La quarta domenica di Quaresima è una seconda catechesi battesimale, sulla LUCE, dopo quella sull' ACQUA di domenica scorsa. Il protagonista è il cieco nato guarito da Gesù, che Giovanni ci presenta nel capitolo 9 del suo vangelo. Si tratta di un testo bellissimo che, da sempre, viene letto come una illustrazione del battesimo. Il cieco nato rappresenta ciascuno di noi che Gesù riplasma (Genesi 2,7) ed invia verso la piscina di Siloe, il battesimo. (...)

DOMANDE E SGUARDI, UN PERCORSO VERSO LA LUCE
Giovanni 9,1-41

La quarta domenica di Quaresima è una seconda catechesi battesimale, sulla LUCE, dopo quella sull' ACQUA di domenica scorsa. Il protagonista è il cieco nato guarito da Gesù, che Giovanni ci presenta nel capitolo 9 del suo vangelo. Si tratta di un testo bellissimo che, da sempre, viene letto come una illustrazione del battesimo. Il cieco nato rappresenta ciascuno di noi che Gesù riplasma (Genesi 2,7) ed invia verso la piscina di Siloe, il battesimo.

LA VITA NASCE CIECA, L'UMANIZZAZIONE È UN PROCESSO DI ILLUMINAZIONE
La vita sulla terra è sorta nello stato di non-vedente e così rimase durante milioni di anni. Anche il neonato diventa vedente solo progressivamente. In realtà, si potrebbe dire che l'umanizzazione è un lento e faticoso processo di illuminazione. Ed è così anche per la vita di fede, che si innesta in questo processo e lo porta al suo pieno compimento. Dalla visione della realtà naturale, la fede ci avvia verso la visione dell'invisibile, fino all'ingresso nella Luce piena che è Dio stesso. Senza l'apertura della fede la visione rimane monca e rischia di ripiombare nelle tenebre del non-senso. "È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce" (Salmo 36,10).

DOMANDE E SGUARDI
Il racconto della guarigione del cieco nato è tessuto attorno ad una lunga serie di domande (sedici). Cercherò di riassumerle in sette. Domande e risposte ci mettono davanti degli atteggiamenti e sguardi diversi. Questo vangelo induce anche noi a porci delle domande per prendere coscienza della qualità del nostro sguardo e per vedere a che punto siamo nel nostro cammino dell'illuminazione battesimale.
Il brano inizia dicendo che "Gesù passando vide"... Gesù è Colui che passa e vede, come il samaritano della parabola: "passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione" (Luca 10). E continua a passare e ci guarda con compassione. Ma noi siamo ciechi e tante volte nemmeno ci accorgiamo, abituati come siamo a passare e a non vedere o magari a guardare o essere guardati con indifferenza o commiserazione.

1. «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?»
"Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita". Anche gli apostoli lo vedono e fanno una domanda: "Chi ha peccato...?". Ecco lo sguardo del pregiudizio, che colpevolizza ancora prima di cercare di capire la situazione dell'altro!

2. «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?»
I suoi vicini e conoscenti si interrogano: ma sarà proprio lui? Sì, sono io! E come mai ora ci vedi? È stato l'uomo chiamato Gesù! E dov'è? Non lo so. E tutto finisce lì! Si tratta di uno sguardo di curiosità, superficiale, che non è interessato a cercare, ad approfondire quello che vede, anche se è qualcosa di inedito come un miracolo.

3. «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?»
Entra in scena lo sguardo inquisitore dei farisei, che vogliono indagare se la legge è stata rispettata. Un barlume di luce sembra trapelare: "Come può un peccatore compiere segni di questo genere?", ma viene subito spento. A loro non interessa se un cieco è stato guarito, perché a loro non sta a cuore il bene della persona! A loro poco importa la grandezza del segno, ma solo che la legge del sabato non sia trasgredita!
Viene interrogato il testimone. Il suo sguardo è entrato in un processo di illuminazione. Quando gli viene chiesto: "Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?", Gesù non è più soltanto "un uomo chiamato Gesù", ma "è un profeta!".

