In Pace Christi

Russo Giuseppe

Russo Giuseppe
Data di nascita : 22/03/1918
Luogo di nascita : Bieno
Voti temporanei : 07/10/1936
Voti perpetui : 07/10/1941
Data ordinazione : 28/06/1942
Data decesso : 18/02/2006
Luogo decesso : Lira

P. Giuseppe Russo era nato ad Enna, in Sicilia, il 22 marzo 1918 da Mariano e Giuseppa Lavigna, ultimo di 12 figli. Quando il piccolo era ancora in fasce, la famiglia si trasferì a Roma. Giuseppe, frequentò le medie nel seminario comboniano di Sulmona e il ginnasio nell’Istituto Comboni di Brescia. A 16 anni, nel 1934, entrò nel noviziato di Venegono Superiore dove fu accolto da P. Giocondo Bombieri, maestro dei novizi.

Emise i primi voti il 7 ottobre 1936. In quella circostanza espresse così i suoi sentimenti: “Il Sacro Cuore di Gesù mi dia la grazia di vivere i miei voti giorno per giorno in preparazione al sacerdozio e ad un fecondo apostolato tra gli africani”.

Poi passò a Verona per il liceo e la teologia. Nel 1940, mentre si trovava a Verona come scolastico, frequentò un corso di infermiere, autorizzato dal presidio militare di Verona, e acquisì l’attestato di infermiere e aiutante di sanità nel Reale Esercito Italiano. Questa specializzazione, che sarebbe stata utile in caso di chiamata alle armi, gli fu certamente di aiuto in missione.

Durante gli anni della formazione, Giuseppe dimostrò di essere un giovane seriamente impegnato nel cammino di perfezione. “Vengo a pregarla, reverendo padre, perché mi ammetta alla rinnovazione dei voti. Sento delle difficoltà (ho vent’anni, padre) ma sento pure che questa è la mia strada e voglio batterla fino alla fine, a qualunque costo”. P. Agostino Capovilla scrisse di lui: “Buono, ardente figlio dell’Etna, pieno di buona volontà. Avrà bisogno di essere diretto e incoraggiato”.

Verso il sacerdozio
Nella domanda per gli ordini minori (1° marzo 1941) scrisse: “Con un inno di ringraziamento al Signore che mi ha dato e mi conserva la decisa volontà di raggiungere la meta che è stata la mia più grande aspirazione fin dalla fanciullezza, chiedo di accedere agli ultimi due ordini minori…”. E in prossimità del sacerdozio, aggiunge: “Sono alla vigilia del sacerdozio, la prima aspirazione dell’anima mia. Certo, non senza trepidazione presento la mia domanda per l’ordinazione sacerdotale, ma ho tutta la fiducia che il Signore, che mi ha chiamato, non mi farà mancare il suo aiuto. Scongiuro la Vergine Immacolata perché la mia vita sia il grazie più bello per il Signore e per quanti nel suo amore mi hanno condotto a questo giorno santo (Verona 26 giugno 1942)”.

Fu ordinato sacerdote a Verona il 28 giugno 1942. Inizialmente, esercitò il ministero sacerdotale in Italia, per tre anni (durante la guerra) a Troia come animatore missionario, poi per un anno a Firenze, dove studiò l’inglese. Nel 1946 lo troviamo in Inghilterra, ad Elm Park, per perfezionare l’inglese in vista della prossima partenza per la missione in Uganda.

Nel 1947 salpò per l’Africa e lavorò in varie missioni tra la popolazione Lango, nella diocesi di Lira. Diede inizio alla “Junior” di Ngeta che poi divenne il Comboni College, una delle migliori scuole secondarie del nord Uganda. Dopo quattro anni andò ad Aduku come parroco e superiore locale (1951-1955). Esercitò il suo ministero anche a Ngeta, Dokolo e Aber. P. Giuseppe era molto conosciuto ed amato dai parrocchiani per la sua generosità, la sua dedizione e il suo carattere gioviale ed ottimista.

P. Giambattista Cesana, suo superiore in Africa, ha scritto di lui: “P. Russo ha mostrato di essere un buon religioso e un missionario capace. Posso dire di averlo trovato docile, pronto all’obbedienza, senza mormorazioni o critiche. Segue la vita comune: per il ministero mostra zelo, generosità, capacità. È fornito pure di buone qualità di mente e di cuore”. P. Longino Urbani ha aggiunto più sbrigativamente: “Missionario molto zelante e buon religioso”.

