P. Gianni Pacher, nato a Levico in Valsugana (Trento) il 9 marzo 1954, era figlio di una famiglia di profonde radici cristiane e impegnata sul fronte educativo e sociale. Il papà Alessandro, maestro di scuola, era un uomo esigente, uso ad imporre la disciplina con gli alunni. La mamma Annamaria Bosco era esile di costituzione ma resistente alle fatiche. Ai loro cinque figli hanno dato una solida formazione religiosa e professionale.
Gianni fu sempre una persona riservata e di poche parole. Perspicace e intelligente, osservatore e tenace, amava fare le cose bene perché così era stato abituato, caratteristiche che mostrerà per tutta la vita. A volte appariva taciturno e misterioso come uno che rifletteva sulle esperienze della vita, perché parlava poco se non si fidava abbastanza di chi gli era accanto.
Formazione
Gianni aveva acquisito titolo e pratica di geometra. Ma il Signore aveva tracciato per lui un cammino speciale: essere sacerdote e missionario. A 22 anni entrò nel noviziato dei Comboniani a Venegono Superiore (Varese), a 24 anni emise la professione religiosa e iniziò gli studi teologici all’Università Urbaniana di Roma. Qui respirò un’atmosfera di universalità incontrandosi con tanti studenti provenienti da tutte le parti del mondo. Terminata la teologia, trascorse alcuni mesi a Huánuco in Perù, dove venne ordinato diacono nella chiesa dei XII Apostoli a Chorillos. Venne ordinato sacerdote a Levico il 13 febbraio 1982, per l’imposizione delle mani del vescovo comboniano mons. Edoardo Mason.
Il Perù, patria missionaria
Il Perù, dove ritornò subito dopo l’ordinazione, è stato la sua patria missionaria, alla quale si è dedicato anima e corpo, cuore e intelligenza, energie e speranze. Sono stati 25 anni di vita dura in zone a rischio per la presenza del terrorismo crudele di movimenti come ‘Sendero Luminoso’ e il ‘MRTA’, che dominavano sulle Ande e nella selva amazzonica con la complicità dei narcotrafficanti. Le morti di campesinos e di autorità civili e militari erano frequenti. Il pericolo esisteva anche per i missionari, ma i Comboniani sono rimasti lo stesso sul posto, accanto alla gente.
Possiamo suddividere il lavoro missionario di P. Gianni in Perù in quattro tappe.
Parrocchia di San Pedro de Yanahuanca (1982-1984)
P. Andrés Thorwarth, superiore provinciale, lo mandò a lavorare a Yanahuanca, Parrocchia all’interno della sierra centrale, dove i Comboniani sono rimasti per quasi 40 anni. È un luogo che si trova a poco più di 3.000 m. di altitudine, dove il clima è buono e si lavora bene. In quegli anni cominciavano le tensioni causate dalle incursioni nei villaggi di alcuni elementi sovversivi appartenenti a Sendero Luminoso. A volte, a causa delle minacce, non poteva andare a visitare le comunità contadine e quindi rimaneva in casa per molte ore.
Nei primi anni, fu aiutato dal superiore della comunità, P. Renzo Pallaro, ad entrare nel nuovo lavoro missionario e P. Gianni ricorderà con gratitudine questo periodo fino a poco prima di morire.
All’inizio P. Gianni, che aveva appena finito la teologia a Roma, soffrì molto per la chiusura delle persone, a causa della povertà e del ritardo nel quale vivevano, ma a poco a poco entrò nel servizio con grande dedizione e i tre anni che rimase lì (1982-1984) gli bastarono perché il Perù lo conquistasse per sempre.
Servizio nel CAM di Lima
Verso la fine del 1984, la provincia stava cercando qualcuno che portasse avanti il lavoro di animazione missionaria e si pensò a P. Gianni che non era molto contento di dover lasciare “il primo amore” per trasferirsi nella capitale. Nonostante questo accettò con queste parole: “Riconosco l’importanza delle riviste e dell’animazione missionaria, tuttavia, si tratta di un’attività per la quale non ho nessuna simpatia, nessuna inclinazione e nessuna capacità e mi vedo costretto a lavorare in quel campo come sotto il peso di una vera croce… Tuttavia, chiedo che la mia permanenza nel CAM di Lima sia temporanea, fino a quando si trovi un sostituto, per poter tornare alla pastorale della sierra (lettera al superiore provinciale, 03.03.1986).
