In Pace Christi

Pariani Mario

Pariani Mario
Data di nascita : 18/06/1925
Luogo di nascita : Magnago
Voti temporanei : 19/03/1946
Voti perpetui : 19/03/1952
Data decesso : 18/07/2006
Luogo decesso : Milano

Fr. Mario Pariani era nato a Magnago, Milano, il 18 giugno 1925 da Antonio e Rosa Luigia. La famiglia era composta dai genitori e da otto fratelli maschi, tutti dediti, almeno inizialmente, al lavoro dei campi. Dai genitori i figli impararono, con la legge del lavoro e del sacrificio, la vita di fede fortificata dalla preghiera e dalla frequenza alla Messa.

Ad un certo punto il Signore chiamò Mario al servizio delle Missioni. Il giovane lavorava già in un’officina meccanica e si avviava ad essere un buon meccanico. Da ragazzo era stato chierichetto ed assiduo frequentatore dell’oratorio. I genitori accettarono di buon grado la decisione del figlio, dichiarandosi disposti a riceverlo in casa se non si fosse sentito di proseguire quella strada.

In un questionario che Mario portò con sé quando entrò in noviziato, si trova la motivazione della sua vocazione: “Salvare l’anima mia e quella degli infedeli”. Dopo la decisione di farsi missionario, nella sua vita si era notato un cambiamento. “Da sei mesi – scrisse il parroco – Mario, prima di andare al lavoro, partecipa alla Messa, tutti i giorni. La sua condotta fu sempre irreprensibile e i suoi compagni sono quelli che frequentano l’oratorio”. Poi aggiunse: “Ho piena fiducia che Mario sia accettato, anche perché ha la sfortuna di essere del 1925, quindi poterebbe essere chiamato sotto le armi da un momento all’altro”.

Il 14 febbraio 1944 Mario entrò nel noviziato di Venegono dove era maestro dei novizi P. Antonio Todesco che, dopo qualche tempo, poté scrivere: “Il progresso nella vita spirituale è stato buono, la sua buona volontà fu sempre in aumento. È generoso ed attivo, assai amante del lavoro e della preghiera. Pietà buona, esatto e preciso nei suoi doveri. Carattere meticoloso, generoso e sincero”.

Parlando della sua vocazione, Fr. Mario scrisse: “La mia scelta mi fa tanto felice. La grazia che chiedo ogni giorno al Signore è quella di darmi la forza e la resistenza di camminare sulla via intrapresa… Io sono contento di questa vita, abbracciata con slancio e generosità, e domando ogni giorno la grazia alla Madonna di perseverare e che mi segua con il suo sguardo amoroso in modo che possa emendarmi dai miei difetti… Da parte mia mi sforzerò sempre di più per servire il Signore con tutta la mia buona volontà… La mia scelta mi fa tanto felice per cui sono molto contento”.

Tiene e Brescia
Il 19 marzo 1946 Mario emise i primi voti e fu inviato subito a Thiene come cuoco. Vi rimase sei mesi perché, in agosto, fu mandato a Brescia come Fratello ad omnia. A quel tempo, dato che il cibo scarseggiava nelle nostre scuole apostoliche, i Fratelli si dedicavano anche alla questua nelle campagne per chiedere ai contadini qualcosa da mangiare per i seminaristi. Fr. Mario si diede a quest’opera. P. Emilio Ceccarini, che era il superiore di tutte le scuole apostoliche d’Italia scrisse nel 1950: “Un bel tipo Fr. Mario. Intraprendente, generoso e intelligente. Ha un bel fare che lo rende amabile. Si comporta bene con gli esterni e si fa ben volere da tutti ed ottiene tutto ciò che chiede. Da tre o quattro anni si dedica alla questua di generi nei mesi di punta, con vera abnegazione, sacrificio e successo. Lotta molto e vince sempre. Sarà un elemento importante per la missione. Se ne intende di meccanica, di orticoltura e di falegnameria. Aperto e capace”.

Ma non c’era solo la questua a Brescia. Fr. Mario aveva l’occhio dappertutto per i mille lavoretti che occorrono in una grande casa e, senza che alcuno glielo chiedesse, egli interveniva prontamente. Il suo comportamento fu di esempio ai ragazzi che vedevano in lui un autentico missionario. P. Diego Parodi, superiore, aggiunse: “L’impressione che Fr. Mario ha dato alla comunità è ottima per la sua allegria, operosità e buono spirito in tutte le situazioni”.

