si tratta della Galilea, a nord della Terra Santa. Una terra di confine: a settentrione la zona pagana di Tiro e Sidone; a est il territorio altrettanto pagano della Decapoli. La scena nella quale il Signore entra è un confine che, come tale, pur ben delineato, catalizza sempre molta confusione. Le frontiere sono linee nettissime e ben difese, eppure gli italiani al confine della Francia sono un po’ francesi e i francesi al confine con l’Italia sono un po’ italiani; vivono una situazione mista. Così gli abitanti della Galilea sono un po’ pagani.

Che bello che Gesù entri in una scena ingarbugliata. Che bello che non tema la fatica di chiarire una situazione confusa, portando la luce. Che bello che il Signore non metta la “chiarificazione” della nostra ambiguità come condizione previa alla sua vicinanza, ma colga il nostro impasto di santità e peccato come il punto di partenza del compito che tocca a lui. Se non fosse stato toccato dalla tristezza del nostro male e dalla speranza per il nostro bene, non sarebbe mai toccato a lui. Cosa mi tocca? Tocca a me!
[Giovanni Cesare Pagazzi – L’Osservatore Romano]

Verso un destino oscuro e glorioso

Is 8,23b - 9,2; Salmo 26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23

Con questa domenica, iniziamo la lettura del vangelo di Matteo, e la proseguiremo quasi pagina dopo pagina per più di trenta domeniche (tranne durante il tempo pasquale, dal Mercoledì delle Ceneri alla Pentecoste), fino alla fine di novembre. Nel brano di questa domenica compare a tutto campo la figura di Gesù che inizia la sua attività pubblica in Galilea, invitando alla conversione e proclamando la buona notizia del regno dei cieli. La proclamazione del vangelo del regno di Dio in Galilea, e l’appello alla conversione costituiscono i due punti focali di questa domenica. Ci è anche offerto un modello di risposta all’appello di Gesù nella duplice chiamata dei primi quattro discepoli: pescatori che dal mare di Galilea verranno inviati nel mondo intero, ma ormai come pescatori di uomini.

Per dare lo scenario adatto soprattutto all’annuncio profetico del regno fatto da Gesù, la liturgia riporta nella prima lettura un brano del profeta Isaia, al quale rimanda espressamente il testo evangelico. In un momento drammatico della storia delle regioni settentrionali della terra di Israele, appartenenti alle tribù di Zàbulon e Neftali, il Profeta Isaia annunzia a loro un avvenire di liberazione e quindi gioia. Egli annunzia in particolare l’irrompere della luce di Dio per quelli che erano immersi nelle tenebre e dimoravano in terra ed ombra di morte. Infatti, vivevano, come dice Isaia, “nelle tenebre dell’errore”, poiché le loro terre vennero invase da popoli pagani. La profezia di Isaia si è compiutamente avverata quando in Cristo, messia liberatore, è brillata, non su una sola regione ma sul mondo intero, la luce a tutti gli esseri umani, che erano immersi nelle tenebre del peccato.

Ritornando all’annuncio del regno di Dio, Gesù lo presenta in questi termini: “Convertitevi perché il regno di Dio è vicino”. Di fatto, con la venuta di Gesù si è chiusa nella storia umana l’epoca dell’attesa, e se n’è aperta una nuova, più favorevole per la nostra liberazione e salvezza. Il contenuto di quest’annuncio appare quindi come un segnale di emergenza. “Il regno di Dio è vicino”. Questi termini molto concisi proclamano la prossimità di Dio all’uomo e servono proprio a trascrivere il suo intervento decisivo per liberare i suoi dall’oppressione e stabilire nel mondo una era di giustizia e di pace.

Dicendo “Convertitevi” Gesù ci sollecita individualmente a cambiare rotta e a rivolgere lo sguardo e l’orientamento verso il “regno”. Perciò, Matteo ci presenta anche la scena esemplare della prima chiamata dei primi quattro discepoli di Gesù. Lo schema della loro vocazione è semplicissimo e ridotto all’essenziale. C’è l’appello e, poi, una risposta. L’iniziativa è di Gesù, dopo uno sguardo (“vide due fratelli… vide due altri”), che in quel contesto esprime una nota di tenerezza, un modo per dire la sua attenzione amorosa, ed è un messaggio o una proposta di comunione. Insomma, l’incontro comincia spesso col “vedere” la persona.

Di solito sono i discepoli che scelgono il maestro. Cristo invece assume l’iniziativa. Perciò, la vita cristiana risulta risposta al manifestarsi della grazia. Cioè non siamo noi che andiamo alla ricerca di Dio, è piuttosto Dio che si pone sempre davanti, alla nostra ricerca. Nella risposta dei primi quattro chiamati all’iniziativa di Gesù, si può anche scoprire alcuni elementi basilari: la fede o fiducia, il distacco, la sequela e il lasciarsi fare. Infatti, il discepolo si caratterizza per la fede che è affidamento a Dio e adesione incondizionata. La decisione o risposta che ne risulta si traduce in un distacco, una separazione, una rinuncia (dalle reti, da un mestiere, dai familiari).

L’accento non va posto tanto sul lasciare quanto sul seguire. Quindi il discepolo non è uno che ha anzitutto abbandonato, perso qualcosa, ma è soprattutto uno che ha trovato qualcuno di affidabile, il Messia salvatore. E, come si vede tutto naturalmente, la “perdita” viene abbondantemente assorbita dal guadagno. Il distacco o la rinuncia non sono allora il fine, ma la condizione della sequela. È il termine “seguire” (“Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono”) che caratterizza alla fin fine il discepolato e che stabilisce una comunione di vita con il Salvatore.

L’ultimo tratto che caratterizza il discepolo è di lasciarsi plasmare dal Maestro: “Vi farò diventare pescatori degli uomini”. Cioè un discepolo già bell’ e fatto, completo, “arrivato” non esiste. Il cristiano o il discepolo è uno che lo diventa ogni giorno, sottomettendosi alla volontà di colui che lo ha chiamato.
Don Joseph Ndoum