4. «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?»
I guardiani della legge non vogliono ammettere la realtà perché non si inquadra nel loro schema mentale. La vita, per loro, non è autonoma. Anche la realtà deve sottomettersi alla legge! E interrogano i suoi genitori che, per paura, si svincolano dal figlio: "Noi non sappiamo!". Lo sguardo del timore non è solidale, ma abbandona l'altro al suo destino, fosse esso anche un figlio!

5. «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?»
Il cieco vedente viene interrogato di nuovo, nel tentativo di intimidirlo, di coglierlo in fallo, in modo da mettere in salvo la legge e loro stessi, la loro posizione di detentori del potere. I farisei sfoggiano tutto il loro sapere: "Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore". "Noi sappiamo... Noi sappiamo!". Loro sanno tutto! Il testimone, da parte sua, dice: "Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo!". Loro insistono: "Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?". Il neo-vedente, sempre più sicuro di sé, diventa spavaldo: "Perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?". E qui scatta il furore dello sguardo della menzogna che non ammette di essere sfidato, di essere messo in questione: "Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?". E lo cacciano fuori. Le tenebre diventano più fitte e si chiudono alla luce: "La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta" (Giovanni 1,5).

6. «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?»
Allora Gesù lo cerca e trovandolo lo interroga anche lui: "Tu, credi nel Figlio dell'uomo? Egli rispose: E chi è, Signore, perché io creda in lui? Gli disse Gesù: Lo hai visto: è colui che parla con te. Ed egli disse: Credo, Signore! E si prostrò dinanzi a lui". È lo sguardo della fede. Il cieco viene pienamente inondato dalla Luce!

7. «Siamo ciechi anche noi?»
Il racconto finisce con una affermazione inquietante di Gesù: "È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi", seguita da una domanda preoccupante, che, a dire il vero, dovremmo porci tutti quanti: "Siamo ciechi anche noi?". La prima illuminazione è riconoscerci ciechi! "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane". C'è un peccato 'buono', salvifico, che ci apre alla misericordia di Dio. E c'è un peccato 'cattivo' di colui che si sente giusto, a posto, che ci chiude alla grazia.

PER CONCLUDERE...
Vi invito a rileggere il testo della seconda lettura: "Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce" (Efesini 5,8-14). La possibilità di ricadere nella tenebra è un rischio quotidiano. Prendere coscienza della nostra cecità (Apocalisse 3,17-18) e curare la luminosità del nostro occhio (Matteo 6,23) sono un compito quaresimale. Gridiamo anche noi al Signore, come Bartimeo, il cieco di Gerico: Signore, che io riabbia la vista!

P. Manuel João, comboniano
Castel d'Azzano (Verona)

Vedere la realtà e rispondere con amore

«Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (Gv 9, 2). La domanda che i discepoli rivolgono a Gesù dà inizio al racconto della guarigione del nato cieco, che parla in modo speciale a tutti noi in questa Quaresima in quarantena. Tutti a volte siamo tentati di guardare le disgrazie come se fossero punizioni di Dio. E, tentazione ancora più subdola, a cercare in chi soffre un qualche sintomo di colpa, per soppesarlo, valutarlo e giudicarlo almeno interiormente. Più in generale, spesso cerchiamo un colpevole per quello che sta succedendo. Gesù si presenta come “luce del mondo” proprio per illuminare questo malinteso spirito critico che ci porta a sentenziare dividendo il mondo in colpevoli e innocenti.

Il Signore mostra la realtà così come è davvero, fuori dai preconcetti con cui spesso vediamo soltanto quello che vogliamo vedere. È come se il Vangelo stesse insegnando con due millenni di anticipo a uscire dalle cosiddette echo-chambers o bolle di persone che si ritrovano solo perché interpretano la realtà nello stesso modo. Bisogna andare al di là delle apparenze e del preconcetto mio o della maggioranza.

