P. Renzo Salvano è deceduto presso il Centro Ambrosoli di Milano il 29 aprile 2004, stroncato da tumore. Era nato a Sinio, Cuneo, il 10 agosto 1931. Il suo certificato di battesimo dice che è stato battezzato dalla levatrice “per pericolo di morte”, e gli furono imposti i nomi di Renzo, Maggiorino e Placido. Da ragazzo entrò nel seminario diocesano di Cuneo per diventare sacerdote ma, durante il liceo, sentì la voce del Signore che lo chiamava alle missioni. La sua scelta non fu priva di dolore, essendo l’unico figlio maschio della famiglia. Il papà si chiamava Giovanni Battista e la mamma Letizia Evaristo ed erano piccoli commercianti.
In una lettera del 23 giugno 1947, Renzo si presenta: “Sono un chierico della diocesi di Alba; ho terminato quest’anno il primo corso liceale. Anche in me si è fatto sentire il ‘si vis’ di Gesù. Come non rispondergli un bel sì? Perché dovrei rifiutarmi di seguire Gesù nelle prime linee? Il mio padre spirituale, Don Agostino Vigolungo, mi ha detto: ‘Tu farai bene ovunque, in missione ne farai di più. Il Signore ti ha scelto’. I miei genitori a casa nulla sanno ancora della mia decisione, ma non dovrebbero pormi ostacoli perché sono persone di fede…”.
Nella lettera dell’11 agosto parla del consenso dei genitori: “Sono venuto a sapere che mio padre, quando ha saputo della mia decisione, si è messo a piangere. Non ho mai visto mio padre piangere. Poi ha concluso: ‘Se proprio vorrà andare, lo lasceremo andare’. Padre, scriva anche lei ai miei genitori ed il Signore farà tutto. Non ho fratelli maschi, ma quattro sorelle tutte più giovani di me. La nostra famiglia tira avanti con una botteguccia in un paese che non conta più di 300 anime. Mio padre smercia anche olio nei paesi vicini e mia sorella maggiore lavora da magliaia, gli altri… sono piccoli. Padre, dica a mia mamma che non è vero che non le voglio bene; dica a mio padre che ho anch’io un cuore.
Un professore di filosofia del seminario mi ha detto che ho preso la decisione di farmi missionario per la situazione economica della mia famiglia. No, padre, non è vero, non è vero; ho pianto e pregato molto allora e la Comunione del giorno dopo mi ha ristabilito. Le difficoltà sono tante, ma non mi scoraggio perché ho alleati troppo forti: Gesù e Maria… Il rettore del seminario mi ha detto: ‘Noi siamo contenti che vocazioni missionarie vengano suscitate in questo seminario e ci auguriamo che il Signore ci mandi molti giovani affinché molti possiamo darne alle missioni’.
Mi rendo conto di quanto sia dura la vita di un missionario, quali sacrifici comporti, ma è questo che io voglio: servire, servire nel dolore e nell’amore. È il Signore che ha fatto tutto in me: è Lui che mi ha dato la forza di pregare in queste vacanze come non mai; è Lui che ha toccato il cuore dei miei genitori; è lui, soprattutto che ha ispirato il mio padre spirituale, la sera di quella domenica 22 giugno, all’inizio degli esercizi spirituali a dirmi che il Signore mi aveva scelto. È allora che mi sono accorto che il Signore è più vicino a noi di quello che si crede; vicino, molto vicino. Da allora ho cominciato a pregare così: o Signore, tutto come tu vuoi, purché facciamo la nostra strada insieme Tu ed io”.
Assistente dei giovani seminaristi
In ottobre 1947 Renzo entrò nel noviziato comboniano di Firenze, accolto da P. Giovanni Audisio, maestro dei novizi, proveniente dal campo di concentramento in India. Del nostro novizio ha scritto: “È un giovane molto serio ed equilibrato. Comprende l’importanza del lavoro spirituale e lo segue con amore. Non ha mai dimostrato tentennamenti nella sua vocazione. Ha riportato un ottimo risultato agli esami di seconda liceo. Come carattere è buono e sottomesso, riservato e timido, ma sincero e retto. Costretto a rimanere a letto per una pleurite, ha dato sempre prova di grande pazienza, senza mai lasciarsi sfuggire parole di lamento. È annoverato tra i soggetti migliori”.
