Fr. Giovanni Zucchelli era nato a Dovera, Cremona, il 24 giugno 1926, primo di cinque figli. La sua era una famiglia di braccianti di condizione piuttosto modesta. I genitori erano profondamente cristiani, praticanti e “godevano buona fama”. Una sorella di Fr. Zucchelli è morta di parto per aver voluto salvare la vita della creatura che portava in grembo.
Il nostro giovane frequentò le elementari al paese poi entrò nel seminario diocesano, non per farsi sacerdote, bensì per lavorare come inserviente. A questo proposito abbiamo una lettera del rettore del seminario di Lodi nella quale si dice che “Zucchelli Giovanni nel periodo di tempo che fu qui in seminario in qualità di cameriere (dall’ottobre 1943 al maggio 1944) si è comportato con perfetta obbedienza, docilità e abilità; inoltre si è dimostrato molto devoto”.
In una lettera scritta da P. Emilio Ceccarini in data 22 ottobre 1945 (poco prima che Giovanni entrasse in noviziato) si legge: “Il giovane è da tempo a noi noto per la sua pietà e bontà di animo, ci sembra adatto, quantunque non sia un gigante di salute”. Siccome P. Ceccarini a quel tempo si trovava a Crema, vuol dire che il giovane Zucchelli frequentava la casa dei missionari.
Stando a ciò che raccontava di se stesso, sappiamo che la sua scelta vocazionale fu piuttosto combattuta. Infatti Giovanni aveva una “quasi” fidanzata. Quando si rese conto che la vocazione missionaria stava prendendo il sopravvento, decise di parlare con l’interessata per chiarire la cosa. Così, una domenica pomeriggio, inforcò la bici e si diresse verso l’abitazione della ragazza che si trovava in un altro paese. Ad un certo punto disse: “Se veramente voglio farmi missionario, bisogna essere deciso e troncare tutto”. Ciò detto, girò la bici e tornò a casa.
Quel gesto, però, gli rimase dentro come una sgarberia commessa nei confronti di una brava ragazza. Molti anni dopo, quando ritornò dalla missione, s’informò “girando alla larga” sulla fine che aveva fatto la sua vecchia fiamma. Seppe che era felicemente sposata e che aveva un negozio di frutta e verdura. Solo allora il suo animo si acquietò del tutto perché “tutto sommato – commentava – era andata a stare meglio di come si sarebbe trovata con me”.
Da una lettera del parroco, Don Giuseppe Orlandi, sappiamo che Giovanni nei suoi anni giovanili aveva “sempre tenuto una condotta morigerata, anzi ottima, era di buon carattere, si dedicava con fervore all’Azione Cattolica, era capace di inventare mille espedienti per attirare i ragazzi, ed era sempre vissuto in famiglia aiutando papà Francesco e mamma Luigia Raimondi, contadini”.
Novizio a Firenze
Il 6 dicembre 1945, a 19 anni, Giovanni entrò nel noviziato di Firenze. Nella lettera di domanda così si esprime: “Io, Zucchelli Giovanni, presento alla paternità vostra l’umile domanda di essere ammesso al noviziato in qualità di Fratello coadiutore, e mi dichiaro disposto a sacrificare la mia vita per la salute dei Neri dell’Africa centrale e per la gloria del Cuore Sacratissimo di Gesù”.
La casa e il giardino di Firenze portavano ancora le ferite della guerra che proprio in quella zona aveva scatenato tutto il suo furore. Il 25 agosto 1944 i tedeschi fecero irruzione nella casa facendo uscire tutti con le braccia alzate e minacciando la decimazione se avessero trovato americani o armi. Non trovarono nulla.
Nel parco 50 cipressi erano stati abbattuti dalle granate, cento metri di muro di cinta erano stati demoliti e 140 granate avevano lasciato dei crateri tutto intorno. Eppure nessuno dei missionari era rimasto ferito. Metà dei novizi aveva trovato rifugio nell’Istituto “Alle Querce”. Nella villa, a differenza di tutte le altre case della zona, non ci fu alcun saccheggio e la gente si era rifugiata presso i missionari, sicura che non sarebbe stata colpita.
