La parabola dei lavoratori chiamati a diverse ore del giorno a lavorare nella vigna dà l’intonazione tematica alla liturgia della parola di questa domenica. Viene messo in risalto l’iniziativa gratuita e libera di Dio. Questa è rappresentata dalle diverse uscite e chiamate del padrone della vigna, scandite dalle diverse ore del giorno: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio.

Vorrei spegnere l'inferno e... incendiare il paradiso!

“Andate anche voi nella vigna”
Matteo 20,1-16

Oggi iniziamo un ciclo di tre parabole di Gesù sulla vigna: la parabola dei lavoratori presi a giornata per lavorare nella vigna, questa domenica; quella dei due figli inviati a lavorare nella vigna, domenica prossima; ed infine, la parabola dei vignaioli omicidi, la domenica seguente.

1. Bontà scandalosa

La parabola attira la nostra attenzione, prima di tutto, sull'insolito comportamento del padrone della vigna, che va cinque volte in piazza a procurarsi dei lavoratori: alle 6 del mattino, alle 9, a mezzogiorno, alle 3 del pomeriggio e, addirittura, alle 5, un'ora prima della conclusione della giornata di lavoro! Il nucleo del racconto sta proprio nel contrasto tra i lavoratori contrattati all'alba e quelli dell'undicesima ora, che il padrone fa pagare allo stesso modo: un denaro ciascuno, la paga pattuita con i primi. Ma quello che diventa irritante e provocatorio nel comportamento del padrone è il fatto che costui fa aspettare i primi perché siano testimoni della sua generosità verso gli ultimi. Questo, in un primo momento, accresce le aspettative dei primi, ritenendolo un padrone buono e generoso, per poi suscitare la loro protesta, giudicandolo, invece, un padrone ingiusto. Ed è ancora più intrigante la conclusione di Gesù: “Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”. Che strana parabola!

2. Una stoccata alla meritocrazia!

Quasi certamente questa parabola, che troviamo solo nel vangelo di Matteo, ha di mira un certo numero di credenti della prima ora, venuti dal giudaismo, che si ritenevano superiori e con più diritti di quelli dell'ultima ora, i pagani neo-convertiti. Questa situazione della comunità di Matteo non è anacronistica, purtroppo. Anche oggi ci sono di questi “super-cristiani”. E guai a noi preti, se per caso ce li mettiamo contro, perché possono essere proprio tra quelli più volenterosi ed impegnati nella comunità, quelli bravi! Anzi, potremmo essere proprio noi, io e te.

Mi spiego. Per secoli siamo stati educati in una spiritualità della “meritocrazia”! Moltiplicare le buone opere per accumulare meriti in cielo, davanti a Dio, in modo da avere una bella ricompensa in paradiso. Ma la salvezza si ottiene proprio così? Già la prima lettura ci avverte: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”! La salvezza sarà sempre un dono. Non è un diritto acquisito per avere “sopportato il peso della giornata e il caldo” (v. 12); un salario dovuto a chi compie determinate opere.

Ma, se i meriti non possono vantare diritti, perché impegnarsi più di tanto? Perché avrei dovuto entrare io in seminario a dieci anni e farmi missionario? Non sarebbe stato meglio sposarmi e fare una vita “normale” come tutti quanti? Così ragiona chi concepisce il vangelo come un peso, sforzo, fatica, sacrificio e servitù, e non come un colpo di fortuna che ci ha fatto trovare il tesoro nel campo della nostra vita.

3. La vita cristiana vissuta da schiavi, da servi o da figli

La vita cristiana può essere vissuta con tre atteggiamenti e comportamenti diversi: quello dello schiavo che ha paura del castigo, per chi Dio è un giudice; quello del servo che lavora per il salario, per chi Dio è un padrone; e quello del figlio che lavora disinteressatamente, per amore, per chi Dio è un Padre. In realtà, però - e questa è la cosa strana! - il vangelo sembra rivolgersi a queste tre classi di persone con il loro stesso linguaggio e aspettative. Gesù afferma: “Chi dice [al fratello]: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna” (5,22). A Pietro che gli chiede: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” Gesù risponde: “Siederete [con me] su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”. E a quanti abbandoneranno tutto per seguirlo promette il “cento per uno”, e conclude dicendo: “Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi”, che, guarda caso, fa da cornice al vangelo di oggi! (Matteo 19,27-30).