In sintonia con i confratelli
Durante la sua lunga vita missionaria ha passato due periodi in Italia: dal 1955 al 1959 come superiore locale a Sulmona e dal 1969 al 1976 come fondatore e poi parroco della casa comboniana di Messina, costantemente impegnato nella promozione vocazionale e nell’animazione missionaria. Dal 1976 al 1983 rimase nella Curia generalizia di Roma come animatore missionario (predicatore di giornate missionarie). In tutti quelli che ha conosciuto, specie sacerdoti, ha lasciato un bellissimo ricordo. “Sa che alcuni sacerdoti sono venuti a trovarmi in missione? Assicuro che non li ho invitati io, ed hanno voluto ringraziarmi della testimonianza missionaria che ho lasciato nelle loro parrocchie”.

Per quanto riguarda il periodo in Uganda, dal 1959 al 1964 è stato superiore locale a Ngeta, e dal 1964 al 1969 parroco a Dokolo. In una lettera da Dokolo del 15 giugno 1964, scritta al Superiore Generale, così commenta l’espulsione dal Sud Sudan dei confratelli: “Da quando i nostri confratelli sono stati strappati violentemente dalla loro terra dove per tanti anni avevano lavorato e sofferto, dove molti di essi sono morti per portare ai sudanesi la redenzione di Gesù, da allora ho atteso impazientemente l’occasione per dirle che anche l’ultimo figlio del Sacro Cuore dal suo romitorio di Dokolo ha vissuto e pianto con l’amata Congregazione e con lei sulla tragedia che ha ricacciato indietro di 100 anni la terra del Comboni, rendendola ancora una terra di schiavi. Ho pregato e fatto pregare per il Sudan e per i provati confratelli. La Regina della Nigrizia abbia pietà del Sudan e ridia nuovo splendore alla ‘perla bruna’ ora sepolta sotto il terrore della scimitarra”.

Poi parla della missione di Dokolo, ricevuta dai missionari di Mill-Hill: “Vivo in solitudine e comprendo quanto sia saggia la nostra regola che prescrive una minima comunità; tuttavia sono contento e sto vivendo l’esperienza di quando fondai la missione di Aduku nel 1952. Mi benedica, padre, perché l’amore a Cristo e alla Congregazione, amore che mi ha accompagnato nelle gioie e nelle esperienze amare, si sviluppi e si accresca sempre più nell’anima mia”.

Nel 1968 P. Giuseppe caldeggiò l’acquisto della casa di Comboni a Limone celebrando 30 Messe ad mentem del vicario generale che metteva da parte i soldi per quello scopo. Nella sua opera missionaria riuscì a coinvolgere anche i suoi parrocchiani di Roma: “A Dokolo ho ultimato una bella chiesa praticamente con il denaro della mia parrocchia di Roma”.

Dopo il periodo a Roma, tornò ad Aduku (1983-1991) come superiore locale e parroco per concludere la sua lunga giornata africana come addetto al ministero, prima ad Aber e poi a Ngeta.

Il giorno della sua morte, prima di lasciare Holy Rosary (Gulu) per recarsi a Lira, era andato a salutare le suore e, con parole profetiche, aveva detto loro: “Vi saluto una per una, perché non so se ci vedremo ancora”.

L’incidente
Ecco alcune informazioni sulla dinamica dell’incidente che ha provocato la sua morte. P. Giuseppe era andato a Gulu (150 km circa da Lira) per lavorare al suo libro sugli stregoni con l’aiuto di P. Cosimo De Iaco. Era partito senza autista, in modo da avere più spazio per portare alcune donne ammalate che gli avevano chiesto un passaggio per l’ospedale di Gulu. A Gulu aveva tenuto un seminario sulla stregoneria.

Sabato ha celebrato la Messa a Holy Rosary e, parlando della trasfigurazione di Gesù, ha invitato la gente a contemplare il volto di Cristo; poi, è partito per Lira. A circa 15 km dall’arrivo, la macchina ha sbandato verso il lato opposto della corsia di marcia travolgendo due persone: una è morta sul colpo, l’atra è stata ricoverata in ospedale. Non si sa se P. Giuseppe abbia avuto un malore o un colpo di sonno; comunque l’auto è andata a sbattere contro un grande termitaio e P. Giuseppe, che non usava la cintura di sicurezza, ha sbattuto violentemente la testa conto il vetro e la cassa toracica si è schiacciata contro il volante. Portato all’ospedale privato di Lira, è rimasto sempre cosciente anche mentre i medici cercavano di tamponargli le ferite. È stato assistito da alcune suore e dal parroco della cattedrale che gli ha amministrato l’unzione degli infermi. Non ricordava nulla dell’incidente. È morto verso le 13.30 di quello stesso giorno, 18 febbraio 2006, circa due ore dopo l’incidente, mentre veniva portato in sala operatoria per essere operato di emorragia interna.

