P. Mario Piotti era nato il 15 luglio 1927 a San Stefano Arno, comune di Oggiona e provincia di Varese. Entrato nel seminario arcivescovile di Milano, situato a Venegono Inferiore (Varese), nel 1945, studente di 1° liceo, chiese ed ottenne il permesso dei superiori e dei genitori di entrare dai Missionari Comboniani: “mi spinge a questo passo, dopo molta riflessione e preghiera, una voce interna che dura da lungo tempo”.
Fece il noviziato nella casa comboniana di Venegono Superiore (1945-1947), emettendo i primi voti il 9 settembre 1947 e i voti perpetui nel 1951. Fece gli studi teologici nelle case di Rebbio, Troia, Brescia e Venegono. Fu ordinato sacerdote il 7 giugno 1952 dal cardinale Ildefonso Schuster. Negli anni 1952-1957 fu assegnato prima a Crema, come economo locale e nell’animazione missionaria, poi a Carraia nel ministero pastorale.
In Sudan
Nel luglio 1957 venne assegnato al Sudan, dove rimase per sei anni, cioè fino all’espulsione in massa dei missionari. Il suo campo di lavoro furono Mayen e Wau. Il 1948 è la data ufficiale dell’inizio della stazione missionaria di Mayen, una missione tra i “denka tuic”, nel Bahr-el-Ghazal, dedicata al Sacro Cuore di Maria. Wau si trova al centro del Bahr-el-Ghazal: era stata fondata nel 1905 da mons. Geyer, mentre era in viaggio sul Redemptor per una nuova spedizione nella zona. Al tempo di P. Mario, le scuole della missione erano state tolte ai missionari che così poterono liberamente dedicarsi all’apostolato nei villaggi, anche se questo non avrebbe ritardato le espulsioni di gruppo e nuove leggi restrittive. Erano ormai prossimi i tristi giorni del Sud Sudan.
In Togo (1964-1970)
P. Mario, rimase pochi mesi in Italia. Nel luglio 1964 partì con il primo gruppo destinato al Togo. Per questa parte della sua vita, ascoltiamo P. Aurelio Boscaini.
“P. Mario ha scritto una delle più belle pagine degli Atti degli Apostoli, così come sono stati realizzati in Togo. A Lomé giunse con altri sette confratelli ‘fondatori’ della missione comboniana (in tutto, 8 missionari tra cui 2 Fratelli), la domenica 19 gennaio 1964, a due settimane dall’imbarco a Marsiglia sul battello Général Mangin. La nave non poteva avvicinarsi a riva perché al momento non c’era ancora nessun porto e tantomeno un molo al quale attraccare! I nuovi arrivati, con le loro tonache bianche, vennero letteralmente sollevati in una specie di gabbia e depositati su una barca che li portò a riva. Un modo certamente singolare di fare l’ingresso in un nuovo paese e in quello che sarà il porto della capitale.
L’accoglienza da parte della gente fu semplice e grandiosa al tempo stesso. Sembrava che tutta la città fosse uscita ad accoglierli. Un lungo corteo di persone si era formato dalla spiaggia alla cattedrale, lontana quasi un chilometro. A guidare il festoso corteo che cantava e danzava, era l’arcivescovo di Lomé, Mons. Dosseh che tanto aveva fatto per avere, nella sua diocesi, i Comboniani. Ne aveva sentito parlare durante il Concilio Vaticano II, da Mons. Ireneo Dud, vescovo di Wau (Sud Sudan) che glieli aveva descritti come apostoli capaci di lavorare molto, mischiarsi con la gente, parlare la sua lingua, condividerne il cibo. L’arcivescovo di Lomé, quindi, cresciuto alla scuola dei missionari francesi, era felicissimo di scoprire questa nuova specie di apostoli che la persecuzione in Sud Sudan rendeva disponibili. Ne fece richiesta a P. Gaetano Briani, l’allora Superiore Generale. Così, le espulsioni dal Sudan permisero di aprire la missione comboniana nell’Africa francofona. Al suo arrivo in Togo, P. Mario aveva 37 anni.
