In Pace Christi

Picotti Giuseppe Zeno

Picotti Giuseppe Zeno
Data di nascita : 27/08/1926
Luogo di nascita : Badia Calavena/VR/I
Voti temporanei : 03/05/1950
Voti perpetui : 09/09/1953
Data ordinazione : 29/06/1950
Data decesso : 21/05/2009
Luogo decesso : Verona - Casa Madre

“Qualche anno fa, durante un corso di esercizi spirituali in cui in modo particolare riflettevo sui grandi doni che Dio mi ha fatto nella mia vita, il sacerdote che dirigeva mi disse che era mio dovere non tenere solo per me tutto ciò che ricordavo, ma che dovevo scriverlo, prima che la memoria si cancellasse per l’età. Purtroppo, preso da tante cose e da tanti impegni, sono passati diversi anni dal quel giorno... ora vedo che la memoria comincia a ‘fare cilecca’ e avendo più tempo a disposizione mi sono deciso a cominciare a scrivere qualcosa”.

Queste sono le prime righe del manoscritto di P. Giuseppe-Zeno Picotti, dal titolo Misericordias Domini in aeternum cantabo e dal quale attingiamo liberamente queste notizie.

I primi anni

“Il primo dono in ordine di tempo, ma certamente anche per il suo valore come fondamento della mia vita, è stato quello dei genitori e della famiglia. Posso dire che la fede e l’amore verso Dio sono entrati nel mio cuore prima ancora che io nascessi e considero un’ispirazione di Dio il fatto che la mamma mi abbia consacrato a Lui in modo speciale”.

P. Giuseppe-Zeno era nato il 27 agosto 1926 a Badia Calavena (Verona), undicesimo di dodici figli. I suoi genitori erano conosciuti e apprezzati negli ambienti culturali, non solo cattolici. Il padre, Giovan Battista, docente di storia medievale e moderna all’Università di Pisa, era molto noto e stimato per la sua vasta e impegnata azione educativa nella scuola oltre che per una lunga attività di ricerca scientifica e di studio. Giuseppe-Zeno, dopo i primi due anni di liceo, dovette iniziare il terzo come “sfollato” a Selva di Progno (Verona), nella casa di montagna, dove il padre aveva mandato parte della famiglia a causa dei continui bombardamenti. Qui Giuseppe-Zeno continuò gli studi, aiutato solo per la matematica e la fisica da un giovane che abitava a 12 km di distanza. Ogni mese, doveva presentarsi al liceo tenuto dai Padri Stimmatini per essere interrogato.

Duranti quegli anni, Giuseppe-Zeno e il fratello Marco, di due anni maggiore di lui, avevano dovuto frequentare i gruppi giovanili del fascismo, ma non avevano mai trascurato gli impegni presi con l’Azione Cattolica.

La vocazione
La vocazione alla vita sacerdotale, o meglio missionaria, si era manifestata in Giuseppe-Zeno fin da piccolo ed era stata favorita dall’educazione profondamente cattolica ricevuta in famiglia, oltre che dal suo parroco e dal suo padre spirituale. Poi, al ginnasio, l’adolescenza e le nuove amicizie gli avevano fatto balenare davanti altre prospettive… si era innamorato di una compagna di scuola ma non aveva il coraggio di esprimerle i suoi sentimenti. Una sera, quando già pregustava la gita scolastica che avrebbe fatto il giorno dopo, “senza i professori”, la mamma gli disse che avrebbe acconsentito solo se il parroco avesse dato la sua approvazione. Così, la sera del 19 maggio 1943, un po’ a malincuore, Giuseppe-Zeno si recò dal parroco che “richiamò la mia vocazione, ma parlò anche molto bene della vita matrimoniale, presentando l’esempio dei miei genitori. Poi con forza mi disse che era ormai il momento della scelta e che dovevo prendere l’indirizzo della mia vita. Mi ricordo come se fosse ora: prese una matita rosso-blu come simbolo del matrimonio, e una matita nera come simbolo del sacerdozio. Fu una lotta terribile! Cominciai ad aprire gli occhi, ma sentivo lo strappo al cuore. Piansi a lungo e lui ripeteva ‘scegli!’. Pregammo insieme. Finalmente fu chiaro che il Signore mi chiamava e che chiedeva un distacco, un sacrificio. Scelsi la matita nera! L’incontro durò quattro ore, ma in esso Dio mi ha preso definitivamente!”.

