Ho ricevuto la notizia della morte di P. Luigi Denicolò dall’ufficio del Cardinale Gabriel Zubeir Wako. Nella posta elettronica ho poi trovato un messaggio di P. Giancarlo Ramanzini che diceva: “Cari amici, oggi dopo cena P. Luigi si è recato nella saletta della televisione per ascoltare le notizie. All’improvviso ha riversato il capo con la bocca spalancata, come se si fosse addormentato. Poco dopo Fr. Giuseppe Manara ci ha comunicato la triste notizia della sua morte. È ritornato alla casa del Padre senza disturbare nessuno”.
P. Luigi era nato il 16 dicembre 1925 ad Agai di Pieve Livinallongo (Belluno), nel nord d’Italia, da una famiglia semplice e povera, ed è deceduto il 23 maggio 2008 all’età di 82 anni.
Entrò nel noviziato dei Comboniani nel 1943, dopo aver studiato per qualche anno in un collegio tenuto dai Francescani. Fece i primi voti il 15 maggio 1945 a Venegono e, sempre a Venegono, nel 1950, i voti perpetui. Fu ordinato sacerdote nel duomo di Milano il 19 maggio 1951. Dopo aver trascorso quattro anni in Inghilterra insegnando scienze ai novizi sotto la direzione di P. Agostino Baroni, il futuro vescovo di Khartoum, il 1 agosto venne assegnato al Comboni College di Khartoum, probabilmente su richiesta dello stesso P. Baroni.
P. Luigi, giunto al Collegio nel 1955, è rimasto lì fino alla fine del settembre 2007, per ben cinquantadue anni.
Era un insegnante bravo e impegnato, amico degli studenti. Abbiamo ricevuto parecchie lettere a questo riguardo da varie persone. In una di queste, ad esempio, proveniente dall’Australia, si legge: “Devo molto, per la mia bella carriera, al suo entusiasmo per le scienze. Era anche un amico che ci incoraggiava continuamente a coltivare buoni e sani orientamenti nella vita. Lo considero come un amico di famiglia”.
Oltre che in classe lo si trovava un po’ dappertutto, impegnato in mille lavoretti di riparazione e manutenzione, tanto che una volta, in confidenza, mi disse che forse avrebbe realizzato meglio la sua vocazione missionaria se si fosse fatto Fratello. Ma era anche un buon sacerdote e non perdeva nessuna opportunità di esercitare il suo ministero sacerdotale.
Ho incontrato P. Luigi per l’ultima volta il 21 febbraio 2008 a Verona. Era più magro del solito e piuttosto debole. Mi ha detto che non si sentiva abbastanza in forze per ritornare a Khartoum e che, per il momento, preferiva rimanere in Italia. Era sereno e ha aggiunto che comunque era pronto ad andare dovunque i superiori lo avessero mandato, e che, se avesse recuperato le forze, avrebbe chiesto di ritornare a Khartoum. Sapeva, però, che questa destinazione era improbabile. Mi chiese solo il favore di mandargli da Khartoum il crocifisso che aveva ricevuto il giorno della sua prima professione e che aveva lasciato nella sua stanza al Comboni College.
Durante l’omelia della Messa funebre nella Cattedrale di Khartoum, lunedì 26 maggio, P. Giovanni Ferracin, parlando di P. Luigi, ha ripetuto le parole usate da Comboni in una delle raccomandazioni ai suoi missionari: “Il missionario non deve badare al successo personale: a volte dovrà essere come una pietra nascosta sotterra che forse non verrà mai alla luce, ma che entra a far parte del fondamento di un nuovo e colossale edificio che solo quelli che verranno dopo di lui vedranno sorgere dal terreno”. P. Luigi aveva veramente preso a cuore queste parole.
Mons. Daniel Adwok ha voluto collegare la figura di P. Luigi a quella di Cristo che “durante l’ultima cena, non si era tolto il grembiule che portava per la lavanda dei piedi. Quel grembiule simboleggiava il grande atto di servizio che avrebbe offerto il giorno seguente con il sacrificio della Croce. Tutte le volte che andavo a visitare il Comboni College, vedevo sempre P. Luigi con un grembiule. Lo portava per proteggere i vestiti, ma per me era anche un segno della sua disponibilità ad essere al servizio della comunità”.
Grazie, P. Luigi. Continua ancora a prenderti cura del Collegio, specialmente dei tuoi confratelli, degli studenti della scuola e dei numerosi studenti che vi sono passati e che ora occupano posti di responsabilità. Il tuo lavoro non è ancora finito. Sono sicuro che lo farai con lo stesso impegno che ci mettevi quando eri con noi. (P. Salvatore Pacifico, mccj)
Testimonianze
È doveroso riportare la testimonianza di due confratelli che hanno vissuto con P. Luigi per alcuni anni.
“Dall’Egitto, dove avevo passato due anni ad Assuan, ero stato mandato nel 1954 come insegnante al Comboni College di Khartoum e qui ho incontrato P. Luigi. Per oltre quindici anni ho vissuto in una stanza attigua alla sua. Ci incontravamo spesso, quindi, e discutevamo del nostro status di insegnanti, solamente ‘insegnanti’, perché in quel periodo nel Nord Sudan la nostra attività missionaria poteva essere solo orientata alla scuola. Nella scuola P. Luigi parlava solo inglese. Non l’ho mai sentito parlare arabo anche se, in seguito, gli sarebbe stato necessario per l’apostolato.