«È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 9, 39). Vengono in mente i versi di Montale, che parla degli «scorni di chi crede / che la realtà sia quello che si vede». Gesù supera i giudizi e i pregiudizi, per guardare davvero la realtà che ha di fronte. Vede la sofferenza del cieco, se ne prende cura e lo risana. E rimprovera ognuno di noi quando pretendiamo di capire e interpretare tutto a prima vista: «Siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 9, 41). Gesù non insegna mai a sistemare il mondo a base di etichette e di risposte chiare e distinte, con uno sguardo che crede di sapere già chi sono i cattivi e dove sbagliano.

La quarantena che stiamo vivendo in queste settimane di Quaresima ci sta facendo vedere cose di cui non ci accorgevamo, pur avendole sempre sotto gli occhi e a portata di mano. Persone care che potevamo salutare con gesti d’affetto adesso non fattibili; tempo dedicato a incontrarsi che ora non è proponibile; vita reale delle persone che abitano a casa nostra, che pensavamo di conoscere alla perfezione: ma quanto è impegnativo per mia figlia affrontare un’interrogazione? e per mia moglie o mio marito reggere lo stress di una riunione di lavoro? E quanto è silenziosa la casa di un genitore anziano che vive da solo? Tutte cose che avevamo anche prima sotto gli occhi, ma che solo adesso vediamo.

Perché è nato cieco l’uomo che Gesù incontra? «Perché in lui siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9, 3). Ogni persona che ho intorno offre una possibilità di rispondere con la mia vita. Prima di tutto vedendola, cioè accorgendomi della sua esistenza e riconoscendola come una persona simile a me. E poi decidendo di prendermene cura con amore. Questa Quaresima in particolare può offrirci una grazia duratura: non cercare responsabili dei mali propri o altrui ma deciderci a metterci in gioco qui e adesso, superando l’indifferenza. Gesù propone ai suoi discepoli e a ognuno di noi di manifestare “le opere di Dio” con la propria vita e con la propria capacità di amare.

La poesia spesso parla meglio di tanti ragionamenti: «Considerando che l’amore non ha prezzo, lo pagherò offrendo tutto l’amore, tutto l’amore che ho», canta Jovanotti. «Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni!», dice Frodo in un memorabile dialogo de Il Signore degli Anelli. «Anch’io», gli risponde Gandalf, «come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato». La quarantena è un’occasione per vedere la realtà e deciderci a rispondere con amore, qui e ora.
[Carlo De Marchi – L’Osservatore Romano]

Per Gesù la legge è una Luce che illumina – Per i farisei la legge è una pietra che acceca

1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Salmo 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

Nell’antica liturgia quaresimale questa domenica veniva chiamata “Laetare”. La Chiesa invitava il popolo di Dio lungo il duro cammino penitenziale della Quaresima ad una sosta, ad un po’ di respiro, per riprendere con rinnovato ardore.

Inoltre, i catecumeni avevano già quasi ultimata la loro preparazione per il battesimo, e la Chiesa, con l’antifona della messa domenicale che inizia con “Rallegrati, Gerusalemme”, esprimeva la sua gioia poiché stava per generare al suo Sposo altri figli rinati alla grazia del battesimo e rigenerati per essere figli di Dio. Si avvicinava, d’altra parte la primavera, segno del trionfo della vita sulla morte, della luce sulle tenebre di un lungo inverno (del peccato). Come la natura si ammantava di fiori e risorgeva a vita nuova, anche l’anima era invitata a risvegliarsi a vita nuova e a rivestirsi di virtù, simbolizzate dai fiori, che abbelliscono normalmente l’anima del cristiano.

