Sabato 4 ottobre 2025
Da sempre l’oro ha rappresentato un bene rifugio per gli investitori, soprattutto in periodi di incertezza economica e geopolitica come quello che stiamo attraversando. È questo il motivo per cui, nei giorni scorsi l’oro ha toccato un massimo di oltre 3.659 dollari l’oncia. Il suo prezzo ha infatti guadagnato il 40 per cento da inizio anno, dopo il 27 per cento del 2024. [...]

Da sempre l’oro ha rappresentato un bene rifugio per gli investitori, soprattutto in periodi di incertezza economica e geopolitica come quello che stiamo attraversando. È questo il motivo per cui, nei giorni scorsi l’oro ha toccato un massimo di oltre 3.659 dollari l’oncia. Il suo prezzo ha infatti guadagnato il 40 per cento da inizio anno, dopo il 27 per cento del 2024. Viene pertanto spontaneo domandarsi se l’attuale congiuntura possa favorire l’Africa che, secondo il World Gold Council, 2024 contribuisce a circa un quarto della produzione globale.

L’oro in Africa è una risorsa estremamente preziosa, ma il suo sfruttamento offre un mix complesso di vantaggi e svantaggi. Molti Paesi che vantano giacimenti auriferi ottengono benefici reali, anche se poi sono spesso disomogenei, limitati, e accompagnati da costi economici, sociali e ambientali.

L’estrazione dell’oro attira su larga scala società minerarie straniere in Africa, sia multinazionali che imprese più piccole. D’altronde, le riserve sono spesso abbondanti, i costi della manodopera relativamente bassi, inoltre le normative in alcuni casi favoriscono investimenti esteri. Paesi come Ghana, Mali, Mauritania, Burkina Faso, Sud Africa, Sudan e Tanzania, sono fra i più importanti produttori.

Dal punto di vista economico, l’industria aurifera contribuisce in modo rilevante al Pil, alle esportazioni, alla creazione di posti di lavoro, e alle entrate statali attraverso royalties e tasse. Ad esempio, in Ghana le esportazioni d’oro rappresentano una parte consistente delle entrate per valuta estera; nel 2022-2023 il settore minerario ha contribuito per miliardi di dollari all’economia del Paese, con il settore dell’oro che si è rivelato uno dei pilastri per le esportazioni. In Burkina Faso, l’oro è una delle principali voci di esportazione, con decine di attività minerarie, sia industriali sia artigianali, che generano entrate per il governo. Questo, in sostanza, significa che, quando il prezzo dell’oro sale, questi Stati possono ottenere un’iniezione significativa di risorse che possono (in teoria) essere usate per infrastrutture, salute, istruzione.

A questo punto viene spontaneo domandarsi fino a che punto questi introiti si traducano effettivamente in benessere diffuso. Purtroppo, spesso, gran parte del profitto finisce, come capita peraltro con molte materie prime, fuori dai confini del Paese: società straniere incassano profitti, utilizzando i meccanismi dei cosiddetti flussi finanziari illeciti su cui abbiamo scritto abbondantemente nella nostra rubrica settimanale Hic sunt Leones. Uno dei problemi principali è che gran parte dell’oro africano entra nei mercati globali senza un’origine verificata. I grandi player internazionali e le principali borse dell’oro potrebbero imporre standard di tracciabilità obbligatori, simili a quelli dei “conflict minerals” (come nel caso dei diamanti). Da rilevare che la maggior parte dell’oro africano — sia legale che illecito — passa per Emirati Arabi Uniti (Uae), Turchia e Svizzera. Organismi internazionali come la Financial Action Task Force (Fatf) e l’Ocse, dovrebbero chiedere a questi Paesi di rafforzare i controlli doganali e finanziari, verificare le rotte d’importazione, e imporre maggiore trasparenza alle raffinerie. Il caso degli Uae, per esempio, è emblematico: secondo l’Onu, nel 2022 circa il 40 per cento dell’oro africano esportato verso Dubai non era dichiarato nei registri ufficiali dei Paesi d’origine.

Inoltre, le condizioni contrattuali — royalties, partecipazione statali, dazi sull’esportazione — variano molto, e spesso sono favorevoli alle imprese rispetto ai governi locali, specialmente in Paesi con poca capacità negoziale o instabilità politica.