Dio ci vorrebbe tutti figli che lo cercano per amore. Sfortunatamente, tante volte è la paura o l'interesse che ci muovono. E chissà se anche queste motivazioni imperfette servono in certi momenti della vita! E Dio le impiega perché non vuole perdere nessuno dei suoi figli!

È eloquente la testimonianza di una mistica sufi mussulmana del VIII secolo, Rabia di Bassora: “Voglio incendiare il paradiso e spegnere l'inferno perché questi due veli spariscano e i suoi servi Lo adorino senza sperare ricompense e senza temere castighi”.

Per la riflessione personale

- Quale motivazione prevale nel mio rapporto con Dio: la paura, l'interesse o l'amore?
- Cosa risponderesti a questa provocazione di qualcuno: 
“Se il Paradiso non esistesse, tu crederesti ancora in Dio?”
- Medita sulla bella testimonianza di San Paolo, nella seconda lettura di oggi: 
Per me il vivere è Cristo”.

P. Manuel João Pereira, comboniano
Castel d'Azzano (Verona), settembre 2023

Stop agli oziosi! Tutti in Missione!
C’è lavoro per tutti

Isaia 55,6-9; Salmo 144; Filippesi 1,20-24.27; Matteo 20,1-16

Riflessioni
La meritocrazia - oggi in auge - sembra non essere in linea con i criteri di Dio. Nella parabola odierna Gesù presenta l’atteggiamento sconcertante, ‘irrazionale’, provocatorio del padrone della vigna, che paga tutti gli operai allo stesso modo. Ma quale è il messaggio? Il brano di Isaia (I lettura) ci offre una chiave di lettura per capire la parabola di Gesù: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (v. 8). Il salmo responsoriale esalta il Signore che è paziente e misericordioso, buono verso tutti, la cui grandezza non si può misurare. Solo con questi parametri è possibile avvicinarsi al mistero di Dio e delle sue scelte.

Per cogliere il messaggio di Gesù (Vangelo), occorre uscire da una logica sindacale ed economica, lasciare da parte la mentalità del ragioniere e del commercialista, optare per la gratuità, adottare la logica del cuore grande e dell’amore verso tutti, senza esclusioni. Gesù sconvolge la diffusa e ricorrente dottrina del merito, secondo la quale la salvezza diventerebbe un diritto per chi ha “sopportato il peso della giornata e il caldo” (v. 12); un salario dovuto a chi compie determinate opere. E quindi chi più ne compie, più si guadagnerebbe il favore divino. Le mormorazioni contro il padrone (v. 11-12) vengono da persone osservanti ma meschine, invidiose, come il profeta Giona (Gn 4,1-2) o come il figlio maggiore della parabola (Lc 15,29-30), incapaci di comprendere l’amore del Padre; gelosi e indispettiti per l’accoglienza e il perdono accordati al popolo di Ninive e al figlio minore… Spesso siamo noi gli invidiosi della parabola.

Il Regno di Dio e la salvezza che Egli offre hanno le dimensioni missionarie dell’universalità, sono doni aperti a tutti: soprattutto agli ultimi, ai peccatori, agli umili. “Lo stile di Gesù è identico per tutti, giudei e pagani, giusti e peccatori. La vecchia alleanza basata sul diritto e la giustizia è sostituita dalla nuova fondata esclusivamente sulla grazia. Il Regno è un dono di Dio e non un salario per le opere della Legge; la salvezza non è una ricompensa quasi contrattuale, ma è innanzitutto una iniziativa divina fatta di amore e di comunione a cui l’uomo è invitato a partecipare con gioia e senza limitazioni” (G. Ravasi). Compresi i poveri, i derelitti, perché Dio ha cura soprattutto di coloro che nessuno prende a giornata (v. 7); perché anche loro hanno una famiglia e dei figli da mantenere. Dio è un padrone amoroso: accoglie tutti senza rifiutare nessuno, ma è libero di avere le sue preferenze (v. 15). Egli rivela un nuovo stile di rapporti con le persone, una gerarchia sconvolgente, che sovrasta i criteri umani (I lettura). È la gerarchia definitiva del Regno.