Vigeva allora, soprattutto a Roma, l’uso di portare in chiesa le prime rose, e i catecumeni se le scambiavano in segno di letizia per il battesimo ormai vicino. Questo quadro era fatto per colmare i cristiani ed i catecumeni di gioia e di ottimismo, poiché, come dice Paolo: “Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore”. Ed egli può allora esigere una coerenza di vita: “Comportatevi da figli della luce”. È un monito che vale anche e soprattutto per i cristiani di oggi. In pratica, come spiega ancora Paolo stesso: “Il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”. Con la carità queste virtù devono brillare nel comportamento di ogni cristiano per essere degni di questo nome. Gesù proclamò solennemente: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”.

In questo contesto s’innesta la liturgia della parola di questa domenica. Nel vangelo il contrasto tra le tenebre e la luce viene messo ancora più in evidenza nella guarigione del cieco nato. In questo gesto simbolico, Gesù, luce del mondo, fa passare i credenti dalle tenebre dell’errore e del peccato alla luce della verità e della grazia. Attorno alla stessa simbologia della luce si sviluppa la seconda lettura: la condotta dei battezzati deve essere talmente limpida da non avere nulla da nascondere. Cioè, “come figli della luce”, non compiono azioni di cui vergognarsi.

Il racconto della consacrazione di Davide, il più piccolo dei figli di Iesse e semplice pastore del gregge, come re di Israele, nella prima lettura, si inserisce nella stessa prospettiva di elezione battesimale. I battezzati, scelti per libera iniziativa di Dio, sono resi partecipi della consacrazione messianica di Gesù, il discendente di Davide. Inoltre, come spiega Samuele, “L’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda il cuore”.

Giovanni, nel suo vangelo, presenta solo sette miracoli compiuti da Gesù. Quello della guarigione del cieco nato occupa un capitolo intero e acquista così un rilievo eccezionale. Siamo di fronte a una narrazione in cui si mescola l’adesione fiduciosa alla chiusura pregiudiziale. Si possono chiudere gli occhi dinanzi alla luce, come se si fosse ciechi. Così i Giudei chiudevano gli occhi dinanzi a Cristo, la Luce del mondo. Infatti, lo spettacolo di un uomo cieco fin dalla nascita solleva la curiosità dei discepoli di Gesù circa l’origine della malattia. Si informano secondo la mentalità ebraica che collegava infermità e colpa. Gesù insorge seccamente contro tale atteggiamento dinanzi alla malattia: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio…” Il male è lì, sotto i nostri occhi, non perché lo spieghiamo o che assumiamo un atteggiamento fatalistico, ma perché lo combattiamo.

Col suo comportamento Gesù indica chiaramente che la fede e principio di indignazione ma non di rassegnazione. Egli spalma del fango, ottenuto mescolando la saliva a un po’ di terra, e lo spedisce a lavarsi alla piscina di Siloe; quello, quando torna, ci vede benissimo. Di fronte a quest’ evento miracoloso, i farisei si chiudono nell’incredulità., e il beneficato si apre progressivamente alla fede. Invece di un canto corale con gli “alleluia” per l’avvenimento straordinario accaduto, assistiamo ad una scena incredibile di contestazioni. I farisei chiamano in causa i genitori, i quali temono l’espulsione dalla sinagoga e mantengono una posizione di prudente riserva: “Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà di se stesso”.

Il miracolato viene sottoposto a due stringenti interrogativi sulla faccenda. Si direbbe che per questi vicini e i farisei andasse bene quando era cieco. Questi sono i ciechi che rendono impossibile il miracolo. La colpa imperdonabile secondo il loro parere è data dalla guarigione “irregolare”, cioè in un giorno di riposo assoluto, il sabato. Interessante è anche il secondo interrogatorio: dopo aver riferito per l’ennesima volta i particolari del miracolo, il cieco nato stuzzica i suoi giudici con una osservazione ironica: “Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. Quelli reagiscono con gli insulti.

Il cieco guarito un altro argomento disarmante: “…Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se colui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Commovente è la confessione di fede del cieco guarito dinanzi a Gesù: “Io credo, Signore”. E gli si prostrò dinanzi. Si tratta di una doppia guarigione: quella del corpo e quella dell’anima. La cecità è l’incredulità, e l’illuminazione è la fede.