Renzo emise i voti temporanei il 9 settembre 1949 e poi fu mandato dai superiori come assistente dei futuri missionari nei seminari minori di Rebbio (1949-1950), Pesaro (1950-1951) e ancora Rebbio (1951-1952). Scrive P. Giuseppe-Zeno Picotti che fu con lui a Rebbio: “Tra i confratelli Comboniani con i quali ho condiviso la vita comunitaria e il lavoro missionario in questi 54 anni di sacerdozio, posso dire con verità e commozione che P. Renzo è stato quello con cui ho vissuto i momenti più belli e più intensi dal punto di vista del servizio missionario di ‘prima linea’.
Avevamo passato insieme un anno (1951-1952) nel piccolo seminario missionario di Rebbio di Como, quando io, giovane sacerdote, ero incaricato della formazione spirituale dei piccoli seminaristi e lui, che era ancora studente di teologia, era stato mandato come assistente.
Ricordo che aveva un grande ascendente sui ragazzi e li sapeva intrattenere con gioia nei momenti di ricreazione. Il nostro rapporto allora non fu molto profondo, ma servì come base alle molto intense future esperienze in comune. Per anni poi non ci incontrammo se non saltuariamente”. Mentre si trovava a Pesaro, Renzo conseguì il diploma di maestro elementare (1951).
Una nube passeggera
Tutti questi cambiamenti di casa, che comportavano anche superiori e metodi diversi, provocarono nel cielo di Renzo qualche nube per cui, ad un certo punto, sentì il bisogno di verificare la propria vocazione. D’accordo con i superiori, si prese un anno di riflessione e di preghiera che trascorse a Rebbio. Dal 17 agosto al 17 settembre 1955, fece il mese ignaziano di esercizi spirituali “essendo - come scrive - mio vivo desiderio spendere la mia vita al servizio del Signore come missionario nella Congregazione dei Figli del Sacro Cuore, voglio esaminare a fondo l’autenticità della mia vocazione”.
Trascorso il periodo di riflessione, nella sua anima si era fatta piena luce. Allora, in data 20 giugno 1956, scrisse al Superiore Generale: “Dopo essermi confermato nella vocazione religiosa-missionaria al mese ignaziano, che mi fu di aiuto immenso per la formazione e la tranquillità del mio spirito, e dopo essermi consigliato con il confessore, chiedo di essere ammesso a ricevere i santi ordini maggiori del suddiaconato, diaconato e presbiterato. Sentendo ora più che mai la gioia di avvicinarmi all’ordinazione sacerdotale, mi affido alla Vergine Santissima in cui ho riposto la mia fiducia e che sempre mi è stata propizia…”.
Fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Como l’8 settembre 1956. Come prima destinazione, venne rimandato a Rebbio con l’incarico di vicerettore dei seminaristi. Vi rimase dal 1956 al 1959. Poi passò a Sulmona, sempre con lo stesso ufficio, fino al 1960. Dal 1960 al 1961 fu economo e propagandista nel seminario comboniano di Barolo, che proprio in quell’anno apriva i battenti nel vecchio castello dell’Opera Pia Barolo di Torino.
“Ho sempre lavorato con entusiasmo e ho trovato tante soddisfazioni a stare con i ragazzi”, scriveva. I superiori, a loro volta, affermavano: “Ottime capacità organizzative. Un po’ mancante nell’ordine, nella disciplina, nella proprietà della persona. Essendo costantemente sereno, ha molta autorità sui ragazzi e sa educarli bene. Dice volentieri le sue ragioni ma poi obbedisce. Come carità è ottimo: sa affrontare sacrifici personali per aiutare gli altri. È facile cooperare con lui; ha iniziative più del normale. È un buon religioso che ha sempre dato buon esempio sia in casa che fuori. Se ha un difetto è quello di non scrivere mai alla sua famiglia, ma forse ciò dipende dalla conseguenza della scelta radicale della sua vocazione. Tuttavia ha promesso che si correggerà”.