Insegnava nelle secondarie, cioè nelle superiori. Insegnava chimica e preparava ed eseguiva gli esperimenti per la scuola con la massima precisione, attorniato dai suoi allievi. Questi erano di tutte le nazionalità, di lingue, religioni e culture diverse. Tutti gli volevano bene, lo stimavano, lo cercavano anche per consigli che non riguardavano la scuola. Questo è stato il suo apostolato nel duro campo dell’insegnamento a Khartoum, spesso criticato, come tutti noi, dai nostri confratelli che lavoravano nell’apostolato diretto nel Sud Sudan.
Anni più tardi, P. Luigi sentì il bisogno di comunicare con le nuove comunità cristiane che, per la guerra, si venivano formando attorno alla città di Khartoum. Per fare ciò era necessario l’uso della lingua araba, quella parlata, quella semplice, quella chiamata ‘popolare’. Non conosceva l’arabo, per cui dovette ricorrere all’aiuto di un confratello che gli registrava le lezioni di catechismo in arabo per poter comunicare con la gente.
È rimasto in Sudan oltre cinquant’anni, sempre a Khartoum, sempre insegnando, convinto che l’insegnare è un valore primario e sicuramente un grande metodo di apostolato. Questo a onore di P. Luigi che così ha speso la sua vita di Missionario Comboniano proprio dove il Comboni visse, soffrì e diede la vita”. (P. Orlando Pigarella, mccj)
“Qualcuno ha detto ‘mi bastano 300 Comboniani’. Rispondo che allora ce ne rimangono solo 299. P. Luigi Denicolò è stato uno di questi: uomo debole, fragile, ma invaso dallo spirito di servizio.Pensando alle circostanze del passaggio di P. Luigi al Padre, e cioè dopo aver reso l’ultimo servizio di spingere in stanza P. Dal Fovo in carrozzella, le uniche letture che mi sono venute in mente sono quelle qui annunciate e proclamate: dicono due realtà semplicissime. Il vangelo è l’espressione, nero su bianco, dell’esperienza di Cristo e di quella esperienza che di Cristo hanno fatto i suoi discepoli nei secoli. Un missionario è semplicemente ciò che di Cristo ha toccato, visto, udito… E lo annuncia nel servizio (ecco la lavanda dei piedi parte integrante dell’Eucaristia): 50 anni a Khartoum, Sudan; 50 anni sulla strada principale dove sono avvenuti tutti i colpi di stato che hanno insanguinato il Sudan; 50 anni in una scuola che non chiude mai, anche se bersagliata, odiata, ma anche ammirata.
Al Comboni College di Khartoum la convinzione è sempre stata: in una guerra infinita non bisogna mai smettere di preparare una nazione per il suo futuro: lo Spirito del Comboni è lì che sostiene, conforta, e non abbandona. Pensate: 50 anni di resistenza e impegno nel cuore di un paese islamico fondamentalista. Imposizione della legge islamica, imposizione della lingua araba come lingua di insegnamento e i missionari impegnati nella scuola vengono spiazzati; crescono i campi profughi attorno a Khartoum; c’è da salvare il salvabile: nascono centri, un’ottantina, sotto la guida dell’Arcivescovo di Khartoum, Cardinale Gabriel Zubeir Wako, vengono chiamati ‘Scuole Comboni’, poi diventeranno parrocchie nei campi dei rifugiati; donano la loro vita i confratelli come P. Paolo Grumini, P. Giacomo Mosciatti, P. Giovanni Manzi, molte Missionarie Comboniane come Sr. Eufrasia, Sr. Bianca, Sr. Teresita, Sr. Maria Butti, Sr. Giuseppina, Sr. Orlanda, per fare solo alcuni nomi. P. Luigi è lì come factotum, pronto a dare una mano in tutto: falegname, elettricista, “aggiusta-tutto”, ma è soprattutto un amico e un consigliere. Sempre con il suo grembiule. Annuncia il vangelo nelle sue omelie, imparando a memoria testi arabi che gli prepara P. Giovanni Vantini: anni A, B, C. Per anni è confessore delle suore di vari Istituti che lo cercano anche ogni volta che hanno bisogno di qualche riparazione. È padre e fratello, qualche volta anche padrone (senza colpa). Questa è stata la vita di P. Luigi. E così è passato al Padre senza disturbare proprio nessuno!
Una mia testimonianza personale. Nel 1982 vengo trasferito dalla diocesi di El-Obeid a Khartoum. Ci sono confratelli che mi dicono: il mondo è grande, non preoccuparti. Però sento nel cuore un grande peso per questo cambiamento. Vado da P. Luigi e gli chiedo un consiglio. La sua risposta: “John, non cedere. Il Comboni non ha mai abbandonato”. E sono rimasto. Luigi, ti ringrazio per quel tuo consiglio che ho avvertito come un raggio di luce venuto da Dio e filtrato attraverso il tuo cuore. Grazie”.
(P. Giancarlo Ramanzini, mccj)
Da Mccj Bulletin n. 239 suppl. In Memoriam, ottobre 2008, pp. 22-27.