Dopo quell’accoglienza tipicamente togolese, che tanto favorevolmente impressionò i nostri missionari, per imparare la lingua e familiarizzare con la cultura del nuovo popolo cui il Signore li inviava, P. Mario e P. Ezio Rossi furono mandati a Kpalimé, a 120 km a nord di Lomé. Il 5 maggio nasceva la parrocchia di Kodjoviakopé, con una popolazione stimata a 45.000 persone, a ovest della capitale Lomé, e sul confine con il Ghana, dove P. Mario sarebbe stato il vicario di P. Francesco Cordero, parroco e superiore della delegazione. I missionari vennero ad installarsi nel quartiere a fine giugno, accolti in una casa in affitto, in attesa che la casa-canonica promessa dall’arcivescovo venisse costruita. Ma dovettero attendere tre anni! La comunità era composta da P. Cordero, P. Mario, P. Rossi e Fr. Nevio Calligaro.
Gli inizi non furono facili: il bisogno era immenso e i mezzi scarseggiavano terribilmente. Mezzo di trasporto abituale era la moto. Un lavoro enorme attendeva i missionari, chiamati anche a visitare villaggi e capanne intorno alla città, da sempre abbandonati. P. Mario si gettò nel lavoro, soprattutto con i giovani. Anni dopo, quei giovani, divenuti adulti, si ricordavano ancora di P. Mario che aveva segnato la loro vita cristiana organizzando gruppi di preghiera, con visite al monastero benedettino di Dzogbegan, giochi di squadra e tante altre attività.
In novembre, P. Mario cominciò ad avere qualche problema di salute. Venne quindi accolto all’ospedale dei Fatebenefratelli di Afagnan, dove operava l’altra comunità comboniana degli inizi togolesi. Si diede la colpa alla stanchezza, al motorino con cui P. Mario era costretto a spostarsi e al clima. Certo, il clima del Togo era difficile, caldo e umido, clima “assassino”, come lo definì P. Tarcisio Agostoni! E P. Mario diceva che certi giorni gli sembrava che il clima di Lomé fosse peggiore di quello che aveva trovato nel Bahr el Ghazal.
Comunque, anche se tra alti e bassi, continuò il suo lavoro, soprattutto fra i giovani, un lavoro “da vero artista”, per usare la definizione di P. Cordero.
Nel novembre 1971 rientrò definitivamente in Italia. Il clima di Venegono lo rimise presto in forma, pronto per i servizi che era stato chiamato a svolgere nella sua provincia d’origine.
In Togo, ritornò nel novembre del 1978, per la consacrazione della chiesa parrocchiale di Kodjoviakopé, dedicata a Cristo Re. Tra i chierichetti c’era anche un certo Jean Pierre Légonou che sarebbe diventato il primo sacerdote comboniano del Togo e che il Signore avrebbe chiamato a sé a soli 43 anni mentre era in visita ai novizi in Messico, come delegato del Centroamerica. Fin dagli inizi, P. Mario aveva fermamente creduto alle vocazioni comboniane in Togo”.
Il lungo servizio in Italia (1971-2009)
Dal 1971, eccetto un anno e mezzo passato in Centrafrica, P. Mario trascorse il resto della sua vita nella provincia italiana. Lavorò in varie case come superiore locale o addetto a vari uffici di responsabilità della provincia.
A Venegono (1971-1977), nel settembre dell’anno del suo arrivo, fu riaperto il noviziato. In occasione del 50° della casa le poste italiane emisero un annullo speciale. Durante il suo mandato, la casa fu ristrutturata: la parte che guarda verso il paese fu adibita ad accogliere il GIM, l’ala centrale riservata ai confratelli di passaggio e l’ala verso la valle alle suore. Nel 1976, da lì si mosse un gruppo di volontari per portare roulotte e aiuti economici ai terremotati del Friuli.