Nove anni in Sud Sudan
Finalmente, nell’agosto del 1950, anche per Fr. Mario si aprirono le porte dell’Africa. La sua prima destinazione fu la missione di Mupoi, una missione già imponente, con scuole, laboratori e officine, e con la tendenza ad ingrandirsi ulteriormente. Fr. Mario trovò pane per i suoi denti, specialmente nel settore falegnameria. Oltre agli infissi, bisognava costruire i banchi di scuola, le cattedre per gli insegnanti, i banchi per la chiesa, gli armadi, le sedie e i tavoli. Con lui lavorava un bel gruppo di ragazzi che imparavano il mestiere del falegname.

Nel 1955 passò alla missione di Maringindo, sempre come falegname, per dare una mano nei lavori che si portavano avanti in quella missione. Nel 1957 ci fu la nazionalizzazione delle scuole da parte del governo e forti restrizioni nella costruzione di chiese. A Kpaile non c’era ancora una chiesa. Un giorno del 1956 arrivò una commissione da Wau per suggerire il posto per la nuova chiesa, su una collinetta, ma non se ne fece niente. I componenti della commissione, invece, visitarono l’orto della missione per rifornirsi di qualche “omaggio” a spese di Fr. Mario che lo aveva coltivato.

Intanto P. Peter Magalasi, originario di Maringindo, divenne sacerdote (1957) e fu festa grande per la missione e dintorni. Ma ecco che una tremenda siccità colpì tutta la zona con le conseguenze di fame e povertà che si possono immaginare. Il capo Dakon convocò gli stregoni per un consulto e il loro responso fu: “La causa della siccità viene dagli abuna, perché la gente non va a pregare”. La domenica seguente la cappella era zeppa e stipata anche all’esterno di cristiani, pagani e stregoni. P. Arrighi, partendo dal discorso fatto dal capo degli stregoni, fece una buona catechesi e, la notte seguente, la pioggia cadde in abbondanza. Così anche la chiesa poté essere costruita. Apostolo di Maringindo fu P. Italo Gheno che, durante la Peregrinatio Mariae, ottenne tantissime conversioni tanto che, all’inizio degli anni sessanta, a Maringindo il 94% della popolazione era cattolica.

Dopo un anno, nel 1956, troviamo Fr. Mario a Rimenze. Leggiamo sul Bollettino: “Nel 1958 la missione di Rimenze sarebbe completa, oltre che imponente per le molteplici attività, se avesse la chiesa in muratura come gli altri edifici. Solo in aprile del 1959 viene il permesso da parte del governo. Allora tutte le forze sono mobilitate per costruire: Fr. Nicola Schiavone, Fr. Giovanni Piacquadio, Fr. Mario Pariani, Fr. Virginio Manzana e Fr. Antonio De Bianchi fanno prodigi. Il disegno è moderno. Mons. Ferrara posa la prima pietra il 15 agosto e a Pasqua del 1960 la grande chiesa è pronta. Una campana, mandata da Milano in dono a P. Paolo Busnelli, squilla e annuncia l’inaugurazione. Per le rifiniture bisognerà attendere il 1961”.

Parlando di Rimenze, non possiamo non citare P. Filiberto Giorgetti che in due anni, da solo, riuscì a compiere un lavoro di penetrazione prezioso, avendo un forte ascendente sulla popolazione. Si comportava come un vero capo zande ed era riconosciuto e rispettato come tale. Visitava e assisteva anziani e ammalati, spingendosi fino a Yambio e al lebbrosario di Li-Rungu. Altro apostolo fu P. Giuseppe Morlacchi che, con la sua bicicletta, era sempre in visita ai villaggi e fondò più di cinquanta catecumenati. Per la sua attività fu definito “infaticabile costruttore”.

Fr. Mario, impastando mattoni, facendo funzionare a pieno ritmo la falegnameria, abbattendo tronchi dalla foresta e scavando pozzi, cercava di star dietro all’attività apostolica dei confratelli sacerdoti. Con il suo lavoro materiale e la capacità di fare, dei giovani che frequentavano la sua scuola, dei bravi artigiani, diede un forte incremento alla missione.

