Domenica 28 ottobre 2018
P. Carmelo Casile, comboniano, ha fatto una ricerca sulla “Spiritualità del servizio” nel Concilio Vaticano II. È una ricerca che percorre più o mento tutti i Documenti del Concilio alla luce del tema del «servizio». “La «spiritualità del servizio» che il Concilio propone a tutti i membri della Chiesa – scrive P. Carmelo –, è certamente l’antidoto più efficace contro ogni tipo di clericalismo e autoreferenzialità, e una spinta efficace verso una ministerialità sempre più creativa secondo i bisogni della missione oggi”. Può sembrare fuori tempo, ma forse ogni tanto ci fa bene guardare più da vicino la sorgente delle motivazioni che animano il cammino missionario di tutta la Famiglia Comboniana. Infatti padre Carmelo riflette tra l’altro sul “servizio della Vita Consacrata” e sul “servizio nella Regola di Vita dei Missionari Comboniani”, tenendo presente il contesto attuale della vita della Chiesa e del nostro Istituto nel mondo odierno.

LA SPIRITUALITÀ DEL «SERVIZIO» NEL CONCILIO VATICANO II

Antidoto contro il clericalismo, impulso al servizio missionario,
sorgente di ministerialità

P. Carmelo Casile

Sommario

Introduzione
1.
Esiste una «legge del servizio» che è universale
2. L’uomo «a servizio» dell’uomo
3. L’ordine socio-temporale a servizio dell’uomo
4. Peculiarità e necessità del servizio della Chiesa all’uomo
5. Il servizio di tutto il Popolo di Dio
6. Il servizio della Gerarchia
7. Il sevizio laicale
8. Il campo del servizio laicale
9. A servizio di Cristo e da Lui a servizio di Dio: Carattere soprannaturale del sevizio del Popolo di Dio
10. Lo “spirito di servizio”
Sintesi generale
11
. Il servizio della Vita Consacrata
12. Il servizio nella Regola di Vita dei MCCJ

13. Preghiera del missionario-servo.

P. Maciek ZieliƄski, comboniano polacco, in Uganda

INTRODUZIONE

La presente ricerca sulla spiritualità del «servizio» nel Concilio Vaticano II risale agli anni del mio servizio nel Noviziato di Santarém/Portogallo (1972-1982). Ho ripreso gli appunti durante la scorsa estate, pensando che potessero essere ancora utili per la rivisitazione della Regola di Vita in generale e per la Formazione Permanente in particolare; ma mentre andavo traducendo dal portoghese, mi sono accorto che forse sono anche molto attuali. Tale pensiero mi è venuto alla mente riflettendo sugli avvenimenti degli ultimi tempi concernenti “gli abusi nella Chiesa”. Papa Francesco, infatti, vede la radice di essi nel clericalismo, che « nasce da una visione elitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla, o fa finta di ascoltare. Il clericalismo è una perversione ed è radice di tanti mali nella Chiesa: di essi dobbiamo chiedere umilmente perdono e soprattutto creare le condizioni perché non si ripetano» (Discorso all’avvio dei lavori del Sinodo dei giovani 3 / 10 / ’18). [Uno studio indipendente commissionato dalla Conferenza episcopale tedesca definisce il clericalismo come “un sistema autoritario in cui il sacerdote può assumere un atteggiamento autoritario di dominanza nell’interazione con persone non consacrate, dato che la sua funzione e la sua consacrazione lo mettono in una situazione di superiorità”.]

Papa Francesco stesso nota in un discorso rivolto a circa 130 nuovi Vescovi missionari che l’infezione di questo virus provoca in chi è raggiunto una voragine spirituale, che permette scandalose debolezze, che a loro volta alimentano il vuoto esistenziale.

Ma il clericalismo non è un virus esclusivo della Gerarchia della Chiesa, esso si può annidare e può inquinare il cuore di ogni battezzato, sia egli Laico o Religioso. Non mancano, infatti, Laici e Religiosi che, come taluni Presbiteri, interpretano il loro ministero come un esercizio di potere, che conferisce loro prestigio, e non come un servizio gratuito e generoso.

La «spiritualità del servizio» che il Concilio propone a tutti i membri della Chiesa, è certamente l’antidoto più efficace contro ogni tipo di clericalismo e autoreferenzialità, e una spinta efficace verso una ministerialità sempre più creativa secondo i bisogni della missione oggi.

Scopo della ricerca è offrire uno stimolo a chi desideri scoprire come questa spiritualità conciliare è presente e innerva anche la Vita Consacrata nata dal Concilio Vaticano II e che per noi Comboniani è Vita Consacrata missionaria-religiosa.

Sarà un percorso lungo che richiede pazienza, ma sono convinto che vale la pena percorrerlo fino alla fine: forse troveremo un “il filo d’oro” che unisce i vari temi della nostra Regola di Vita.

Nell’intraprendere tale percorso, ci è di aiuto la consapevolezza che nel tempo nel quale stiamo vivendo, nonostante tante contraddizioni, la presenza dell’uomo nella società, le sue relazioni interindividuali, sono viste come «servizio». L’uomo di oggi vede nel «servizio» l’espressione della razionale inserzione nella società, della sua subordinazione alle mete e ai fini della comunità a cui appartiene. È un «servizio» che significa accettazione di certi ordinamenti sociali e la ricerca delle mete comuni delle varie comunità, tanto delle minori quanto della nazione, dello Stato, o di tutta la famiglia umana.

La concezione della vita come «servizio» è fondamentale anche nel cristianesimo e i cristiani di oggi siamo chiamati a viverla con particolare intensità e in tutte le sue dimensioni, come risposta originale a uno dei più caratteristici segni del nostro tempo.

Il «servizio» cristiano sarà originale nella misura in cui contribuisce alla realizzazione delle aspirazioni dell’uomo di oggi e nello stesso tempo gli mostra il cammino per comprendere il senso ultimo del servizio e così possa vincere le angustie che lo opprimono e le ambiguità che lo disorientano nelle sue relazioni interindividuali e diminuiscono la sua capacità di «servizio» in modo autentico, cioè disinteressatamente e per amore.

La Chiesa nel Concilio Vaticano II prese coscienza del fatto che è «un mistero di comunione» e «sacramento universale di salvezza». In conseguenza di ciò, fu riscoperta la dottrina sulla spiritualità del servizio, che si può considerare uno dei frutti caratteristici del Concilio Vaticano II.

La concezione della vita e dell’apostolato della Chiesa come «servizio» fu adottata dal Vaticano II, facendo di essa vastissimo uso per chiarire sia la posizione, la funzione e l’attitudine della Gerarchia in relazione al Popolo di Dio, sia la posizione, la funzione e il comportamento di tutti i membri della Chiesa tra di loro e in relazione all’intera famiglia umana. Questa posizione presa dal Concilio merita tutta l’attenzione e non può rimanere insabbiata, giacche la sua importanza è estrema, sia per la vita interna della Chiesa, sia per la realizzazione della sua missione nel mondo di oggi.

Nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, il dovere di tutti è il «servizio», che garantisce la dignità e l’uguaglianza di tutti davanti al Capo, che è Gesù Cristo Signore, e nello stesso tempo permette la necessaria distinzione o esercizio di funzioni in vista della costituzione di questo stesso Corpo, le cui dimensioni non conoscono limiti o barriere (LG 32).

Per introdurci in questo visione della vita e dell’apostolato della Chiesa come «servizio», è utile chiarire il termine «servizio» secondo il pensiero biblico che è quello adottato dal Concilio stesso.

a) Servire – servo – servizio

Servire” è una parola latina che indica l’essere a disposizione di qualcuno.

Servus era lo schiavo (da sclavus, cioè senza le chiavi di casa); poi, pian piano, è diventato anche sinonimo di “domestico” (da domus, casa) o anche “maggiordomo”(da major in domo, cioè colui che presiede alla vita della casa.

In poche parole, servire è sempre stato un sinonimo di sudditanza, più o meno sofferta ma sudditanza (Don Romano Nicolini).

A volte queste parole hanno anche nella Bibbia un significato analogo a quello di schiavo, schiavitù (Gal 5,13; Ef 6,5-8). In questi casi si allude a lavori e situazioni particolarmente duri tipici del mondo antico.

Caratteristico della Bibbia, però, è il senso religioso dato a questi termini. Servire Dio è obbedirgli, essergli fedeli, tributargli il culto, adorarlo (Gs 24,14-22). Servire gli uomini è considerarli come fratelli ed essere disponibili per loro, è mettersi sempre a loro livello, condividere i loro problemi e aiutarli a superarli. Gesù Cristo si presentò come supremo modello di servizio (Mt 20,28; Gv 13,12-16; Fil 2, 6-11), sottolineando inoltre che serviremo bene Dio solo se serviamo gli uomini con totale disinteresse e dedizione.

Servo di Dio è un titolo che la Bibbia dà a personaggi che hanno un rapporto particolare con Dio: patriarchi, capi del popolo, profeti, sacerdoti, re; anche a personaggi non israeliti come Nabucodònosor o Ciro. In modo particole tutto il popolo di Israele è denominato servo di Dio (Is 41,8; 44,21). Vi sono soprattutto quattro poemi del Deuteroisaia che hanno come protagonista un misterioso servo del Signore (Is 42, 1-7; 49,1-7; 50,4-9; 52,13-53,12). Chi è questo servo? Un personaggio concreto del passato o del futuro?. In ogni caso, la comunità cristiana riconobbe nei tratti di questo servo una prefigurazione di Gesù di Nazaret (Mt 12,15-21; At 3,13.26).

b) Ministero – ministri – ministerialità

Con i termini “servire, servizio, servo” sono collegati i termini “ministero, ministro, ministerialità”.

Con queste voci la Bibbia allude qualche volta alla persona che esercita una funzione pubblica, oppure alla funzione stessa. In questo senso si potrebbero usare vocaboli più o meno equivalenti, come: cortigiano, funzionario, eunuco (Gn 39,1; 45,6; Es 7,10; Est 1,10; At 8,28). Tutte queste parole si riferiscono all'idea di servizio; per indicare un servizio di predominante carattere religioso è preferibile usare ministero (At 1,17-25; 2 Cor 6,3-4), mentre le persone che lo esercitano in una comunità come responsabili e animatori sono generalmente dette ministri (Is 61,6; Gl 1,9; 2 Cor 11,23). Nelle primitive comunità cristiane esisteva una grande pluralità di servizi e ministeri, che si adattavano alle necessità di ogni epoca (1Cor 12,4-30; 1Tim 3, 8-13; 5,17-19). Questa ampia gamma di servizi o ministeri costituisce la ministerialità della Chiesa.

La Chiesa del Concilio Vaticano II ha avvertito la necessità e l'urgenza di riscoprire il pluralismo delle forme ministeriali, di cui era ricca e che per vari motivi erano cadute in oblio. La Chiesa si riscopre così tutta ministeriale, popolo sacerdotale, che esercita i ministeri in forza del sacerdozio battesimale-cresimale (cfr. Lumen Gentium 10). Nella Chiesa-comunione, tratteggiata dal Concilio, ogni “pietra vivente” concorre con il suo “specifico” alla costruzione del Regno di Dio già a partire da questa terra.

La ministerialità, per tanto, altro non è che la risposta ad una grazia particolare che ogni cristiano riceve per esercitare il suo servizio-ministero nella comunità: “A ciascuno di noi è stata data la grazia, secondo la misura del dono di Cristo” (Ef 4, 7).

Per noi Comboniani la grazia-ministero a cui siamo chiamati a rispondere nella Chiesa-comunione è l’evangelizzazione, assunta con radicalità sull’esempio di san D. Comboni, fino a divenire la ragione della nostra vita (cfr. RdV 2-5; 56).

In questa prospettiva, i partecipanti al 1500 Anniversario dell’Istituto, nel “Messaggio conclusivo ai confratelli”, sul tema della ministerilità annotano: «I nuovi contesti sociali ci invitano con urgenza a rivedere la nostra ministerialità. Oggi abbiamo bisogno di essere meglio qualificati in diversi campi dell’evangelizzazione, lavorando in equipe con tutti i soggetti della famiglia comboniana e della chiesa locale. La ministerilità non basta se non è fondata sulla passione di Cristo per l’umanità» (Roma 26 maggio – 1 giugno 2017).

Missionari comboniani a Roma.

1.

ESISTE UNA «LEGGE DEL SERVIZIO» CHE È UNIVERSALE

Non è difficile convincerci dell’esistenza di questa legge, quando constatiamo che l’interscambio tra gli esseri che ci circondano, tra noi e gli altri essere tutti, è una legge costitutiva del nostro mondo.

Ogni essere esistente, dal più semplice al più strutturato, è legato agli altri esseri, è armoniosamente integrato con tutti essi, condiziona, e a sua volta è condizionato. Esistere è un “esistere con”, è un “co-esistere”, è un “esistere per”, è un “reciproco trasformarsi” gli un per mezzo degli altri.

A livello umano questa trasformazione reciproca si verifica attraverso l’«incontro», che costituisce la prima forma di servizio. L’uomo è chiamato a realizzare questo «incontro-servizio» con le persone e con le realtà terrestri.

In ogni persona umana è inscritta la vocazione all’«incontro-servizio» con le altre persone. In ogni incontro con l’altro si verifica in me un’attitudine ricettiva: è la fase del ricevere dagli altri, di essere servito dall’altro: qualcosa del mio essere che era rimasto fino ad ora quasi latente, addormentato, è adesso spinto e forzato ad emergere per mezzo dello stimolo dell’irruzione dell’atro in me. Tutte le volte che mi avvicino all’altro e stabilisco con lui una relazione umana, il mio essere fa un passo in avanti, «si trasforma», diventa più nella linea di ciò che deve essere.

In ogni incontro con l’altro si verifica in me anche un’attitudine oblativa, che è la fase del dare, del servire: qualcosa che nell’altro esisteva come semplice disposizione, come capacità di divenire, arriva alla sua maturazione e attuazione sollecitato dall’incontro con me: idee, decisioni importanti, progresso nella cultura, ecc., forse mai sarebbero apparsi nell’altro se non si fosse incontrato con me, con te, con un insegnante, ecc…

Ecco come ogni essere umano dà e riceve, serve ed è servito. L’attitudine dell’autosufficienza è assurda, così come è assurda l’attitudine di Caino: “Non so niente di lui. Sono forse io il custode di mio fratello?”.

In ogni essere umano è iscritta anche la vocazione all’incontro con le cose, con le realtà terrestri. Anche in questo incontro si verifica in me una fase ricettiva per mezzo della quale sono servito: l’aria, la luce, lo studio, il lavoro, l’arte, la cultura, e tutte le altre realtà, operano una continua trasformazione del mio essere, sviluppando le mie facoltà ed estraendo dalla mia interiorità energie, emozioni e lo stesso agire.

Ogni incontro con le cose è un «servizio» che ricevo da parte di esse e rende possibile la mia crescita come persona.

Nel mio incontro con le cose si verifica anche  un’attitudine attiva e oblativa: è la fase creativa di trasformare, di governare le realtà terrestri, imprimendo loro una finalità e un senso, avendo come mèta il bene dell’umanità e mio personale.

Ogni persona umana è chiamata a questo incontro con le realtà terrestri e costituisce il fondamento della missione degli uomini tutti e di ogni cristiano nel mondo di oggi.

Fr. Romero Arias Hernán, comboniano, in Sud Sudan.

2.
L’UOMO «A SERVIZIO» DELL’UOMO

La dinamica dell’incontro-servizio che presiede alle relazioni interindividuali, è presa dal Concilio Vaticano II come punto di partenza per la sua concezione della vita come servizio.

2.1 Anzitutto c’è un servizio che l’uomo deve prestare alla comunità umana:

«Bisogna stimolare la volontà di tutti ad assumersi la propria parte nelle comuni imprese. È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe degli affari pubblici, in una autentica libertà» (GS 31,2).

Tutti devono servire nelle istituzioni e per il bene comune a livello nazionale e internazionale: «Immenso è il campo di apostolato che si apre nell'ordine nazionale e internazionale, dove sono specialmente i laici a essere ministri della sapienza cristiana» (AA 14,1).

Per questo hanno il dovere di mettersi a servizio della comunità, senza fare distinzione di persone: «La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana» (GS 21,6).

2.2 La comunità coniugale è una realizzazione di mutuo servizio:

«L'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale “ non sono più due, ma una sola carne “ (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono» (GS 48,2).

2.3 Servizio e attività educativa

L’attività educativa è uno dei servizi più nobili e necessari alla comunità umana: «Ci tiene il sacro Sinodo a dichiarare che il ministero di questi maestri è autentico apostolato, sommamente conveniente e necessario anche nei nostri tempi, ed è insieme reale servizio reso alla società» (GE = Gravissimum Educationis, 8,3).

«I fedeli si applichino con particolare cura all'educazione dei fanciulli e dei giovani nei vari ordini di scuole, che vanno considerate non semplicemente come un mezzo privilegiato per la formazione e lo sviluppo della gioventù cristiana, ma insieme come un servizio di primaria importanza per gli uomini e specialmente per le nazioni in via di sviluppo, in ordine all'elevazione della dignità umana ed alla preparazione di condizioni più umane» (AG 12,2).

2.4 Vocazione umana e lavoro

Il lavoro è veicolo indispensabile per la realizzazione della vocazione dell’uomo all’incontro-servizio con gli altri uomini e con le altre realtà terrestri. Per mezzo di esso l’uomo realizza la sua vocazione, servendo gli altri, scoprendo la finalità delle cose e dando loro un senso, completando l’opera della creazione in comunione con il suo Creatore: «Gli uomini e le donne, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro in modo tale da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che con il loro lavoro essi prolungano l'opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia» (GS 34,3).

«L'uomo quando coltiva la terra col lavoro delle sue braccia o con l'aiuto della tecnica, affinché essa produca frutto e diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana, e quando partecipa consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua il disegno di Dio, manifestato all'inizio dei tempi, di assoggettare la terra e di perfezionare la creazione, e coltiva se stesso; nel medesimo tempo mette in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli» (GS 57,2).

«Il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento.

Tale lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente sia per contratto con un imprenditore, procede direttamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente al sostentamento proprio e dei suoi familiari, comunica con gli altri, rende un servizio agli uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità e collaborare attivamente al completamento della divina creazione» (GS 67,1-2).