Una vita in Uganda
A furia di insistere con i superiori, nel 1962 arrivò anche per P. Renzo l’ora dell’Africa. Fu destinato all’Uganda che proprio in quell’anno otteneva l’indipendenza dall’Inghilterra. P. Renzo fu testimone del travaglio di questa nazione che è passata attraverso la guerra, la carestia, la fame, il colera, ma ha visto anche il centenario della fede, il martirio di tanti Comboniani e di moltissimi ottimi cristiani ugandesi. Nelle sue lettere, P. Renzo registra questi fatti con l’occhio attento dell’osservatore e con il cuore buono del missionario che ama il popolo che il Signore gli ha assegnato, anche quando gli spara addosso, lo ferisce e gli uccide i compagni di viaggio…
“Il passaggio dei soldati di Amin in fuga, sbandati, senza legge né onore, le uccisioni e le stragi, la morte violenta di alcuni missionari, le colonne di automezzi d’ogni genere che continuavano a passare davanti alla missione, carichi delle più disparate masserizie e merci rubate un po’ ovunque, ha destabilizzato il paese. C’è stato chi si è offerto a far da guardia alla missione e ai missionari, rischiando ogni giorno e ogni notte la vita. Poi si è aggiunta un’epidemia di colera che ha mietuto molte vittime. Ho lanciato, via radio, un appello per avere dei vaccini e, incredibilmente, nel giro di 15 giorni me ne sono arrivate 25.000 dosi che poi si sono moltiplicate finché siamo riusciti ad arrestare il dilagare del male…
Nonostante le difficoltà dei viaggi, per la mancanza di mezzi di trasporto e per gli innumerevoli posti di blocco, più di duecentomila cristiani si sono radunati a Namugongo, luogo della morte dei martiri d’Uganda, per commemorare il centenario dell’arrivo in Uganda dei primi missionari. È stata l’ultima manifestazione pacifica sotto Amin. Egli voleva islamizzare l’Uganda; sembra certo che progettasse di dichiarare la repubblica islamica per il prossimo gennaio. Ma il Signore ha pensato bene di disporre le cose diversamente…”.
Le testimonianze dei confratelli
Per illustrare il periodo ugandese, che è stato il più importante per P. Renzo, riportiamo le testimonianze di due confratelli che hanno condiviso la vita con lui. Il primo è il già citato P. Picotti che è stato anche suo provinciale in Uganda, l’altro è l’americano P. David Baltz. Sentiamo P. Picotti: “Un giorno del 1962 ebbi la felice sorpresa di vederlo arrivare in Uganda. Fu dal superiore regionale e dal vescovo di Arua assegnato, come prima destinazione, alla missione di Maracha dove io mi trovavo con la responsabilità della grande parrocchia, con la sola presenza dell’anziano P. Pietro Simoncelli, Superiore Generale emerito.
Ebbi, così, il compito e la gioia di aiutare P. Renzo nei primi passi di vita missionaria: studio della lingua logbara, conoscenza dei costumi, introduzione alle tradizioni catechistiche e liturgiche, al metodo dei safari, ecc. Ma subito mi accorsi che era lui che poteva darmi nuovi stimoli per una migliore organizzazione dell’attività di evangelizzazione.
P. Renzo era un tipo apparentemente molto libero, si sentiva un po’ stretto nelle varie regole e tradizioni, tanto che fu sul punto di essere dimesso dallo scolasticato di teologia. Era anche molto disordinato nelle sue cose, ma era molto generoso, sempre pronto, instancabile, e, vedi caso, molto ben organizzato nel lavoro. Da lui ho imparato molto per l’organizzazione della missione: con lui iniziammo a dare a tutti i catechisti il quaderno per la preparazione delle omelie domenicali di cui si facevano le prove durante la riunione mensile. Era esigentissimo nella tenuta del registro dei catecumeni, e ad ogni cappella (centro di preghiera e istruzione) c’era un registro delle entrate e delle spese che veniva controllato ogni mese.
Fu lui che mi convinse a presentare al consiglio parrocchiale la relazione economica annuale, cosa che allora non si usava fare.
Dopo un anno si unì a noi P. Silvio Serri, quello che sarà ucciso in Uganda nel 1979. Anche per P. Serri era la prima esperienza, ma collaborammo tutti e tre con grande entusiasmo e quell’anno 1963 fu un vero “boom” per la parrocchia di Maracha. Eravamo in continuo movimento, due sempre in visita prolungata alle varie cappelle dove si restava alcuni giorni, l’altro che era a casa continuava l’assistenza e la supervisione dei centri catechistici. Lo stesso P. Simoncelli fu travolto dal nostro entusiasmo e si rimise a lavorare, per quanto poteva.
È vero, ero io il superiore e il parroco, ma con sincerità e verità devo dire che l’animatore era P. Renzo... per questo il nostro rapporto divenne molto profondo.