Subito dopo, andò in Italia per le vacanze e, in vista del nuovo incarico che avrebbe iniziato al ritorno in Perù, chiese a P. Francesco Pierli, Superiore Generale, di liberarlo da questo incarico. È interessante ciò che P. Pierli rispose alla sua obiezione sul fatto di studiare giornalismo: “Ricorda che oggi anche l’aspetto professionale è indispensabile. È finita l’epoca dei “bollettini parrocchiali”; le nostre riviste esigono preparazione professionale. Non lasciarti prendere dai dubbi o dal timore di studiare giornalismo. Ti servirà non solo per fare il giornalista, ma anche come sacerdote missionario. L’arte della comunicazione è indispensabile anche quando predichiamo e facciamo catechesi” (21 giugno 1986).
Dopo un anno e mezzo, P. Gianni non aveva cambiato idea. Pur essendo un lavoratore instancabile, forse a causa della timidezza, non se la sentiva di visitare collegi, incontrare professori, genitori, parroci, ecc. di tutto il Perù per diffondere le pubblicazioni del CAM: “sono consapevole dell’importanza della rivista ma, allo stesso tempo, mi rendo conto obiettivamente della mia incapacità in questo campo: una incapacità che non è solo professionale, ma dovuta al temperamento” (24 gennaio 1988).
Nei mesi successivi, a causa di alcuni problemi nell’équipe del CAM (malattie, rotazione, ecc.) P. Gianni dovette assumere la direzione di Aguiluchos e anche di superiore della comunità. Inoltre, per un anno, essendo andato via il Fratello economo, dovette farsi carico anche di questo settore. Questo dimostra le capacità che aveva P. Gianni.
All’inizio del 1993 cominciò a sentire i segni della stanchezza e chiese di essere sostituito per poter fare un periodo di formazione permanente che lo avrebbe aiutato a svolgere un servizio più qualificato nella pastorale diretta con i più poveri, alla quale si sentiva fortemente chiamato. Aveva anche visitato il Vicariato apostolico di San Ramón e desiderava intensamente poter lavorare in questo ambiente di prima evangelizzazione.
Nel 1994, il consiglio provinciale gli permise di frequentare un corso di sei mesi, di formazione permanente, all’Università Saveriana di Bogotà (Colombia), intitolato Seminario di pianificazione pastorale, coordinato da P. Jesús André Vela sj, famoso pastoralista, che con la sua equipe ha aiutato molto le Chiese locali latinoamericane ad applicare le decisioni conciliari. A proposito di questa esperienza, P. Gianni scrisse: “Il Seminario è molto esigente, perché è per persone disposte a lasciarsi interrogare e a cambiare paradigma. È esigente anche per quanto riguarda il tempo: ogni lavoro che si riceve deve essere fatto a casa, dopo le ore di lezione. Tuttavia, vale la pena di farlo, per migliorare l’attività pastorale in base al momento attuale, condividere esperienze con persone di tutto il continente, prendere coscienza della realtà e dei problemi del nostro popolo, e aggiornarsi su molti aspetti: teologico, sociale, politico, ecc. (luglio 1994).
L’esperienza a Pozuzo (1995-2000)
Dopo il corso, P. Gianni ricordò al provinciale il suo desiderio di fare un’esperienza pastorale nella zona del Vicariato di San Ramón o a Pozuzo, dove avrebbe potuto occuparsi di Codo de Pozuzo, zona emergente e distante dal capoluogo, dove pensava fosse necessaria la presenza di un missionario. Così, già all’inizio del 1995 era parroco di Pozuzo e lavorava con P. Walter Michaeler. Nel Codo costruì una casa dove stare quando doveva rimanere nella zona; mise ordine negli archivi parrocchiali, regolarizzò proprietà, insomma fece notare la sua presenza nella missione, senza trascurare gli altri incarichi che aveva.