2.5 L’incontro dell’uomo con le realtà terrestri

Questa dinamica dell’incontro-servizio sarà possibile nella misura in cui all’uomo non sarà impedito di stabilire l’incontro con le realtà terrestri: «Affinché poi tutti i cittadini siano spinti a partecipare alla vita dei vari gruppi di cui si compone il corpo sociale, è necessario che trovino in essi dei valori capaci di attirarli e di disporli al servizio degli altri. Si può pensare legittimamente che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza.(GS 31,3).

«Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità e non sappiamo in che modo sarà trasformato l'universo. … Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo» (GS 39,1 e 3).

Questa dinamica dell’incontro servizio sarà ancora possibile nella misura in cui non ci sarà nelle società nessun tipo di discriminazione:

  1. la discriminazione che lede i diritti fondamentali della persona: GS 29;
  2. la discriminazione individuale e sociale: GS 66;
  3. la discriminazione culturale: GS 60;
  4. la discriminazione del lavoro: GS 66;
  5. la discriminazione politica: GS 75;
  6. la discriminazione per motivi religiosi DH 6;
  7. la discriminazione razziale: GS 29.
Fr. Quaranta Giovanni Luigi, nella Scuola di Carapira, in Mozambico.

3.
L’ORDINE SOCIO-TEMPORALE A SERVIZIO DELL’UOMO

La dinamica dell’incontro-servizio come l’abbiamo appena descritta, mette in risalto la dignità della persona umana. Il Concilio, a questo punto, usa il termine «servizio» per esprimere quella gerarchia di valori, che consiste nella necessaria subordinazione delle realtà terrestri al bene della persona umana.

3.1 L’ordine temporale possiede valore proprio

«Tutto ciò che compone l'ordine temporale, cioè i beni della vita e della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e così via, la loro evoluzione e il loro progresso, non sono soltanto mezzi con cui l'uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un valore proprio, riposto in essi da Dio, sia considerati in se stessi, sia considerati come parti di tutto l'ordine temporale: “E Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano assai buone“. Questa loro bontà naturale riceve una speciale dignità dal rapporto che essi hanno con la persona umana a servizio della quale sono stati creati. Infine piacque a Dio unificare in Cristo Gesù tutte le cose naturali e soprannaturali, “affinché egli abbia il primato sopra tutte le cose”. Questa destinazione, tuttavia, non solo non priva l'ordine delle realtà temporali della sua autonomia, dei suoi propri fini, delle sue proprie leggi, dei suoi propri mezzi, della sua importanza per il bene dell'uomo, ma anzi ne perfeziona la forza e il valore e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell'uomo sulla terra» (AA 7,2)

3.2 Pieno senso dell’ordine temporale

L’ordine temporale acquista il suo pieno senso nella misura in cui serve al bene della persona umana e nella misura in cui gli uomini che agiscono attraverso di esse cercano di servire la stessa persona umana: «Questa loro bontà naturale (dei beni dell’ordine temporale) riceve una speciale dignità dal rapporto che essi hanno con la persona umana a servizio della quale sono stati creati» (AA 7,2).

Per questo l’ordine temporale deve stare a servizio dell’uomo, cioè dell’ordine politico. La G. et S. tiene presente e approva la tendenza del mondo moderno, che si propone «instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e meglio serva l'uomo e aiuti i singoli e i gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità» (GS 9,1).

«La tutela dei diritti della persona è condizione necessaria perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica» (GS 73,2).

«Le modalità concrete con le quali la comunità politica organizza le proprie strutture e l'equilibrio dei pubblici poteri possono variare, secondo l'indole dei diversi popoli e il cammino della storia; ma sempre devono mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico e benevolo verso tutti, per il vantaggio di tutta la famiglia umana» (GS 74, fine; cfr. GS 76).

La vita economico-sociale. «Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale» (GS 63,1).

Le istituzioni umane. «Le umane istituzioni, sia private che pubbliche, si sforzino di mettersi al servizio della dignità e del fine dell'uomo. Nello stesso tempo combattano strenuamente contro ogni forma di servitù sociale e politica, e garantiscano i fondamentali diritti degli uomini sotto qualsiasi regime politico.» (GS GS 37).29, fine; cfr. anche 37).

Lo Stato e la stessa Chiesa. Il Concilio afferma l’autonomia e l’indipendenza tra lo Stato e la Chiesa. Riconosce, però, che, anche se a titolo proprio, essa sta a servizio della vocazione personale e sociale della persona umana, in collaborazione con lo Stato: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L'uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna» (GS 76,3.

È interessante notare l’importanza di questa dottrina conciliare attinente alla gerarchia di valori. C’è una subordinazione di certi valori ad altri, che vuol dire «legge di servizio». Questo fatto dimostra che il servizio insegnato da Gesù con il suo esempio e con le sue parole, non è qualcosa di teorico, ma possiede basi profonde nella stesa natura umana e nell’ordine naturale della creazione.

Fr. Díaz Beltrán Eloy Rogelio, comboniano, a Beira, in Mozambico.

4.
PECULIARITÀ E NECESSITÀ DEL SERVIZIO DELLA CHIESA ALL’UOMO

Questa peculiarità e necessità derivano dalla coscienza che la Chiesa ha sul fatto che:

4.1 «L'aspetto più sublime della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio» (GS 19,1).

L’uomo è chiamato al dialogo personale con Dio: «La Bibbia insegna che l'uomo è stato creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene (9) quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio» (GS 12,3).

Ma l’uomo deve prendere coscienza che è “immagine di Dio” per mezzo di una scoperta progressiva di questi “segni” di Dio in lui. L’immagine di Dio non è concessa all’uomo in maniera immediata e attraente. Egli deve cercarla attraverso una tensione dinamica e nello stesso tempo umile.

Il primo passo in questa ricerca è il confronto con le altre creature dell’universo: «L'uomo, in verità, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l'universo delle cose» (GS 14,2). «Contemporaneamente cresce la coscienza dell'eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le cose» (GS 26,2).

Il secondo passo è la scoperta di una serie di valori morali e spirituali che di per sé danno il profilo della sua vera immagine:

  • L’intelligenza, per mezzo della quale partecipa della “luce della mente di Dio” (GS 15,1), è sempre in cerca di una “verità più profonda” (GS 15,2), che trova la sua perfezione nella “sapienza” (GS 15,3); nell’intelligenza si fonda il diritto dell’uomo alla cultura, che occupa un luogo privilegiato nella vocazione integrale dell’uomo (GS 57,1). Il suo culmine è un incontro con la Sapienza, «che dall' eternità era con Dio, … trovando le sue delizie nello stare con i figli degli uomini (GS 57,3). Il suo dono più alto è la contemplazione (cfr. GS 59,1: la capacita dell'ammirazione, dell'intuizione, della contemplazione sono i frutti di una cultura completa).
  • Nella coscienza, ci troviamo come in un tempio, lì la voce di Dio ci chiama a vivere il comandamento dell’amore (GS 16,1); nella persona è il centro intimo dove maturano le decisioni, dove Dio si fa presente per convertirci a Lui, rimanendo nello stesso tempo invisibile: « la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo» (GS 16,2), una soglia inviolabile di intimità.
  • La libertà, «è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina» (GS 17). Per mezzo di essa, l’uomo sceglie decide, cerca il suo Creatore, per arrivare «alla piena e beata perfezione» (GS 17).
  • In fine, l’intuizione del cuore (GS 18) segnala il desiderio ardente dell’uomo di vincere la barriera del tempo, respingendo «l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona». « Il germe dell'eternità» che l’uomo porta in sé, «insorge contro la morte», contro quella che molti filosofi contemporanei considerano come compagna invisibile e inseparabile dell’uomo. Dio, invece, « ha chiamato e chiama l'uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina» (GS 18). [cfr. Di Pinto, Emaus, pp.32-34].
  • La realtà del peccato, rende più difficile e drammatica la realizzazione della sublime vocazione umana (GS 37).
  • La vocazione umana al dialogo personale con Dio, è nello stesso tempo vocazione comunitaria al dialogo con i fratelli: «Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all'uomo, l'uomo cresce in tutte le sue capacità e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli» (GS 25,1).

4.2 La vocazione umana all’unione con Dio e con i fratelli si realizza in pienezza nell’incontro personale con Gesù.

L’azione principale di Gesù nella vita dell’uomo consiste nell’operare una trasformazione della persona umana nella sua Persona.

Questa trasformazione costituisce il punto di partenza necessario per la formazione di quel Popolo, il cui fine, seguendo il Piano di Dio, è riconoscere e servire lo stesso Dio e amarsi  e servirsi reciprocamente:

«Come Dio creò gli uomini non perché vivessero individualisticamente, ma perché si unissero in società, così a lui anche «...piacque santificare e salvare gli uomini non a uno a uno, fuori di ogni mutuo legame, ma volle costituirli in popolo, che lo conoscesse nella verità e santamente lo servisse». […] In questo corpo tutti, membri tra di loro, si debbono prestare servizi reciproci, secondo i doni diversi loro concessi. Questa solidarietà dovrà sempre essere accresciuta, fino a quel giorno in cui sarà consumata; in quel giorno gli uomini, salvati dalla grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia amata da Dio e da Cristo, loro fratello» (GS 32,1 e 5; cfr. LG 9).

Ciò significa che la vita umana trova il suo senso quando l’uomo si incontra personalmente con il Signore Gesù e che in questo sta il problema fondamentale di ogni uomo e della famiglia umana: incontrarsi e vivere in comunione con Lui.

A partire da quest’incontro, gli uomini sperimenteranno la gioia di essere figli di Dio e troveranno il vero cammino che li porterà a quella fraternità personale, che è oggetto delle sue profonde aspirazioni (cfr. GS 3; 24; 91).

Come fondamento di questa realtà c’è il fatto che preesiste un legame intimo tra Gesù e l’uomo. L’essere umano è, in effetti, l’immagine imperfetta e incompiuta dell’«immagine originale» di Dio, che è Gesù. Così l’esistenza umana tende, in virtù della sua stessa intima struttura, all’incontro con Dio in Cristo Gesù. La vita umana si realizza in pienezza nell’incontro con Cristo, perché a Lui il Padre affidò la missione di introdurre l’uomo nelle meraviglie alle quali lo predestinò e la capacità di attuare  nel suo essere umano quel «salto qualitativo», che lo orienta verso la sua piena e definitiva realizzazione.

La chiamata dell’uomo all’incontro con Gesù è l’avvenimento più significativo ed entusiasmante: «Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a lui siamo diretti». (LG 3, fine).

«La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (GS 10,3).

«Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo». (GS 41,1).

«Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore (= Gesù risorto) è il fine della storia umana, “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni» (GS 45).

«In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.

Egli è “ l'immagine dell'invisibile Iddio”, è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.

Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.

E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina» (GS 22, passim).

Gesù e l’uomo sono due realtà che si relazionano l’una con l’altra: l’uomo come elemento imperfetto spinto verso l’incontro; Gesù come Centro trascendente e nello steso tempo immanente all’uomo, punto culminate da dove e verso dove il cammino dell’uomo trova il suo senso ultimo, la perfetta realizzazione.

4.3 La funzione della Chiesa non è separabile dalla missione di Gesù.

Come Gesù la Chiesa deve farsi presente ad ogni persona umana:

«Egli è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio … Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo … egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato » (GS 22, 2 passim).

Assumendo la natura umana, Gesù «ci ha aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato» (GS 22,3).

« Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana. […] Ha rivelato l'amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d'ogni giorno. Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale» (GS 32,2-3).

La Chiesa partecipa della natura dell’uomo offrendosi come segno e presenza «di comunione fraterna», affinché  il genere umano divenga «famiglia amata da Dio e di Cristo, loro fratello» (GS 32, fine).

«Il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l'universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l'umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo» (LG 9,2,fine).

Il cristiano è introdotto mediante il Battesimo nel Mistero Pasquale (cfr. GS 22,4) e ogni uomo di buona volontà riceve dallo Spirito Santo «la possibilità di venire associato, nel modo che Dio conosce, al Mistero Pasquale» (GS 22,5).

La Croce di Gesù autentifica la vita di ogni persona retta. Gesù, infatti, «ammonisce di non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita. Accettando di morire per noi tutti peccatori, egli ci insegna con il suo esempio che è necessario anche portare quella croce che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia». (GS 38,1).

La Chiesa continua a manifestare il Mistero di Dio e «al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo» GS 41,1); e dà in Gesù «risposta ai più profondi desideri del cuore umano. … Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo» (GS 41,1).

La comunità cristiana si offre a tutta la società come «il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1), mostrando la vera fonte della solidarietà e della pace, «ossia quella fede e quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo» e che sono effettivamente vissute (GS 42,3).

4.4 La Chiesa è a servizio dei beni della salvezza portati da Gesù: la Parola e i Sacramenti.

La Bibbia e l’Eucaristia sono le due mense che la Chiesa prepara e amministra e il luogo dove Dio continua a conversare con i suoi e ad alimentarli con la propria vita (cfr. DV 21; SC 7). L’Eucaristia è il pegno della speranza umana: in essa «degli elementi naturali coltivati dall'uomo vengono trasmutati nel Corpo e nel Sangue glorioso di lui, in un banchetto di comunione fraterna che è pregustazione del convito del cielo» (GS 38,fine).

Il problema dell’uomo di oggi consiste nel trovare la maniera di riconoscere il Signore suo salvatore; nel sapere dove possa leggere il disegno di Dio sulla storia; nel discernere il segno a partire dal quale possa comprendere il suo destino.

E la Chiesa, che vive ancora nella fede e non nella visione (cfr. LG 48), cerca e trova il Signore e il senso dell’esistenza umana, compiendo la missione che le fu affidata. Come «sacramento universale della salvezza» (LG 48,2), la Chiesa «svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo» (GS 45,1).

Vivificati dallo Spirito di Gesù e da Lui riuniti in un nuovo Popolo «andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: “Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra”» (GS 45,2). [cfr. Di Pinto, Emaus, pp. 97-99].

Il Concilio, prendendo in considerazione le aspirazioni profonde del cuore umano, presenta la spiritualità del servizio come un’attitudine fondamentale e necessari ad ogni persona umana di buona volontà, che voglia vivere autenticamente la sua vocazione  alla comunione universale.

Ma nello stesso tempo, fissa il suo sguardo su Gesù “Servo e Signore” e descrive la Chiesa come “strumento universale della salvezza”; la spiritualità del servizio appare allora come frutto della missione della Chiesa.

La presentazione che il Concilio fa della persona umana e delle sue relazioni interumane è ottimista, ma anche realista: l’uomo aperto alla comunione con l’Assoluto e con la totalità dei fratelli, lanciato alla conquista dell’universo, ma allo  stesso tempo oppresso dalle conseguenze del peccato, troverà soltanto nella comunione con Gesù la piena liberazione e quindi la possibilità della realizzazione in pienezza della sua vocazione. Infatti, la comunione con Gesù produce nell’uomo una vita nuova, la vita di figlio del Padre in Cristo Gesù.

È sotto questa dimensione specifica che continueremo la nostra ricerca. Fino ad ora abbiamo visto come il servizio della Chiesa abbraccia la vita integrale dell’uomo. Adesso consideriamo il servizio della Chiesa in sé.

P. Cordioli Enrico, comboniano, a Péten, in Guatemala.

5.
IL SERVIZIO DI TUTTO IL POPOLO DI DIO

Il Concilio presenta il servizio come un dovere di tutto il Popolo di Dio. Senza esitare afferma che tutta la Chiesa sta e deve stare al servizio dell’umanità, giacche «niente le sta più a cuore che di servire al bene di tutti» (GS 42, fine).

Gesù, infatti, volle servirsi di tutto il Popolo di Dio come strumento per la redenzione dell’umanità: «(Il Popolo di Dio) costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo» (LG 9,2 fine).

«Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l'influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, egli uscì vincitore. Proprio con questa speranza procedettero tutti gli apostoli, che con le loro molteplici tribolazioni e sofferenze completarono quanto mancava ai patimenti di Cristo a vantaggio del suo corpo, la Chiesa. E spesso anche il sangue dei cristiani fu seme fecondo» (AG 5,2).

Delimitando l’ambito dell’azione della Chiesa riguardo alla società terrena, afferma il Concilio: «La Chiesa non desidera affatto intromettersi nel governo della città terrena. Essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza, se non quella di servire gli uomini amorevolmente e fedelmente, con l'aiuto di Dio (AG 12,3).

In un altro passo, di fronte alle scoperte e alle ansiose questioni sull'attuale evoluzione del mondo, il Concilio dichiara solennemente: «Il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. […] Pertanto il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione» (GS 3,2 e 3).

Perché le espressioni di solidarietà, di cooperazione e dialogo impiegate dal Concilio, non creino malintesi circa la natura dell’azione che qui si propone, lo stesso Documento sottolinea che si tratta solo e sempre di un’opera di servizio: «Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito» (GS 3,5).

Parlando della Chiesa, il Concilio ha in mente anche i fratelli non-cattolici, che si trovano in comunione, anche se imperfetta con la Chiesa cattolica (cfr UR 3) e partecipano della stessa missione di servizio della Chiesa.

La Costituzione Gaudium et Spes esplicita reiteratamente questa ampia prospettiva. Dopo aver affermato che «la Chiesa dev'essere assolutamente presente nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e stimolare gli uomini alla cooperazione vicendevole» (GS 89,1), il Concilio afferma che tra i mezzi per realizzare questa presenza si conta anche «con la piena e leale collaborazione di tutti i cristiani animata dall'unico desiderio di servire a tutti» (GS 89,1).

La parte conclusiva della Gaudium et Spes sviluppa ancora più ampliamente questo concetto: «I cristiani, ricordando le parole del Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà nell'ultimo giorno» (GS 93,1).

Dopo un appello preliminare a tutti i fedeli. La Gaudium et Spes, riferendosi sempre ai cristiani in generale, specifica varie incombenze che sono chiamati a svolgere in questo capo: «Unendo le nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre più adeguati al conseguimento efficace di così alto fine, nel momento presente, cerchiamo di cooperare fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni giorno maggiore, al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio» (GS 92,4).