Missionario all’antica
Ecco la testimonianza di P. Guido Oliana sulla personalità di P. Giuseppe: “P. Giuseppe Russo era una figura classica di missionario di altri tempi, con tutti i pregi e qualche difetto di quel cliché di missionario. Del siciliano aveva tutte le caratteristiche di passione, comunicativa e sensibilità umana. Nel 1947 partì per l’Uganda e vi rimase fino al 1955. Lavorò per alcuni anni tra gli Alur in West Nile, ma spese quasi tutto il resto della sua vita missionaria tra i Lango nella diocesi di Lira”.

Nel 1972 si trovava in Sicilia alle prese con l’acquisto del terreno e poi l’impegno di fabbricare il Centro di Animazione Missionaria, per cui aveva bisogno di aiuti finanziari. In quel periodo, P. Ottorino Filippo Sina gli chiese un aiuto per acquistare una macchina per Mons. Paolino Dogale. P. Giuseppe, con grande generosità rispose: ‘Se non riesce ad avere quanto occorre nelle varie richieste che ha fatto, prenda tutto o quanto le occorre dal mio conto in procura’”.

Completamente distaccato dal denaro, apprezzava la povertà vissuta dai singoli e dalle comunità, mostrando una fiducia incrollabile nella Provvidenza. Ad esempio, rimase molto male quando, nel 1982, tornando a San Pancrazio, vide la televisione a colori: “A questo punto mi sono chiesto in coscienza che senso può avere il mio lavoro di cercare aiuti per l’Istituto che vive solo per le missioni. Vedendo questo lusso, qualche cosa si è rotto dentro di me”.

Stima per i confratelli
Nelle sue lettere P. Giuseppe parla sempre bene dei confratelli e sottolinea ciò che fanno con parole di ammirazione: “Ringrazio il caro P. Giulio Rizzi per la sua metodica e instancabile attività di ufficio, ma anche per il buon esempio che ha sparso attorno a sé ogni giorno, e P. Pietro Lombardo poi, giovane e con bella esperienza d’Africa, ben dotato e con ottime risorse di iniziative”.

Nonostante i numerosi anni in Italia, valorizzava gli anni trascorsi in missione, dei quali era orgoglioso, e nelle sue lettere ricordava al Superiore Generale gli anni trascorsi in Italia insinuando che ormai era giunto il tempo di tornare in missione… “È giusto che noi anziani mostriamo con i fatti, sia agli amici e benefattori, sia ai confratelli, che viviamo davvero e solo per la missione. Come lei sa, sono disponibile non solo per l’Uganda, ma per qualsiasi altro paese di lingua inglese e, magari con una ripassatina a Parigi, anche di lingua francese che a suo tempo imparai bene. Ho studiato anche un po’ di spagnolo, da solo. Basta che la zona dove l’obbedienza mi manderà sia povera e pagana…

Ringrazio il Signore e la Madonna che per le vie di Roma e del Lazio, come già in Sicilia e in Africa, mi sono capitati sì dei momenti duri, ma soprattutto mi si è riempito l’animo di tanta gioia e soddisfazione proprio come sacerdote e Missionario Comboniano, nei molti incontri con i giovani e adulti e con gli stessi sacerdoti. Noi missionari abbiamo un gran dono di Dio da comunicare anche alle Chiese locali di origine”.

Quando finalmente poté partire nuovamente per l’Uganda, scrisse: “Sento profondamente come nuovo dono di Dio la sua accettazione della mia disponibilità. Prego e spero di rendermi utile in qualunque angolo i superiori vorranno assegnarmi”.

“Conobbi per la prima volta P. Russo durante gli anni 1981-1986 – continua P. Oliana – quando prestava il suo servizio di animazione missionaria nella diocesi di Roma. Ricordo il suo entusiasmo, la sua passione e anche la sua predicazione emotiva.