In seminario
I genitori furono felici della sua decisione. Il padre, anche se avrebbe preferito che il figlio terminasse il liceo prima di entrare in seminario, non poté trattenerlo a casa più a lungo, perché altrimenti il ragazzo avrebbe dovuto arruolarsi. Così nel 1944 Giuseppe-Zeno entrò nel seminario che, a causa della guerra, era stato trasferito da Verona a Bussolengo, utilizzando i locali annessi al Santuario dei Redentoristi. Qui poté terminare il terzo liceo e fare i primi tre anni di teologia.

Con i Missionari Comboniani
Stando nelle vicinanze di Verona, ebbe la possibilità di conoscere i Missionari Comboniani e decise di seguire la sua vocazione originaria, farsi cioè missionario. “Il 17 marzo 1948, mentre a mia insaputa tra i Comboniani si faceva la novena a san Giuseppe per chiedere vocazioni, mi presentai alla Casa Madre. Come sede del mio noviziato, i superiori scelsero Gozzano, perché Firenze era troppo vicino a casa mia. Non fu molto facile accettare la differente mentalità dei novizi. Infatti la maggior parte di loro erano giovanissimi, di 16-17 anni: solo 5 o 6 avevano già fatto il liceo. Nel 2° anno seguii il programma di IV teologia. P. Tarcisio Agostoni mi guidava per la dogmatica, P. Remo Armani per la morale, salvo qualche parte che si era riservata il padre maestro, il resto lo studiavo da solo”.

Professione e ordinazione
Giuseppe-Zeno fece la prima professione il 3 maggio 1950. Dopo pochi giorni andò al seminario arcivescovile di Venegono Inferiore dove fece gli esami del dogmaticone e del moralone (cioè della dogmatica e della morale di tutti i quattro anni di teologia) e l’esame delle confessioni.

Il 29 giugno 1950 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Verona. “Il giorno dopo celebrai la prima Messa all’altare della Madonna del Popolo in cattedrale, dove nel 1907 si erano sposati i miei genitori. Erano presenti i miei genitori, tutti i fratelli, sorelle, cognati e cognate con undici nipoti e moltissimi parenti e amici. Dopo due settimane di vacanza a Fai della Paganella, tornai a Verona per benedire il primo matrimonio, quello del mio carissimo fratello Marco”.

Essendo stato ordinato sacerdote quando aveva soltanto i voti temporanei, dopo tre anni fu ammesso ai voti perpetui che emise a Gozzano il 9 settembre 1953, festa di S. Pietro Claver.

Specializzazione
In quei giorni P. Giuseppe-Zeno ricevette una lettera del Superiore Generale che gli comunicava la decisione che andasse a studiare Economia e Commercio all’Università di Milano e lo assegnava alla comunità di Rebbio di Como, dove c’era lo scolasticato di filosofia, con l’invito anche a insegnare qualche materia. Quando gli scolastici furono trasferiti a Verona (1950), fu nominato padre spirituale dei ragazzi del seminario minore di Rebbio. Nel 1952 fu assegnato al noviziato di Gozzano, dove insegnava matematica e geografia fisica. Durante tutto questo periodo si era ripromesso, riuscendovi quasi sempre, di dedicare il fine settimana al ministero sacerdotale.

Nonostante gli impegni con l’Istituto (come l’insegnamento) affrontava con successo gli esami all’Università. Superati gli esami di ragioneria del primo e secondo anno, fu invitato dall’economo generale, P. Angelo Dell’Oro, a preparare la Relazione economica al Capitolo Generale del 1953. Subito dopo, l’economo generale lo volle come suo assistente, coinvolgendolo sempre di più nell’amministrazione. “Cominciò allora un periodo molto faticoso, la mia settimana era così suddivisa: lunedì, martedì e mercoledì mattina a Milano all’Università; mercoledì pomeriggio, giovedì e venerdì mattina a Verona in ufficio, venerdì pomeriggio, sabato e domenica mattina a Gozzano a fare scuola e un po’ di ministero”. Per fortuna trovarono un sostituto per Gozzano e così il suo andare avanti e indietro continuò solo tra Verona e Milano.

Nel 1957 fece anche un viaggio con il Superiore Generale (P. Antonio Todesco) e l’economo generale per trattare di alcuni lavori a Corella (Spagna) e a Famalicão (Portogallo).

L’economo generale rimaneva a Verona e mandava P. Giuseppe-Zeno ad affrontare i problemi legali fuori sede. “Così, in occasione di eredità importanti, feci molta esperienza in molti campi, specialmente su come trattare con gli istituti coeredi, affrontare i parenti dei defunti che ci ricattavano chiedendo somme sproporzionate per dare la necessaria firma richiesta dalle autorità per venire in possesso dell’eredità. Forse la più strana esperienza fu la gestione per tre mesi di un caseificio in provincia di Cremona, che poi riuscii a far acquistare. Gli acquirenti, però, lo volevano vuoto, e quindi dovetti non solo vendere i formaggi e il burro, ma anche ben 703 maiali!”.