Si buttò, secondo il suo stile, anima e corpo nel lavoro di evangelizzazione, sapendo che Pozuzo non era una zona facile, abitata, com’era, da coloni austro-tedeschi che purtroppo, col passare degli anni, erano andati perdendo le loro tradizioni religiose e avevano caratteristiche non sempre in linea con la proposta missionaria comboniana. P. Gianni andò avanti per cinque anni, fino a quando la provincia italiana gli chiese di entrare in rotazione e di prestare un servizio nell’animazione missionaria. Rimase a Limone per circa due anni (2000-2001) mordendo il freno per il desiderio di tornare fra l’amata popolazione del Perù.
La missione di San Martín de Pangoa (2002-2009)
A Limone e, in generale in Europa, gli succedeva quello che succede a molti dei nostri missionari: si sentiva un pesce fuor d’acqua. Si sentiva chiamato ad altro ed era difficile per lui capire l’importanza di parlare della missione in un ambiente in cui non mancava nulla. Attraversò una crisi profonda ma sapeva che la missione era la medicina che gli avrebbe ridato la salute e il senso della sua vita.
Non ha mai perso il contatto con Mons. Julio Ojeda OFM, Vescovo del Vicariato Apostolico di San Ramón, nella selva peruviana, al quale chiese di accoglierlo per un servizio nella zona che lo aveva sempre attirato. Mons. Oja acconsentì subito e P. Gianni tornò in Perù. Il Vescovo lo mandò a San Martín de Pangoa, una missione francescana il cui ultimo parroco stabile era morto nel 1978. Il territorio era enorme, più di 6.000 Km2 con circa 200 comunità sparse nella selva oltre alla piccola città dove aveva sede la parrocchia. Tutto era da costruire, tranne la chiesa parrocchiale che era stata restaurata nel 1996. P. Gianni si diede subito da fare e, nonostante il carattere timido, riuscì a coinvolgere un bel gruppo di laici e insegnanti con i quali lavorò durante tutto il tempo che rimase lì. Dopo un anno di lavoro e con un permesso di assenza dalla comunità, il consiglio provinciale lo destinò alla comunità comboniana di Palca, alla quale apparteneva giuridicamente, mentre poteva continuare il suo lavoro missionario nella parrocchia di San Martín de Pangoa. In quel periodo, il Vicario di San Ramón fu sostituito e, con l’arrivo del nuovo Pastore, fu presentata al consiglio provinciale richiesta formale di fondare una comunità comboniana in questa cittadina. Cominciò così il dialogo e il discernimento per andare incontro a questo desiderio.
Verso la fine del 2003, P. Gianni ebbe l’idea di costruire una scuola dove formare i bambini fin da piccoli agli insegnamenti del Vangelo. In quegli anni, infatti, aveva potuto constatare in quell’ambiente una grande confusione dovuta alla scarsa formazione delle famiglie e della società sui valori cristiani. Il progetto della costruzione del Collegio San Daniel Comboni ottenne il consenso del vicariato ma non del consiglio provinciale che pensava che, se non aveva potuto iniziare una presenza comboniana lì per mancanza di personale e altri motivi, non era opportuno farsi carico di un’opera che avrebbe richiesto molto tempo e dedizione. Ma P. Gianni, d’accordo con il Vescovo, andò avanti cercando aiuto tra familiari e amici.
Iniziare un progetto simile significava assicurare la sua presenza per un lungo periodo. Bisogna dire però che quando P. Gianni chiese di prolungare la sua permanenza, non dimenticò mai la sua condizione di Comboniano. Scriveva: “Chiedo al consiglio provinciale la possibilità di rimanere a Pangoa ancora un anno. Nel caso non sia possibile, e consapevole che la cosa più importante è la volontà di Dio, mi metto a disposizione della provincia, affinché decida dove ricollocarmi (18 gennaio 2004).