Vorrei ricordare due aspetti particolari di lui: qualche volta mi veniva da arrabbiarmi perché lo vedevo passare del tempo a leggere Topolino o dei libri gialli... poi compresi che erano la sua medicina contro i frequenti e gravi attacchi di malaria... ma appena la febbre cessava, ripartiva con nuovo slancio. Ancora: era un fumatore accanito... ma quando arrivava la quaresima, non toccava il tabacco fino il Sabato Santo!”.
Tra i profughi e i rifugiati
“Mi arrecò anche un grosso dispiacere: nel luglio 1964 con mia grande sorpresa venni nominato dal Superiore Generale, superiore regionale dei Comboniani della diocesi di Arua (allora non c’erano le elezioni...). P. Renzo, che forse aveva un po’ di allergia verso l’autorità, subito disse: ‘Io in comunità col superiore regionale non ci posso stare’ e chiese di cambiare missione. Per me, già preoccupato per la nuova inattesa responsabilità che mi avrebbe portato a frequenti assenze dalla missione, questa sua decisione fu un colpo fortissimo, ma non potei impedirlo e si fece uno scambio con un padre della missione confinante.
Passarono molti anni: quando io ero già da diverso tempo a Roma, P. Renzo dovette assumere l’incarico di facente funzioni del provinciale di tutta l’Uganda, per circa 6 mesi, cioè per tutto il periodo del Capitolo Generale del 1975. Capì allora quanto mi era costata quella sua decisione di abbandonarmi e, più di 10 anni dopo, mi scrisse una lettera di scuse. Come non apprezzare un gesto simile? La nostra amicizia si rinvigorì.
Passarono ancora alcuni anni. Quando finalmente, alla fine del 1981, fui libero dagli impegni a Roma, venni di nuovo mandato in Uganda e, su mia richiesta, fui assegnato all’assistenza dei rifugiati ugandesi in Zaire (ora Congo) dove P. Renzo era responsabile e anche vicario episcopale per tutti i rifugiati, con nomina del vescovo locale di Mahaghi. Mi accolse con grande gioia e subito mi inserì nella grande attività di assistenza religiosa, educativa e sociale che aveva organizzato a favore dei circa 250.000 rifugiati.
Fu un periodo bellissimo: eravamo tre padri comboniani, (il terzo era P. David Baltz), ciascuno con la propria capanna di pali e fango, con il tetto di paglia, ma dove P. Renzo aveva fatto fare i pavimenti di cemento per ragioni igieniche e di conforto.
Eravamo continuamente in giro, in visita ai vari campi, dove le Nazioni Unite avevano radunato i rifugiati. Si doveva stare fuori per settimane intere, giacché alcuni campi erano distanti più di 150 Km. Visitavamo ogni famiglia cattolica e prendevamo contatto con le altre”.
Un organizzatore nato
“P. Renzo aveva organizzato il lavoro in maniera eccezionale: apertura di centri di preghiera, incontri dei catechisti e loro formazione, fondazione di scuole e formazione dei mastri, celebrazioni solenni... sotto la cupola del cielo, accoglienza ai nuovi rifugiati che continuavano ad arrivare, collaborazione con le organizzazioni internazionali (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, “Médecins sans frontières”, coordinamento con le missioni della diocesi, ed altri).
Chiese ed ottenne tre Suore Comboniane per l’attività pastorale, e un Gesuita e tre Suore di S. Vincenzo de’ Paoli per l’attività sociale. Eravamo di 6 nazionalità, ma P. Renzo riuscì a creare tra noi ottimi rapporti, con la preghiera in comune e frequenti riunioni organizzative e anche conviviali.
Un’altra idea, che si dimostrò profetica, fu la decisione di P. Renzo di aprire un piccolo seminario che ospitammo naturalmente in capannoni di pali, fango e paglia. La ragione fu che per un deprecato accordo tra il governo del Congo e l’ONU, nelle scuole per i rifugiati si era obbligati a seguire i programmi congolesi, basati sul francese, mentre, come si sa, in Uganda la lingua ufficiale è l’inglese. Così quegli anni erano praticamente persi per i ragazzi. P. Renzo pensò che diversi ragazzi, che mostravano segni di vocazione, non sarebbero potuti andare in seminario in Uganda. Di qui la decisione. Da quei 32 ragazzi sono usciti un Missionario Comboniano (P. Alexis Matua Asumi) e 5 o 6 sacerdoti diocesani di Arua.