Per il Capitolo Generale del 1959 dovette preparare il bilancio e la relazione economica. Purtroppo c’era una grossa cifra di debito. “Qualcuno diceva che il caso Giuffrè era stato la causa del grosso debito. Ora da Giuffrè avevamo avuto molto di più di quanto versato: in alcune occasioni ci aveva dato fino al 90% e 100% d’interesse sulle somme prestate! Il debito veniva dal fatto che, speculando su interessi futuri che Giuffrè aveva promesso a tanti Istituti religiosi e diocesi, c’eravamo impegnati in troppi lavori, che dovevano essere finiti e pagati per non incorrere nelle grosse penalità previste dai contratti. Toccò proprio a me, che ero sempre stato contrario a questo rapporto, risolvere gli impegni di pagamento con le ditte e gli aspetti fiscali”.

Il 22 febbraio 1960 P. Giuseppe-Zeno si laureò con una tesi in ragioneria su “L’amministrazione degli Istituti Religiosi”, frutto, oltre che della sua esperienza dei sei anni di lavoro nell’economato, anche di una ricerca fatta in una trentina di Istituti per conoscere il loro sistema contabile.

In Uganda
Alla fine del 1960 P. Giuseppe-Zeno partì per l’Uganda, alla quale era stato assegnato, e fu mandato nella diocesi di Arua, nella regione del West Nile. La sua prima missione fu quella di Maraca. “Cercavo di imparare la lingua. Il logbara non è facile, dato che è una lingua con tutti i verbi principali monosillabici, con toni e costruzioni particolari, ma stando molto coi ragazzi e incontrando i catechisti, nonostante non mi avessero dato alcun libro, dopo poco più di un mese cominciai a confessare e a leggere l’omelia preparata assieme a un maestro”. Il superiore era ammalato e il lavoro apostolico si era molto rallentato. P. Giuseppe-Zeno, dopo tre mesi, iniziò a fare i cosiddetti “safari”, cioè a recarsi in una cappella lontana per rimanervi alcuni giorni, visitando le famiglie della zona. La sera, cioè dopo il ritorno della gente dai campi e la cena, organizzava la preghiera con i cristiani dei dintorni. “La prima notte che passai in una capanna – che aveva per porta dei legni incrociati riempiti di paglia – confesso che ebbi paura. Non è piacevole sentire gli urli delle iene e degli sciacalli! L’accoglienza della gente, però, mi entusiasmava e mi caricava sempre più nel desiderio di impegnarmi. In queste visite giravo sempre a piedi, accompagnato dal catechista. La sera stavo attorno al fuoco con la gente e questa fu la più importante scuola di lingua e di inculturazione”.

Nel dicembre 1961 P. Giuseppe-Zeno ebbe l’incarico di superiore della missione, con la cooperazione di P. Renzo Salvano e il giovanissimo Fr. Giuseppe Udeschini, ambedue appena arrivati dall’Italia. “Con queste nuove giovani forze, iniziammo subito un lavoro più organizzato e a più vasto raggio. Cominciammo a radunare regolarmente ogni mese i catechisti, preparando con loro l’omelia domenicale. Decidemmo di fare eleggere in ogni cappella un tesoriere che tenesse il denaro e la contabilità. Prendemmo poi la decisione più importante: il catecumenato prima del battesimo, che fino ad allora richiedeva gli ultimi due mesi fatti in missione, venne organizzato presso la cappella dei villaggi di provenienza dei catecumeni. Il giorno del battesimo si faceva in loco una grande festa, cosa che entusiasmò molto e attirò molti altri a farsi cristiani”.

Inizio dell’opera sanitaria
Nella missione non c’era il dispensario. C’erano le suore, ma nessuna era infermiera. Nel maggio 1962 giunse a Maraca una brava infermiera diplomata, Mina Pandolfi, volontaria laica appoggiata dal Centro Diocesano Missionario di Bergamo. Mina iniziò poco alla volta un vero dispensario. “Cominciammo a pensare di ingrandirci con un centro di maternità che era veramente urgente: bisognava da bravi comboniani ‘tirare la barba a San Giuseppe’, perché eravamo già impegnati a costruire cappelle e scuole. Per la maternità feci una novena a San Giuseppe. Ricevetti l’ispirazione di scrivere al mio professore di Statistica dell’Università, Prof. Marcello Boldrini, che in quel momento era presidente dell’ENI. Gli scrissi una lettera accorata e piena di episodi della mia vita di missione: aggiunsi una fotografia coi ragazzi africani e accennai alle necessità economiche. Mi rispose con entusiasmo e commozione, dicendo che una delle più belle soddisfazioni della sua lunga vita di docente, era quella di avere un alunno sacerdote e per di più missionario”. Il professore si mise in contatto con il direttore dell’AGIP in Uganda che gli procurò il carburante necessario a coprire il fabbisogno della missione per più di due anni.