Non sempre il male viene per nuocere
Passati gli anni delle costruzioni (1949-1957), anni di fatica anche per la scarsità del personale, l’evangelizzazione procedette con metodi e risultati più o meno uniformi. La popolazione, tutta zande, mostrava buone disposizioni. Le nuove sofferenze erano rappresentate dalle crescenti preoccupazioni per l’avvenire della cristianità e le continue restrizioni da parte del governo.

Nel 1959 Fr. Mario, dopo 9 anni di missione, tornò in Italia per le vacanze e per riposarsi un po’. Il suo desiderio era quello di tornare al più presto nelle missioni dove aveva lavorato. Ma i tempi stavano cambiando velocemente. Mons. Ferrara, nel 1961, scrisse a Propaganda Fide: “Il morale dei missionari è molto alto e la nostra Fede (con F maiuscola) in un avvenire migliore è incrollabile. Quando ero giovane, nel 1930-39, molti azande si iscrivevano al catecumenato nei villaggi. Venuto il tempo di trasferirsi alla missione centrale per i due anni in preparazione al battesimo, un buon 30 per cento rimandava il battesimo a più tardi e tornava a casa.

Avvenne così che nel giro di 20-30 anni esisteva tra la popolazione pagana un forte nucleo già parzialmente iniziato. Perché questa massa si decidesse al gran passo verso il cristianesimo, occorreva una spinta. E questa la diede proprio quella legge governativa che era stata studiata per arrestare il movimento di conversioni.

Il popolo subodorò che l’espulsione dei missionari era ormai vicina e che, dopo questa, sarebbe arrivata l’islamizzazione forzata. Allora molti gruppi si presentarono alla missione spontaneamente chiedendo di diventare cristiani. Fummo spettatori di una mobilitazione generale, di una Pentecoste. I catechisti si misero a disposizione per insegnare il catechismo nel bosco, perché le missioni erano insufficienti ad accogliere tutti. In tre mesi vennero amministrati 21.000 battesimi. Anche i capi poligami vollero assumere un nome cristiano, senza poter ricevere il battesimo. Venuta la persecuzione, quello che i missionari temevano fosse un ‘fine corsa’ per l’evangelizzazione, si rivelò invece un inizio a moto accelerato”.

L’espulsione in massa di tutti i missionari e delle suore dal Sudan meridionale, tra la fine del 1963 e l’inizio del 1964, impedì anche a Fr. Mario di far ritorno in Sudan.

In Congo
Giunto in Italia, Fr. Mario si fermò per quattro anni a Brescia (1959-1963), riprendendo il lavoro che aveva interrotto quando era partito per la missione. L’Istituto Comboni sovrabbondava di ragazzi che aspiravano a diventare missionari. Erano gli anni buoni per le vocazioni e Fr. Mario fece di tutto per dimostrare con la sua vita e col suo esempio come doveva essere un autentico missionario.

In previsione dell’espulsione dal Sudan, i superiori avevano accettato nuove missioni in Burundi e in Congo. Fr. Mario si fece avanti per essere mandato in Congo. I motivi che avvaloravano la sua richiesta erano due: primo, il Congo confinava con la tribù zande della quale egli conosceva la lingua e le usanze; secondo, molti cristiani del Sudan meridionale trovavano rifugio proprio in Congo. Insomma, andando in Congo, Fr. Mario tornava tra la sua gente.

Dopo aver passato alcuni mesi in Francia per seguire un corso di francese, gli otto missionari destinati al Congo (con altri diretti in Uganda, Burundi e Togo) si ritrovarono a Verona nella chiesa di S. Nicolò, la sera del 6 dicembre 1963, per ricevere il crocifisso dall’arcivescovo di Lomé. Quattro di loro, P. Lorenzo Piazza, P. Antonio Zuccali, P. Pasquale Merloni e Fr. Carlo Mosca, partirono subito da Roma in aereo e raggiunsero Rungu dove ebbero un’accoglienza quanto mai cordiale.

Il secondo gruppo di confratelli, composto da P. Remo Armani, P. Evaristo Migotti, P. Antonio Colombo e Fr. Mario, s’imbarcò a Venezia il 13 febbraio 1964 e raggiunse il Congo attraverso l’Uganda. Portavano con sé il materiale che avevano raccolto per le missioni di Ndedu e Rungu. Fr. Mario fu destinato a Ndedu, ma si fermò un po’ di tempo a Rungu per dare una mano a Fr. Mosca in alcuni lavori. In pochi mesi, l’apostolato dei nostri confratelli assunse un ritmo consolante. Fu in quei giorni che i due sacerdoti diocesani consegnarono la missione ai Missionari Comboniani.