In me P. Renzo lascia il ricordo di un vero missionario, di un grande amico e ottimo compagno di lavoro, è stato un grande dono per me, di cui ringrazio il Signore. Per questo ogni giorno in tutti questi anni ho pregato per lui, cosa che avevo fatto anche la mattina del 29 aprile prima di ricevere la triste notizia. Sì! Triste, ma anche gioiosa perché sono certo che San Daniele Comboni ha subito presentato questo suo degno figlio al Padre, perché ricevesse il premio della sua vita completamente donata alla missione”.
Le tappe della vita missionaria di P. Renzo in Uganda sono le seguenti: vice parroco a Maracha (1962-1965); vice parroco e poi parroco a Koboko (1965-1968); parroco, incaricato dei mezzi di comunicazione sociale, vice provinciale, incaricato stampa a Lodonga (1970-1975); parroco a Maracha (1975-1980); incaricato dei rifugiati in Congo (1981-1986); parroco a Koboko (1986-1988); responsabile del centro di spiritualità di Lodonga (1988-2004).
Il Centro Pastorale di Spiritualità
Nel 1988 fu decisa l’erezione dello Spiritual Pastoral Centre di Lodonga (SPACE). P. Renzo fu l’animatore, P. Italo Piffer, il “cercatore” dei fondi per costruirlo, mentre Fr. Giuseppe Udeschini con i suoi operai portò a termine l’opera. La costruzione fu inaugurata nel 1991 e cominciò subito a funzionare grazie alla dedizione di P. Renzo che dettava in continuazione corsi di esercizi, ritiri spirituali, e teneva corsi di spiritualità per laici, catechisti, sacerdoti e religiosi. Basterebbe quest’unica opera per valorizzare una persona, tanto è il bene che ha suscitato e che suscita nella Chiesa locale.
Dobbiamo anche dire che P. Renzo è stato un martire mancato. Egli stesso narra l’episodio in una lettera del 23 ottobre 1988, scritta da casa sua durante il periodo di convalescenza per la rieducazione del ginocchio destro: “Il 19 marzo scorso, in Uganda, sono caduto in un’imboscata e mi sono salvato per miracolo, mentre le tre persone che erano sulla Landrover con me sono morte. Io sono stato ferito al ginocchio e sono stato operato in Italia per un innesto osseo. Solo ora comincio a muovermi un po’. È stata una terribile esperienza, ma di ogni cosa e sempre, rendo grazie al Signore. Spero di poter rientrare in Uganda all’inizio del gennaio prossimo per iniziare e organizzare un centro di formazione che comprenderà una casa di preghiera e ritiri spirituali, una scuola biennale per catechisti, ed una comunità di sacerdoti e religiosi che dirigerà i due centri e dovrà svolgere un lavoro di animazione liturgica, pastorale e di aggiornamento. Il centro sorgerà presso la basilica della Sultana d’Africa in Lodonga, santuario mariano della diocesi di Arua.
È stato certo lo Spirito Santo che ha ispirato il vescovo di Arua a porre mano coraggiosamente ad un simile centro. La diocesi soffre ancora delle conseguenze della lunga guerra. Oltre ai danni materiali ingenti, è evidente un decadimento morale ed una perdita di ideali. Lodonga è una di quelle missioni completamente distrutte dalla guerra, eccetto il santuario che ha avuto danni minori… Per il centro di spiritualità la cosa più necessaria sarà un massiccio intervento della grazia. Ho intenzione di raccomandare il centro ad alcuni monasteri di clausura per invocare lo Spirito Santo sui dirigenti e i partecipanti, per una Chiesa più santa e più bella”.
La testimonianza di P. David Baltz
P. David Baltz, Comboniano americano che ha lavorato tanti anni insieme a P. Renzo, ci offre qualche tratto della sua personalità: “P. Renzo è stato uno dei più umani (in un senso molto positivo) tra tutti i Missionari Comboniani che ho conosciuto nei miei 48 anni di vita comboniana. Sono stato con lui a Maracha, Uganda, per quattro anni e nel campo profughi di Bakara, Congo, per tre anni, e per molti altri ho lavorato nella medesima zona tra i logbara.