Il consiglio lo confermò a Pangoa perché continuasse il suo servizio missionario nella missione che aveva iniziato con amore e dedizione. Intanto andava maturando l’idea di aprire una comunità comboniana fra i nativi amazzonici e il consiglio ricevette, almeno in cinque occasioni, l’invito del Vescovo Vicario di San Ramón affinché i Comboniani assumessero l’incarico della suddetta parrocchia.
La vita nella missione non era facile: viaggi estenuanti, pasti frugali, calore intenso e molto lavoro, per cui i problemi di salute di P. Gianni si accentuarono: iperglicemia, pressione alta, problemi gastrici e, infine, una forma di epilessia che con fatica riuscì ad accettare.
Verso la metà del 2008, alcuni membri del consiglio provinciale, accogliendo i suggerimenti dell’assemblea provinciale, dei confratelli che lavorano nell’evangelizzazione e di altre istanze, volle fare una visita di ispezione nella zona per prendere una decisione. In dialogo con P. Gianni e il Vescovo di San Ramón fu deciso che, all’inizio del 2009, sarebbe stata eretta una comunità comboniana. Intanto, fino all’apertura, sarebbe stata assicurata la presenza di P. Gianni. Questa cosa lo rallegrò molto, nonostante fosse un po’ provato dalle difficili condizioni in cui aveva vissuto per tanto tempo.
Quando venne il momento di andare via, lo fece volentieri, sapendo che, con la nuova comunità, il suo lavoro non andava perduto e che i volti e i nomi che portava nel cuore avrebbero beneficiato della presenza dei suoi confratelli. Gli fu chiesto di andare a Lima per un incarico nell’economato provinciale, dove sarebbe stato utile alla provincia e avrebbe potuto occuparsi meglio della sua salute, essendoci una clinica vicina. Cominciò il suo nuovo compito il 15 marzo 2009 e, dopo due settimane, il 30 marzo, P. Gianni si consegnava nelle mani di Dio, vittima di un infarto fulminante. Solo un giorno prima, i Comboniani avevano assunto ufficialmente l’incarico della lontana missione da lui iniziata.
La lettera del Superiore Generale
Riportiamo alcune frasi della lettera che P. Teresino Serra ha inviato alla mamma e ai familiari di P. Gianni: “La triste notizia, inattesa ed improvvisa, ha causato incredulità e dolore in tutti. Umanamente c’è dolore nel nostro cuore, mentre la fede ci porta a ringraziare Dio per la vita di P. Gianni e per il suo amore alla missione. Gli esempi di fede di P. Gianni sono tanti e da seguire. Ricordiamo, tra le virtù, la sua bontà e il suo amore per la gente. La sua fede non era complicata: era la fede tipica di chi crede fermamente nella sua vocazione”.
Dalla testimonianza di P. Romeo Ballan
“Una mia lettura personale – dice P. Romeo – riguardo alla morte di P. Gianni è questa: per P. Gianni la sua morte ha il senso della ‘missione compiuta’. Egli ha offerto la sua vita per quella comunità indigena nella selva amazzonica di S. Martín de Pangoa! È stato, ancora una volta, il ‘chicco di grano’ che cade in terra e muore per dare vita.
La mattina del 7 aprile la salma è partita da Verona per Levico Terme (Trento), dove è stata accolta dalla mamma, fratelli, sorelle, parenti e tantissima gente, che ha riempito il duomo di Levico, per la Messa delle 14.30, che è stata presieduta dal vicario generale della diocesi, mons. Lauro Tisi, accompagnato da oltre 30 sacerdoti, fra i quali una quindicina di Comboniani (da Trento, Arco, Limone, Verona, Bressanone, Como). All’omelia sono intervenuti Mons. Tisi, P. Romeo Ballan (da Verona) e P. William Dal Santo (del Perù). Alla fine ci sono state le testimonianze di familiari, del sindaco di Levico e del direttore dell’Ufficio Missionario di Trento. L’emozione era pari alla grande stima che questo Comboniano, morto a 55 anni, ha saputo suscitare intorno e a favore di lontane terre missionarie sulle Ande e nella selva amazzonica del Perù”.
P. Rogelio Bustos Juárez
Da Mccj Bulletin n. 241 suppl. In Memoriam, luglio 2009, pp. 73-80.