Ebbi modo di conoscerlo più da vicino durante il mio mandato di provinciale in Uganda (1999-2004). L’immagine che mi è rimasta impressa è quella del tipico Missionario Comboniano dei vecchi tempi: fedele alla preghiera, con una dedizione incondizionata al ministero pastorale, dalla carità e generosità a tutta prova verso i più poveri, con un grande senso dei diritti umani, in particolare in relazione al rispetto della vita.

La sua predicazione era appassionata con un impianto fortemente apologetico della fede e una certa diplomazia per evitare scontri e raggiungere i suoi obiettivi a tutti i costi, quando ne era convinto”.

Gioie e amarezze della missione
In una lettera del 1984, dopo il suo ultimo e definitivo ritorno in missione, P. Giuseppe mostra la gioia di essere ritornato “a casa mia” e la preoccupazione per il buon andamento della Chiesa africana: “Voglio dirle, reverendissimo Padre Generale, quanto sono contento di essere ancora una volta in missione a condividere con i confratelli le ansie, le preoccupazioni, i disagi e le gioie del lavoro diretto. Voglio ringraziarla personalmente per aver raccolto la mia richiesta. Sentivo, infatti, l’esigenza di portare fino alla partenza-ritorno la testimonianza della mia animazione missionaria in Italia. Diversi sacerdoti mi hanno scritto ringraziandomi proprio per questo.

Ho solo una tristezza che vorrei cambiare in implorazione: a Lira abbiamo due giovanissimi padri Lango fatti parroci e soli. Infatti, i Comboniani hanno lasciato due parrocchie perché ‘non possono stare soli, ma devono essere in due o in tre’. Giusto e bello, ma non siamo in pochi a chiederci con preoccupazione che, per questa nostra regola, lasciamo soli dei preti appena ordinati, non avendo, il vescovo, altre alternative. In un anno la diocesi ha perso tre sacerdoti, altri sono in bilico e questo ha sconvolto la situazione nella diocesi di Lira.

Non possiamo lasciare le parrocchie a scadenze fisse… È un’implorazione la mia, però sono sempre pronto all’obbedienza”.

Apostolo degli stregoni
Negli ultimi 30 anni la figura di P. Giuseppe è stata legata al ministero con gli stregoni, a cui si era dato anima e corpo. Al momento della sua morte, era riuscito a creare un’associazione di più di 500 ex-stregoni, uomini e donne, convertiti. Tra loro si era scelto un gruppo di collaboratori, con cui organizzava seminari e dimostrazioni pubbliche sul tema “Stregoneria ed evangelizzazione”.

Il suo obiettivo principale era quello di demitizzare il fenomeno della stregoneria e della superstizione mostrando al pubblico gli imbrogli che gli stregoni facevano per interessi personali, al solo scopo di arricchirsi, manipolando la paura della gente.

Il più grande successo di P. Giuseppe è stato quello di riuscire a convincere questi ex-stregoni a svelare al pubblico i loro intrighi e i vari trucchi. In un contesto africano, dove i segreti di iniziazione e di esercizio dell’arte della stregoneria costituiscono un grosso tabù e sono circondati da grande segreto, P. Giuseppe ha contribuito a sfatare questo mito e ad esporlo al pubblico, allo scopo di favorire la verità delle cose secondo lo spirito del Vangelo che afferma che solo la verità ci farà liberi.

P. Giuseppe è riuscito a dimostrare che uccidere le cosiddette “streghe” era un omicidio e che i sacrifici umani dei bambini erano una vera e propria strage degli innocenti. Cercava anche di far capire che il malocchio non esiste e che era un’ingiustizia imprigionare o maltrattare chi era accusato di magia nera.

Con la sua instancabile attività ha salvato molta gente da sentenze ingiuste. Avvocati e giudici apprezzavano il suo lavoro e, in questioni di stregoneria, lo consultavano. Per questo suo ministero ha ricevuto anche apprezzamenti dalle autorità. Il sindaco di Lira, per esempio, il 26 dicembre 2005, ha scritto una lettera ‘riconoscendo e apprezzando lo sforzo di P. Giuseppe nel combattere la stregoneria nella società, per cercare di sradicarla completamente’.

Era convinto che la paura rappresentava la causa principale della stregoneria e quindi del sottosviluppo umano. Auspicava che qualcuno potesse continuare questo suo ministero e, tra i confratelli, cercava chi fosse più adatto a portare avanti questa sua attività”.