L’azione missionaria dei Comboniani fece fare un salto di qualità nella contea di Maraca, portando i cattolici ad imprimere il loro segno nella vita dei villaggi. Per il Natale 1963, Fr. Udeschini preparò per la prima volta un bellissimo presepe con luci che cambiavano e personaggi che si muovevano. “Avvenne una cosa commovente. La chiesa, la sera, si riempiva di gruppi di gente che si avvicinavano a vedere il presepe più da vicino. P. Salvano aveva preparato un canto per la novena di Natale con la musica, nientemeno, della sesta sinfonia di Bethoven. Quando il registratore iniziava a trasmetterla, tutti cominciavano a cantare: ‘Am’Opi buniri, ama le mi nzi, mi emu ana orindi eto, mi aa vele ku’ (O Signore nostro del Cielo, noi vogliamo onorarti, vieni a salvare la nostra anima, non tardare)”.

Indipendenza in Uganda
Nel 1961 si erano svolte le prime votazioni politiche in Uganda ed era stato nominato il primo governo autonomo ugandese. Fu scelto come primo ministro il cattolico Benjamin Kiwanuka, bravo avvocato, capo del Democratic Party (DP). Ma alcune manovre politiche poco pulite, della Gran Bretagna, denunciate pubblicamente da un gesuita inglese, portarono alla decisione di fare nuove elezioni. Ci furono molti brogli e vinse l’UPC, d’ispirazione protestante, contro il DP, d’ispirazione cattolica. Si arrivò alla celebrazione ufficiale dell’indipendenza il 9 ottobre 1962.

Nel 1963 P. Giuseppe-Zeno fu nominato superiore regionale della zona di Arua (a quel tempo l’Uganda non formava un’unica provincia). In collaborazione con altri confratelli, riuscì a iniziare un giornale mensile Suru Amadri (La nostra terra): il primo in lingua logbara: “lo inviavo a tutti i parrocchiani che erano assenti dal West Nile per servizio militare, per lavoro, ecc., e servì molto a tenerli uniti alla missione”.

Nel 1966 il presidente Obote fece votare una nuova costituzione, abolì i tre regni ancora rimasti indipendenti, proclamò la Repubblica e si fece eleggere presidente. Lo stato divenne sempre più invadente: già nel 1964 aveva nazionalizzato le scuole, pur lasciandone la titolarità alla Chiesa che le aveva fondate, dando però al parroco solo il diritto di essere membro del Consiglio di Amministrazione. Sopratutto il governo non vedeva di buon occhio le varie associazioni sorte per la formazione dei giovani, rese necessarie dalla sempre minore influenza che avevamo sulle scuole. Si cominciò ad avere difficoltà per i permessi di entrata e di lavoro per i missionari. Nel gennaio 1967 ci fu un decreto di espulsione di undici missionari delle diocesi del Nord, affidate ai Comboniani. Fu un duro colpo per la diocesi e la regione di Arua. “Fu allora che decisi di non andare in Italia per il 60° di matrimonio dei miei genitori e per un po’ di vacanza, dopo 6 anni e mezzo di lavoro intenso”.

Capitolo Generale 1969 ed elezione a economo generale
P. Giuseppe-Zeno fu nominato membro della sottocommissione economica nella commissione precapitolare. Dopo otto anni di assenza, poté incontrare la sua famiglia. “Incredibile il cambiamento che trovai in Italia, che aveva sperimentato il miracolo economico”.

Verso la fine del Capitolo Generale, P. Giuseppe-Zeno fu eletto economo generale. In quel periodo avvennero importanti cambiamenti e furono prese risoluzioni importanti per l’Istituto, come la separazione dell’economato generale dall’economato della provincia italiana, l’organizzazione dello studio della prima lingua straniera (il francese a Parigi, l’arabo in Libano), la creazione di “fondi” necessari e importanti per lo spirito di condivisione: Fondo ammalati (utilizzando la pensione sociale per i membri italiani), Fondo scolasticati internazionali (per assistere le province del sud del mondo con molte vocazioni e meno possibilità finanziarie). In questo suo incarico poté visitare quasi tutte le province.