Un altro limite è legato all’estrazione su piccola scala e all’attività mineraria informale (“artisanal gold mining”, o l’oro estratto in modo artigianale). Essa è spesso meno regolamentata, può causare danni ambientali gravi (inquinamento dei corsi d’acqua, uso di mercurio, deforestazione), perdita di terreni agricoli, problemi di salute per le comunità autoctone. In Ghana, ad esempio, l’attività illegale di estrazione (il fenomeno chiamato “galamsey”) è causa di perdita di entrate fiscali per miliardi di dollari, inquinamento dei fiumi, danneggiamento dei terreni agricoli.

In Burkina Faso, l’oro rappresenta circa il 74,6 per cento delle esportazioni nazionali, per un valore di oltre 2.394 miliardi di franchi Cfa, ma almeno 10,8 tonnellate della produzione provengono da canali artigianali informali che sfuggono al controllo fiscale. In Mali, il governo ha cercato di trattenere più valore attraverso un nuovo codice minerario che ha portato le entrate statali dal settore a 835 miliardi di franchi Cfa nel 2024, ma il Paese resta vulnerabile: nello stesso anno la produzione industriale d’oro è calata del 23 per cento e persistono conflitti con società straniere come Barrick Gold su tasse e profitti.

In Sudan, nonostante la guerra civile in corso, invece, si stima che la produzione aurifera totale superi le 80 tonnellate annue, per un valore potenziale di oltre 6 miliardi di dollari, ma solo circa la metà passa attraverso i canali ufficiali: nel 2024, le esportazioni legali hanno generato 1,57 miliardi di dollari mentre il resto viene disperso in reti di contrabbando alimentate dall’instabilità politica e dal conflitto.

Governance e trasparenza sono dunque cruciali: quando le norme statali, le capacità di controllo, la regolamentazione ambientale e sociale sono deboli, i costi superano i benefici per larga parte della popolazione. Uno studio basato su immagini satellitari, che ha esaminato l’effetto locale delle miniere su scala decennale per molti Paesi, evidenzia che l’apertura di miniere può accelerare lo sviluppo urbano locale, ma solo nei Paesi dove c’è una democrazia relativamente stabile, mentre in Stati autocratici o con governance debole tali benefici sono molto più contenuti.

Negli ultimi tempi si vedono tentativi concreti da parte di governi africani di aumentare la quota di valore che rimane nei Paesi produttori: regolamentazioni che impongono una frazione di raffinazione locale dell’oro (esportarlo sotto forma grezza costa più che trasformarlo localmente), maggiore trattenimento delle risorse auree nelle riserve nazionali, lotta al contrabbando, revisione dei codici minerari per aumentare le royalties o la partecipazione statale. Ad esempio, il Ghana ha lanciato una task force per ridurre il contrabbando di oro, istituendo il GoldBod per la centralizzazione del commercio di oro, con l’obiettivo di trattenere più valuta estera e più valore nel Paese. In Tanzania, sono state introdotte regole che richiedono che una certa parte dell’oro estratto sia raffinata localmente.

Tuttavia, rimane il nodo della distribuzione locale: nelle aree vicine alle miniere, oggi gli effetti positivi — come lavoro, sviluppo infrastrutturale (strade, elettricità, scuole, cliniche) — possono essere percepiti, ma non sempre sufficientemente. Spesso le comunità lamentano inadeguatezza del compenso per l’uso delle terre, danni ambientali non riparati, mancata partecipazione nei guadagni. Le infrastrutture costruite sono talvolta focalizzate sull’estrazione e meno su servizi per la popolazione, e la salute e la qualità ambientale possono essere sacrificate.

Ciò che dunque deve essere chiaro è che il metallo nobile di cui abbiamo finora parlato, il cui prezzo nell’attuale congiuntura economica è salito alle stelle, in Africa genera un business che attira capitale estero, crea esportazioni, posti di lavoro e possibilità di sviluppo. Al contempo, però produce anche problemi di equità, sostenibilità e sovranità economica. Il grado in cui questo si traduce in benessere reale per la maggioranza della popolazione dipende molto dalle politiche nazionali. Da quanto, cioè, gli Stati riescono a negoziare per ottenere contratti favorevoli, a imporre norme ambientali e sociali efficaci, a trattenere valore (raffinazione, tasse, royalties, partecipazione) e a stabilire servizi per le aree che ospitano le attività estrattive. Una cosa è certa: l’oro è una risorsa preziosa per l’Africa, ma alla prova dei fatti il suo business avvantaggia ancora oggi le imprese straniere e questo è sintomatico della necessità di rivedere le regole del commercio internazionale.

P. Giulio Albanese – L’Osservatore Romano