Sabato 21 giugno 2025
Tra le centinaia di migliaia di vittime civili della guerra in Sudan, si registra anche la morte del primo sacerdote cattolico. Si tratta di don Luka Jumu, parroco di El Fasher, la capitale del Darfur Settentrionale, ultimo avamposto dell’esercito sudanese nella vasta regione occidentale, sotto assedio da parte delle milizie Forze di supporto rapido (RSF). [Nigrizia]

Padre Jumu, 55 anni, è stato gravementeferito dall’esplosione di un ordigno nella casa in cui alloggiava la notte del 13 giugno durante l’ennesimo attacco delle RSF alla città. L’esplosione ha ucciso anche due giovani le cui generalità non sono state rese note.

Il primo a darne notizia è stato il vescovo di El Obeid, Yunan Tombe Trille. “Padre Luke Jumu ha due gambe rotte ed è ricoverato in un ospedale militare”, scriveva, aggiungendo che “non c’è modo di farlo uscire dalla città di El Fasher, assediata da quasi due anni”. Poi, qualche ora dopo, la notizia del decesso. “Con profondo dolore, vi informo che questa mattina abbiamo ricevuto la notizia della scomparsa del carissimo padre Luke Jumu, parroco di Nostra Signora Aiuto dei Cristiani a El Fasher, nel Darfur. Che la sua anima riposi in pace”.

“La città rimane circondata, nonostante le Nazioni Unite abbiano chiesto l’ingresso degli aiuti umanitari, che le milizie hanno rifiutato”, hanno riferito fonti sul posto contattate dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), coperte da anonimato per motivi di sicurezza. “Negli ultimi mesi, i bombardamenti e gli attacchi delle milizie si sono intensificati”, ma “non crediamo che (il sacerdote) fosse l’obiettivo designato”, hanno aggiunto. I testimoni locali hanno anche dichiarato che da gennaio stavano cercando di aiutare padre Jomo a lasciare la città, “ma era impossibile fuggire a causa del completo accerchiamento da parte delle milizie”.

Situazione umanitaria al collasso in Ciad

Centinaia di migliaia sono invece le persone in fuga dagli attacchi nei dintorni di El Fasher, in particolare dai campi per sfollati di Zamzam e Abou Shouk, ripetutamente bombardati e rasi al suolo dalle RSF a partire dallo scorso aprile. Una marea di disperati che ha cercato rifugio oltreconfine, in Ciad, dove ora la situazione umanitaria è sull’orlo del collasso.

È di pochi giorni fa l’appello dell’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) che parla di 1,5 milioni di persone che hanno urgente bisogno di acqua pulita, essenziale per sopravvivere in quelle zone desertiche e per evitare la diffusione del colera, che già ha colpito 13 stati del Sudan, tra cui il Darfur Settentrionale e Meridionale che confinano con il Ciad, con 1.854 morti.

Dall’inizio del conflitto, avverte OCHA, oltre 850mila rifugiati sudanesi sono fuggiti in Ciad, aggiungendosi ai 400mila già presenti. In media, 740 persone hanno attraversato il confine ogni giorno dall’inizio di giugno. Attualmente – prosegue l’agenzia dell’ONU – quasi 300mila persone sono bloccate al confine, molte delle quali dormono all’addiaccio senza riparo, acqua pulita o assistenza medica. Un’emergenza colossale che vede però le Nazioni Unite e 65 partner umanitari a corto di risorse. Dei 1,4 miliardi di dollari necessari per rispondere alla crisi, finora è stato incassato solo il 9,3%.

El Obeid sotto assedio

La situazione è difficile anche a El Obeid, capitale del Kordofan Settentrionale. Anche lì dal 2024 l’esercito è assediato dalle RSF. Dall’inizio della guerra, molte persone hanno cercato rifugio nei complessi religiosi e la Chiesa in Sudan non ha praticamente risorse, ha fatto sapere ad ACS lo scorso gennaio il vescovo Yunan Tombe, unico prelato rimasto nella diocesi assieme a tre preti diocesani.

Nel luglio dello scorso anno, infatti, l’avanzata delle RSF aveva costretto il superiore provinciale dei missionari comboniani, padre Diego Dalle Carbonare, a decidere il trasferimento a Kosti dei confratelli e consorelle rimaste. A novembre poi, lo stesso vescovo e un diacono che lo accompagnava avevano subito una violenta aggressione da parte di uomini delle RSF.

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