Nel cieco nato ci ritroviamo anche noi. Siamo nati ciechi, increduli; e il battesimo ci ha dato la grazia della vita spirituale, della fede. In questo tempo quaresimale, dobbiamo verificare la nostra fede. È una necessità. Poiché anche noi, come i farisei, abbiamo spesso gli occhi aperti ma non vediamo chi è Gesù, il Salvatore; abbiamo spesso gli occhi ben aperti ma chiusi a causa della crisi di fede. Quanta indifferenza e quanta apatia nel servire il Signore oggi! Quanta cecità! Gesù è impotente a guarire coloro che non ammettono la propria cecità. Rifiutando Gesù Luce del mondo, viviamo nelle tenebre. Gesù riesce ad aprire gli occhi unicamente a quelli che non vogliono tenerli chiusi.
Don Joseph Ndoum

Il cieco nato:
ci vede, crede e annuncia

1Samuele 16,1.4.6-7.10-13; Salmo 22; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,1-41

Riflessioni
Il cammino verso la Pasqua è scandito da grandi temi catechetici – catecumenali - battesimali: il tentatore da vincere, il volto di Cristo da contemplare, i simboli dell’acqua, la luce, la vita. Nel Vangelo di questa domenica è centrale la figura di Gesù-Luce: è Lui che vede e va all’incontro del cieco, gli spalma fango negli occhi, lo manda a lavarsi alla piscina di Siloe (che significa Inviato). Il cieco va, si lava e torna che ci vede (v. 1.6-7). Il segno è chiaro, ma solo per chi lo sa vedere. Proprio quel miracolo così patente di Gesù diventa un segno di contraddizione: dal medesimo fatto partono due reazioni (del cieco e dei farisei) in sensi opposti.

Il cieco avanza, gradualmente, verso la scoperta del volto-identità di Gesù: da semplice uomo, a profeta, uomo di Dio, Signore… fino a prostrarsi con fede: “Credo, Signore!” (v. 38). Ormai il cieco è convertito: tutto illuminato, nel corpo e nello spirito. Mentre il cieco progredisce nella scoperta di Gesù, i farisei, invece, si chiudono progressivamente alla luce, non credono alla testimonianza del cieco guarito, lo mettono a tacere e lo cacciano fuori (v. 34). L’ostinazione del cuore porta alla cecità interiore. Purtroppo, la fede si può anche rifiutare o perdere! Solo chi accetta che la verità gli cambi la vita, non avrà paura della luce, dell’amore, del servizio… Vale, a questo proposito, l’augurio di S. Agostino, bello, come sempre, anche nel testo latino: “Servum te faciat caritas, quia liberum te fecit veritas” (la carità ti faccia servo, dato che la verità ti ha reso libero).

Tutti noi abbiamo bisogno di un supplemento di luce. “Il piccolo principe” di Saint Exupery ci insegna: “L’essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che con il cuore”. Le ultime parole di Johann W. Goethe furono: “Più luce!”. Gesù, con la parola e il segno, porta la luce nuova che rischiara anche la realtà del peccato presente nel mondo. Il peccato è quella vasta zona oscura, in cui si muovono le persone che non vivono alla luce dal Vangelo. In quella zona oscura c’è anche la non comprensione del senso della malattia, del dolore, della disgrazia, mali che spesso vengono vincolati, erroneamente, a peccati personali. Emblematica a tale proposito è la storia di Giobbe, che i suoi visitatori accusano di aver dei peccati nascosti. Gli apostoli stessi sono un esempio di questa mentalità: vedendo il cieco nato, domandano al Maestro: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori?” (v. 2). È la tipica impostazione pre-cristiana del problema della sofferenza: identificare la causa del dolore o della malattia con il peccato, con il malocchio, o maleficio, o altri tipi di iettatura altrui…