Il fondamento di questo dovere di servizio che riguarda tutto il Popolo di Dio, sta nel Battesimo e nella Confermazione.

Con il Battesimo il cristiano comincia ad essere membro vivo del Corpo Mistico solidariamente responsabile per la vitalità di tutto il Corpo. La Confermazione, a sua volta, dà al cristiano la grazia di partecipare nella vita pubblica e nella vita di servizio della Chiesa. Questo servizio è un’esigenza della carità (LG 33,2) e mira alla cristianizzazione delle strutture e delle realtà terrene e umane (LG 31).

È l’apostolato che riguarda tutti i fedeli (LG 33,4), che “non potrà mai venir meno nella Chiesa” (AA 1,1).

Mons. Ayuso Guixot Miguel Angel, comboniano, Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso presso la Santa Sede.

6.
IL SERVIZIO DELLA GERARCHIA

Il dovere di servizio della Gerarchia è una delle idee centrali, o forse addirittura l’ idea centrale della dottrina del «servizio» sviluppata dal Concilio.

I membri della Gerarchia e, in primo luogo i successori degli Apostoli, non devono essere come chi domina, ma come chi serve i propri fratelli: «È indubbio che la Chiesa mette più profonde radici in un gruppo umano qualsiasi, quando le varie comunità di fedeli traggono dai propri membri i ministri della salvezza, che nell'ordine dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi servono ai loro fratelli, sicché le nuove Chiese acquistano a poco a poco la struttura di diocesi, fornite di clero proprio» (AG 16,1).

I vari ministeri della Chiesa, che tendono al bene di tutto il Corpo ecclesiale, possiedono carattere di servizio e realmente costituiscono Û««un servizio»: «Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza» (LG 18,1).

«Cristo, santificato e mandato nel mondo dal Padre (cfr. Gv 10,36), per mezzo degli apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i vescovi; a loro volta i vescovi hanno legittimamente affidato a vari membri della Chiesa, in vario grado, l'ufficio del loro ministero. Così il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi (LG 28,1).

6.1 «Servizio episcopale»

I Vescovi sono coloro che servono i loro fratelli.

Dopo aver spigato come gli Apostoli costituirono persone che gli succedessero, e questi, a sua volta, assunsero collaboratori, il Concilio sottolinea il risultato di questa successione: «I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero (=l’incarico di servire) della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi (LG 20,3; cfr. LG 27; CD 16).

La loro attività è definita: “sevizio episcopale” (LG 41,2) o “carità pastorale” (L G 41 2) o “diaconia”: «L'ufficio che il Signore affidò ai pastori del suo popolo, è un vero servizio, che nella sacra Scrittura è chiamato significativamente « diaconia », cioè ministero» (LG 24,1fine).

Il servizio episcopale è un “servizio paterno”. Risiede qui la sua caratteristica fondamentale. Qualificare il servizio episcopale come “paterno” non è frutto di sentimentalismo, né di paternalismo, né di autoritarismo; è una realtà, o per lo meno dovrebbe esserlo. Infatti, per mezzo dei Vescovi, Gesù incorpora nuovi membri alla Chiesa, rigenerandoli soprannaturalmente. La paternità spirituale del Vescovo nasce da questa comunicazione di vita divina: LG 21,1; LG 27,1; +1Cor 5,15.

Questo servizio paterno deve riflettere le qualità del Buon Pastore e Principe dei pastori: «Il vescovo, mandato dal padre di famiglia a governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l'esempio del buon Pastore, che è venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita per le pecore. Preso di mezzo agli uomini e soggetto a debolezza, può benignamente compatire gli ignoranti o gli sviati. Non rifugga dall'ascoltare quelli che dipendono da lui, curandoli come veri figli suoi ed esortandoli a cooperare alacremente con lui» (LG 27,3).

«Nell'esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi si comportino in mezzo ai loro fedeli come coloro che servono come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti, come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti e la cui autorità ricevuta da Dio incontra un'adesione unanime e riconoscente» (CD 16,1). Perciò il “servizio episcopale è chiamato anche “carità pastorale” (LG 41,2).

Il Concilio sottolinea la paternità spirituale del Vescovo verso i suoi Sacerdoti: i Sacerdoti diocesani «costituiscono un solo presbiterio e una sola famiglia, di cui il Vescovo è come il padre» (CD 28,1).

La paternità spirituale del Vescovo verso i suoi Sacerdoti si realizza in un servizio prestato con speciale carità, come a figli e amici (cfr. Gv 15,15). Di fatto, i Sacerdoti sono persone  che, nella sfera delle proprie attribuzioni,  condividono con il Vescovo gli incarichi e le sollecitudini del  ministero.

«Trattino sempre con particolare carità i sacerdoti, perché essi si assumono una parte dei loro ministeri e delle loro preoccupazioni, e vi si consacrano nella vita quotidiana con tanto zelo. Li considerino come figli ed amici e perciò siano disposti ad ascoltarli e a trattarli con fiducia e benevolenza, allo scopo di incrementare l'attività pastorale in tutta la diocesi» (CD 16,3; anche PO 17).

«Le relazioni tra il vescovo e i sacerdoti diocesani devono poggiare principalmente sulla base di una carità soprannaturale, affinché l'unità di intenti tra i sacerdoti e il vescovo renda più fruttuosa la loro azione pastorale. A tale scopo, perché se ne avvantaggi sempre più il servizio delle anime, il vescovo chiami i sacerdoti a colloquio, anche in comune con altri, per trattare questioni pastorali; e ciò non solo occasionalmente, ma, per quanto è possibile, a date fisse». (CD 28,2; cfr. anche PO 7).

«Nessuno è Vescovo per se stesso, / per i suoi interessi, / per le sue ambizioni, o per il suo onore. / Si è Vescovo per la Chiesa». (Card. Antonio Ribeiro, Patriarca di Lisbona).

NB. È naturale che la dottrina sul servizio che il Concilio presenta trattando dei Vescovi tenga in vista anche i collaboratori immediati del Vescovo, cioè i Sacerdoti e in certo modo anche i Diaconi. Le idee e i principi enunciati dal Concilio sul servizio dei Vescovi sono applicabili anche ai Presbiteri, costituendo la base della dottrina sul servizio presbiterale.

6.2 «Servizio presbiterale»

Per analogia con l’espressione “servizio episcopale” (LG 41), si può anche parlare di “servizio presbiterale”, giacché il potere e la funzione dei presbiteri non sono altro che partecipazione subordinata della funzione e del ministero dei Vescovi.

I Presbiteri, infatti, sono definiti dal Concilio:

  • “Cooperatori dell’Ordine episcopale” (PO 12,1);
  • “saggi collaboratori dell’ordine episcopale e suo aiuto e strumento” (LG 28,2);
  • “corona spirituale “ dei Vescovi” (LG 41,2);
  • “provvidenziali cooperatori dell'ordine episcopale” (CD 28,1).

Il Concilio fonda queste affermazioni nel fatto che: «I presbiteri, in virtù della sacra ordinazione e della missione che ricevono dai vescovi, sono promossi al servizio di Cristo maestro, sacerdote e re; essi partecipano al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo» (PO 1,2; cfr. anche PO 2).

«Tutti i sacerdoti, sia diocesani che religiosi, partecipano in unione col vescovo, all'unico sacerdozio di Cristo e lo esercitano con lui» (CD 28,1).

«I presbiteri, pur non possedendo l'apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono a loro congiunti nella dignità sacerdotale e in virtù del sacramento dell'ordine ad immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote sono consacrati per predicare il Vangelo, essere i pastori fedeli e celebrare il culto divino quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento» (LG 28,1).

6.2.1 Il Presbitero è chiamato a servire il popolo di Dio

«I sacerdoti, saggi collaboratori dell'ordine Episcopale e suo aiuto e strumento, sono chiamati a servire il popolo di Dio» (LG 28,2). «Con il sacramento dell'ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come ministri del capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il su corpo che è la Chiesa» (PO 12,1).

Il Presbitero, per tanto, deve vivere: «servendo umilmente tutti coloro che gli sono affidati da Dio in ragione della funzione che deve svolgere e dei molteplici avvenimenti della vita» (PO 15,1 fine).

«Infatti la missione sacerdotale è tutta dedicata al servizio della nuova umanità che Cristo, vincitore della morte suscita nel mondo con il suo Spirito» (PO 16,2).

Quando il Concilio parla semplicemente di un servizio delle anime (CD 28), intende il servizio che il Presbitero è chiamato a prestare al Popolo di Dio. E, perché stanno al servizio del popolo di Dio, i Presbiteri meritano di ricevere dallo stesso popolo la giusta rimunerazione (PO 20).

6.2.2 Il Presbitero è chiamato a servire tutti gli uomini

La carità pastorale del Presbitero non ha limiti, deve essere universale. Tutti devono essere raggiunti dal suo zelo, anche quelli che ancora sono fuori dei confini visibili della Chiesa.

Il Presbitero deve essere presente non solo in mezzo alle situazioni “pastorali”, ma anche in mezzo alle situazioni “umane”. (PO 1). Di fatto deve servire tutte le pecore (CD 30,7), contribuendo «affinché tutto il genere umano sia ricondotto all’unità della famiglia di Dio» (LG 28, fine).

Il Presbitero preso fra gli uomini e costituito a favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, ha il dovere di vivere in mezzo agli altri uomini come fratello in mezzo ai fratelli per salvare tutti. Suo dovere è conoscere le sue pecorelle e cercare anche quelle che non appartengono all’ovile di Cristo, perché anche queste ascoltino la voce del Buon Pastore e ci sia un solo ovile e un solo Pastore (PO 3).

Il Presbitero deve «rappresentare in mezzo agli uomini Cristo, il quale non “venne per essere servito, ma per servire e dare la sua vita a redenzione delle moltitudini” e di guadagnare molti, facendosi servi di tutti» (OT 4,1).

«Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, “fino agli ultimi confini della terra”, dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli. Infatti il sacerdozio di Cristo, di cui i presbiteri sono resi realmente partecipi, si dirige necessariamente a tutti i popoli e a tutti i tempi, né può subire limite alcuno di stirpe, nazione o età». (PO10,1).

Il Presbitero «che ha ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione, viene elevato alla condizione di strumento vivo di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha restaurato con divina efficacia l'intera comunità umana» (PO 12).

«Il vero ministro di Cristo lavora con umiltà, cercando di sapere ciò che è grato a Dio come se avesse mani e piedi legati dallo Spirito si fa condurre in ogni cosa dalla volontà di colui che vuole che tutti gli uomini siano salvi; e questa volontà la può scoprire e seguire nel corso della vita quotidiana, servendo umilmente tutti coloro che gli sono affidati da Dio in ragione della funzione che deve svolgere e dei molteplici avvenimenti della vita.» (PO 15,1).

Con la vita celibataria, il Presbitero si dedica più liberamente al servizio di Dio e degli uomini e proclama davanti agli uomini di volersi dedicare con cuore indiviso alla funzione che gli fu affidata (PO 16,2).

6.2.3 Esigenze del servizio presbiterale

a) Il Presbitero deve farsi “modello del gregge”: 1Pt 5,3; LG 28,4.

A questo riguardo, il Concilio nota che la santità del Presbitero è ordinata al bene di tutto il Popolo di Dio: «Questo sacro Sinodo, per il raggiungimento dei suoi fini pastorali di rinnovamento interno della Chiesa, di diffusione del Vangelo in tutto il mondo e di dialogo con il mondo moderno, esorta vivamente tutti i sacerdoti ad impiegare i mezzi efficaci che la Chiesa ha raccomandato in modo da tendere a quella santità sempre maggiore che consentirà loro di divenire strumenti ogni giorno più validi al servizio di tutto il popolo di Dio» (PO 12,fine).

b) Lo stesso servizio presbiterale deve stimolare ed essere fonte della santità del Sacerdote

In fatti, stando al servizio dei fedeli e di tutto il Popolo di Dio, il Sacerdote « può avvicinarsi più efficacemente alla perfezione di colui del quale è rappresentante» (PO 12,1fine).

«Esercitando il ministero dello Spirito e della giustizia, essi vengono consolidati nella vita dello Spirito, a condizione però che siano docili agli insegnamenti dello Spirito di Cristo che li vivifica e li conduce. I presbiteri, infatti, sono ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse sacre azioni che svolgono quotidianamente, come anche di tutto il loro ministero, che esercitano in stretta unione con il vescovo e tra di loro» (PO 12,2).

Non è nonostante il servizio che il Sacerdote può e deve santificarsi, ma precisamente in virtù del proprio servizio pastorale, inteso e orientato rettamente, cioè secondo lo spirito di Cristo.

Tutto il numero 13 del Presbyterorum Ordinis spiega al Presbitero la dinamica di questa santificazione nel e attraverso il ministero presbiterale.

c) La vocazione del Presbitero a servire tutto il Popolo di Dio e tutti gli uomini, gli esige una disponibilità pronta e generosa.

Ecco i punti principali:

- prendere a cuore la sollecitudine di tutte le Chiese e mostrarsi disposto ad esercitare volentieri il suo ministero in regioni, missioni o attività che soffrono la scarsezza del (PO 10,1).

- andare incontro al particolare modo di pensare e di agire della propria nazione (AG 16,4).

«Bisogna dunque aprire ed affinare lo spirito degli alunni, perché conoscano bene e possano valutare la cultura del loro paese; nello studio delle discipline filosofiche e teologiche essi debbono scoprire quali rapporti intercorrono tra tradizioni e religione nazionale e la religione cristiana. Analogamente, la preparazione al sacerdozio deve tenere presenti le necessità pastorali della regione: gli alunni devono apprendere la storia, la finalità e il metodo dell'azione missionaria della Chiesa, nonché le particolari condizioni sociali, economiche e culturali del proprio popolo» (AG 16,4).

- coltivare «quelle virtù che sono giustamente molto apprezzate nella società umana, come la bontà, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l'apostolo Paolo quando dice: “Tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onesto, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è degno di amore, tutto ciò che merita rispetto, qualunque virtù, qualunque lodevole disciplina: questo sia vostro pensiero”» (PO 3 fine).

- essere animato da vero spirito missionario: «La cura delle anime deve essere animata da spirito missionario, cosicché si estenda, nel modo dovuto, a tutti gli abitanti della parrocchia» (CD 30,3).

«Si ricordino che devono, con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine, presentare ai fedeli e infedeli, cattolici e non cattolici, l'immagine di un ministero veramente sacerdotale e pastorale, e rendere a tutti la testimonianza della verità e della vita; e come buoni pastori ricercare anche quelli che, sebbene battezzati nella Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica dei sacramenti o persino la fede» (LG 28,4).

- promuovere le vocazioni sacerdotali.

La Chiesa, infatti, « affida ai legittimi ministri della Chiesa il compito di chiamare i candidati che aspirino a così grande ufficio con retta intenzione e piena libertà, dopo averne riconosciuta e provata l'idoneità, e di consacrarli col sigillo dello Spirito Santo al culto di Dio e al servizio della Chiesa» (OT 2,3).

- Perché la disponibilità del Presbitero per il servizio di tutta la Chiesa divenga effettiva, il Concilio propone che siano riviste le norme dell’incardinazione e che siano eretti seminari internazionali, diocesi peculiari o prelature personali o altre istituzioni del genere, nelle quali dei Presbiteri possano essere integrati per il bene comune di tutta la Chiesa (cfr. PO 10,2).

d) La disponibilità sboccia e nello stesso tempo irrobustisce un’intima e fraterna comunione con la Chiesa universale e l’intera umanità.

Ciò comporta una comunione:

- con la Chiesa in generale:

«Il ministero sacerdotale, dato che è il ministero della Chiesa stessa, non può essere realizzato se non nella comunione gerarchica di tutto il corpo» (PO 15,2).

Il motivo sta nel fatto che: «La fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa. Per questo, la carità pastorale esige che i presbiteri, se non vogliono correre invano lavorino sempre in stretta unione con i vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio» (PO 14,3):

- con i Vescovi: LG 28; PO 14;

- con gli stessi Presbiteri: LG 28.

Questa unione tra i Presbiteri ha una profonda origine sacramentale: «In virtù della comunità di ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un'intima fraternità» (LG 28,3). «Tutti i presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante l'ordinazione, sono uniti tra di loro da un'intima fraternità sacramentale» (PO 8,1).

Tutto il numero 8 del PO è dedicato alla descrizione di ciò che deve essere la fraternità sacerdotale. È interessante notare come il Concilio, così come parla dell’Ordine o Corpo episcopale (cfr. LG 22; AG 5), allo stesso modo parla dell’ “Ordine dei Presbiteri” (PO 3fine);  afferma che la sollecitudine di tutte le Chiese incombe all’Ordine episcopale (LG 23; AG 5) e allo stesso modo, sebbene subordinatamente, al Corpo presbiterale: «Ricordino quindi i presbiteri che a essi incombe la sollecitudine di tutte le Chiese» (PO 10,1; cfr. PO 11).

La ragione di ciò, come abbiamo già visto seguendo il pensiero del Concilio, sta nel fatto che tutti i Presbiteri partecipano di un unico sacerdozio (cfr. PO 10).

Un’altra fonte di unione dei Presbiteri è il lavoro per la stessa causa. «Tutti lavorano per la stessa causa, cioè per l'edificazione del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi» (PO 8,1).

«Ciascuno (membro del collegio presbiterale) è unito agli altri membri di questo presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità: il che viene rappresentato liturgicamente fin dai tempi più antichi nella cerimonia in cui i presbiteri assistenti all'ordinazione sono invitati a imporre le mani, assieme al vescovo che ordina, sul capo del nuovo eletto, o anche quando concelebrano unanimi la sacra eucaristia» (PO 8,2).

Una realizzazione di questa unione potrebbe essere la vita in comune: «Per far sì che i presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collaborare più efficacemente nel ministero, ed eventualmente evitare i pericoli della solitudine, sia incoraggiata fra di essi una certa vita comune o una qualche comunità di vita, che può naturalmente assumere forme diverse, in rapporto ai differenti bisogni personali o pastorali: può trattarsi, cioè, di coabitazione, là dove è possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di frequenti e periodici raduni» (PO 8,4).