Il padrone della vigna è un’immagine di Dio, che chiama tutti a lavorare per il Regno: chiama a tutte le ore, età e condizioni; chiama uno per uno, per compiti diversi… Apprezza anche chi può dare solo un contributo minore, o addirittura minimo. È un padrone dal cuore grande; chiede solo che gli operai si fidino di Lui, lavorino per il suo Regno, per amore, con gratuità. Egli chiama alcuni ad essere operai e missionari della prima ora: li associa fin dal mattino al lavoro per il Regno. Nell’orazione colletta, chiediamo al Padre di comprendere “l’impagabile onore di lavorare nella vigna fin dal mattino”. Per chi è entrato nella logica dell’amore, del servizio e della gratuità, il peso della giornata e il caldo non sono un castigo, ma un privilegio. La Missione a cui Gesù chiama è molteplice nelle forme; è in ogni luogo, sempre, soprattutto fra i più lontani, accanto agli ultimi. “Oggi c’è ancora moltissima gente che non conosce Gesù Cristo. Rimane perciò di grande urgenza la missione ad gentes, a cui tutti i membri della Chiesa sono chiamati a partecipare” (Papa Francesco). Così lo aveva capito San Paolo (II lettura), per il quale “il vivere è Cristo” (v. 21), e quindi era deciso a essere di aiuto a tutti (v. 24).

Andate anche voi nella vigna” (Mt 20,4): è l’invito-comando missionario di un Padrone che ha preoccupazioni grandi, progetti urgenti, perché «la messe è molta, ma gli operai sono pochi» (Mt 9,37). La chiamata non riguarda soltanto i vescovi, i sacerdoti, le religiose e i religiosi, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. Si tratta di un appello di attualità nell’imminenza dell’ottobre missionario e della Giornata Missionaria Mondiale. (*)

Parola del Papa

(*) “In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da covid 19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?» (ibid.). Questa chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale… In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da se stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé”.
Papa Francesco
Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, ottobre 2020

P. Romeo Ballan, MCCJ

L’economia di Dio

La paga giornaliera di un operaio al tempo dei Vangeli era di un denaro, e questo corrispondeva al fabbisogno di un padre di famiglia perché i suoi figli avessero di che vivere. Essere presi a giornata da un padrone non era un optional, ma una questione vitale. Se leggiamo in questa luce la parabola dei lavoratori nella vigna presi nelle diverse ore, allora intendiamo meglio la scelta del padrone: lui non conta le ore ma la necessità di questi uomini, e non lascia senza pane le loro famiglie.

Infatti è illuminante il dialogo fra il padrone e gli operai delle cinque del pomeriggio, in cui l’indagine sul motivo del loro ozio si risolve nella risposta: «Nessuno ci ha presi a giornata». Questo è il vero motivo del vuoto umano: quando la vita è tenuta in ostaggio dal nulla, quando non c’è quel Qualcuno che solo sa dare pienezza. Così possiamo guardare a tante persone, soprattutto giovani, che sono nel loop dell’inconsistenza.

Il padrone non ha una mentalità economica. Questa è una parabola sul Regno dei Cieli, non è un sistema aziendale da yuppies degli anni ’80. Proviamo a pensare a qualcuno a cui vogliamo bene che solo alla fine della vita trova la strada della fede, fosse anche l’ultimissimo tratto della sua esistenza: l’amore ci porta a desiderare di arrivare insieme alla stessa méta, alla stessa paga, ritrovandoci uniti nel Cielo alla fine della nostra giornata su questa terra.

È questa la logica del padrone. Questa è l’economia di Dio. E c’è ancora da dire che gli operai della prima ora, anche se brontolano, hanno invece passato un giorno intero pensando: “è fatta, oggi ho trovato il pane!”.