È una mentalità molto estesa, anche in ambienti cristiani, tipica di persone non ancora ben evangelizzate. Penso ai miei anni di lavoro missionario in Congo, dove i problemi e le paure dello ndoki (parola in lingua lingala per dire malocchio, e simili) erano all’ordine del giorno: tanti cristiani (compresi alcuni catechisti e religiosi), non ne erano del tutto liberi interiormente. Anche in America Latina, in Europa e in Vietnam, ho visto situazioni simili. Si tocca con mano che la vita, senza la luce del Vangelo, è spesso sinonimo di tenebra, paure, vendette, manovre oscure… che serpeggiano anche fra i cristiani, in ogni latitudine. Il cuore umano non è mai convertito del tutto. Perciò l’azione missionaria della Chiesa non si accontenta di un’evangelizzazione superficiale, ma deve mirare al cuore delle persone e ai valori delle culture, come insegna molto bene Paolo VI (vedi l’esortazione apostolica del 1975 Evangelii Nuntiandi, n. 18-20).

È possibile uscire da questa mentalità paganeggiante soltanto facendo un cammino di conversione permanente, accettando interiormente fino in fondo Cristo che ha detto: “Sono la luce del mondo” (v. 5), “la verità vi farà liberi” (Gv 8,32). È il chiaro monito di San Paolo (II lettura) a comportarsi come figli della luce (v. 8; cfr. Mt 5,14), a non compiere le opere infruttuose e vergognose delle tenebre (v. 11-12), ma guardare a Cristo: “Svégliati… e Cristo ti illuminerà” (v. 14). È Cristo la luce, è Lui l’Inviato (v. 7) del Padre, il lavacro nel quale immergersi con il battesimo. È commovente e significativo il fatto che la prima cosa che questo uomo cieco vede è il volto di Gesù, prima ancora del volto di sua madre. Il cammino di conversione a Cristo e di missione è possibile soltanto se ci apriamo completamente a Dio in una preghiera “cuore a cuore”, come ci insegna Papa Francesco. (*)

La luce di Cristo aiuta a capire il senso della malattia e del dolore, come lo si apprende dalla silenziosa e paziente testimonianza di tante persone ammalate nel corpo, ma interiormente serene. La fede è una luce nuova che permette di cogliere il messaggio di vita presente nel dolore; è l’opportunità di purificazione e di salvezza, per sé e per gli altri. La fede porta a fidarsi di Dio, il Pastore che ci fa da guida anche nella valle sicura (Salmo responsoriale). Egli ha vie e criteri diversi dai nostri (I lettura): “Il Signore vede il cuore” (v. 7) delle persone, come risulta dalla scelta di Davide. Era il più piccolo, un pastore (cfr. Lc 2,8), ma Dio ne fa un re. I criteri di Dio sono sorprendenti: Gesù guarisce il cieco, mendicante (v. 8), espulso (v. 34; anche Gesù sarà rifiutato); ma Gesù lo accoglie, gli si auto-rivela, ne fa un credente, un testimone, un annunciatore convinto (v. 30-33). Come per la Samaritana (cfr. domenica scorsa). Dio ci sorprende: sceglie gli ultimi per annunciare e far crescere il suo Regno nel mondo.

Parola del Papa

 (*) “L’esperienza della misericordia di Dio è possibile solo in un faccia a faccia col Signore crocifisso e risorto «che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Un dialogo cuore a cuore, da amico ad amico. Ecco perché la preghiera è tanto importante nel tempo quaresimale. Prima che essere un dovere, essa esprime l’esigenza di corrispondere all’amore di Dio, che sempre ci precede e ci sostiene. Il cristiano, infatti, prega nella consapevolezza di essere indegnamente amato. La preghiera potrà assumere forme diverse, ma ciò che veramente conta agli occhi di Dio è che essa scavi dentro di noi, arrivando a scalfire la durezza del nostro cuore, per convertirlo sempre più a Lui e alla sua volontà”.
Papa Francesco
Messaggio per la Quaresima 2020

P. Romeo Ballan, MCCJ