Il Concilio conclude le sue considerazioni sull’unità reciproca dei Presbiteri con queste profonde parole: «Se procederanno con questo criterio (= in comunione con la Chiesa), troveranno l'unità della propria vita nella unità stessa della missione della Chiesa, e così saranno uniti al loro Signore, e per mezzo di lui al Padre nello Spirito Santo, per poter essere colmati di consolazione e di gioia (PO 14,fine).

e) Il servizio presbiterale deve essere paterno

La paternità presbiterale dei presbiteri è una realtà incontestabile, giacché generano spiritualmente i fedeli mediante il Battesimo e la predicazione: LG 28 e CD 30.

Questa paternità è perfezionata con la consacrazione a Cristo mediante il celibato e, per Cristo, a servizio dell’attuazione del Piano salvifico di Dio, e «in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo» (PO 16,2).

Da questa realtà  nascono conseguenze pratiche quanto al modo di relazionarsi dei presbiteri con i fedeli: «(I Sacerdoti) abbiano cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l'insegnamento (LG 28,4; cfr. CD 30).

«Nell'edificare la Chiesa i presbiteri devono avere con tutti dei rapporti improntati alla più delicata bontà, seguendo l'esempio del Signore. E nel trattare gli uomini non devono regolarsi in base ai loro gusti bensì in base alle esigenze della dottrina e della vita cristiana, istruendoli e anche ammonendoli come figli carissimi» (PO 6,1)

Infatti, la “potestà spirituale”, che viene conferita ai Presbiteri, «è appunto concessa ai fini dell'edificazione» della Chiesa, cioè non come fine a se stessa, ma per  il servizio del Popolo di Dio e dell’intera umanità (cfr. PO 6,1).

6.2.4 Ambito del servizio presbiterale

a) Il presbitero serve il Popolo di Dio e gli uomini tutti, esercitando un triplice ministero (PO 1):

1. Ministero della Parola: LG 28; PO 4; 14.

2. Ministero della santificazione: il Presbitero è ministro di Cristo Sacerdote nell’amministrazione dei sacramenti: PO 5; 13; è ministro del Sacrificio di Cristo e dei fedeli: LG 28; PO 2; 5; 13; per questo deve coltivare la Liturgia: PO 5.

3. Ministero pastorale o di governo, che comporta: potere e ufficio di governare la Chiesa: LG 28; PO 6; 13; educare nella fede e dedicarsi interamente all’incremento spirituale del Corpo di Cristo: PO 6; 9; fomentare lo spirito comunitario, mirando alla Chiesa locale e universale: PO 6,3.

NB: Per il servizio presbiterale nelle missioni: cfr. AG 16; 20

b) La santità personale del Presbitero è il servizio più prezioso, perché è il servizio della testimonianza e, nello steso tempo, la linfa di tutto il servizio presbiterale.

Questa santità si realizza e si manifesta:

  • Nel celibato: PO 16;
  • nell’obbedienza: PO 15;
  • nella povertà: PO 12;
  • nell’orazione e adorazione: PO 18; 14.

c) Il servizio presbiterale sarà autentico se non si allontana dal suo ambito specifico.

Il presbitero nel suo servizio mai deve allontanarsi dalla sua identità presbiterale: «Tutti i presbiteri [   ] anche se si occupano di mansioni differenti, sempre esercitano un unico ministero sacerdotale in favore degli uomini. Tutti i presbiteri, cioè, hanno la missione di contribuire a una medesima opera, sia che esercitino il ministero parrocchiale o sopraparrocchiale, sia che si dedichino alla ricerca dottrinale o all'insegnamento, sia che esercitino un mestiere manuale, condividendo la condizione operaia – nel caso ciò risulti conveniente e riceva l'approvazione dell'autorità competente –, sia infine che svolgano altre opere d'apostolato od ordinate all'apostolato. È chiaro che tutti lavorano per la stessa causa, cioè per l'edificazione del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi. Pertanto è oltremodo necessario che tutti i presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda in modo da essere sempre cooperatori della verità» (PO 8,1).

6.3 «Servizio diaconale»

6.3.1 Il Diaconato è un ordine sacro

«Il ministero ecclesiastico … viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi» (LG 28; AG 16,1 e 6).

È definito come “partecipazione della missione e della grazia del Supremo Sacerdote”: «Alla missione e alla grazia del supremo Sacerdote partecipano in modo proprio anche i ministri di ordine inferiore; e prima di tutto i Diaconi» (LG 41,4).

Il Concilio precisa la natura di questa partecipazione, affermando che ai Diaconi “sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio” (LG 29,1).

«I Vescovi hanno la pienezza del sacramento dell'ordine; e da loro dipendono, nell'esercizio della loro potestà, sia i Presbiteri, che sono stati anch'essi consacrati veri sacerdoti del Nuovo Testamento perché siano prudenti cooperatori dell'ordine episcopale, sia i Diaconi, che in unione col Vescovo ed al servizio del suo presbiterio sono destinati al ministero del popolo di Dio» (CD 15,1; cfr. LG 29; AD 15,4).

6.3.2 Requisiti del servizio diaconale

a) Il Diacono deve servire come Gesù, che si fece servo di tutti: «Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di S. Policarpo: “Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti”» (LG 29,1).

b) L’alimento della vita spirituale del Diacono deve essere la lettura e la meditazione della Scrittura: DV 25.

6.3.3 Attribuzioni dei Diaconi

È proprio del Diacono

  • amministrare solennemente il Battesimo
  • conservare e distribuire l’Eucaristia
  • assistere e benedire il Matrimonio in nome della Chiesa
  • portare il Viatico ai moribondi
  • leggere la Sacra Scrittura ai fedeli (cfr. SC 35,4)
  • istruire ed esortare il popolo
  • presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli
  • amministrare i sacramentali
  • presiedere al rito funebre e alla sepoltura
  • esercitare la carità con opere sociali e caritative (LG 29; cfr. AG 16).

APPENDICE: Autorità e servizio

L’autorità è un carisma concesso “per l’edificazione” e deve essere esercitato in spirito di servizio. Ma il Concilio nello stesso tempo non lascia di attribuire il giusto rilievo al potere sacro e alla vera autorità che compete ai membri della Gerarchia.

a) Vescovi

Il dovere di servire non è incompatibile con l’autorità dei Vescovi.

Il Concilio, infatti, afferma che i Vescovi hanno ricevuto il ministero (= servizio) della comunità e «presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa» (LG 20,3).

E sottolinea ancora questa autorità con le seguenti espressioni: «Perciò il sacro Concilio insegna che i vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa, e che chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo (LG 20,3fine).

E come se non bastasse, continua il Documento: «Nella persona dei vescovi, …, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Pur sedendo infatti alla destra di Dio Padre, egli non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici in primo luogo, per mezzo dell'eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno  integra nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine» (LG 21,1).

b) Sacerdoti

Il Concilio non lascia di mettere in risalto l’autorità e il potere sacro dei Presbiteri:

«Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l'ufficio di Cristo, pastore e capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre» (LG 28,1; cfr. PO 2).

I Presbiteri «sotto l'autorità del Vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata, nella loro sede rendono visibile la Chiesa universale e portano un grande contributo all'edificazione di tutto il corpo mistico di Cristo» (LG 28,2).

c) Diaconi

Anche i Diaconi partecipano dell’autorità della Gerarchia secondo le esigenze del «ministero», per il quale furono imposte loro le mani (cfr. LG 29).

Fr. Degan Alberto, comboniano, a Bogotà, in Colombia.

7.
IL SEVIZIO LAICALE

C’è da notare che il Concilio in primo luogo parla di “servizio episcopale” (o ministero o «diaconia» (LG 24). Per analogia parla poi di “servizio presbiterale” e per la stessa ragione di “servizio laicale”, cioè peculiare dei laici.

Nei testi conciliari, infatti, si parla della partecipazione dei laici non solo quanto alla missione della Chiesa in generale, ma anche quanto al ministero di Cristo e della Chiesa. Viene usata per questo anche l’espressione ministero dei laici.

Il servizio della Gerarchia e il servizio laicale, per tanto, non si oppongono uno contro l’altro, ma sono complementari tra essi: «L'apostolato dei laici e il ministero pastorale si completano a vicenda (AA 6,1).

«Come partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa. All'interno delle comunità ecclesiali la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto» (AA 10,1).

Per questo il Concilio esorta i Pastori, affinché «riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa. Considerino attentamente e con paterno affetto in Cristo le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici e, infine, rispettino e riconoscano quella giusta libertà, che a tutti compete nella città terrestre» (LG 37,3).

C’è, per tanto, un «servizio laicale» che riguarda tutti i fedeli o laici (LG 31) e che proviene dal Battesimo e dalla Confermazione, come abbiamo visto trattando di tutto il Popolo di Dio, e che poi “dai sacramenti, e specialmente dalla sacra eucaristia, viene comunicata e alimentata quella carità verso Dio e gli uomini che è l'anima di tutto l'apostolato” (LG 33,2) .

Ma oltre a questo servizio, i laici possono ricevere dalla Gerarchia anche altre funzioni: «Oltre a questo apostolato, che spetta a tutti i fedeli senza eccezione, i laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l'apostolato della Gerarchia ... Hanno inoltre la capacità per essere assunti dalla Gerarchia ad esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici ecclesiastici» (LG 33,4).

Perciò «l'apostolato dei laici, derivando dalla loro stessa vocazione cristiana, non può mai venir meno nella Chiesa» (AA 1,1).

Sta qui il motivo per cui anche ai laici è reiteratamente inculcato il dovere di servire. La Lumen Gentium è esplicitata, affermando: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il corpo di Cristo» (LG 32,3).

E ancora: «C'è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l'ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità. Ma anche i laici, essendo partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all'interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo» (AA 2,2).

«Il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo, volendo continuare la sua testimonianza e il suo ministero anche attraverso i laici, li vivifica col suo Spirito e incessantemente li spinge ad ogni opera buona e perfetta.

A coloro infatti che intimamente congiunge alla sua vita e alla sua missione, concede anche di aver parte al suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, in vista della glorificazione di Dio e della salvezza degli uomini» (LG 34,1 e 2; cfr anche 30; 33).

In conclusione, il Concilio ribadisce che l’attività e il contributo dei laici ha nella Chiesa carattere di servizio. Essi, infatti «come per benevolenza divina, hanno per fratello Cristo, il quale, pur essendo Signore di tutte le cose, non è venuto per essere servito, ma per servire (LG 32,4).

In effetti il Signore costituì i suoi discepoli in “libertà regale”, “perché servendo il Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli al Re, servire i1 Quale è regnare» (LG 36,1).

Perciò il Concilio esorta i Pastori affinché «da parte loro, riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa» (LG 37,3).

Laiche missionarie comboniane in Uganda.

8.
IL CAMPO DEL SERVIZIO LAICALE

Il servizio laicale, sia generico sia specifico, per sua natura, offre un campo di lavoro senza limiti, come:

8.1 Supplire il Sacerdote, impedito di esercitare il suo ministero. In effetti, «in molte regioni, in cui i sacerdoti sono assai pochi, oppure, come talvolta avviene, vengono privati della dovuta libertà di ministero, senza l'opera dei laici la Chiesa a stento potrebbe essere presente e operante. Il segno di questa molteplice e urgente necessità è l'evidente intervento dello Spirito Santo, il quale rende oggi sempre più consapevoli i laici della loro responsabilità e dovunque li stimola a mettersi a servizio di Cristo e della Chiesa» (AA 1,3).

8.2 Tutta la gamma di professioni e attività esercitate dai laici. «I laici esercitano l'apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l'ordine temporale, in modo che la loro attività in quest'ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini. Siccome è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari profani, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, esercitino il loro apostolato nel mondo, a modo di fermento» (AA 2,2).

8.3 La famiglia cristiana promuova, anche fuori del campo che gli è proprio nella società, «la giustizia e le buone opere a servizio di tutti i fratelli che si trovano in necessità» (AA 11,4).

8.4 I professori prestano alla società un autentico apostolato e un reale servizio: «Ci tiene il sacro Sinodo a dichiarare che il ministero di questi maestri è autentico apostolato, sommamente conveniente e necessario anche nei nostri tempi, ed è insieme reale servizio reso alla società» (GE 8,3).

8.5 Le associazioni di apostolato. Un mezzo prezioso per la valorizzazione del servizio laicale è offerto dalle associazioni di apostolato: «Le associazioni non sono fine a se stesse, ma devono servire a compiere la missione della Chiesa nei riguardi del mondo: la loro incidenza apostolica dipende dalla conformità con le finalità della Chiesa, nonché dalla testimonianza cristiana e dallo spirito evangelico dei singoli membri e di tutta l'associazione» (AA 19,2).

«È per la Chiesa di grande gioia veder crescere sempre più il numero dei laici che offrono il proprio servizio alle associazioni e alle opere di apostolato, sia dentro i limiti della propria nazione, sia in campo internazionale, sia soprattutto nelle comunità cattoliche delle missioni e delle Chiese nascenti» (AA 22,1).

8.6 Tutta l’attività produttiva dell’uomo. Tutta l’attività produttiva dell’uomo costituisce la realizzazione del comandamento di Cristo di servire i fratelli: «L'uomo infatti, quando coltiva la terra col lavoro delle sue braccia o con l'aiuto della tecnica, affinché essa produca frutto e diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana, e quando partecipa consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua il disegno di Dio, manifestato all'inizio dei tempi, di assoggettare la terra  e di perfezionare la creazione, e coltiva se stesso; nel medesimo tempo mette in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli» (GS 57,2).

8.7 Promozione del bene comune. D particolare importanza è impegnarsi nel servizio e nella promozione del bene comune nella società: «È importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio»(GS 69,2 fine).

«Per instaurare una vita politica veramente umana non c'è niente di meglio che coltivare il senso interiore della giustizia, dell'amore e del servizio al bene comune e rafforzare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul buon esercizio e sui limiti di competenza dell'autorità pubblica» (GS 73,6).

Nella promozione del bene comune nel campo nazionale e internazionale «sono specialmente i laici a essere ministri della sapienza cristiana» (AA 14,1). Perciò «la Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità» (GS 75,3).

Questo servizio diviene promotore e custode della libertà, infatti «la libertà umana spesso si indebolisce qualora l'uomo cada in estrema indigenza, come si degrada quando egli stesso, lasciandosi andare a una vita troppo facile, si chiude in una specie di aurea solitudine. Al contrario, essa si fortifica quando l'uomo accetta le inevitabili difficoltà della vita sociale, assume le molteplici esigenze dell'umana convivenza e si impegna al servizio della comunità umana» (GS 31,2).

8.8 Il servizio laicale non ha limiti. «Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un'unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando la voce del Signore: “Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me”» (GS 27,2).

È interessante notare come nel numero 15 dell’AG, il Concilio, dopo la presentazione in una rapida sintesi del servizio che le varie categorie del Popolo di Dio devono prestare per impiantare la Chiesa, completa la visione d’insieme, sottolineando il servizio dei Religiosi/e. Questo servizio è definito “indispensabile” e si presenta arricchito del valore dell’universalità. «Sia con la preghiera, sia con l'attività esterna», i Religiosi possono servire la Chiesa e l’umanità  in tutte le loro dimensioni: non c’è nessun settore della vita della Chiesa o dell’umanità che non possa essere raggiunto dal servizio dei Religiosi/e: AG 15,9.

P. Zarantonello Daniele, comboniano, a Tumaco, in Colombia.

9.
A SERVIZIO DI CRISTO E DA LUI A SERVIZIO DI DIO.
CARATTERE SOPRANNATURALE DEL SEVIZIO DEL POPOLO DI DIO

Il Concilio non si limita a parlare del servizio che le varie categorie di persone dentro il Popolo di Dio sono chiamate a prestare agli uomini e alla Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, ma parla anche del servizio che tutti sono chiamati a prestare a Cristo Gesù e a Dio.

Tutto il Popolo di Dio e ciascuno dei suoi membri sono chiamati a prestare servizio a Dio.

Il Concilio espone il suo pensiero, prendendo come punto di partenza il carattere sociale del Cristianesimo: «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo» LG 9,1).

La finalità di questo modo di procedere da parte di Dio si fonda nel fatto che Egli desiderava che questo Popolo « lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità» (LG 9,1; cfr GS 32).

Questo servizio di Dio è il primo dovere di ogni essere umano. Infatti «Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine»» (DH 1,2).

Il servizio reso dagli uomini a Dio, è spiegato dallo stesso Concilio con il concetto di «religione»: «Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini […] Tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli» (DH 1,2).

9.1 Carattere soprannaturale del servizio gerarchico

Il servizio, per tanto, del Popolo Cristiano non è un servizio puramente umano, e perciò non si può realizzare con forze e metodi semplicemente naturali.

Questa originalità del servizio cristiano caratterizza prima di tutto il servizio gerarchico. Infatti, il servizio che la Gerarchia presta, non è frutto “del sangue e della carne”, cioè degli sforzi dell’uomo naturale, ma opera della chiamata divina e dello Spirito di Cristo.

L’insistenza del Concilio circa l’idea del servizio gerarchico non è assolutamente ovvia e naturale. L’uomo, infatti, tende naturalmente ad abbordare il potere soprattutto dal punto di vista del proprio interesse, come un titolo per essere onorato, ammirato, servito. E di fatto, se consideriamo le cose dal punto di vista storico, costatiamo che dentro la stessa Chiesa il dovere della Gerarchia di mettersi al servizio del Popolo di Dio a somiglianza di Gesù, fu spesso oscurato. Ciò successe, per esempio, quando fu riunito nella stessa persona potere gerarchico e secolare. La conseguenza di questo fatto fu che la Gerarchia costituita da Gesù, si piegò in parte alla concezione dell’autorità e del potere che è propria dell’uomo di questo mondo (cfr. Mt 20,25; Mc 10, 42) e, per tanto, faceva prevalere i suoi aspetti di diritto e di autorità, lasciando molte volte nel dimenticatoio quell’autentico aspetto, tipicamente evangelico, che è il servizio.