Suo maestro in noviziato è stato P. Stefano Patroni che lo ha trovato “un po’ timido e impacciato nel suo agire, ma pieno di buona volontà per cui tutto fa presumere che riuscirà un ottimo missionario. È affezionato alle pratiche di pietà, è diligente in tutti i suoi doveri e ama molto la sua vocazione, anche se qualche volta manca al silenzio. Volentieri si adatta a qualsiasi lavoro ed è docile all’ubbidienza. Nel suo lavoro dimostra uno spirito artistico e una buona propensione per la pittura”.
Proprio nel 1945 i novizi di Firenze iniziarono ad andare per i casolari a chiedere un po’ d’olio e, fra di loro, c’era anche Fr. Zucchelli. Ma l’anno dopo (1946) i novizi fratelli dovettero costruire un altro piano nella villa in modo che potesse contenere i novizi che affluivano sempre più numerosi. Nel giardino venne posto il monumento a San Giuseppe (quello che ora si trova a Limone sul Garda), opera di Carmela Adani, sorella del nostro Fr. Mario Adani. L’opera sarà benedetta dal Card. Dalla Costa il 28 agosto 1948.
Il 16 luglio del 1947 arrivò il nuovo padre maestro, P. Giovanni Audisio, che proveniva dal campo di concentramento, e P. Stefano si preparò a partire per il Bahr el Gebel. Fr. Zucchelli si trovò a suo agio anche con il nuovo maestro e, il 19 marzo 1948, emise i voti che lo consacravano missionario.
L’artista di Dio
Dopo i voti, Fr. Zucchelli fu mandato a Sulmona (1948-1951) e poi a Troia (1951-1953) come addetto alla casa. Poiché in noviziato aveva dato una mano in cucina, divenne cuoco dimostrando di cavarsela bene. In queste case, però, cominciò a manifestare il suo spirito artistico: preparava cartelloni per le feste dei seminaristi, addobbi per la chiesa e allestiva il presepio inserendo giochi di luce e movimento. La gente del posto non finiva di esaltare le sue capacità e il suo spirito artistico, definendolo “l’artista di Dio”.
A questo punto, però, è bene spulciare tra i rari scritti di Fr. Zucchelli per trovare qualche sentimento che, data la timidezza che lo caratterizzava, non osava mai manifestare in pubblico. “Sono contento della mia vocazione e sono desideroso di perseverare in essa fino alla morte” (1949). In calce a questa lettera ci sono due parole di P. Ceccarini, allora superiore di circoscrizione delle Scuole Apostoliche: “Sono contento di Fr. Zucchelli; cerca di fare tutto con impegno e precisione.
“Mi trovo sempre più contento della mia vocazione, pur ritenendomi immeritevole di averla ricevuta. Cercherò di essere più fedele a tutti i miei doveri…” (1954).
“Favorisca, reverendo padre, di darmi quegli avvertimenti e consigli che ritiene utili e opportuni per una mia maggior santificazione. Le chiedo anche un memento perché la Vergine santa mi ottenga di poter essere utile a tante anime” (1955).
Finalmente, nel 1953, gli giunse il permesso di partire per la missione. “Oggi, 18 agosto 1953, mi è stato comunicato da P. Pietro Villani che mi devo tener pronto a partire per il Libano. Sia ringraziato il Signore e i molto reverendi superiori che mi danno una buona speranza. Penso, però, che non sia solo una buona speranza”.
Dal 1953 al 1955 fu a Zahle, in Libano, con l’umile ufficio di cuoco per la comunità dei padri e dei fratelli che erano lì per lo studio dell’arabo. Trovò, tuttavia, il tempo per poter ammirare tante cose artistiche che lo colpivano e che immagazzinava. Alla casa era annessa una bella chiesa nella quale lo spirito artistico di Fr. Zucchelli poté sbizzarrirsi. Pur conoscendo solo qualche parola di arabo e di francese, le due lingue parlate in Libano, riuscì ad organizzare un bel gruppo di chierichetti che volle vestiti con abiti sgargianti. Era una gioia per quei ragazzini prendere parte alle funzioni liturgiche e alle processioni. Quella capacità di Fr. Zucchelli di saper captare l’attenzione dei ragazzi, che lo aveva caratterizzato al suo paese nel periodo dell’Azione Cattolica e nelle scuole apostoliche di Sulmona e Troia, funzionò a meraviglia anche in Libano.
Missionario in prima linea
Nel 1956 troviamo Fr. Zucchelli a Sunningdale, in Inghilterra, intento allo studio dell’inglese e ai lavori nelle opere dell’Istituto che in quel dopoguerra erano in pieno sviluppo anche nel Regno Unito.