Tutte le costruzioni di Ndedu, chiesa compresa, erano di paglia e fango. Le due scuole elementari, maschile e femminile, avevano quattrocento alunni ciascuna. La gente era zande e quindi i nostri missionari poterono cominciare subito e senza difficoltà il ministero e i viaggi apostolici. La comunità di Ndedu era formata da P. Armani, P. Merloni, P. Colombo e Fr. Mario. Questi, il 5 luglio 1964 scrisse al Superiore Generale: “… Intanto permetta, Rev.mo Padre, che le dica ancora una volta grazie per avermi scelto per questa missione a lavorare per il Regno del Sacro Cuore ed alla conquista della di Lui gloria. Le dico che sono contentissimo; anche se i sacrifici sono molti, nulla mi spaventa. Cerco ogni giorno con l’aiuto del Signore di compiere il dovere che l’obbedienza mi indica.

In pochi mesi qualcosa si è già fatto. Mentre i Padri attendono alla cristianità, il sottoscritto cerca di provvedere al meglio possibile quello che occorre per la futura missione. Lavoro non ne manca, ma grazie al buon Dio gente che vuole lavorare ce n’è fin che si vuole. Siamo nel pieno dei lavori: mattoni a macchina, legna per fornaci, pietre e segantini che abbattono mogani e segano a mano per preparare il legname per le nuove costruzioni. La foresta è ricca di legnami e abbiamo ogni permesso di abbattere per il fabbisogno.

A giorni, sul nuovo posto dove dovrà sorgere la missione (a circa un chilometro da qui) si inizierà lo scavo di un pozzo che servirà a dare acqua per le costruzioni. La messe è molta ma gli operai… Il vescovo ha detto che qui a Ndedu è un posto ideale per mettere una sega-tronchi e già ci diamo d’attorno per procurarla. Il vescovo è un buon papà e cerca di non lasciarci mancare nulla. Nel complesso stiamo tutti bene e tutti ci occupiamo, specie i Padri, per la conversione di questa gente. Io sto bene. Anche se i lavori esigono una certa applicazione, non dimentico il mio primo dovere di vivere da figlio del Sacro Cuore”. Non immaginava certo che, qualche mese dopo, tutto sarebbe cambiato.

Nella bufera
Intanto le cose in Congo si mettevano male. Con l’avvento della Repubblica Popolare di Stanleyville, tutto subì un arresto. L’esercito dei ribelli, i simba, s’ingrossava e diventava sempre più minaccioso. Le comunicazioni con l’estero vennero interrotte, tanto che i missionari inviavano la corrispondenza via Uganda. I simba erano persuasi che i successi dell’armata nazionale si dovessero ascrivere ad ufficiali stranieri, e in modo particolare ai belgi. Cominciarono gli imprigionamenti, le torture e le uccisioni. Quattro Missionari Comboniani furono uccisi (dicembre 1964).

Il vescovo di Niangara scrisse: “Quanto sono gloriosi coloro che hanno seguito il Cristo anche nella sua passione e morte: P. Remo Armani, P. Lorenzo Piazza, P. Antonio Zuccali e P. Evaristo Migotti. Con grande dolore ho appreso il sacrificio supremo dei miei amatissimi e cari Missionari Comboniani. Con la loro morte il Signore mi ha privato dei più zelanti e ardenti collaboratori; ma in spirito di fede e di abbandono adoriamo la santa Volontà di Dio”.

Seguiamo, ora, le vicende di Fr. Mario. La mattina della domenica 23 agosto 1964, i simba arrivarono anche a Ndedu. Quel giorno stesso uccisero alcune persone della zona. In quattro capitarono anche alla missione e visitarono tutti i locali. Notarono nel cortile un’auto, oltre a quella dei missionari, e chiesero di chi fosse. L’aveva lasciata lì per alcune riparazioni un alto impiegato congolese che si era imboscato insieme al capo dell’amministrazione di Ndedu.