Un libro non scritto
“Ultimamente – continua P. Oliana – convinto che la testimonianza di P. Russo non dovesse andare perduta, parlai con lui di fare un libretto che raccogliesse la sua decennale esperienza in fatto di stregoni. Non era facile riuscire a convincerlo a sedersi, a riflettere con calma e a scrivere le sue esperienze in modo sistematico.

Un giorno, decisi di fargli un’intervista con varie domande sulla sua attività, in vista di farne una pubblicazione. Prima che lasciassi l’Uganda, ci sedemmo a correggere una prima stesura del libretto. Non era soddisfatto. Non voleva teorie. Si cercava di raccogliere altro materiale. Ho avuto con lui una certa corrispondenza via e-mail per portare a termine il progetto, poi, tutto si è arenato, perché lui era occupato con i suoi programmi di sensibilizzazione ed io avevo altri impegni.

P. Russo è stata una figura veramente carismatica nel suo campo. Lascia il ricordo di una persona che ha amato gli africani, che li ha rispettati, che ha creduto all’annuncio del Vangelo e che la fede in Gesù Cristo è l’unica forza per rigenerare l’africano ad una vita dignitosa.

Pur con il suo stile inconfondibile, è stato uno dei pochi Comboniani in Uganda capace di testimoniare senza mezzi termini l’importanza della conoscenza e del dialogo con le religioni tradizionali africane, per garantire un’evangelizzazione inculturata e concreta. Voleva che nei documenti del Capitolo Generale del 2003 rientrasse qualcosa su questo tema.

La sua passione per l’evangelizzazione era testimoniata dalla totale disponibilità a celebrare i sacramenti, in particolare nella cura dei malati, dovunque fosse necessario. Nonostante l’età avanzata, non si è mai tirato indietro, fino all’ultimo momento. È morto sul campo di battaglia, e non poteva essere altrimenti, dato il suo carattere combattivo.

P. Russo ci lascia una sfida molto significativa: prendere sul serio lo studio e il dialogo con le culture africane, un mondo poco conosciuto e piuttosto trascurato, che ancora oggi è la causa di grossi problemi, ma che può diventare anche fonte di energia delle enormi possibilità che l’Africa ha per poter crescere e brillare sempre più come quella ‘perla bruna’, che Daniele Comboni appassionatamente aveva celebrato”.

Il funerale come una Pasqua
Conclude P. Giuseppe Filippi: “Il funerale è stato celebrato nella missione di Ngeta, vicino a Lira, dove P. Russo viveva con la sua comunità. L’eucaristia è stata presieduta da Mons. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira, con la partecipazione di tutti i confratelli e sacerdoti della diocesi, un buon numero di confratelli della diocesi di Gulu, in particolare dalle parrocchie di Kitgum, Kaboong, Patongo e Gulu. Erano presenti anche moltissime suore: la provinciale delle Suore Missionarie Comboniane, Sr. Rita Maffi, e altre degli Istituti presenti nella diocesi di Lira.

L’enorme chiesa era strapiena di fedeli che hanno vegliato la salma dalla sera precedente. Il gruppo degli ex stregoni (convertiti da P. Russo) erano presenti in gran numero con i loro simboli.

Il vescovo, nell’omelia, ha applicato la Parola di Dio a P. Russo che l’ha amata e predicata per tutta la vita. Il vicario generale ha ripercorso la storia di P. Russo. Il rappresentante degli stregoni ne ha elogiato lo spirito di dedizione, l’amore per la gente e il ruolo avuto nella loro conversione. Il provinciale ha esaltato le sue virtù missionarie, il suo entusiasmo e l’ha ringraziato per quanto ha saputo dare alla Chiesa di Lira vivendo la sua vocazione in totalità e pienezza. Il nunzio apostolico ha inviato al provinciale le sue condoglianze e così hanno fatto altri vescovi”.

P. Giuseppe resterà nel cuore degli africani per la sua generosità. Nonostante l’età e il diminuire delle forze era sempre pronto a rispondere alle chiamate per assistere gli ammalati e i poveri. Il suo carattere gioviale ed il suo entusiasmo erano contagiosi e per questo tutti gli volevano bene. Ci lascia l’esempio di un Comboniano pienamente identificato, contento, anzi entusiasta della sua vocazione missionaria. Che dal cielo interceda perché altri giovani si mettano sulle sue orme che sono quelle di San Daniele Comboni.
(P. Lorenzo Gaiga, mccj)
Da Mccj Bulletin n. 232 suppl. In Memoriam, ottobre 2006, pp. 4-12.