Il Concilio espone la dottrina del servizio gerarchico soprattutto quando parla dei Presbiteri. Non c’è dubbio, però, che la dottrina proposta possa essere estesa anche ai Vescovi. Questi, infatti, arrivano al loro ufficio passando per la condizione di Presbiteri. Per questo è nella preparazione al presbiterato e nel suo esercizio che si forma e poco alla volta si sviluppa quell’attitudine di vita che deve caratterizzare l’attività sia dei Presbiteri sia dei Vescovi, che è precisamente il servizio.

9.1.1 Il Presbitero al servizio di Cristo

Secondo le affermazioni del Concilio, i Presbiteri, oltre che stare al servizio del Popolo di Dio e del Corpo di Cristo che è la Chiesa, stanno anche al servizio dello stesso Cristo Gesù. Essi sono “ministri di Cristo” ( cfr. per es. PO 3).

Questo titolo ha come fondamento il fatto che «I presbiteri, in virtù della sacra ordinazione e della missione che ricevono dai vescovi, sono promossi al servizio di Cristo maestro, sacerdote e re; essi partecipano al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo» (PO 1,1; cfr. 16).

Questo servizio è direttamente vincolato con il compimento della volontà salvifica di Dio: «In effetti Cristo, per continuare a realizzare incessantemente questa stessa volontà del Padre nel mondo per mezzo della Chiesa, opera attraverso i suoi ministri. Egli pertanto rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri» (PO 14,2).

Il Concilio precisa il suo pensiero applicando questa dottrina al ministero dei Sacramenti: «Dio, il quale solo è santo e santificatore, ha voluto assumere degli uomini come soci e collaboratori, perché servano umilmente nell'opera di santificazione. Per questo i presbiteri sono consacrati da Dio, mediante il vescovo, in modo che, resi partecipi in maniera speciale del sacerdozio di Cristo, nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spirito» (PO 5,1).

Questa funzione è esercitata nei vari Sacramenti, in particolare nel Battesimo, nella Penitenza e nell’Eucaristia. Per questo i Presbiteri « che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione, vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha restaurato con divina efficacia l'intera comunità umana (PO 12,1).

L’esercizio di questo ministero esige che i candidati al Sacerdozio siano formati per essere «veri pastori di anime, sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore» (OT 4,1); giacché «il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l'opera di Dio realizzata in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita» (PO 2,7).

9.1.2 Il Presbitero al servizio dello Dio stesso

Il presbitero, servendo Cristo, per mezzo di Lui, serve Dio stesso. Parlando del celibato, il Concilio osserva che «con la verginità o il celibato osservato per il regno dei cieli, i presbiteri si consacrano a Dio con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a lui con un cuore non diviso, si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini» (PO 16,2; cfr. PO 20; OT 9).

Questo servizio di Dio presenta vari aspetti:

  • Fa parte di questo servizio l’adorazione di Dio: i Presbiteri «in mezzo al loro gregge lo adorano in spirito e verità (LG 28,fine; cfr. OT 2);
  • fa parte ancora di questo servizio il culto che i Presbiteri prestano a Dio in nome della Chiesa (cfr. PO 5);
  • nell’ambito del culto, stare a servizio di Dio significa, in generale, unirsi a Cristo nel compimento della volontà del Padre (PO 14);
  • per questo «tra le virtù che più sono necessarie nel ministero dei Presbiteri, va ricordata quella disposizione di animo per cui sempre sono pronti a cercare non la soddisfazione dei propri desideri, ma il compimento della volontà di colui che li ha inviati. Infatti l'opera divina per la quale sono stati scelti dallo Spirito Santo trascende ogni forza umana e qualsiasi umana sapienza: “Dio ha scelto le cose deboli del mondo per confondere quelle forti“. Consapevole quindi della propria debolezza, il vero ministro di Cristo lavora con umiltà, cercando di sapere ciò che è grato a Dio come se avesse mani e piedi legati dallo Spirito si fa condurre in ogni cosa dalla volontà di colui che vuole che tutti gli uomini siano salvi; e questa volontà la può scoprire e seguire nel corso della vita quotidiana, servendo umilmente tutti coloro che gli sono affidati da Dio in ragione della funzione che deve svolgere e dei molteplici avvenimenti della vita» (PO 15,1).

Il servizio di Dio, la ricerca della sua gloria, sono realtà connesse con il servizio prestato agli uomini. È ovvio che ci sono differenze sommamente importanti tra il servizio di Dio e degli uomini; ma esistono elementi comuni rilevanti che fanno sì che la gloria di Dio, il servizio di Dio e degli uomini costituiscano una sola cosa: «Il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l'opera di Dio realizzata in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita» (PO 2,6).

Da ciò si deduce che il servizio di Dio e degli uomini formano un’unità intima: «Perciò i presbiteri, sia che si dedichino alla preghiera e all'adorazione, sia che predichino la parola, sia che offrano il sacrificio eucaristico e amministrino gli altri sacramenti, sia che svolgano altri ministeri ancora in servizio degli uomini, sempre contribuiscono all'aumento della gloria di Dio e nello stesso tempo ad arricchire gli uomini della vita divina» (PO 2,6).

In conclusione, quando i Presbiteri servono gli uomini, non fanno nient’altro che compiere la missione di Cristo. Servendo Cristo, sacerdote e Maestro, annunciano agli uomini la sua dottrina e amministrano i suoi sacramenti. Lo stesso Cristo, operando attraverso i suoi ministri, li fa continuare a realizzare la volontà salvifica del Padre per gli uomini.

9.2 Origine del servizio soprannaturale della Gerarchia

9.2.1 Origine del servizio soprannaturale episcopale

Il carattere soprannaturale del servizio episcopale proviene dalla stessa natura del «servizio» che ai Vescovi fu conferito da Cristo. I Vescovi, infatti, assumendo il servizio della comunità «presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa» (LG 20,3) e «per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo» (LG 20,3).

Il carattere soprannaturale del servizio episcopale è, per tanto, conseguenza della relazione particolare che Cristo stabilisce con i Vescovi: «Nella persona dei vescovi, (…) , è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Pur sedendo infatti alla destra di Dio Padre, egli non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici in primo luogo, per mezzo dell'eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno  integra nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine» (LG 21,1).

L’origine soprannaturale del servizio episcopale è ancora conseguenza dell’influsso dello Spirito Santo sopra gli Apostoli. Nei Documenti conciliari, infatti, il carattere di servizio dell’ufficio degli Apostoli è direttamente connesso con l’invio dello Spirito Santo. Prima di definire il «munus» degli Apostoli come «diaconia», la Costituzione sulla Chiesa sottolinea che «Per compiere questa missione, Cristo Signore promise agli apostoli lo Spirito Santo e il giorno di Pentecoste lo mandò dal cielo, perché con la sua forza essi gli fossero testimoni fino alla estremità della terra, davanti alle nazioni e ai popoli e ai re» (LG 24,1).

In un altro passaggio della LG, il Concilio, dopo aver affermato che il Signore costituì gli Apostoli «ministri e pastori della Chiesa, tutti i giorni sino alla fine del mondo», sottolinea che «furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste secondo la promessa del Signore: “Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra”» (LG 19).

9.2.2 Origine soprannaturale del servizio dei Presbiteri

L’origine soprannaturale del servizio presbiterale proviene dal fatto che questo servizio, interamente fondato nella somiglianza con Cristo Maestro, Sacerdote e Re, destinato a comunicare agli uomini non una vita puramente terrena (cfr. PO 3) ma la vita divina (cfr. PO 2,7), esige una profonda trasformazione dell’uomo per renderlo per quanto possibile somigliante allo stesso Cristo.

Il Concilio insiste molto in quest’origine soprannaturale del servizio dei Presbiteri, spiegando anzitutto che non si tratta di opera puramente umana, Infatti, «l'opera divina per la quale sono stati scelti dallo Spirito Santo trascende ogni forza umana e qualsiasi umana sapienza» (PO 15,1).

«La missione sacerdotale è tutta dedicata al servizio della nuova umanità che Cristo, vincitore della morte, suscita nel mondo con il suo Spirito, e che deriva la propria origine “non dal sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma da Dio” (Gv1,13) » (PO 16,2).

È per questo motivo che nell’ordinazione sacerdotale i Presbiteri sono «consacrati con l’unzione dello Spirito Santo» (PO 12,2) e « configurati a Cristo sacerdote come ministri del capo» (PO 12,1), e per tutta la vita « esercitando il ministero dello Spirito e della giustizia, essi vengono consolidati nella vita dello Spirito a condizione però che siano docili agli insegnamenti dello Spirito di Cristo che li vivifica e li conduce».(PO 12,3). I Presbiteri devono vivere « come se avessero mani e piedi legati dallo Spirito» (PO 15,1), docili « agli insegnamenti dello Spirito di Cristo» (PO 12,3).

Essendo di origine divina, il servizio dei Presbiteri «che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo» (PO 2,5) e in particolare nell’Eucaristia: «Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d'apostolato, sono strettamente uniti alla sacra eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua, lui il pane vivo…» (PO 5,2).

Ciò esige che i Presbiteri debbano «unirsi a Cristo nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato […] D'altra parte, questa carità pastorale scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero, cosicché lo spirito sacerdotale si studia di rispecchiare ciò che viene realizzato sull'altare» (PO 14, 2). Così «uniti a Cristo, partecipano della carità di Dio, il cui mistero, nascosto nei secoli è stato rivelato in Cristo» (PO 13,2 fine).

Il servizio che il Presbitero presta agli uomini e al Popolo di Dio, esige da lui un continuo progresso nella santità personale. I Presbiteri, infatti, sono scelti da Dio stesso e con l’ordinazione sono elevati nella condizione di strumenti vivi di Cristo, eterno Sacerdote, per continuare nel tempo la sua opera ammirabile. Per questa relazione che unisce il Presbitero in modo peculiare alla persona di Gesù così che ogni Sacerdote, a suo modo, fa le veci di Cristo, i Presbiteri sono obbligati a tendere alla perfezione della santità. Il servizio soprannaturale del Presbitero guadagnerà credito presso gli uomini e il Popolo di Dio nella misura in cui la sua vita personale si avvicina sempre più efficacemente alla perfezione di Colui del quale è rappresentante, e la santità di Colui che è diventato per noi il Pontefice “santo, innocente, incontaminato, segregato dai peccatori (Eb 7,26)», sostiene la debolezza della sua carne (cfr. PO 12,1).

La santità personale del Presbitero non è un elemento accessorio nel disimpegno del suo servizio, ma conferisce l’efficacia al suo ministero. Infatti: «se è vero che la grazia di Dio può realizzare l'opera della salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con l'Apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e santità di vita: “Ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me”», cioè «la santità sempre maggiore consentirà loro di divenire strumenti ogni giorno più validi al servizio di tutto il popolo di Dio» (PO 12, 3 e 4).

I mezzi ai quali il Sacerdote deve ricorrere per realizzarla sua crescita nella santità, sono tutti quelli che la Chiesa offre in generale per questo fine a tutti i fedeli.

Tuttavia il Decreto sul ministero e la vita sacerdotale insiste nell’idea che lo stesso esercizio fedele del ministero costituisce un eccellente mezzo di santificazione personale: «I presbiteri raggiungeranno la santità nel loro modo proprio se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero e instancabile» (PO 13,1).

Lo stesso Decreto specifica che questa regola può essere praticata in particolare con l’annuncio della Parola di Dio, nella amministrazione dei Sacramenti e pascendo il Popolo di Dio (PO 13).

Il Concilio afferma la sua convinzione che lo stesso ministero sacerdotale debba essere fonte privilegiata di santità per i Sacerdoti, quando nella Costituzione sulla Chiesa dirige loro questa esortazione: «Crescano nell’amore di Dio e del prossimo mediante il quotidiano esercizio del proprio ufficio» (LG 41,3).

9.2.3 Origine soprannaturale del servizio dei Diaconi

I Diaconi ricevono l’imposizione delle mani «non per il Sacerdozio, ma per il servizio» (LG 29,1). Questo servizio è di ordine soprannaturale ed è esercitato dai Diaconi in virtù della grazia sacramentale. Infatti: «sostenuti dalla grazia sacramentale, nella « diaconia » della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio».(LG 29,1; cfr. CD 15; AD 16).

I Diaconi «partecipano alla missione e alla grazia del supremo Sacerdote e servono i misteri di Dio e della Chiesa» (LG 41,4); «suscitati nell’ambito stesso dei fedeli da una aspirazione divina» (AG 15,9), sono anch’essi «ministri della salvezza» (AG 16,1).

Questa origine soprannaturale del servizio diaconale esige una corrispondente santità personale che il Concilio esprime in questi termini: «I diaconi, servendo i misteri di Dio e della Chiesa devono mantenersi puri da ogni vizio, piacere a Dio e studiarsi di fare ogni genere di opere buone davanti agli uomini» (LG 41,4).

I mezzi di santità che il Concilio indica per i Sacerdoti sono validi in molti aspetti  anche per i Diaconi.

9.2.4 Origine soprannaturale del servizio dei Laici

Anche il servizio dei Laici è di origine soprannaturale. Infatti: «La Bibbia insegna che l'uomo è stato creato “ad immagine di Dio” capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio» (GS 12,3).

Questa visione, però, è perturbata dalla presenza dello spirito del mondo, cioè, «quello spirito di vanità e di malizia che stravolge in strumento di peccato l'operosità umana, ordinata al servizio di Dio e dell'uomo» (GS 37,3).

Perciò i fedeli devono inserirsi nelle strutture umane e «aiutarsi a vicenda a una vita più santa anche con opere propriamente secolari, affinché il mondo si impregni dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace» (LG 36,2).

Lo specifico della presenza dei fedeli nel mondo è « manifestare a tutti, nello stesso servizio temporale, la carità con la quale Dio ha amato il mondo» (LG 41, 7fine), obbedendo così all’Evangelo che « ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini» (GS 41,2).

In questa prospettiva: «Tutti i fedeli della Chiesa sappiano che il primo e principale loro dovere in ordine alla diffusione della fede è quello di vivere una vita profondamente cristiana […] Sarà appunto il loro fervore nel servizio di Dio, nel loro amore verso il prossimo ad immettere come un soffio nuovo di spiritualità in tutta quanta la Chiesa» (AG 36,2).

Anche per i laici «servire» significa conoscere e confessare Dio, e ciò equivale alla “vera religione” per la cui pratica gli uomini ottengono la propria salvezza e felicità e danno gloria d Dio.

Il Popolo di Dio attualmente sembra orientato all’accettazione delle forme di vita secolarizzata e quindi a ridurre  al minimo la differenza di comportamento tra credenti e non credenti. Ma questa tendenza non deve rendere il fedele indifferente davanti alla singolarità inalienabile del cristiano: il cristiano, infatti, conosce il Dio e Padre de Signore nostro Gesù Cristo, il mondo non lo conosce.

Conoscere Dio significa rinunciare al peccato e aderire a Cristo. È proprio qui che si apre il solco che separa i conoscitori del Padre e i figli di questo mondo. La fede, infatti, è «separazione e negazione del mondo che passa: attraverso questa separazione si manifesta il mistero di Dio che interpella ogni uomo di buona volontà. Rinunciare a questa separazione significa rinunciare alla propria identità cristiana e alla rispettiva missione nel mondo che attende Dio».

Ma il servizio dei Laici, come del resto quello della Gerarchia, è genuinamente soprannaturale non solo perché continua nel mondo l’opera salvifica di Dio, ma anche perché  è frutto della vita della Grazia e dell’azione dello Spirito Santo nel fedele.

Il servizio che il cristiano presta al mondo è un fatto, le cui radici e ispirazioni provengono dalla Carità diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo (LG 42,1). Per questo stesso motivo, la prova suprema dell’amore, che è il martirio, è stimato dalla Chiesa come «dono insigne» di Dio  e «suprema prova di carità» (LG 42,2).

È questo l’intervento «dello Spirito Santo, il quale rende oggi sempre più consapevoli i laici della loro responsabilità e dovunque li stimola a mettersi a servizio di Cristo e della Chiesa» (AA 1,3).

Il Concilio precisa che «per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito Santo che già santifica il popolo di Dio per mezzo del ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (1Cor 12,7) “distribuendoli a ciascuno come vuole” (1Cor 12,11), affinché mettendo “ ciascuno a servizio degli altri il suo dono al fine per cui l'ha ricevuto, contribuiscano anch'essi come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio” (1Pt 4,10) alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cfr. Ef 4,16).

Dall'aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa, sia nella Chiesa stessa che nel mondo con la libertà dello Spirito, il quale «spira dove vuole» (Gv 3,8) e al tempo stesso nella comunione con i fratelli in Cristo» (AA 3,4 e5). Inoltre, «i doni dello Spirito sono vari: alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta al desiderio della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo vivo nell'umanità; altri li chiama a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da preparare attraverso tale loro ministero quasi la materia per il regno dei cieli». (GS 38,2).

Questo influsso dello Spirito Santo produce, oltre agli altri effetti, una profonda trasformazione della vita umana: «Di tutti, però, fa degli uomini liberi, in quanto nel rinnegamento dell'egoismo e convogliando tutte le forze terrene verso la vita umana, essi si proiettano nel futuro, quando l'umanità stessa diventerà offerta accetta a Dio» (GS 38,2 fine).

Laici comboniani polacchi in Uganda.

10.
LO “SPIRITO DI SERVIZIO”

Il servizio, nel pensiero del Concilio, non si limita ad opere esteriori, le quali devono essere permeate interiormente dallo “spirito di servizio”.

Il dovere di servire significa che tutti i membri della Chiesa hanno l’obbligo non solo di prestare determinate opere esterne, ma di eseguirle nello “spirito di servizio”, che è lo steso spirito con il quale Cristo realizzò e continua a realizzare il suo servizio.  Il Concilio, per tanto, dà speciale rilievo all’esercizio di quelle virtù che si deducono dall’esempio e dalla persona di Gesù, “Servo del Signore”: l’umiltà, la povertà, l’abnegazione fino al martirio, l’obbedienza, l’amore alla Croce, ispirati nella carità verso Dio e verso il prossimo. Queste virtù sono i presupposti interiori di quell’autentico servizio richiesto ai discepoli di Gesù, i quali sono chiamati a divenire somiglianti al Maestro, che si fece servo di tutti.