I simba tornarono l’indomani mattina con il padrone dell’auto che era caduto nelle loro mani. Chiesero a Fr. Mario se l’auto funzionava. Fr. Mario disse di no. Allora gli puntarono il fucile alle tempie e domandarono del superiore. P. Armani non era in casa e P. Merloni era indisposto. Quindi, con l’aiuto di alcune persone, a forza di spinte misero in moto l’auto. Il 26 ottobre, P. Armani partiva per il suo ultimo viaggio. P. Merloni e Fr. Mario, insieme a tre agostiniani, furono portati nella missione di Dungu.

La mattina del 23 novembre i missionari furono rimandati a Ndedu perché era venuto l’ordine di aprire le scuole. Verso le quattro del pomeriggio il capitano Gaston fece portare i missionari presso il proprietario di una piantagione perché fossero al sicuro ma, verso le 7.00, arrivò una macchina con a bordo quattro simba furiosi. Avevano con sé i tre agostiniani di Dungu e portarono via anche P. Merloni e Fr. Mario. Tutti e cinque furono portati a Dungu. Lì c’erano una ventina di simba, ragazzi dai 12 ai 16 anni, armati di fucile. Fecero spogliare i prigionieri lasciandoli in canottiera e mutande, poi li chiusero in un ripostiglio. La porta fu inchiodata con tavole e quattro simba rimasero di guardia. In un altro locale erano state chiuse le tre suore di Dungu. Quella notte tutti si prepararono a morire.

La mattina seguente, 29 novembre, verso le 7.30, i prigionieri furono portati nel cortile, fatti stendere a terra e picchiati senza pietà. Vennero poi rinchiusi in un locale, sotto sorveglianza. Dopo un po’, furono fatti uscire di nuovo, fatti sedere per terra e percossi. Proprio in quel momento Fr. Mario tossì. Per punirlo, i simba lo percossero così brutalmente sul fianco destro col calcio del fucile da produrgli una forte contusione a due costole e penose conseguenze al fegato e alla respirazione. In precedenza anche P. Merloni era stato colpito per essersi schiarito la gola. Ogni tanto i simba picchiavano i prigionieri per impedire loro qualsiasi minimo movimento.

Erano ormai le 11.00 e i sette missionari non ne potevano più per le ferite, la sete e il caldo. Furono fatti alzare. Intanto i comandanti discutevano se ucciderli o mandarli ad Aba dove altri bianchi erano stati uccisi. Prevalse quest’ultima decisione, quindi, furono fatti salire sopra un camion: erano legati gli uni agli altri con delle cordicelle che gli tenevano stretti anche i polsi e le caviglie. Nel lungo viaggio, i bruschi movimenti del camion facevano penetrare le corde nella carne e, come se non bastasse, i prigionieri venivano tormentati con la punta delle lance.

Arrivarono ad Aba verso le 17.00. Un maggiore che stava addestrando un gruppo di simba, quando li vide, li accolse con un senso di profonda pietà. Li fece slegare e li condusse nell’infermeria per farli medicare. Non mangiavano dalle 12.00 del giorno prima, così furono rifocillati e portati a cena a casa del colonnello, dove erano presenti anche delle autorità militari del partito che assicurarono la loro protezione. Infatti furono portati in ospedale ma, sfortunatamente, era chiuso. Per poco Fr. Mario, che era a piedi nudi, non calpestò un velenosissimo serpente che si trovava sulla scalinata. L’ospedale era chiuso perché, cinque giorni prima, erano stati uccisi cinque Padri Bianchi e quattro suore insieme ad alcuni civili europei. Condotti alla casa delle suore, i prigionieri recuperarono due vestiti da suora con i quali poterono coprirsi un po’ (e arrivarono a Khartoum vestiti in questo modo).

Verso le 10.00 di lunedì 11 gennaio, diciannove missionari e cinque civili lasciarono il Congo per Yei (Sudan), con il camion di un mercante greco. Li scortarono alcuni simba che dovettero lasciare le armi alla frontiera del Sudan. I profughi arrivarono a Yei verso sera e furono alloggiati nel rest-house. I mercanti greci li provvidero di tutto. Il D.C. e il comandante della Polizia andarono a trovarli. P. Merloni e Fr. Mario riuscirono a parlare con due sacerdoti africani, poi la carovana raggiunse Juba. Una lettera dell’ambasciatore italiano di Khartoum e soprattutto l’interessamento di Mons. Agostino Baroni (arcivescovo di Khartoum) permisero ai prigionieri di raggiungere Khartoum (15 gennaio) e trovare una sistemazione nel Collegio Comboni. Arrivarono a Roma la mattina di lunedì 18 gennaio 1965. Di certo, quando erano partiti da Ndedu, il pomeriggio del 28 novembre 1964, non prevedevano di finire il loro viaggio in Italia, sani e salvi.