Nel 1979 si svolse il Capitolo Generale della riunificazione del ramo tedesco e del ramo italiano. Verso la fine di quell’anno, il Consiglio Generale aveva concesso a P. Giuseppe-Zeno il permesso di ritornare in missione, ma questa volta in Zambia. Era felice, anche se non era stato destinato alla sua prima missione. Purtroppo la partenza non avvenne. Il suo sostituto, P. Carlo Busetti, ebbe un infarto, per cui non si poté procedere alla sostituzione. Comunque, nel 1981 P. Mario Locatelli fu nominato economo generale e P. Giuseppe-Zeno poté essere destinato alla missione, questa volta in Uganda.

Nel frattempo il Superiore Generale, P. Salvatore Calvia, gli ordinò di fare uno studio sull’amministrazione economica di Mons. Daniele Comboni, anche per rispondere alle gravi obiezioni dei consultori nella causa di beatificazione, e gli disse: “Non parti se non fai prima questo lavoro”. P. Leonzio Bano, archivista generale, e P. Armando Ciappa mi procurarono molte fotocopie di lettere e documenti e avemmo addirittura la fortuna di trovare diversi libri contabili dei tempi di Comboni. Devo confessare che all’inizio non sapevo come impostare il lavoro; poi una notte, mentre chiedevo lumi e pregavo Comboni, mi si presentò alla mente, chiarissimo, lo schema da seguire, sulla falsariga della mia tesi di laurea sull’Amministrazione degli Istituti religiosi. Ringraziando Dio, questo lavoretto di una sessantina di pagine fu importante per la ripresa della causa di beatificazione”.

Nuovo periodo in Uganda
P. Giuseppe-Zeno ebbe quindi l’incarico di seguire i rifugiati ugandesi in Congo, ma quando giunse a Kampala, il provinciale gli chiese di andare provvisoriamente nella missione di Kasaala, a circa 70 km. a nord della capitale: il parroco era in vacanza e non era opportuno lasciare da solo l’altro missionario, perché, dal punto di vista politico, la situazione era critica e lì c’era un forte movimento politico-militare di opposizione a Museveni, il tristemente famoso “triangolo di Lwero”. P. Giuseppe-Zeno, non sapendo la lingua locale, si dedicò con impegno a visitare le famiglie Logbara (la tribù dove aveva lavorato durante il suo primo periodo in Uganda e di cui conosceva bene la lingua) che si trovavano nelle parrocchie di Kasaala, Nakasongola e, in parte, Kigumba. Aveva già organizzato anche la visita nella parrocchia di Kujaguzo, quando i soldati del governo invasero quella chiesa, aggredirono la gente facendo anche qualche morto e arrestarono il parroco.

Nel campo profughi delle Nazioni Unite
Dopo quattro mesi, P. Giuseppe-Zeno poté partire per Arua e da lì per i campi profughi in Congo (allora Zaire). C’erano almeno quattro campi profughi con quasi 12.000 rifugiati ugandesi, scarsamente assistiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) che traeva profitto da questa situazione. Con P. Renzo Salvano e P. David Baltz organizzarono il lavoro pastorale, aiutati da tre Suore Comboniane e altre tre di San Vincenzo de’ Paoli. Ogni settimana, due missionari a turno partivano da Bakara, la loro residenza di base, accompagnati da una o due Suore Comboniane. Uno andava a Biringi e l’altro alla frontiera col Sudan. “In ognuno dei centri avevamo ogni mese la riunione dei catechisti con la preparazione dell’omelia domenicale, revisione dei conti, rapporto sui ragazzi e adulti presenti nel catecumenato, ecc. Si esaminavano anche le varie questioni con l’assistenza del consiglio della cappella, poi tutto sarebbe stato trasmesso al consiglio parrocchiale. Ogni campo aveva il suo capannone-cappella, il suo catechista col consiglio locale, il coro, gli strumenti musicali fatti da loro (adungu), il comitato dei poveri, ecc. Mi rimangono nella mente e nel cuore le celebrazioni solenni, fatte sotto la volta del cielo, e le visite, capanna per capanna, a tutti i cattolici con speciale benedizione della famiglia. Si ebbero molti battesimi anche di adulti e un buon gruppo di Azione Cattolica. I rifugiati ci dicevano ‘ci avete ridato la speranza!’. Fu un periodo straordinario dal punto di vista missionario”.