Che sorte benedetta è lavorare nella vigna! Che grazia poter spendere quanto più tempo possibile nel compito che il Signore ci assegna! Egli è quel Qualcuno che ci ha “presi”, non ci ha lasciati senza pane, e quando capiamo quale grazia sia “lavorare” per Lui, viviamo in una fatica felice, e non possiamo che sperare che tutti i “disoccupati” di ogni tipo trovino la Sua paga generosa.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]

Chi ama non è invidioso

Isaia 55,6-9; Salmo 144/145; Filippesi 1,20c-27; Matteo 20,1-16

La parabola dei lavoratori chiamati a diverse ore del giorno a lavorare nella vigna dà l’intonazione tematica alla liturgia della parola di questa domenica. Viene messo in risalto l’iniziativa gratuita e libera di Dio. Questa è rappresentata dalle diverse uscite e chiamate del padrone della vigna, scandite dalle diverse ore del giorno: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio. La constatazione più immediata è il fatto che il padrone dà a tutti la stessa paga, anche agli ultimi. Una sola ora di lavoro non merita normalmente la stessa paga di un’intera giornata. Il racconto parabolico di Matteo propone in modo esplicito il confronto tra il principio della giustizia retributiva e il nuovo criterio della bontà di Dio. In verità si tratta della proclamazione della misericordia di Dio, la proclamazione della grazia. È questa la novità sconvolgente del vangelo.

Allo stile di agire di Dio, che obbedisce ad una logica diversa da quella umana, rimanda anche il brano della prima lettura. I suoi pensieri non sono i nostri pensieri, e le sue vie non sono le nostre. Questo tema ha un prolungamento nel salmo responsoriale, dove risuona una grande professione di fede: “Paziente e misericordioso è il Signore, la sua tenerezza si estende su tutte le creature”. Siamo così invitati a metterci in sintonia con lui, per capire meglio il suo progetto e vivere secondo il suo cuore.

Il brano di Paolo nella seconda lettura non si lascia integrare in questa tematica. Egli, invece, comunica ai Filippesi la sua gioia di appartenere a Cristo e di essere suo testimone. Sia che muoia, sia che continui a vivere, Cristo costituisce per Paolo il senso ultimo ed assoluto. Egli dice con un’espressione forte: “per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno”. Nel primo caso si predica il vangelo di Cristo, e nel secondo ci si unisce a lui.

La parabola di questa domenica richiede molta attenzione. Il suo tema centrale sembra costituito dalla chiamata: Dio chiama a lavorare nella sua vigna che è il mondo, per il suo Regno, ad ogni ora, quando e come crede. Presto o tardi non importa, l’importante è essere pronti a rispondere. L’essere chiamati a servizio del Cristo è una grazia. Non esiste un primato di anzianità nella Chiesa. Gli operai della undicesima ora possono essere considerati da Dio allo stesso modo (e perfino meglio) di quelli della prima. Ognuno ha la sua ora, ed è fondamentale afferrare la propria occasione. Non è questione di anni di servizio, ma di intensità, di disponibilità. Dio è un padrone insolito, per lui è sempre ora. Nei rapporti con Lui, bisogna solo fidarsi, ed evitare di mercanteggiare. Chi mercanteggia mette al primo posto la propria opera. Piuttosto, il vero operaio, secondo il cuore di Dio, trova la propria gioia nel poter lavorare per il Regno. Il modo di agire di Dio corrisponde ad un altro criterio di giustizia che va oltre quella del diritto-dovere.

Il versetto: “Molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti” suggerisce che vi è sempre la possibilità del rifiuto anche per chi è stato chiamato alla prima ora e ha lavorato nella vigna del signore un’intera giornata o vita. Lo conferma il “Prendi il tuo e vattene” del versetto 14. Si può quindi perdere la salvezza a causa di autosufficienza e ribellione, anche all’ultima ora dopo aver lavorato un’intera vita.

Non si deve essere invidiosi vedendo come Dio elargisce i suoi doni secondo la sua generosità o bontà, e secondo il suo gratuito disegno di salvezza, al di là da ogni merito. Nessuno ha meriti da vantare, ma solo motivo per lodare la misericordia di Dio.
Don Joseph Ndoum