Ecco allora il principio generale: siccome il ministero della Chiesa consiste nel continuare l’opera di Gesù, ella è chiamata a seguire la stessa strada seguita dal suo Signore e Maestro e condividere il suo modo di vivere: «Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo “che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo” (Fil 2,6-7) e per noi “da ricco che era si fece povero” (2Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione» (LG 8,3; cfr. AG 5,2).

Il riferimento al sacrificio della vita di Cristo come motivo dell’attività della Chiesa appare in vari passaggi: cfr. per esempio LG 27,3; AG 3; AD 5,2. In realtà, per servire, ci sono nella Chiesa mezzi peculiari, ma quanto alla loro sostanza, il servizio che è richiesto a tutti i fedeli senza eccezione, è uguale per tutti. Infatti: «La incidenza apostolica (delle associazioni) dipende dalla conformità con le finalità della Chiesa, nonché dalla testimonianza cristiana e dallo spirito evangelico dei singoli membri e di tutta l'associazione» (AA 19,3).

Trattando dell’Ecumenismo, il Concilio chiarisce ancora una volta le condizioni indispensabili per l’efficacia apostolica, cioè: la conversione interiore, il rinnovamento dello spirito, l’abnegazione di se stessi e il pieno esercizio della carità. L’atteggiamento interiore che deve animare il servizio dei fratelli è così indicato dal Concilio: «Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia di una sincera abnegazione, dell'umiltà e della dolcezza nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri» (UR 7,1).

Queste parole sono fondate sull’esortazione all’unità contenuta nella Lettera agli Efesini: «Vi scongiuro dunque io, che sono incatenato nel Signore, di camminare in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e dolcezza, con longanimità, sopportandovi l'un l'altro con amore, attenti a conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace» (Ef 4,1-3).

Il Concilio sottolinea che «questa esortazione riguarda soprattutto quelli che sono stati innalzati al sacro ordine per continuare la missione di Cristo, il quale “non è venuto tra di noi per essere servito, ma per servire”» (UR 7,1).

10.1 Lo spirito di servizio della Gerarchia

10.1.1 Gli aspiranti al Sacerdozio. «In modo ben chiaro dovranno comprendere di non essere destinati né al dominio né agli onori, ma di dover mettersi al completo servizio di Dio e del ministero pastorale. Con particolare sollecitudine vengano educati alla obbedienza sacerdotale, ad un tenore di vita povera, allo spirito di abnegazione, in modo da abituarsi a vivere il conformità con Cristo crocifisso» (OT 9,1).

10.1.2 I Presbiteri. «Mediante il quotidiano esercizio del proprio ufficio crescano nell'amore di Dio e del prossimo, conservino il vincolo della comunione sacerdotale, abbondino in ogni bene spirituale e diano a tutti la viva testimonianza di Dio emuli di quei sacerdoti che nel corso dei secoli, in un servizio spesso umile e nascosto, hanno lasciato uno splendido esempio di santità». (LG 41, 3).

10.1.3 I Vescovi. «Ricordino di esse tenuti a dare essi per primi esempio di santità, nella carità, nell'umiltà e nella semplicità della vita». (CD 15,3).

Sottolineando l’importanza che rivestono per il movimento ecumenico “la grazia di una sincera abnegazione, dell'umiltà e della dolcezza nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri”, il Decreto sull’Ecumenismo conferma queste affermazioni, citando un’esortazione di Paolo (Ef 4,1-3) e conclude affermando: «Questa esortazione riguarda soprattutto quelli che sono stati innalzati al sacro ordine per continuare la missione di Cristo, il quale “non è venuto tra di noi per essere servito, ma per servire”» (UR,1).

10.1.4 I Missionari. La descrizione della vita dei missionari è la più vigorosa e stimolante: «Il missionario diventa infatti partecipe della vita e della missione di colui che “annientò se stesso, prendendo la natura di schiavo” (Fil 2,7); deve quindi esser pronto a mantenersi fedele per tutta la vita alla sua vocazione, a rinunciare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio, ed a “farsi tutto a tutti” (1Cor 9,22)» (AG 24,1).

Inoltre, «Seguendo l'esempio del suo Maestro, mite e umile di cuore, deve dimostrare che il suo giogo è soave e il suo peso leggero. Vivendo autenticamente il Vangelo, con la pazienza, con la longanimità, con la benignità, con la carità sincera, egli deve rendere testimonianza al suo Signore fino a spargere, se necessario, il suo sangue per lui. Virtù e fortezza egli chiederà a Dio, per riconoscere che nella lunga prova della tribolazione e della povertà profonda risiede l'abbondanza della gioia. E sia ben persuaso che è l'obbedienza la virtù distintiva del ministro di Cristo, il quale appunto con la sua obbedienza riscattò il genere umano» (AG 24,2).

10.1.5 L’attenzione ai poveri, segno tangibile dello spirito di povertà

Segno esterno e tangibile dell’imitazione di Cristo servo, umile e povero, da parte della Chiesa, è l’attenzione che ella dedica ai poveri. Infatti, «come Cristo è stato inviato dal Padre “ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito”, “a cercare e salvare ciò che era perduto”, così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo» (LG 8,3.

Questo modo di agire della Chiesa esige dai Presbiteri che si prendano cura in modo particolare dei ponevi: «Anche se sono tenuti a servire tutti, ai Presbiteri sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito e la cui evangelizzazione è presentata come segno dell'opera messianica» (PO 6,2).

Il Concilio specifica più dettagliatamente il suo pensiero circa l’umile «spirito di servizio» prestato dai Presbiteri attraverso la povertà, inculcando ai Sacerdoti il distacco dai beni terreni, la pratica della povertà volontaria e l’uso comune dei beni.

10.1.5.1 Spirito di povertà e distacco dai beni terreni

Il Presbitero vive lo spirito di povertà prima di tutto attraverso il distacco dai beni terreni. Di fatto Il Concilio da un lato insiste perché si provveda con ordine ed efficacia al sostentamento onesto e degno dei Presbiteri, affinché possano «condurre una vita onesta e dignitosa» (PO 20,1); ma d’altro lato esige che i Presbiteri: «usando del mondo come se non se usassero, possono giungere a quella libertà che riscatta da ogni disordinata preoccupazione e rende docili all'ascolto della voce di Dio nella vita di tutti i giorni. Da questa libertà e docilità nasce il discernimento spirituale, che consente di mettersi nel giusto rapporto con il mondo e le realtà terrene» (PO 17,1).

I Presbiteri, per tanto, «dato che il Signore è la loro «parte ed eredità» (Num 18,20) debbono usare dei beni temporali solo per quei fini ai quali essi possono essere destinati d'accordo con la dottrina di Cristo Signore e gli ordinamenti della Chiesa. […] I sacerdoti, quindi, senza affezionarsi in modo alcuno alle ricchezze debbono evitare ogni bramosia ed astenersi da qualsiasi tipo di commercio» (PO 17,2.3).

10.1.5.2 Spirito di povertà e povertà volontaria

Il distacco dai beni terreni è appena il primo passo nella realizzazione dello spirito di povertà. Questo distacco, infatti, può divenire punto di partenza per abbracciare la povertà volontaria. Il Concilio non esita a proporre questa meta ai Presbiteri: «Anzi, essi sono invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possono conformarsi a Cristo in un modo più evidente ed essere più disponibili per il sacro ministero. Cristo infatti da ricco è diventato per noi povero, affinché la sua povertà ci facesse ricchi. Gli apostoli, dal canto loro, hanno testimoniato con l'esempio personale che il dono di Dio, che è gratuito, va trasmesso gratuitamente e hanno saputo abituarsi tanto all'abbondanza come alla miseria» (PO 17,4).

10.1.5.3 Spirito di povertà e uso comune dei beni

Il distacco dai beni terreni realizzato nella pratica della povertà volontaria, può giungere alla pratica dell’uso comune dei beni materiali. Il Concilio suggerisce anche questa forma di mettere in pratica il distacco dai beni materiali, fondandola nell’esempio della Chiesa primitiva: «Ma anche un certo uso comune delle cose - sul modello di quella comunità di beni che vanta la storia della Chiesa primitiva - contribuisce in misura notevolissima a spianare la via alla carità pastorale; inoltre, con questo tenore di vita i presbiteri possono mettere lodevolmente in pratica lo spirito di povertà raccomandato da Cristo» (PO 17,4 fine).

NB: Per approfondire « la spiritualità del servizio» nel suo rapporto con la pratica della povertà evangelica è illuminante la «Carta a los seminaristas y sacerdotes esmeraldeños. Pobres y emigos de los pobres = Lettera sulla povertà evangelica ai seminaristi e sacerdoti di Esmeraldas» (1995) di Mons Enrico Bartolucci, tradotta e pubblicata dalla Ed. EMI (1999) con titolo “Poveri e mici dei poveri. Spiritualità della povertà”.

10.1.5.4 Lo spirito di obbedienza

L’altra virtù intimamente unita con lo spirito di umiltà, di negazione di sé e di povertà, è l’obbedienza. Il Concilio afferma che la missione della Chiesa si realizza come obbedienza al mandato di Cristo (AG 5) e definisce l’obbedienza come «il distintivo del ministro di Cristo» (AG 24,2).

I presbiteri nell’esercizio del loro ministero sono chiamati a seguire lo stesso cammino di Cristo. Infatti, «con questa umiltà e obbedienza responsabile e volontaria i presbiteri si conformano sull'esempio di Cristo, e arrivano ad avere in sé gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, il quale “annientò se stesso prendendo la condizione di servo..., fatto obbediente fino alla morte” e con questa obbedienza ha vinto e redento la disobbedienza di Adamo» (PO 15,3).

10.2 Lo «spirito di servizio» dei Laici

Anche riguardo ai Laici il Concilio accentua quell’aspetto peculiare dello “spirito di servizio”, costituito dall’umiltà, povertà, obbedienza, fedeltà nel cammino della Croce, abnegazione di se tessi, fino al martirio, ispirati nella carità verso Dio e il prossimo.

Alcuni aspetti sono sviluppati e sottolineati anche quando il Concilio si rivolge ai Laici. La ragione è chiara: i membri della Gerarchia hanno anch’essi il dovere di corrispondere alle esigenze del Battesimo come tutto il Popolo di Dio, a meno che non siano incompatibili con i doveri dell’Ordine sacro.

«Ogni laico deve essere davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo. Tutti insieme, e ognuno per la sua parte, devono nutrire il mondo con i frutti spirituali (cfr. Gal 5,22) e in esso diffondere lo spirito che anima i poveri, miti e pacifici, che il Signore nel Vangelo proclamò beati. In una parola: “ciò che l'anima è nel corpo, questo siano i cristiani nel mondo”» (LG 38).

«Tutti devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (LG 42,2 fine).

«Cristo, …, ha comunicata ai discepoli la sua potestà (potere salvifico), perché anch'essi siano costituiti nella libertà regale e con l'abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato anzi, servendo il Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli al Re, servire i1 quale è regnare» (LG 36,1).

La carità è parte integrante di questo spirito di servizio, sta in intima connessione con il servizio dei fratelli e con lo spirito di povertà. «Perché la carità, come buon seme, cresca e nidifichi» nei fedeli, sono necessarie varie cose: oltre che ascoltare la Parola di Dio e ricevere i Sacramenti, è necessario «applicarsi costantemente alla preghiera, all'abnegazione di se stesso, all'attivo servizio dei fratelli» (LG 42,1).

La stessa connessione è affermata nella Gaudium et Spes: «Il Verbo di Dio ci rivela “che Dio è carità” (1Gv4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell'amore» (GS 38,1).

C’è anche una connessione tra la carità, la povertà e l’umiltà. Nel cammino verso la santità i discepoli sono chiamati sempre a imitare e dare testimonianza della carità e dell’umiltà di Cristo, «il quale “spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo... facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2,7-8), e per noi “da ricco che era si fece povero” (2Cor 8,9) » (LG 42,4).

È proprio la carità che rende Gesù “povero, schiavo, obbediente”. Il discepolo che è chiamato a tendere alla perfezione della carità, deve passare per lo stesso cammino di Gesù. Quindi «tutti i fedeli del Cristo sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di dirigere rettamente i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo mondo e da un attaccamento alle ricchezze contrario allo spirito della povertà evangelica non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce infatti l'Apostolo: Quelli che usano di questo mondo, non vi ci si arrestino, perché passa la scena di questo mondo (cfr. 1Cor 7,31 gr.) (LG 42,5).

Il martirio è l’espressione più chiara e più significativa dell’intima unità tra il servizio e la carità. Lo stesso Gesù realizza questa unità nella sua persona e la propone ai suoi discepoli: «Avendo Gesù, Figlio di Dio, manifestato la sua carità dando per noi la vita, nessuno ha più grande amore di colui che dà la vita per lui e per i fratelli (cfr. 1Gv 3,16; Gv 15,13). Già fin dai primi tempi quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e altri lo saranno sempre, a rendere questa massima testimonianza d'amore davanti agli uomini, e specialmente davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (LG 42,2).

Anche se nel testo citato non appare il termine «servizio», tuttavia la dottrina esposta sul martirio non ci impedisce di considerarlo come un atto di servizio dei fratelli. Il testo citato, infatti, non presenta il martirio solo come un sacrificio fatto per amore di Cristo, ma anche come sacrificio della vita in beneficio dei fratelli. In effetti, secondo il pensiero di Gesù, e per tanto del Concilio, il servizio dei fratelli deve arrivare all’estremo sacrificio della vita. Come Gesù che dichiarò di essere venuto per servire e dare la vita per la liberazione di molti (cfr. Mt 20,28; Mc 10,45), così anche il Concilio esorta i Presbiteri e i loro ausiliari a portare il proprio servizio fino all’estremo olocausto della vita in beneficio degli uomini (cfr. LG 27,2; OT 4; AG 5,2). Il martirio così inteso oltrepassa l’interpretazione comune che lo considera quasi esclusivamente come prova della verità del Vangelo o come prova suprema dell’amore per Cristo. Il Concilio considera il fatto in una visione più integrale, vedendo nel martirio una prova di amore per Cristo, ma affermando che questo amore porta il discepolo a unirsi così perfettamente a Cristo nel servizio dei fratelli da arrivare al punto di dare, come Cristo, la propria vita per la redenzione di molti.

Secolari missionarie comboniane in Italia.

SINTESI GENERALE

1. Il dovere del servizio è uguale per i membri della Chiesa

Secondo la dottrina del Concio incombe lo stesso dovere di servizio sia alla Chiesa come tale sia ai membri della Gerarchia. Questa dottrina non è presentata in modo sporadico, giacché il Concilio non si stanca di inculcare il dovere di servire a tutti i membri del Popolo di Dio appunto per essere Popolo di Dio.

Tutti i cristiani sono chiamati a servire, con Cristo e per mezzo di Lui, i propri fratelli, o meglio l’umanità intera.

Ma come Gesù è in primo luogo “Servo del Signore” volontariamente consacrato al servizio degli uomini per realizzare il Piano divino della salvezza e compiere la volontà salvifica di Dio Padre, così anche il servizio della Chiesa e dei suoi membri riceve il suo primordiale e più profondo motivo nel servizio che questi prestano a Dio; tal servizio, infatti, mira a cooperare con Cristo, perché si compia la volontà salvifica di Dio e il Signore sia glorificato. Questa gloria di Dio si realizza quando gli uomini accolgono con coscienza, libertà e gratitudine l’opera di Dio realizzata in Cristo e la manifestano con la propria vita.

Il dovere di servire significa anche che tutti i membri della Chiesa hanno l’obbligo non solo di prestare determinati servizi esterni, ma di eseguirli in «spirito di servizio», che è lo stesso spirito con il quale Gesù realizzò e continua a realizzare il suo servizio: spirito di umiltà, povertà e abnegazione, ispirato nella carità verso Dio e il prossimo.

Alcuni potranno eseguire questo servizio servendosi di mezzi e modalità peculiari (come è il caso dei Religiosi), ma, quanto alla sostanza, il servizio è richiesto a tutti ed è uguale per tutti.

È della massima importanza per tutti i membri della Chiesa prendere coscienza che il servizio cristiano non è un fatto semplicemente umano, ma sì una realtà genuinamente soprannaturale, sia nella sua origine sia nel suo termine. La radice, infatti, del servizio cristiano si immerge nella vita della Grazia che sgorga nell’uomo in virtù della somiglianza soprannaturale del fedele con Cristo, Figlio di Dio; inoltre il servizio cristiano si nutre costantemente della Grazia, ed è essenzialmente opera dello Spirito Santo. Quanto al termine del servizio, è la realizzazione del Piano salvifico di Dio.

2. Fonti della dottrina conciliare sul servizio

La dottrina conciliare sul dovere del servizio della Chiesa, dei membri della Gerarchia, e dei membri che non appartengono alla Gerarchia, deriva dall’esempio di Gesù, “Servo del Signore”; esempio il cui significato è stato esposto e spiegato da Gesù stesso nei suoi colloqui con gli Apostoli.

Inoltre l’esperienza di piena condivisione con Gesù vissuta dai Dodici, è una vita in cui gli Apostoli apprendono lavorare e a servire facendo vita comune.

In questa condivisione, quindi, il servizio è un elemento essenziale: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27). “Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10, 45).

Per tanto, la sequela di Gesù comporta inevitabilmente lavori pratici, esperienze di servizio: specialmente servire alla mensa (Mc 6, 35-44; 8, 1-10; 11, 1-7; 14, 12-16).

Una vita vissuta come servizio agli altri è una prospettiva difficile per persone che sognano dominare sugli altri. Ma Gesù non indietreggia: la lavanda dei piedi sarà la vetta più alta e definitiva della lezione del servizio; infatti Giovanni la presenta come il gesto che riassume tutta l’esistenza-missione di Gesù, che si trova compresa tra l'uscita dal Padre ed il ritorno al Padre.

C'è da notare che Gesù non ammette scappatoie; ai Dodici che non sanno che cosa fare e gli suggeriscono che mandi la gente a casa all'avvicinarsi della sera, Gesù risponde: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6, 37). L'impossibile non è una scusa quando si sa che il Signore vuole trovare frutto nel fico, anche fuori stagione (Mc 11, 13). Perché “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9, 23).