Contatti via radio
I missionari si tenevano in contatto per via radio. “Fu così che nel settembre 1982 arrivò, con due giorni di ritardo, la notizia della santa morte della mia carissima mamma: aveva 94 anni e 3 mesi. Non piansi, ma corsi alla capanna-cappella a cantare il Gloria: sentivo la mia mamma già nella gloria e la sentivo ancora più vicina. Mi ricordai anche delle parole che aveva scritto su di un’immaginetta proprio in occasione del mio ritorno in Uganda: La tua mamma in ginocchio ringrazia per codesta tua meravigliosa ed esemplare vocazione”.

Addio ai profughi e nuovo inizio
Intanto in Uganda cominciavano a ritornare i rifugiati e il Vescovo di Arua insisteva perché si riaprissero le missioni chiuse per la guerra e danneggiate. Ai primi di maggio del 1983 P. Giuseppe-Zeno dovette dare l’addio ai profughi e andare nella missione di Otumbari. “Si vide subito la ripresa della vita cristiana nel vasto territorio della missione. Avevamo una quarantina di cappelle, cioè centri di preghiera e di istruzione nei villaggi. Fra queste, c’erano 5 o 6 centri eucaristici con chiese in muratura, dove veniva conservata l’Eucaristia, affidata a un catechista che aveva fatto il corso”.

Nel luglio 1984 la nunziatura apostolica in Uganda lo nominò Visitatore Apostolico delle Suore Missionarie di Maria Madre della Chiesa, un istituto diocesano della diocesi di Lira. L’inchiesta durò nove mesi. Due anni dopo il Nunzio gli comunicò che la Santa Sede aveva non solo approvato la relazione inviata e le conclusioni dell’inchiesta sull’Istituto delle Suore di Lira, ma lo aveva nominato di nuovo Visitatore Apostolico per attuare le proposte, con poteri molto ampi. Si procedette all’elezione di una nuova Superiora Generale, ad indirizzare l’Istituto secondo le regole canoniche e a preparare le nuove costituzioni. Improvvisamente, per un’ischemia celebrale, il vescovo di Lira, Cesare Asili, morì, e P. Giuseppe-Zeno fece richiesta a Roma di chiudere la visita apostolica e consegnare tutto il materiale al nuovo vescovo.

Nel 1986, dopo la fuga di Obote, Museveni s’insediò a Kampala e iniziò la marcia verso il nord per impadronirsi del resto dell’Uganda.

Secondo turno come economo generale
Verso metà gennaio 1990 P. Giuseppe-Zeno ricevette una lettera del Superiore Generale, P. Franesco Pierli, che lo chiamava a Roma, di nuovo come economo generale, data la necessità di regolare diverse situazioni urgenti: “Partii per Roma col presentimento che la mia missione in Uganda fosse giunta alla fine: avevo 64 anni! E così fu! I primi mesi furono piuttosto duri ma veramente il Signore mi aiutò a mettere subito le cose in ordine così, ben presto potei cominciare le visite alle provincie. Avevo preparato una serie di conferenze su ‘Povertà e economia’, in italiano, francese, inglese, spagnolo e portoghese, per cui fui chiamato a presentarle in quasi tutte le provincie compresa quella di lingua tedesca. Un’edizione adattata mi servì anche per aiutare altri istituti in Italia e fuori. I rapporti col Consiglio Generale furono buoni, sia con quello di P. Pierli sia con quello di P. David Glenday. Negli ultimi tre anni della mia permanenza a Roma, fui incaricato di dare ogni anno un corso di Amministrazione degli Enti Ecclesiastici, in senso contabile e pratico (come scrivere un assegno, come leggere un estratto-conto della banca ecc.), alla Pontificia Università Urbaniana. Fu una nuova esperienza: certe cose nessuno le aveva mai insegnate agli studenti e ai giovani sacerdoti”.

Dopo 5 anni e mezzo fu trovato un sostituto a P. Giuseppe-Zeno nella persona di P. Alessandro Lwanga Guarda, che si era preparato in Inghilterra e in Kenya per più di un anno e mezzo. “Ciò mi apriva ancora la via della missione alla quale anelavo, nonostante i miei 69 anni”.

Destinazione: l’Egitto
Assegnato all’Egitto, vi giunse nel dicembre 1995. Qui, dal 1996 al 2001 fu superiore di delegazione. A rendere particolarmente dolorosa questa tappa della vita di P. Giuseppe-Zeno ci sarà sempre il fatto di essere stato chiamato in missione in una terra di cui non conosceva la lingua. L’età avanzata e l’assunzione immediata della responsabilità non gli permisero di studiarla. Questo handicap, tuttavia, non gli impedì mai di vivere fino in fondo le situazioni e di affrontare le sfide della missione.