Nel 1957 poté partire per il Sudan meridionale. Fu destinato alla missione di Kyrejik dove cercò di applicarsi alle costruzioni. Ma quello del muratore o del carpentiere non erano il suo mestiere. La sua salute sempre fragile cominciò a risentirne in maniera preoccupante. Gli attacchi di malaria con febbre alta si susseguivano lasciandolo sempre più debole. Come se ciò non bastasse, si aggiunse anche la guerra. Già in quel periodo era cominciata la guerriglia tra i soldati arabi del Nord e i neri del Sud. Anche la Chiesa cattolica venne a trovarsi nella persecuzione: le scuole di missione furono nazionalizzate, ai missionari veniva impedito di distribuire medicine agli ammalati e di visitare i cristiani nei vari villaggi.
Tutti questi avvenimenti, uniti ai problemi di salute, consigliarono ai superiori di rimandare Fr. Zucchelli in Italia. Così, nel 1962, si trovò a Verona come addetto alla casa. Ma ecco che un’altra attività venne a captare il suo interesse: la filatelia. Il Piccolo Missionario aveva anche la pagina dedicata alla filatelia: si presentavano alcuni francobolli, in genere esteri, che potevano interessare i lettori del periodico. Fr. Zucchelli cominciò a collaborare dimostrando subito una rara abilità e competenza. Ma dopo alcuni mesi venne mandato a Sulmona (1962-1963) e poi a Crema (1963-1964) sempre come addetto alla casa. Egli, però, si portò dietro il corredo artistico che aveva messo insieme, e anche l’interesse per i francobolli.
Anche quando fu deviato a Sunningdale (1964-1965) e a Mirfield (1965-1966), pur dedicandosi ai lavori della casa, coltivò quelle che ormai erano diventate le sue passioni. Naturalmente ci furono di quelli che, pur benevolmente, le consideravano una perdita di tempo; Fr. Zucchelli, però, diceva che presto o tardi sarebbero diventate buone per l’animazione missionaria.
Nel 1966 lo troviamo a Venegono fino al 1971, poi a Verona, dal 1971 al 1990, quindi a Brescia dal 1990 al 1993. Dal 1993 al 1994 fu a Milano per passare poi a Venegono (1994-1995). A Gozzano, dal 1995 al 1998, coprì la carica di economo locale. Dal 1998 al dicembre del 2003 fu a Limone sul Garda.
Alle sue note attività aggiunse anche quella di raccoglitore di reperti antichi e di fossili con i quali organizzò delle interessanti mostre che erano visitate dai ragazzi.
Dieci anni in famiglia
I cambiamenti di comunità nel curriculum di Fr. Zucchelli nascondono un’altra realtà: ad un certo punto, infatti, chiese al Superiore Generale di poter assistere i suoi genitori vecchi, ammalati e soli. Commuove la lettera che gli indirizzò chiedendo “un aiuto, un’elemosina per venire incontro alle necessità dei miei due vecchi”. La lettera si conclude con queste parole: “Mi vergogno a tendere la mano, ma non so proprio cosa fare”. E commuove anche la risposta di P. Salvatore Calvia che gli rispose dicendo: “Ti mando una piccola offerta, quella che mi è possibile avere in questo momento. Il Signore accetta la difficoltà in cui ti trovi e certamente ti benedice. Poi ti chiedo di rivolgerti al provinciale perché l’aiuto di cui hai bisogno sia regolare. Con questa mia approfitto per rinnovarti la mia stima, la mia amicizia e il mio affetto. Prega per me”.
Inutile dire che questo periodo costituì una sofferenza grande per Fr. Zucchelli, considerando che aveva fratelli, sorelle e nipoti. Egli, tuttavia, pur trovandosi in una situazione così precaria, non smise di essere e di fare il missionario. Col pretesto di spiegare i reperti fossili concernenti le ere preistoriche, entrava nelle scuole e teneva delle interessanti conferenze. Dobbiamo dire che preparava minuziosamente le lezioni, tanto da stupire gli stessi insegnanti. Poi, quando aveva captato la confidenza degli alunni, cominciavano a fioccare le domande: “Chi è lei? Cosa ha fatto? Dove è andato?”. A questo punto veniva spontaneo il discorso missionario e poi mostrava il Piccolo Missionario dicendo che c’era la possibilità di abbonarsi.