Nel Congo ho trascorso con lui molte notti nella stessa capanna mentre lavoravamo insieme per assistere 54 centri di profughi ugandesi. Accettava pazientemente che io mi svegliassi alle due di notte per sentire le notizie sportive dagli Stati Uniti, ed io, da parte mia, accettavo pazientemente il suo incredibile russare.
Vivendo in comunità dove non tutti erano perfetti, P. Renzo sapeva molto bene perdonare e dimenticare. Se qualche confratello impaziente usava qualche parola dura, sapeva tacere prima di rispondere, e dopo pochi minuti tutto era dimenticato.
Renzo amava la sua famiglia e i suoi tanti amici e benefattori. Lo vidi in lacrime mentre gli parlavo della sua mamma che io ero andato a trovare in Italia, nella sua città natale di Alba. Malgrado i suoi molti impegni, trovava il tempo per scrivere centinaia di lettere per ringraziare i benefattori e parlare dei suoi futuri progetti.
Renzo amava anche la Famiglia Comboniana. In generale era una persona allegra, era uno che metteva ogni persona a proprio agio. Era bravo nel preparare un buon pranzo per la comunità, specialmente quando c’era qualche ospite. I ‘banchetti’ alla fine dei ritiri e dei corsi di esercizi erano famosi e non si dimenticavano facilmente. Sapeva istruire e incoraggiare i cuochi a fare del loro meglio, senza commettere il minimo sbaglio di etichetta”.
La scelta degli ultimi
“Renzo poteva diventare ferreo nelle sue opinioni quando era convinto che si trattava di una cosa giusta e importante. Nel 1981, quando i suoi cari logbara furono costretti a fuggire nel Congo, insistette con i superiori perché qualcuno li seguisse e li assistesse. Quando finalmente ottenne questo dai superiori, decise di abitare in una capanna di paglia come loro, piuttosto che nella casa della vicina missione. Quando, più tardi, i superiori decisero che egli tornasse in Uganda, per un momento pensò alla possibilità di chiedere di essere esclaustrato per tre anni, per avere tempo di dare la consegna ai missionari che lavoravano nel Congo. Insomma, pur di proteggere i profughi, era anche disposto a lasciare momentaneamente l’Istituto ”.
A questo proposito riportiamo il brano di una lettera che, in data 29 luglio 1984, P. Renzo scrisse al Superiore Generale, P. Salvatore Calvia: “Ora io mi trovo ad affrontare un vero problema di coscienza. La volontà di Dio è che io lasci il lavoro tra i rifugiati, come sembrano indicare le direttive dei superiori, oppure ho il dovere di scoprire nei segni dei tempi se devo insistere per restare a completare questo servizio per i rifugiati? Non potrebbe darsi che l’Istituto, per motivi di sicurezza, non sia attento al servizio dei più poveri ed abbandonati? O che i superiori, per mancanza di informazioni o di sensibilità al problema, possano forzare ad essere al margine dell’Istituto o anche ad una temporanea uscita da esso?”. I superiori lo capirono e lo lasciarono al suo posto.
Continua P. Baltz: “Renzo lavorava con ottimismo. Le varie cose negative che capitavano in parrocchia non facevano vacillare la certezza (aveva il vero spirito di San Daniele Comboni) che il Signore avrebbe ricavato il bene dalle difficoltà e così non diminuiva il suo impegno alla causa missionaria.
Lavorando con i catechisti ed altri laici, sapeva riconoscere la loro abilità, sperava sempre nel loro miglioramento, e li trattava sempre con rispetto.
Renzo amava la musica e si trovava bene con gli amanti del bel canto. Incoraggiò l’uso degli adungu, una specie di chitarra della vicina tribù alur. Un esempio è il successo del coro dei ragazzi di Bakara, nel Congo, che frequentavano la scuola aperta da lui.
La sua abitudine di fumare era proverbiale, ma durante la quaresima si asteneva completamente dal fumo. Il disordine nella sua stanza e nel suo ufficio indicavano che non aveva il culto delle ‘cose a posto’ e lui era disposto ad ammetterlo e a darmi libero accesso alla sua stanza quando occorreva.
Malgrado ciò Renzo era un grande organizzatore, sempre pronto a pensare qualche cosa di nuovo e a nuovi metodi per l’avvento del Regno di Dio. Alcune settimane prima di morire stava preparandosi a consegnare lo “SPACE” (centro catechistico di spiritualità) ad un altro Comboniano, P. Torquato Paolucci, e avrebbe continuato a lavorare con lui per la formazione dei laici.