Nel 2000 celebrò il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale al Cairo e a Roma, dove si trovava per l’Intercapitolare. Sull’immagine ricordo scrisse: “Mezzo secolo entusiasmante alla sequela del Beato Daniele Comboni”.

Dal 2002 al 2004 fu superiore della comunità del Cairo-Cordi Jesu e addetto all’amministrazione. Nel 2004 fu superiore, vice parroco e incaricato della formazione permanente nella comunità di Cairo-Zamalek. Nel 2008 andò a Verona per cure mediche.

Dal novembre 2008 al marzo 2009 era tornato al Cairo nel tentativo di riprendere le attività pastorali.

A marzo 2009 lo troviamo di nuovo per cure a Verona, dove è morto il 21 maggio 2009, giorno in cui la città celebra la festa liturgica di San Zeno.

Tre anni prima aveva scritto: “Non so quanti anni il Signore vorrà darmi ancora, ma mi metto con la sua Grazia in pieno nelle Sue mani. Faccia di me ciò che vuole ma, per l’intercessione di Maria, mia Madre, che ho pregato ogni giorno col santo Rosario, mi faccia desiderare con fede l’incontro eterno con Lui vero Amore”.

Alcune riflessioni finali (festa del Sacro Cuore, 23 giugno 2006)
Il 23 giugno 2006, festa del Sacro Cuore, P. Giuseppe-Zeno annotava: “Alla fine di questo mio lavoro fatto per obbedienza, si è esercitata la memoria, ma soprattutto si è rinnovato il mio grazie a Dio per tutti i suoi doni e per la sua misericordia. Mi sento veramente ancora entusiasta: è stata una vita molto varia, molto impegnativa, a volte difficile, ma molto bella. Anzi i momenti difficili che non sono mancati sono diventati per la grazia di Dio momenti costruttivi e formativi. In una riunione di provinciali, mentre si parlava dei corsi di formazione, dissi che per me le diverse obbedienze particolari che avevo affrontato nella mia vita erano state veramente formative. Anche la mia vita spirituale è stata piena di luce. È vero, non sono mancate le tenebre, i miei peccati, ma la Misericordia di Dio mi ha sempre perdonato, non solo, ma mi ha anche dato la forza di umiliarmi e di accedere spesso al sacramento della riconciliazione. Ho fatto tante cose, e forse sarò ricordato per quelle, ma vorrei invece che mi si riconoscesse come testimone del dono di Dio e del suo amore”.

Testimonianza di P. Claudio Lurati
P. Claudio Lurati, che ha lavorato circa dodici anni con P. Giuseppe-Zeno, ha scritto questa testimonianza.

a) Amore per l’Istituto che ha tanto amato e tanto servito.
L’Istituto non rappresentava per lui semplicemente un’istituzione, ma una comunità di fratelli e sorelle uniti da una comune chiamata per la missione. P. Giuseppe-Zeno non solo ha servito l’Istituto perché lo amava: ha imparato ad amarlo sempre di più negli anni perché l’ha tanto servito con dedizione. Si teneva sempre informato di tutto quello che accadeva e – senza cedere alla tentazione del pettegolezzo – seguiva con interesse eventi, nomine, decisioni. A questo accompagnava la sua disponibilità. Nel 1998, quando si stava per decidere sulla sua rielezione come superiore in Egitto, scrisse al Superiore Generale dicendo di non temere il lavoro (“Non recuso laborem”), ma ricordando anche la sua età avanzata e il suo stato di salute, ma concludeva dicendosi pronto ad accettare qualsiasi decisione in “serena obbedienza” (22.7.1998). La disponibilità e l’obbedienza erano state interiorizzate ed erano diventate in lui un atteggiamento ordinario.

b) Giovinezza
Una seconda caratteristica era lo spirito giovanile che lo faceva entusiasmare, partecipare con gioia agli eventi di cui era protagonista e sentire vicino alle persone che lavoravano con lui e all’Istituto. Ne sono quasi il simbolo quegli scarponcini da montagna portati con disinvoltura anche nel cuore arroventato del Cairo o del deserto egiziano, come a dire la disponibilità e la prontezza a partire per qualsiasi arduo cammino la vita richiedesse. Un aspetto di questa perenne giovinezza era lo spirito di fiducia e di trasparenza con cui ha vissuto i tanti anni d’impegno nell’amministrazione: distacco dai beni, fiducia nella Provvidenza, rispetto delle finalità dei beni e attribuzione del giusto valore alle cose, mai anteponendole alle persone. Preparandosi a lasciare l’incarico di economo generale, lamentava una crescita esagerata del tecnicismo e dell’efficientismo, pressoché inevitabili nel panorama moderno, un cambiamento che avrebbe potuto far perdere di vista la fiducia nella Provvidenza, dote essenziale dell’ispirazione comboniana.