Dopo un’esperienza così traumatica, Fr. Mario rimase nella casa di Gozzano, sede del noviziato, dove, in un clima di preghiera e di silenzio, rallegrato dalla vivacità di tanti giovani novizi, poté rimettersi in salute.

Nel luogo dei martiri
Il 30 giugno 1960 il Congo era diventato repubblica indipendente. In base alle modifiche apportate alla Costituzione del 1967, il Movimento Popolare della Rivoluzione Congolese ebbe una posizione di assoluta preminenza nella vita dello stato. Il presidente del Movimento Popolare Rivoluzionario, eletto a suffragio universale, divenne di diritto presidente della repubblica. I simba furono sconfitti e costretti a dileguarsi per dare spazio all’ordine e alla pace.

Anche i Missionari Comboniani poterono tornare nelle missioni del periodo precedente alla rivoluzione. Tutti i reduci di quell’amara esperienza chiesero ai superiori di essere mandati dove i loro confratelli avevano testimoniato con il sangue il loro amore a Cristo e ai fratelli.

Nel 1968 anche Fr. Mario poté tornare e fu destinato a Rungu come istruttore della scuola professionale. Rungu era una missione fondata quasi 40 anni prima dai Domenicani e poi ceduta ai Comboniani, comprendeva settanta villaggi su un territorio di oltre cento chilometri di raggio, con 80.000 abitanti di cui 5.000 cristiani. Presso la missione vi erano le scuole elementari di sei classi maschili e femminili con 400 alunni che vi confluivano ogni giorno da un raggio di 5-6 chilometri.

C’era la chiesa, la turbina che forniva elettricità alla missione, la scuola artigianale, le scuole, la maternità, il seminario minore e l’ospedale. L’ultimo Domenicano si era ritirato il 6 gennaio 1964. Fr. Mario trovò subito un grande lavoro che lo attendeva, in particolare per animare e organizzare la scuola artigianale di cui divenne responsabile.

Una delle prime cose che fece, fu visitare il luogo (il ponte sul Bomokandi) dove erano stati uccisi i confratelli P. Piazza, P. Migotti, P. Zuccali. Fr. Mosca, direttore della scuola artigiani, si era salvato fingendosi morto.

In una lettera scritta nell’agosto del 1969, disse: “Qui tutto bene. La situazione è tranquillissima e ci consente di svolgere serenamente il nostro lavoro apostolico. Il vescovo ci vuole bene e non ci lascia mancare nulla, solo che non si dà pace finché non potrà disporre di altro personale in modo da riaprire altre missioni ancora chiuse dal tempo della ribellione. Io sto bene. Sono già stato a vedere il posto dove il 29 novembre 1964 dovevo morire…”.

Lo attendevano ancora 35 anni di intensa attività a Rungu, Dakwa, Bomokandi e in altre missioni dove c’era bisogno di un Fratello disponibile e capace, sempre sorridente, sempre contento, sempre pronto a dare una mano a chi era nel bisogno. Il provinciale, P. Romeo Ballan, nel 1979 scriveva: “Fr. Mario è passato da Ndedu a Rungu, dove gli abbiamo chiesto di riorganizzare la segheria e la falegnameria. Gli siamo grati per i molteplici servizi prestati nelle varie missioni dove è stata richiesta la sua presenza e collaborazione.

Nel 2002, Fr. Mario dovette rientrare in Italia per problemi di salute. Andò a Milano e poi a Rebbio. Nel 2003 tentò per l’ultima volta la via della missione, andò a Kinshasa-Kingabwa e a Duru, ormai come Fratello di casa e di… preghiera. Nel 2005 tornò definitivamente a Milano in attesa del premio che il Signore riserva ai suoi fedeli operai. È morto di polmonite il 18 luglio 2006 ed è stato sepolto al suo paese natale.
(P. Lorenzo Gaiga, mccj)
Da Mccj Bulletin n. 232 suppl. In Memoriam, ottobre 2006, pp. 95-106