Nonostante tutti i suoi impegni e i suoi piani, trovava il tempo per rilassarsi, fumare la pipa e compilare tutte le parole crociate della ‘Settimana enigmistica’ a cui era abbonato o a divertirsi con il ‘Worked thru’ o il puzzle”.
Amava gli africani
“Renzo era aperto e ospitale non solo con i suoi confratelli, ma anche con i sacerdoti diocesani e altri religiosi e faceva del suo meglio perché si trovassero a loro agio nella casa dei Comboniani. Anche nel suo ministero in parrocchia e nel centro catechistico si teneva al livello della gente. Visitava le famiglie casa per casa per benedire le loro capanne, nella parrocchia e nel campo profughi. Portava i catechisti del centro a fare pratica nelle parrocchie. E fu appunto durante un’esperienza di questo genere con un gruppo di catechisti che si sentì così male che lo dovettero portare dal dottore e, più tardi, in Italia dove morì.
I Missionari Comboniani non si ritirano dal lavoro, tutt’al più rallentano. Dio sa il momento giusto per chiamare i suoi buoni e fedeli servitori come egli fece tanti anni fa con Daniele Comboni e ora con P. Renzo. Questi due grandi missionari, circondati dai loro amici africani, possono ora comunicare insieme e parlare delle grandi esperienze e della meravigliosa vocazione missionaria, godendo insieme il banchetto celeste, magari con una bottiglia di vino conosciuto col nome di ‘Orgoglio di Lodonga’. Grazie P. Renzo per queste belle memorie”.
P. Enrico Colleoni ha definito P. Renzo “un vulcano di idee e di azione, un evangelizzatore che ha creduto nella forza della parola di Dio per cambiare il mondo, un missionario che si è identificato con l’evangelico chicco di grano che si è immerso nella terra africana per farla fiorire”.
Ha inaugurato la nuova tomba dei Comboniani
P. Renzo è sempre stato un missionario di frontiera: le sue specializzazioni erano le visite ai villaggi, l’approccio con le persone, in modo particolare gli anziani e i malati, e la catechesi ai giovani. Ha trascorso gli ultimi dieci anni nella casa di spiritualità annessa al santuario della Madonna Mediatrice di Lodonga, dedicandosi ai corsi di ritiri e di esercizi spirituali per sacerdoti, catechisti e laici.
Dotato di un bel carattere, ha saputo farsi amare da tutti. Come aveva resistito alle incursioni dei ribelli durante la guerra, ha cercato di resistere anche al tumore che lo aveva colpito. Ma il primo aprile 2004 è dovuto rientrare in Italia, a Milano, dove ha sofferto molto a causa del male che, dal pancreas, si era diffuso in tutto il corpo. Ricoverato all’ospedale di Niguarda, è stato operato ma ormai non c’era più nulla da fare.
Quando ha visto che la sua ora si avvicinava, in piena lucidità mentale e consapevolezza, ha chiesto di essere riportato in comunità per morire accanto ai suoi confratelli.
Le sue quattro sorelle, a turno, lo hanno assistito giorno e notte con un amore e una dedizione incredibili. Il 29 aprile, alle ore 6.00 “quando in Africa era solito terminare la sua preghiera mattutina”, ha reso la sua anima a Dio. Dopo i funerali nella chiesa Madonna di Fatima, la salma è stata sepolta nella nuova cappella cimiteriale dei Comboniani nel camposanto di Brosuglio, comune di Cormano, provincia di Milano. P. Renzo lascia nei confratelli e in chi l’ha conosciuto l’esempio di un missionario completamente donato alla causa dei neri e sempre proteso alla diffusione e al consolidamento del Regno di Dio: un vero figlio di San Daniele Comboni.
P. Lorenzo Gaiga, mccj
--------------------------
Fr. Renzo Salvano was a truly exceptional man: intelligent, creative, enterprising, independent, free, wise, good and friendly. His thoughts were wide open and everything he did was always creative. His last creation was SPACE (Spirituality Pastoral Centre) in Lodonga. It is a double structure: one for the formation of catechists and the other for courses of ongoing formation and spirituality. He personally followed his catechists with group work, without sparing himself. Often he did not take care of himself. At the spirituality centre he was always organising courses for priests and religious. Each year he also organised Spiritual Exercises and, once a year, the Ignatian Month. He was generous and could never exact a fixed amount from participants, asking only for a free contribution.