c) Sofferenza
La sofferenza, tanto fisica quanto spirituale, ha accompagnato sempre la vita di P. Giuseppe-Zeno, ma in modo particolare negli ultimi anni. Ricordiamo i tanti ricoveri in ospedale, le operazioni e le malattie sempre affrontate con spirito gioioso, chiara visione della situazione e affidamento al Padre celeste. In particolare, nel 2007 dovette essere operato per ben due volte per un ematoma celebrale. La ripresa fisica fu completa, quasi miracolosa. Anche la sua serenità mentale e spirituale era straordinaria. Anzi, ricordo che incontrandolo “dopo” quegli interventi, avevo l’impressione che P. Giuseppe-Zeno in qualche modo non stesse al nostro passo ma fosse “andato oltre” e avesse già consegnato tutto nelle mani del Padre, nell’attesa del compimento.

Nella sua vita non mancarono anche tanti motivi d’intensa sofferenza umana e spirituale, spesso causati dallo svolgimento dei suoi compiti o dall’assunzione d’incarichi particolarmente spinosi, sempre su richiesta dell’Istituto Comboniano o della Chiesa. Diffidenze, ostilità, resistenze: P. Giuseppe-Zeno poté affrontarle con l’autorevolezza di chi non cerca di guadagnare nulla per sé ed è disposto a pagare di persona il pedaggio esoso della riconciliazione. Negli ultimi anni di vita, poi, non gli fu possibile ritornare nella sua cara Uganda per motivi di salute. Inoltre, assegnato all’Egitto, soffriva dell’inconveniente di non poter parlare la lingua araba.

Spiritualità di P. Giuseppe-Zeno
Dalle note del suo manoscritto si può intravedere come fosse profonda la vita spirituale di P. Giuseppe-Zeno. Oltre a descrivere il suo cammino e travaglio interiore prima di giungere alla decisione di farsi sacerdote e il suo impegno nella parrocchia (associazione cattolica, catechismo, gruppi giovanili, coraggio di parlare ai capi fascisti quando sorgevano conflitti con altre sue responsabilità nella comunità cristiana), parlano del suo atteggiamento di preghiera per discernere davanti a Dio ogni volta che doveva prendere delle decisioni importanti o in momenti difficili e della sua apertura e dialogo con i confratelli, oltre che la sua fiducia nel padre spirituale, per trovare delle guide di cui fidarsi nel cammino della vita.

Anche quando era incaricato dell’economia dell’Istituto, la sua preoccupazione era di agire sempre con sincerità, giustizia e trasparenza. Inoltre ha aiutato e guidato altri Istituti Religiosi a procedere in questa direzione. La sua preoccupazione per le persone, non solo confratelli ma anche laici, è sempre stata esemplare. Per quanto riguarda il nostro Istituto, P. Giuseppe-Zeno ha accennato con semplicità alla sua grande preoccupazione per trovare una soluzione adeguata per gli anziani e gli ammalati che aumentavano sempre più di numero, specialmente in Italia, e della sua preghiera, riflessione e discernimento per arrivare a una soluzione. Un simile discernimento l’ha fatto anche per sostenere i candidati e i giovani in preparazione negli Scolasticati e nei Centri per Fratelli.

A P. Pietro Ravasio, che l’ha conosciuto come novizio a Gozzano (1949-1950) e poi a Roma al suo ritorno dall’Etiopia e in seguito come archivista generale, P. Giuseppe-Zeno ha confidato che ogni giorno, dopo pranzo, leggeva alcune pagine del libro pubblicato dal nostro confratello Aldo Piccinelli, a quel tempo Priore della comunità benedettina di San Paolo fuori le mura. Il libro era la sua tesi di laurea in teologia, dal titolo “L’esperienza spirituale di Itala Mela”. Vorremmo concludere queste note citandone un pensiero che si armonizza bene con la vita di P. Giuseppe-Zeno, caratterizzata dai due poli di vita interiore e di intensa attività: “Quanto più l’anima è unita a Dio, tanto più acquista la capacità di pensare con Lui ai minimi interessi pratici, ai più piccoli doveri. Tutto appare degno della massima cura, perché tutto è da Lui voluto e deve essere vissuto in Lui. Per questo la pienezza della vita mistica rende l’anima adatta a grandi opere esterne, essendo essa arricchita e corroborata dalla stessa Sapienza e da tutti i doni dello Spirito Santo”.
Da Mccj Bulletin n. 242 suppl. In Memoriam, ottobre 2009, pp. 22-36.