3. Differenze tra il servizio della Gerarchia e quello dei Laici

a) Mentre gli Apostoli e, quindi, i membri della Gerarchia hanno ricevuto direttamente dallo stesso Gesù l’ordine esplicito di servire, tale ordine non fu esplicitamente formulato a riguardo della Chiesa come tale.

È stato l’esempio di Gesù che ha fatto capire alla Chiesa il suo dovere di servire, facendo una considerazione molto ovvia: se la Chiesa, nuovo Popolo di Dio, partecipa della stessa missione di Cristo, continuandola attraverso i secoli, è chiaro che anche per lei ha valore la massima evangelica: «Non essere servito, ma servire».

Ci troviamo qui davanti ad un interessante e chiaro esempio di “progresso della Tradizione di origine apostolica”, che la Costituzione sulla Divina Rivelazione spiega nei termini seguenti: «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (DV 8,2).

b) Trattando del servizio della Gerarchia, il Concilio si preoccupò di spiegare il dovere di servizio in modo da non suscitare dubbi su ciò che riguarda il sacro potere e l’autorità conferita dallo stesso Cristo alla Gerarchia. I Vescovi, infatti, devono servire i propri fratelli come gli Apostoli; anche se presiedano al gregge in nome di Dio, sono a servizio della comunità. Ciò non significa negare o sminuire l’autorità, la quale è pienamente affermata, ma come un carisma concesso “per l’edificazione”, che deve va essere esercitato in spirito di servizio. L’idea di servizio determina perfino il modo di esercitare il governo, il quale deve essere umile e paterno, fermo e al tempo stesso pieno di benignità, pazienza e carità.

Se nella teoria è già difficile coniugare tutti questi elementi, quanto più sarà nella pratica. Perciò Cristo non lascia gli Apostoli e i loro successori soli in questo difficile compito; promette e invia loro il suo Spirito, che li rende somiglianti al Maestro e Grande Sacerdote, fortificandoli e guidandoli nel compimento della loro missione.

c) Quanto ai Laici, il Concilio sottolinea il fatto che essi, anche se non rivestiti del sacro potere e dell’autorità che compete alla Gerarchia, partecipano veramente della missione della Chiesa. Infatti, anche per mezzo di essi Cristo continua la missione e l’opera della salvezza del mondo.

Inoltre, il Concilio, presentando il vasto campo di servizio proprio dei Laici, lo indica con l’espressione “opere umane” o “servizio temporale». (LG 41,5 e 6).

Suore missionarie comboniane a Roma.

11.
IL SERVIZIO DELLA VITA CONSACRATA

Per avere una visione completa del dovere di servire del Popolo di Dio, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione ai membri della Vita Consacrata, il cui servizio nella Chiesa si esprime in modo peculiare. Ciò è dovuto a due fattoti. Da un lato: «Un simile stato, se si riguardi la divina e gerarchica costituzione della Chiesa, non è intermedio tra la condizione clericale e laicale, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo speciale dono nella vita della Chiesa e ad aiutare, ciascuno a suo modo, la sua missione salvifica» (LG 43,2).

Per questa ragione il servizio dei Religiosi non può essere identificato né con il servizio gerarchico né con il servizio laicale.

D’altro lato, i membri dello stato religioso «tendono alla santità per una via più stretta» (LG 13,3) e «col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini» LG 31,2).

Per questa ragione il Concilio mediante le spiegazioni che hanno per oggetto il servizio dei Religiosi, presenta il modo di concepire il servizio nella Chiesa nella sua forma più radicale.

Infatti, il dono di se stesi a Dio mediante la professione dei consigli evangelici mette il fedele in uno stato di totale disponibilità che si traduce in servizio unico, esclusivo, di Dio stesso e dei fratelli nella Chiesa e nel mondo.

11.1 La Vita Consacrata è un dono di Dio

«Con i voti o altri impegni sacri simili ai voti secondo il modo loro proprio, il fedele si obbliga all'osservanza dei tre predetti consigli evangelici (= di castità consacrata a Dio, di povertà e di obbedienza >cfr. LG 43,1); egli si dona totalmente a Dio amato al di sopra di tutto, così da essere con nuovo e speciale titolo destinato al servizio e all'onore di Dio. Già col battesimo è morto al peccato e consacrato a Dio; ma per poter raccogliere in più grande abbondanza i frutti della grazia battesimale, con la professione dei consigli evangelici nella Chiesa intende liberarsi dagli impedimenti che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino, e si consacra più intimamente al servizio di Dio» (LG 44,1; cfr. PC 5).

Il Religioso serve Dio innanzitutto amandolo come unico e supremo amore della sua vita.

L’amore di Dio è l’essenza del servizio del fedele che abbraccia lo stato religioso. La Vita Consacra, infatti, tende verso «il raggiungimento della carità perfetta» (PC,1).

Essa comporta la donazione totale del fedele a Dio sommamente amato (PC 1; LG 44a), propone al fedele come meta primaria della sua vita di «avanzare nella gioia spirituale sul cammino della carità» (LG 43). La Vita Consacrata è di fatto, anzitutto, ordinata a far sì che i suoi membri si uniscano a Dio (PC 2e), vivano per Dio solo (PC 5,1), abbiano di mira unicamente e sopra ogni cosa Iddio (PC 5,5), prima di ogni cosa cerchino ed amino Iddio che li ha amati per primo (PC 6,1), si occupino solo di Dio (PC 7), alimentino in sommo grado la carità verso Dio (PC 8,1).

Per il conseguimento di tale obiettivo, lo stato religioso rende il fedele libero dalle preoccupazioni terrene (LG 44,1) e, per tanto, disponibile per un continuo progresso nell’amore verso Dio e verso tutti gli uomini (PC 12,1).

Il fedele consacrato realizza questo servizio unendosi a Gesù, seguendolo, imitandolo e vivendo per Lui (PC 1; 2).

Così l’amore esclusivo di Dio si realizza, lasciando tutto per amore a Gesù, seguendolo come l’unica cosa necessaria, ascoltando la sua Parola, pieni di sollecitudine per le cose sue (PC 5,4; 2,1). Servire Dio mediante la Vita Consacrata significa, per tanto, amare unicamente Dio in Cristo e per Cristo.

La pratica dei consigli evangelici non è fine a se stessa, ma è cammino concreto per mezzo del quale il cristiano tende al raggiungimento della carità perfetta (PC 1).

Il servizio di Dio si esprime in forma eminente nel culto (LG 44,1). Ciò giustifica dentro la Chiesa la presenza di Famiglie religiose di vita contemplativa (PC 7) e monastica (PC 9) e rende la preghiera liturgica e personale elemento essenziale della Vita Consacrata (PC 5; 6; 8).

11.2 La Vita Consacrata è servizio degli uomini

La perfezione della carità alla quale tende la Vita Consacrata, ha come oggetto Dio e il prossimo. I Religiosi con la loro consacrazione al servizio di Dio non «diventano estranei agli uomini o inutili nella città terrestre» (LG 46,2), ma si donano senza limiti anche al servizio dei fratelli:

«Perciò il sacro Concilio conferma e loda quegli uomini e quelle donne, quei fratelli e quelle sorelle, i quali nei monasteri, nelle scuole, negli ospedali e nelle missioni, con perseverante e umile fedeltà alla loro consacrazione, (…) a tutti gli uomini prestano generosi e diversissimi servizi» (LG 46,3).

Dall’amore totale a Dio, dalla vita nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3) «scaturisce e riceve impulso l’amore del prossimo per la salvezza del mondo» (PC 6,1).

Così come i Religiosi si donano e amano unicamente Dio in Cristo e per Cristo, allo stesso modo servono i fratelli per mezzo di Lui e in Lui. La loro vocazione, infatti, li chiama a “seguire Cristo” e a servire lo stesso Cristo nelle sue membra (PC 8,1). Perciò in tutte le attività i religiosi, servendo i fratelli, servono Gesù e nei vari Istituti la vita dei membri deve essere messa a servizio di Cristo.

11.3 La Vita Consacrata è servizio della Chiesa e nella Chiesa

La vita del fedele consacrato è uno stato di vita essenzialmente ecclesiale.

La Vita Consacrata, infatti, è indissolubilmente legata alla vita della Chiesa e al suo mistero di salvezza. Essa nasce nella Chiesa che è segno e strumento di salvezza offerta da Dio agli uomini, e perciò è indissolubilmente unita alla sua vita e alla sua missione (LG 1; 44b,d).

 “Lo stato che è costituito dalla professione dei consigli evangelici appartiene fermante alla vita e alla santità” della Chiesa (LG 44,4). “I consigli evangelici congiungono in modo speciale coloro che li praticano alla Chiesa e al suo mistero” LG 44,2).

La Vita consacrata, di fatto, è frutto di un disegno dell’amore divino, è un dono divino che la Chiesa riceve dal suo Signore, che ha come obiettivo non solo l’individuo, ma tutta la Chiesa e la sua missione (LG 43).

La chiesa diviene così depositaria di questo dono, che con la grazia dello stesso Signore sempre conserva (LG 43), essa è il campo dove Dio pianta l’albero della vita Consacrata e dove questa vita è destinata a crescere (LG 43; PC 1,2).

La Vita consacrata appare così come un patrimonio della Chiesa, che affonda  le sue radici oltre che nel Signore, negli Apostoli, nei Padri, nei Dottori e Pastori della Chiesa (LG 43).

Per tanto, la Chiesa ha il potere sulla pratica dei consigli evangelici (LG 43; PC 1,2a) e i Religiosi fanno il dono di se stessi a Dio attraverso la Chiesa (LG 45,1; PC 5,2).

Anzi gli Istituti di vita attiva possono sviluppare la loro attività per mandato e in nome della Chiesa. Infatti: «In questi istituti l'azione apostolica e caritatevole rientra nella natura stessa della vita religiosa, in quanto costituisce un ministero sacro e un'opera di carità, che sono stati loro affidati dalla Chiesa e devono essere esercitati in suo nome» (PC 8,1).

Dio, per tanto, chiama alcuni fedeli sia a usufruire del peculiare dono della Vita Consacrata nella vita della Chiesa sia ad aiutare la sua missione salvifica (LG 43,2).

«Siccome i consigli evangelici, per mezzo della carità alla quale conducono congiungono in modo speciale coloro che li praticano alla Chiesa e al suo mistero, la loro vita spirituale deve pure essere consacrata al bene di tutta la Chiesa. Di qui deriva il dovere di lavorare, secondo le forze e la forma della propria vocazione, sia con la preghiera, sia anche con l'attività effettiva, a radicare e consolidare negli animi il regno di Cristo e a dilatarlo in ogni parte della terra» (LG 44,2).

La professione di consigli evangelici deve apparire nella Chiesa come un segno che può e deve attrarre efficacemente tutte i membri a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana (LG 44,3). I Religiosi che vivono con perseverante e umile fedeltà la loro consacrazione onorano la sposa di Cristo (LG 46,3).

Allora il Religioso deve essere cosciente che attraverso la professione dei consigli evangelici si unisce in modo speciale al mistero della Chiesa, deve vivere la sua consacrazione, sentendosi parte viva della Chiesa e del suo mistero e di santificarsi nella Chiesa, con la Chiesa e per mezzo della Chiesa. Il Religioso, infatti, mediante la professione è profondamente immerso nella realtà della Chiesa; tutta la ragion d’essere del Religioso sta nel fatto che «alcuni fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo speciale dono nella vita della Chiesa» (LG 43,2). La meta del Religioso è quella di vivere esclusivamente per Dio mediante una profonda unione con Cristo, la quale unisce il Religioso anche al Corpo di Cristo che è la Chiesa, così che il Religioso sempre più vive per Cristo e per il suo Corpo (PC 1,3; 5).

Una volta che il Religioso prende coscienza di ciò, sente l’obbligo di consacrare la sua vita spirituale al bene di tutta la Chiesa: « Avendo la Chiesa ricevuto questa loro donazione di sé, sappiano di essere anche al servizio della Chiesa» (PC 5,2)

Il Religioso, per tanto, deve essere consapevole che il significato della consacrazione religiosa non si esaurisce nel cammino verso la santità personale. Al contrario, il cammino verso la santità personale, per essere autentico deve essere ordinato al bene di «tutto il corpo di Cristo» (LG 43,1), «al bene di tutta la Chiesa» (LG 44,2), «per una più grande santità di tutta la Chiesa» (LG 47).

La santità del Religioso è ordinata «a far sì che la Chiesa, attraverso la varietà dei doni dei sui figli, appaia come una sposa adornata per il suo sposo, e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio» (PC 1,2).

Per questo, i Religiosi hanno un dovere da compiere verso la Chiesa, secondo la  loro forma particolare di vita (LG 45,2).

Dal compimento di questo dovere scaturisce una maggior santità nella Chiesa (LG 47), e quindi una testimonianza più chiara, così che la Chiesa può presentare meglio Cristo ai fedeli e agli infedeli (LG 46,1).

Nel compimento di questo dovere, il Religioso aiuta la missione salvifica della Chiesa, per radicare e consolidare negli animi il Regno di Cristo e dilatarlo in ogni parte della la terra (LG 44,2).

Il Religioso compie questo dovere anzitutto con la santità personale: «Ognuno che è chiamato alla professione dei consigli, ponga ogni cura nel perseverare e maggiormente eccellere nella vocazione a cui Dio l'ha chiamato, per una più grande santità della Chiesa e per la maggior gloria della Trinità, una e indivisa, la quale in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l'origine di ogni santità» (LG 47).

Culmine della santità è la carità, «per mezzo della quale i Religiosi si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero» (cfr. LG 44,2).

Quanto più il Religioso progredisce nella carità, tanto più si unisce alla Chiesa e contribuisce per la sua santità e vitalità: «Così i Religiosi, animati dalla carità che lo Spirito Santo infonde nei loro cuori sempre più vivono per Cristo e per il suo corpo che è la Chiesa. Quanto più fervorosamente, dunque, vengono uniti a Cristo con questa donazione di sé che abbraccia tutta la vita, tanto più si arricchisce la vitalità della Chiesa ed il suo apostolato diviene vigorosamente fecondo» (PC1,3; 5).

Il Religioso compie ancora il dovere che ha verso la Chiesa, lavorando con la preghiera per la santità di essa (LG 44,2).

La preghiera, vivificata dalla carità, costituisce l’attività principale del Religioso per la santità e vitalità della Chiesa.

Ma alla preghiera e alla carità il Religioso deve aggiungere «l'attività effettiva, secondo le forze e la forma della propria vocazione»: da qui nasce «il dovere di lavorare per radicare e consolidare negli animi  il Regno di Cristo e a dilatarlo in ogni parte della terra» (LG 44,2; PC 8).

L’ambito dell’attività del Religioso è la vita della Chiesa e le iniziative e gli scopi che essa si propone di raggiungere nei vari campi come, come in quello biblico, liturgico, dogmatico, pastorale, ecumenico, missionario e sociale (PC 2,c).

La santità del Religioso, per tanto, per essere autentica, deve tradursi in ardore apostolico, con cui il Religioso si sforza di collaborare nell’opera della Redenzione e nella dilatazione del Regno di Dio (PC 5,5) e in impulso ad amare il prossimo, per la salvezza del mondo e l’edificazione della Chiesa (PC 6,1).

Il servizio, così inteso, è elemento fondamentale anche nella vita contemplativa. Per i contemplativi pregare è servire, lavorare, lottare con Dio per la salvezza del mondo. Di fatto, i contemplativi:

«offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode; e producendo frutti abbondantissimi di santità, sono di onore e di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con una segreta fecondità apostolica». (PC 7).

Solo quando la Vita Consacrata è intesa e vissuta in questo modo, acquista il suo vero è pieno significato.

11.4 La Vita Consacrata è servizio nella preghiera

La preghiera è per la persona consacrata elemento indispensabile, per poter vivere la sua consacrazione integrale a servizio di Dio, seguire Cristo, avanzare con continuo fervore verso la perfezione della carità  e dedicarsi pienamente al bene della Chiesa:

«Perciò è necessario che i membri di qualsiasi istituto, avendo di mira unicamente e sopra ogni cosa Dio, uniscano la contemplazione, con cui aderiscono a Dio con la mente e col cuore, e l'ardore apostolico, con cui si sforzano di collaborare all'opera della redenzione e dilatare il regno di Dio» (PC 5,fine).

Senza questo intenso e continuo contatto con Dio, la vita delle persone consacrate e la loro attività apostolica non hanno significato. Per tanto, i Religiosi

«che fanno professione dei consigli evangelici, prima di ogni cosa cerchino ed amino Dio che ci ha amati per primo, e in tutte le circostanze si sforzino di alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio, donde scaturisce e riceve impulso l'amore del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della Chiesa (PC 6).

«Affinché dunque i religiosi corrispondano in primo luogo alla loro vocazione che li chiama a seguire Cristo e servano Cristo nelle sue membra, bisogna che la loro azione apostolica si svolga in intima unione con lui» (PC 8).

La Vita Consacrata è cercare Dio per se stesso, è vivere esclusivamente per Dio in Cristo. Solamente i questa luce Dio diviene fine e fonte dell’apostolato, per cui, senza un continuo e profondo contatto con Dio, che è la preghiera, la vita del Religioso e qualsiasi sua attività apostolica sono prive di senso. La preghiera, per tanto, è per il Religioso il principale modo e mezzo per mettersi a contatto con il mondo intero e contribuire per il bene della Chiesa e di tutti gli uomini. L’attività della preghiera è da sola sufficiente per spiegare e giustificare la presenza dei Religiosi nella Chiesa e nel mondo. Da qui nasce per il Religioso la necessità di coltivare «con assiduità lo spirito di preghiera e la stessa preghiera» (PC 6,2).

I Religiosi, con la loro consacrazione, non divengono estranei agli uomini o inutili alla città terrena.

«Poiché, se anche talora non sono direttamente presenti a fianco dei loro contemporanei, li tengono tuttavia presenti in modo più profondo con la tenerezza di Cristo, e con essi collaborano spiritualmente, affinché la edificazione della città terrena sia sempre fondata nel Signore, e a lui diretta, né avvenga che lavorino invano quelli che la stanno edificando» (LG 6,2; cfr. PC 78).