Lately he had expressed a desire to turn two more dreams into reality, but he was not able to do so due to his deteriorating health condition. After turning over to a confrere the running of the Lodonga Centre, he would have liked to go and open a new parish with a local priest. He was planning to use simple means, for instance, by travelling by bicycle or on foot. His second dream was the opening of a school of theology for the laity.
Fr. Renzo was born in Sinio d’Alba on 10 August 1931. He ran the risk of being expelled from the seminary, because he was too independent and not too tolerant of the rules and structures that seemed to be too narrow for his open and creative mind. “Fr. Lorenzo was apparently very free, and felt limited by the rules and traditions, to the point that he came close to being sent home from the theologate,” so writes Fr. Giuseppe-Zeno Picotti.
He was ordained priest on 8 September 1956. He worked in Italy for a time and was also involved in education. The young folks appreciated his cheerfulness and his creativity. He knew music and composed songs. “He was trusted by the boys and he could entertain them in a joyous manner,” so comments Fr. Picotti who knew him in Rebbio as a prefect during the 1951-1952 school year.
Fr. Renzo went to Uganda in 1962 and worked in various missions: Maracha (1962-1965; 1976-1979); Koboko (1965-1968; 1985-1988), Oluvo (1970), Lodonga (1970-1975; 1989-2004). He also spent some years in Zaire with Ugandan refugees (1981-1985). He risked a lot during the years of insecurity in West Nile. He was shot at and wounded once. On 2 February 1997, while saying Mass in the basilica of Lodonga, 18 rebels dragged him away from the altar at gun point and took him to the mission house that was completely looted.
Fr. Picotti, who did pastoral work with Fr. Renzo in West Nile, describes some of his personality traits: “He was rather messy in his own things. But he was very generous, always available, never tired and, surprisingly, very organised in his work. I learned a lot from him in how to organise a mission: with him we began to give to all catechist a notebook for the preparation of Sunday homilies that we then practiced during the monthly meetings. He was very demanding in keeping the rostrum of the catechumens in order and in each chapel there was a ledger with income and expenses that was checked monthly.”
During the years of insecurity in West Nile, Fr. Renzo, together with Fr. Picotti and Fr. David Baltz, lived in Congo for a time to serve about 250,000 Logbara refugees from Uganda. Again, Fr. Picotti gives his description: “It has been a very good period… We were constantly moving around to visit the camps. We had to stay out for weeks at the time, since some of the camps were over 150 km away. We would visit every single Catholic family and make contacts with new arrivals. Fr. Renzo had organised the work in an exceptional manner: opening of prayer centres, meetings with catechists to keep up their formation, opening of schools and formation of teachers, solemn celebrations, etc. An idea that turned out to be a prophetic gesture was the opening of a small seminary housed in huts made of sticks, mud and straw… Out of those 32 boys came a Comboni Missionary (Fr. Alexis Matua Asumi) and five or six diocesan priests for Arua.”
Fr. Renzo knew how to enjoy the legitimate pleasures of life and knew how to relax. “Whenever I would arrive in Lodonga, he always welcomed me with joy, offered me a cold beer and made me sit with him. While he too was enjoying his beer, we chatted about his pastoral strategies, various projects and aspects of community life,” adds the provincial, Fr. Guido Oliana. He was a chain smoker, but he never smoked during Lent all the way to Easter. He loved to read pastoral publications, but he also enjoyed Mickey Mouse and thrillers, a sign of his lively imagination that showed itself in creative, original ideas very effective in his pastoral work.
Fr. Renzo left us while he was still at his best. Even though lately he was more fatigued, he carried on with his pastoral duties to the end. Last March he had to cut short his work with a group of catechists in Arua. Constant fevers, lack of appetite and a strange feeling of fatigue showed that something was not functioning correctly. He had not been well already for a few months and he had even gone to Angal where the doctors had not found anything to worry about. This time, however, he agreed to go to Kampala for more tests. There the doctors found that he had a hard mass in his stomach. He went to Milan immediately, where surgery proved futile. A fast developing tumour had done its damage. Fr. Renzo kept his composure to the end. He had used all of his rich reservoirs of intelligence and creativity. He felt that he had given his all. On 20 April 2004 he died peacefully, without fuss, independent to the end.
Da Mccj Bulletin n. 224 suppl. In Memoriam, ottobre 2004, pp. 64-76