Dopo Venegono, P. Mario fu trasferito a Roma (1977-1981) come segretario provinciale dell’evangelizzazione, superiore e responsabile dell’ACSE. Abitò prima nella casa comboniana di Via Laurentina 499 e poi a San Pancrazio. Questa sede era stata aperta nel 1934.
Eletto provinciale (1981-1987), si stabilì nella sede di Bologna. La casa, aperta nel 1943, venne presto adibita anche allo studio dell’inglese per i missionari in partenza per le missioni. Nel 1978 vi si stabilì la sede provinciale.
Allo scadere del servizio come provinciale, P. Mario fu destinato di nuovo a San Pancrazio, Roma (1987-1992), come segretario provinciale dell’evangelizzazione, superiore, servizio viaggi e ACSE. Quest’ultima, fondata da P. Renato Bresciani per “assistere i giovani provenienti dalle nostre missioni”, funziona al presente per il servizio emigrati.
Assegnato al Centrafrica, dopo 18 mesi (1992-1994), dovette rinunciare per motivi di salute.
Ritornato in Italia, fu mandato a Milano (1995-2005) come superiore e responsabile del CAA. Poco prima del suo arrivo a Milano, infatti, aveva iniziato a funzionare il “Centro P. Ambrosoli” per i confratelli anziani e ammalati (CAA). La nuova struttura comboniana, dotata delle attrezzature necessarie per l’assistenza primaria ai malati e agli anziani, poteva ospitare 28 persone in camere ben arredate, su due piani, dotati di ambulatorio per le cure semplici e di una piccola palestra per la fisioterapia. L’anno successivo Milano divenne una comunità unica. Così P. Mario fu superiore sia della comunità del santuario sia del CAA.
Iniziò, infine, il periodo di “riposo” di P. Mario, prima a Gozzano (2005-2008) e poi a Milano.
Riportiamo le parole di P. Lino Spezia al suo funerale: “Per P. Mario non è stato facile ritornare qui a Milano dopo alcuni anni e dopo l’esperienza come primo responsabile di questa comunità. Ritornare voleva dire confrontarsi con la malattia, con la debolezza del corpo, accettare di non essere più autosufficiente, dover dipendere e accettare l’aiuto degli altri: una circostanza un po’ difficile da accettare per tutti. In lui c’era la voglia di riprendersi dalla malattia, di andare in ospedale, fare l’operazione all’intestino e ritornare a vivere, di nuovo. Penso che ciò che ha sostenuto P. Mario in questo tempo è stata la preghiera. Vedendolo lì in cappella, sulla sua sedia a rotelle e con il breviario in mano, si capiva che era il modo con cui cercava di rileggere questa fase della sua vita alla luce dei Salmi per trovare in essi il modo più sano per coniugare la vita e le sue aspirazioni (naturali) con la malattia e le conseguenze che essa comporta. Non ho visto quella ‘baldanza’ che l’aveva sempre accompagnato nella vita, ma c’era il suo riflesso nell’affrontare giorno per giorno la sua situazione, accoglierla, entrare in dialogo e accettare di viverla fino in fondo. Aveva capito che i suoi giorni erano contati, ma era capace di vivere il dolore con quella maturità di fede che diventa ‘bellezza’ come testimonianza. Solo a qualcuno affidava il suo dolore per domandare, con discrezione, quell’aiuto per vivere bene da missionario e fino in fondo questo tratto della vita in cui rimane solo ciò che è vero e tutto l’amore che uno ha nel cuore e che ha dato”.
Si è spento la notte del 27 febbraio 2009, dopo essersi congedato dai suoi familiari nel pomeriggio.
Da Mccj Bulletin n. 241 suppl. In Memoriam, luglio 2009, pp. 52-58.