Ci possono essere, per tanto, apostoli senza un effettivo apostolato attivo, esclusivamente con il culto divino e la continua preghiera; ma non ci può essere apostolato attivo vero che non sia frutto ed emanazione della continua unione con Dio.

11.5 La Vita Consacrata è servizio di tutta l’umanità

L’opera salvifica di Dio, per sua natura, tende a includere tutta l’umanità (cfr. GS 22).

Il Religioso quanto più profondamente vive la sua donazione totale a Dio in Cristo, tanto più sentirà la necessità di aprirsi all’incontro di tutti gli uomini (cfr. LG 46; PC 8; 14). .

11.6 Il servizio di Dio e dei fratelli è forza dinamica di ogni voto

La dottrina del Concilio sui voti costituisce un ulteriore approfondimento dello «spirito di servizio».

11.6.1 Castità

La castità mette il fedele in una situazione di piena disponibilità al servizio di Dio e dei fratelli nella Chiesa e nel mondo.

La castità, infatti, costituisce «un mezzo efficacissimo offerto ai religiosi per potere generosamente dedicarsi al servizio divino e alle opere di apostolato» (PC 12,1).

È il voto che «rende libero in maniera speciale il cuore dell’uomo» (PC 12), così da rendere il fedele capace di amare Dio e i fratelli e di mettersi a servizio di questo amore “senza divisioni”. Il vergine è quel fedele in tal modo attratto da Dio, che avverte una profonda carenza in se stesso se non riesce a rispondere con amore generoso, immediato e indiviso all’attrazione divina.

Ma siccome il Dio che attrae è Dio-Padre di tutte le genti, il fedele che si consacra a Lui nella verginità, è spinto a darsi con identico, immediato e indiviso amore anche alla famiglia degli uomini. Non ha, infatti, Dio come Padre, chi non è autentico fratello dei suoi figli (cfr. 1Gv, passim).

Inoltre la castità diviene servizio in forza della sua testimonianza. Essa di fatto è un inizio di quello che sarà la vita futura e i Religiosi «davanti a tutti i fedeli sono un richiamo di quella mirabile unione operata da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, mediante la quale la Chiesa ha Cristo come unico suo sposo» (PC 12,1).

Ciò vuol dire che la castità aiuta l’apostolo per il fatto che è un testimone vivo e ammirabile di quanto può lo spirito sui cuori umani di per sé così fragili, e come tale acquista il potere di toccare e portare gli uomini ad avvicinarsi a Dio.

11.6.2 Povertà

La povertà è una scelta libera che il fedele fa per seguire Cristo. Essa ottiene il suo valore e significato per il fatto di essere espressione della donazione di sé a Cristo, di assomigliare a Lui, di essere come Lui, di seguirlo dovunque vada (PC 13).

Per mazzo di essa, il fedele partecipa nel mistero della povertà o «annientamento» di Gesù, che è un mistero di donazione e di amore verso gli uomini: Egli da ricco che era si fece povero per amore nostro, allo scopo di farci ricchi con la sua povertà (PC 13,1; LG 42).

Partecipando, per tanto, della povertà di Gesù, il fedele entra nel mistero di amore e di Redenzione di Cristo, per arricchire il mondo con la sua spogliazione come Lui e con Lui: la povertà mette il fedele al servizio dell’amore di Dio verso gli uomini.

11.6.3 Obbedienza

Con il voto di obbedienza porta fino all’estremo la sua inserzione nel mistero dell’«annientamento» di Gesù, che si fece obbediente fino alla morte, per servire i fratelli e dare la sua vita per la redenzione di molti (LG 42,4; PC 14).

Infatti, con la professione di obbedienza il fedele offre a Dio la completa oblazione della propria volontà come sacrificio di se stesso ad imitazione di Gesù, unendosi così in maniera più salda e sicura alla volontà salvifica di Dio, fruttificante in una maggiore inserzione mediante il servizio nella missione della Chiesa.

L’obbedienza, per tanto, è espressione  del servizio per il fatto che i Religiosi per mezzo di essa «si pongono al servizio di tutti i fratelli in Cristo, come Cristo stesso per la sua sottomissione al Padre venne per servire i fratelli e diede la sua vita in riscatto per la moltitudine» (PC 14,1).

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

1. Il Concilio, parlando del «servizio» dei Religiosi, non dice che i Religiosi si uniscono semplicemente alla volontà di Dio, ma «alla volontà salvifica di Dio» (PC 14,1). Da ciò si deduce che anche la sottomissione ai propri Superiori religiosi mira non solo al compimento della “volontà di Dio” in astratto, ma al servizio, mediante l’obbedienza «di tutti i fratelli in Cristo, come Cristo stesso per la sua sottomissione al Padre venne per servire i fratelli e diede la sua vita in riscatto per la moltitudine» (PC 14,1).

2. Così come la Gerarchia, anche i Superiori religiosi devono esercitare l’autorità «in spirito di servizio verso i fratelli, in modo da esprimere la carità con cui Dio li ama».  (PC 14,3).

3. Il Concilio, parlando dei Religiosi, indica la forma più perfetta riguardo al dovere e al modo di servire nella Chiesa. Senza dubbio, alludendo al servizio dei Religiosi, i Documenti Conciliari presentano principalmente i suoi presupposti e lo spirito di servizio.

È in questa dimensione interiore, cioè nella maggiore conformazione possibile con Gesù “Servo del Signore”, che si devono cercare i mezzi per realizzare un servizio perfetto.

P. Franco Lorenzo Conrado, comboniano, ad Arequipa, in Perù.

12.

IL SERVIZIO NELLA REGOLA DI VITA DEI MCCJ

Nel processo di rivisitazione della Regola di vita che stiamo vivendo, non possiamo perdere di vista che il «servizio» e il conseguente «spirito di servizio» o mentalità ministeriale è “il filo d’oro” con il quale è tessuto l’intero testo della nostra Regola di Vita.

Esso appare già nel Preambolo che possiamo considerare come il «Credo missionario comboniano», cioè, l’atto di fede della Congregazione nella missione che la Chiesa riceve da Cristo, e che l’Istituto è chiamo a realizzare mediante il servizio missionario all’uomo e la testimonianza della sua consacrazione nella vita comunitaria.

Il capo di questo filo ci connette con san Daniele Comboni. L’impegno, infatti, che egli si assume dalla concretezza del primo contatto con l'infelice Nigrizia nella stazione missionaria di Santa Croce, è il «servizio dei più poveri e abbandonati».

Mosso da questo spirito scriveva al papà da santa Croce, il 5 marzo 1858: «Dovremo affaticare, sudare, morire; ma il pensiero che si suda, si muore per amore di Gesù Cristo, e per la salute delle anime le più abbandonate del mondo, è troppo dolce per sgomentarci alla grande impresa» (S 297; cfr. RdV 2-5).

Nel giorno del suo ultimo compleanno, il 15 marzo 1881, poteva confessare al card. Canossa da Khartoum di aver adempiuto questo suo impegno: «È vero che mi trovo qui dinanzi un Vicariato il più laborioso e difficile del mondo, che cammina abbastanza bene e che è portato ad un punto, mercè la grazia divina, che otto anni fa non avrei mai creduto di vedere, in vista degli enormi ostacoli che avea preveduti, ed al cui progresso vi ho fatto concorrere per volere di Dio e col suo aiuto anche il mio dito. Ma dopo tutto, è una grazia se io non vi posi ostacolo, e possa solo esclamare a tutta ragione coll'Apostolo: servus inutilis sum (S 6561).

L’aspirazione profonda di Comboni è che questo spirito di servizio animi ogni “Missionario della Nigrizia”, e così «il suo spirito non cerca a Dio le ragioni della Missione da lui ricevuta, ma opera sulla sua parola, e su quella dei suoi Rappresentanti, come docile strumento della sua adorabile volontà, ed in ogni evento ripete con profonda convinzione e con viva esultanza: servi inutiles sumus; quod debuimus lacere tecimus» (Regole dell'Istituto 1871, cap. X, S 2702).

L’Istituto che nasce da questo inizio, chiamato «piccolo cenacolo di apostoli» (S 2648), vuole essere oggi una “comunità di fratelli”, “chiamati da Dio è consacrati a Lui per il servizio missionario nel mondo” (RdV 11).

Tale servizio è vissuto nel pluralismo e nella comunione delle Chiese locali, giacché ognuna di esse “ha la responsabilità del servizio missionario” (RdV 17).

Perciò, “nella linea del suo Fondatore, l’Istituto collabora con gli altri agenti e organismi dell’evangelizzazione per assicurare un più effettivo servizio missionario (RdV 19).

L’Istituto collabora per assicurare il servizio missionario della Chiesa in quanto “comunità di fratelli consacrati al servizio missionario” (RdV: Parte Seconda).

Così la consacrazione per la missione attraverso la professione dei consigli evangeli è vissuta “secondo le esigenze del servizio missionario dell’Istituto nella Chiesa“ (RdV 22). In particolare, “vivendo il dono della castità consacrata, il comboniano risponde all’amore di Cristo che (…) lo rende disponibile a darsi più generosamente al servizio del Regno di Dio”.

Mediante questa consacrazione, “il missionario comboniano entra in una comunità di fratelli chiamati a condividere le difficoltà e le gioie del servizio missionario” (RdV 23).

In questa comunità il missionario comboniano vive “a servizio di Dio e dell’uomo. In essa, infatti, “ciascun missionario, avendo liberamente accettato la chiamata del Signore, mette i suoi talenti ed energie e la sua stessa vita al servizio di Dio e degli uomini nella comunità, secondo le costituzioni” (RdV 41).

Il primo servizio è quello che nasce dall’ “incontro con Dio”, mediante il quale il missionario testimonia e proclama l’amore del Padre, “esperimentato nella comunione personale con Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo” (RdV 46).

Tale incontro con Dio sfocia nella “preghiera missionaria”: “Il missionario sente e vive la preghiera come espressione del suo impegno missionario: Come operaio a servizio del Regno implora incessantemente “venga il tuo Regno”; in spirito di solidarietà con la gente ne assume i desideri e i bisogni concreti, prega con essa e in comunione con tutta la Chiesa” (RdV 48).

Dalla vita del missionario centrata in Dio mediante la consacrazione e l’incontro con Lui, esperimentato nella comunione personale con Cristo e formando con i sui fratelli una comunità orante (RdV 46), scaturisce “il servizio missionario dell’Istituto” (RdV: Parte Terza).

Tale servizio si concretizza nell’evangelizzazione (Sezione prima, nn. 56-71), che è il primo servizio che la Chiesa deve all’umanità e riafferma ed esplicita la ragione dell’esistenza dell’Istituto Comboniano.

L’Istituto Comboniano, infatti, esiste perché ci sono «popoli o gruppi umani non ancora o non sufficientemente evangelizzati» (RdV 13), ed è l’Istituto che «attua il suo fine inviando i suoi membri, dove si richiede un’attività missionaria conforme al carisma del Fondatore», (RdV 14), che si incentra sui «più poveri e abbandonati… specialmente riguardo alla fede» (RdV 5).

Il «Servizio dell’evangelizzazione» (RdV, Parte terza, Sezione prima:56-71) è integrato dal servizio dell’ «Animazione missionaria» (RdV, Parte terza, Sezione seconda: 72-79) e dalla «Formazione di base e permanente» (RdV, Parte terza, Sezione terza: 80-101).

Il «Servizio dell’evangelizzazione» comporta:

  • Collaborare con l’azione dello Spirito Santo, che “fermenta e trasforma i popoli e li conduce ad incontrarsi con la persona di Cristo” (RdV 56);
  • scoprire i valori culturali e religiosi dei popoli in clima di dialogo (RdV 57);
  • offrire la testimonianza personale e comunitaria dei consigli evangelici e della pratica della carità secondo lo spirito delle beatitudini (RdV 58);
  • annunciare chiaramente e in equivocamente il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio (RdV 59);
  • nel farsi solidale con la vita del popolo, condividendone il destino, e nell’impegnarsi nella liberazione integrale dell’uomo (RdV 60-61);
  • accompagnare coloro che accolgono la Parola nel cammino che conduce al Battesimo fino all’Eucaristia, che edifica la comunità e apre al servizio della carità (RdV 63);
  • scoprire e promuovere i doni e i ministeri, suscitati dallo Spirito nelle comunità per la loro crescita, avendo una particolare attenzione per la promozione e la formazione del clero locale (RdV 64);
  • collaborare con la Chiesa locale offrendo il proprio servizio nelle attività di evangelizzazione corrispondenti alle finalità dell’Istituto (RdV 65);
  • obbedire a coloro che Cristo ha posto a reggere la sua Chiesa (RdV 66);
  • promuovere il dialogo ecumenico (RdV 76);
  • favorire il sorgere e lo sviluppo di comunità apostoliche di preghiera e di lavoro fra tutte le forze che si dedicano all’evangelizzazione nello stesso luogo (RdV 68);
  • impegnarsi nell’inculturazione del messaggio evangelico (RdV 69);
  • svolgere l’attività evangelizzatrice in modo che le giovani Chiese raggiungano l’autosufficienza, possiedano cioè i loro ministeri, provvedano alle loro necessità e prendano parte alla diffusione del Vangelo (RdV 70);
  • accettare la provvisorietà come caratteristica del servizio missionario (RdV 71).

Il servizio dell’ «Animazione missionaria» è un servizio specifico secondo il proprio carisma che i comboniani offrono ai pastori delle Chiesa e ai loro collaboratori, che sono i primi responsabili dell’animazione (RdV 73)

Attraverso questo servizio ogni comunità comboniana vive il suo carattere specifico e aiuta il Popolo di Dio ad arricchire la sua fede (RdV 75).

Il servizio della «Formazione di base e permanente» ha come finalità offrire a coloro che sono chiamati alla vita missionaria comboniana gli elementi per una formazione di base e permanente, in vista di un efficace servizio missionario nella vita consacrata (RdV 80).

La formazione viene qualificata dagli ideali e dall’esperienza di Comboni e dalle esigenze del servizio missionario. (RdV 81).

Il missionario, da parte sua, risponde liberamente con il suo impegno personale all’azione dello Spirito, che lo trasforma dall’interno, rendendolo sempre più capace di mettersi al servizio del Regno (RdV 82).

La vocazione missionaria, infatti, è un dono dello Spirito, che il candidato realizza attraverso la scelta concreta del servizio missionario (RdV 88).

Per tanto, scopo del Noviziato e del periodo di professione temporanea è preparare il candidato alla consacrazione a Dio per il servizio missionario (RdV 92; 94; 97).

La Formazione permanente, in fine, è necessaria perché il missionario ha bisogno di rinnovarsi continuamente in vista del suo servizio missionario (RdV 99).

Il filo del servizio innerva anche la Quarta Parte della Regola di Vita che tratta appunto del «Servizio dell’autorità».

Questa Quarta Parte, infatti, comincia definendo l’autorità “un servizio che partecipa di quella di Cristo e vi si ispira. … Questo servizio è reso alla comunità e a ciascun membro per aiutarlo a vivere la sua consacrazione e a sviluppare i suoi doni personali e carismi nel servizio missionario” (RdV 102; 107). Perciò l’autorità a tutti i livelli, da quello locale a quello generale, va esercitata “in spirito di servizio” (RdV 112).

Il filo del servizio arriva a qualificare anche “L’amministrazione dei beni dell’Istituto”, che costituisce la Parte Quinta e ultima della Regola di Vita.

L’Istituto, infatti, fa uso dei beni «per raggiungere la sua finalità missionaria» (RdV 162), che i suoi membri realizzano, partecipando attivamente alla missione della Chiesa al mondo, attraverso il servizio all’uomo e la testimonianza della loro consacrazione nella vita comunitaria (cfr. Preambolo della RdV).

In conclusione, appare chiaro che il servizio del missionario secondo la Regola di Vita è totalizzante, non lascia spazio a interessi individualistici; esso richiede “una disponibilità totale, una vita a piena disposizione, senza calcoli e senza utili». In quest’ottica il missionario comboniano è chiamato a vivere servendo, seguendo Gesù che si presenta e vive come il servo, come colui che è venuto a servire e non a essere servito.

Queste parole conclusive provengono da Papa Francesco che le ha pronunciate in varie occasioni. In sintonia con queste parole, Papa Benedetto XVI, nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale del 2009, ricordava a tutti che lo spirito di servizio è fondamentale per un valido e coerente annuncio del Vangelo di Gesù: “I discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze e donano la vita. Riaffermo con forza quanto più volte è stato detto dai miei venerati Predecessori: la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell’umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata”.

13.
PREGHIERA DEL MISSIONARIO-SERVO

Signore Gesù,
che hai voluto assumere un cuore d’uomo
per poter condividere in modo sensibile
le gioie e le angosce dell’umanità,
concedimi di non dimenticarmi neppure per un istante
di questa tua sensibilità.

Non ti chiedo che approvi e benedica
ciò che io stesso ho deciso vivere,
ma ti prego di darmi la grazia di scoprire e vivere
quello che tu hai sognato per me,
chiamandomi a far miei,
sotto la guida di san Daniele Comboni,
l’universalità del tuo amore per il mondo
e il tuo coinvolgimento nel dolore e nella povertà
dei più dimenticati della terra.

Concedimi che, in ginocchio, adori negli altri,
specialmente nei più infelici e sofferenti,
il Mistero del tuo amore creatore e redentore;
che rispetti il tuo progetto su di essi
senza voler imporre il mio;
che li lasci percorrere il cammino che hai tracciato per loro,
senza cercare di farli miei seguaci;
che mai mi stanchi di tenere lo sguardo fisso in essi,
e con questo sguardo contemplativo sia arricchito
dai tesori che tu hai depositato nei loro cuori.

Signore Gesù,
concedimi di conoscere perfettamente la tua volontà
con ogni sapienza ed intelligenza spirituale,
per comportarmi nella maniera a te gradita
e piacerti in tutto;
quando apro la bocca,
dammi una parola mite ed umile, ma coraggiosa e franca,
per annunciare il Vangelo,
del quale mi hai fatto ambasciatore per vocazione.
Concedimi di esercitare il mio apostolato
con la stessa carità apostolica di Pietro e Paolo
e di Daniele Comboni.
Amen.

P. Carmelo Casile
Casavatore, ottobre 2018