I presidi e i direttori didattici non avevano niente da obiettare perché Fr. Zucchelli si presentava come esperto in paleontologia; se poi i ragazzi facevano delle domande sulla sua vita e sulla sua attività… doveva pur rispondere. Un ragazzo che lo accompagnava in queste lezioni, rimase così colpito dal suo comportamento che decise di diventare diacono permanente. Ed oggi il signor Umberto Consolandi conserva per Fr. Zucchelli una grande devozione.
Animatore missionario
Dopo la morte dei genitori, Fr. Zucchelli rientrò nei ranghi continuando la vita religiosa nelle varie comunità.
In occasione del primo centenario della morte di Comboni, Fr. Zucchelli si è rivolto alle Poste Italiane per la diffusione di un francobollo con l’effigie del Fondatore. Ormai era un esperto nel settore e le sue conoscenze, anche ad alto livello, erano notevoli. Se ci fu qualche difficoltà, derivò dai confratelli. Zucchelli fortunatamente non si perse d’animo e, in data 17 giugno 1980, scrisse al Superiore Generale: “A proposito del raccoglitore di buste e francobolli per il centenario comboniano ho visto che non c’è un accordo chiaro tra Curia e provincia. Non è chiaro di chi sia la competenza. Se lei, reverendo padre, pensa che io possa fare questo servizio, chiedo che mi si dica chiaro a chi devo rivolgermi…”. “L’idea del francobollo è stata lanciata da te - gli rispose il Superiore Generale - e penso che l’attuazione del progetto debba essere portata avanti da te, sotto la direzione della provincia italiana la quale si assume tutto l’onere e l’onore. Il progetto deve essere portato avanti non per un guadagno materiale, ma come animazione missionaria. Quindi se ci saranno delle difficoltà per il finanziamento, noi siamo pronti a sostenerlo”.
Tutti conosciamo il bellissimo lavoro che Fr. Zucchelli ha realizzato in quella circostanza. L’esperimento si è ripetuto in maniera analoga per la beatificazione, e qualcosa di simile, voleva fare per la canonizzazione ma bisogna dire che ha trovato qualche difficoltà.
Gli ultimi anni nella Casa natale di Comboni
Nel 1998 Fr. Zucchelli lasciò la casa di Gozzano e si trasferì a Limone sul Garda. Una delle prime cose cui mise mano fu la sistemazione della mostra comboniana, ricavandone qualcosa di interessante. Poi organizzò il museo nel quale espose i pezzi più belli della sua collezione di fossili e di minerali.
Tutto corrispondeva ad un ordine logico che egli spiegava ai ragazzi. Naturalmente qualcuno, specie tra i confratelli, diceva: “Cosa c’entra quella roba con Comboni?”. Non c’entrava con Comboni, però, era un pretesto per attirare i ragazzi, interessarli, suscitare la loro curiosità e poi introdurli al discorso su Comboni, sull’Africa, sulle Missioni.
Fr. Zucchelli era anche appassionato di piante e di fiori: nel giardino di Limone riuscì a far crescere le piante di cui si parla nei Vangeli. Era perfino riuscito a produrre l’aloe con la formula antica, e agli amici che andavano a trovarlo faceva sentire il profumo di quel prodotto che considerava medicamentoso.
La ricerca di reperti antichi, minerali, fossili e francobolli rari lo portò a contatto con un numero grandissimo di persone, anche importanti. Ricordiamo solo di passaggio gli astronauti che gli avevano mandato la loro foto con dedica, il prof. Zichichi, ministri e parlamentari. Stupiva la facilità con cui Fr. Zucchelli riusciva ad entrare in contatto e ad interessare queste persone. Diceva: “Anche questi hanno bisogno di un discorso missionario, naturalmente bisogna arrivarci percorrendo le strade adeguate”. Era amico dei grandi, ma soprattutto dei piccoli, dei ragazzi che erano ammirati dalle sue “scoperte”.
Ma sono principalmente tre le devozioni che Fr. Zucchelli coltivò con amore fino all’ultimo giorno della sua vita. La prima era rivolta al suo vecchio crocifisso dei voti, quello grande, di legno, come si usava una volta. Lo teneva sempre davanti a sé come ricordo della sua consacrazione a Dio e stimolo per impostare la sua vita su Cristo crocifisso. Poi c’era la Madonna: aveva una statuetta con una piccola luce sempre accesa che gli ricordava l’amore della Madre di Dio nei suoi confronti; infine teneva in bella mostra un quadro di Comboni che gli ricordava la sua missionarietà. Nella sua stanzetta angusta e un po’ disordinata questi tre simboli risaltavano e gli ricordavano le coordinate principali sulle quali doveva muoversi la sua vita.
La lezione del dolore
Nel dicembre del 2003 dovette entrare nel Centro Ammalati di Verona. Il “male che non perdona” si era diffuso dall’intestino a gran parte del corpo. Venne ricoverato all’ospedale di Negrar, subì anche degli interventi, ma ormai non c’era più niente da fare se non attendere “sorella Morte”. Fr. Zucchelli aveva paura del dolore e anche della morte, ma quando scoccò la sua ora, l’affrontò con fede e con coraggio tanto da stupire tutti.
Prima dell’ultimo ricovero in ospedale, chiese a P. Francesco Lenzi, direttore del Centro Ammalati, di fare “tutte le sue cose”. Alla fine ricevette l’olio degli infermi con devozione, fede e commozione. Poi partì per l’ospedale con una grande serenità interiore. All’ospedale fu provato da una sofferenza lunga e atroce. Passava notti e giorni senza riuscire a mangiare o a dormire, eppure non si lamentava, anzi riusciva a fare delle battute umoristiche… “Come andiamo, Zucchelli?”. “Andiamo al cimitero, caro mio!”. Solo negli ultimi due giorni disse a chi lo assisteva: “Ora non è più tempo di scherzare”. Si preparò all’incontro col Signore con tanta preghiera, con l’offerta dei suoi mali e con continui atti di fede e di abbandono alla volontà del Signore. Durante la lunga malattia non fu mai lasciato solo un minuto: né di giorno, né di notte. Coloro che lo hanno assistito hanno imparato una lezione sublime su come sa morire un missionario. Se nella vita ha avuto delle contraddizioni, delle difficoltà, dobbiamo dire che nella morte ha sublimato tutto.
È spirato all’ospedale di Negrar, Verona, il 5 marzo 2004. Per una strana circostanza si trovavano in Casa Madre un gran numero di confratelli, per cui i suoi funerali sono stati solenni, con una sessantina di concelebranti. Poi la salma è partita per il suo paese dove riposa accanto a quelle dei genitori. Che dal cielo Fr. Zucchelli interceda per l’Istituto, per le missioni e per le vocazioni.
P. Lorenzo Gaiga, mccj
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On his desk, printed in five languages, Bro. Giovanni Zucchelli kept in full view a precious card with St. Paul’s quote, “When I am weak, then I am strong” (2Cor 12,10). This is the text that guided us through the funeral celebration in Verona, at the Mother House, and in his town of Crespiatica (MI), where a large crowd gathered to say their last goodbye. The text sheds light on his life and the life of every missionary, where the greatness of one’s vocation and the frailty of the human person coexist. Bro. Giovanni knew that and in some sincere moments he also said it.
His African missionary experience was brief: after a short stay in Egypt and in Lebanon, he was in South Sudan, at Kit, with Fr. Giuseppe Gusmini and Fr. Adelmo Spagnolo tending to the very beginning of the foundation of the Brothers Institute founded by Bishop Sisto Mazzoldi. The rest of his life was spent in Europe, between England and Italy.
Everywhere he went he left the signs of his particular interests: nature, the mysteries of human life, archaeological finds and fossils, rare and medicinal plants. His aim was clear: to recall for a curious visitor that all the works of creation lead to God. His unique competence in managing the world of philately was known and appreciated. He remembered the various anniversaries and historical events of Daniel Comboni with some interesting stamp creations. Unique was also his ability to involve artists at the highest levels for many years in the preparation of the crib in Venegono. Great was also his ability to impress on the young messages of respect and care for the “beautiful and great things” that the Lord has made.
Bro. Giovanni spent his last years at Daniel Comboni’s home, at Limone on Lake Garda. Making good use of his artistic talents and through the many people he knew, Bro. Giovanni tried to promote Comboni in many different ways. There were moments, however, not devoid of suffering, as even gold and pearls, before being placed in a necklace, must go through the fire of purification. This is what happened to him in the last months of his life, when a fast progressing disease withered his body, but could not take from him his gruff approach to people and his characteristic manner that everyone knew.
Da Mccj Bulletin n. 224 suppl. In Memoriam, ottobre 2004, pp. 15-23