Tutto si è consumato nel giro di quattro ore, nella notte tra giovedì 15 ottobre e venerdì 16. Aveva accompagnato P. Giuseppe Giannini all’aeroporto. Lo aveva lasciato all’una e 35. Tornando, stava facendo un’inversione a U per riprendere la strada di casa, quando è stato investito violentemente da un’altra macchina che sopraggiungeva alla sua destra a una velocità di 120 km orari. L’urto è stato violentissimo. Sbalzato fuori dalla macchina, è rimasto sulla strada fino a quando la polizia, circa dieci minuti dopo, lo ha trovato e portato in ospedale, dove è giunto poco dopo le due. Utilizzando il cellulare di P. Giovanni, la polizia è riuscita a rintracciare i confratelli. Alle 2.30 erano già lì, in pena per non poter fare nulla per tenerlo in vita. P. Giovanni ha smesso di respirare alle 6 del mattino. I funerali sono stati celebrati alle 5.00 del pomeriggio dello stesso giorno, com’è d’uso a Khartoum, nella cattedrale, alla presenza di tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose e una folla di fedeli. È stato sepolto la stessa sera, nel cimitero cristiano di St. Francis, accanto a un altro sacerdote sudanese, P. Emile, morto di cancro qualche mese fa e più giovane di lui.
P. Giovanni Fenzi era nato nel 1946 a S. Massimo, poco fuori di Verona. Dopo aver fatto il noviziato a Firenze (1968-1970) e lo scolasticato a Roma, fu ordinato sacerdote nel 1974.
Destinato al Sudan, si recò prima in Libano a studiare l’arabo, proprio nel periodo in cui in Libano infieriva la guerra.
Diciotto anni in Sudan
Arrivò in Sudan nel 1976 e fu destinato alla diocesi di El Obeid. Assegnato alla missione di Kadugli, sui monti Nuba, vi rimase per undici anni. Da Kadugli passò a Dilling, dove rimase due anni, fino al 1989, quando il Governo lo espulse sotto la falsa accusa di avere una radio trasmittente. Passò così alla missione di Port Sudan, dove rimase per cinque anni, cioè fino al 1994. Questi suoi diciotto anni in Sudan furono molto intensi e marcarono profondamente la sua vita.
Di carattere gioviale, aperto all’amicizia, girò in lungo e in largo l’area vastissima della sua missione. Visitava in continuazione i villaggi, dove intanto si venivano formando piccole comunità cristiane. Imparò a memoria i nomi di un’infinità di persone, mentre veniva scoprendo i probabili leader che avrebbero collaborato come catechisti e come maestri nell’opera di evangelizzazione. La sua preoccupazione era di formare cristiani in grado di stare in piedi da soli. Promozione e non semplicemente emergenza. Vari ragazzi entrarono in seminario. Il primo sacerdote ad accorrere al suo capezzale in ospedale quel giovedì notte, per dargli l’unzione degli infermi, è stato proprio uno di questi suoi ragazzi, ora sacerdote e viceparroco della cattedrale di Khartoum, P. Adam Abu Shok.
Insieme con la gente e con l’aiuto di amici italiani, riuscì a costruire ovunque cappelle e scuolette. Il suo entusiasmo contagiava tutti e, in particolare, i cristiani che gli volevano bene e si sentivano a loro agio con lui. Dotato di grande senso pratico, era in grado di rispondere con facilità e naturalezza anche alle situazioni di emergenza che in missione si presentano continuamente, così si trasformava in elettricista, meccanico, muratore…
A Port Sudan costruì un centro pastorale parrocchiale per dare una formazione adeguata ai catechisti, ai leader, ai giovani e alle donne sul posto, senza dover andare a Khartoum, a 1200 km di distanza. Aprì scuolette per i rifugiati del Sud, garantendo loro istruzione e formazione cristiana.
Nel 1994 andò in Italia per motivi familiari ma anche per problemi di salute. Vi rimase per dodici anni rivelandosi un grande animatore missionario, apprezzato da sacerdoti e gruppi. Fu a Thiene (1994-1997), a Firenze (1997-1998), a Troia (1998-2003) e a Venegono (2003-2006). Dal 2002 al 2006 fu anche membro del consiglio provinciale.
Tornò in Sudan nel 2006 e fu assegnato alla comunità di El Obeid da dove seguiva le due succursali di Rahad e Um Ruwaba. Nel 2008 fu chiamato a Khartoum North, nella casa provinciale. Il lavoro non gli mancava: aiutava in parrocchia, dava una mano in procura, era a disposizione dei confratelli di passaggio. Prese a cuore la costruzione della scuola di Izba. All’inizio del 2009 diventò superiore della comunità.
Aveva problemi al fegato e agli occhi, perciò, ogni anno, doveva andare in Italia per i controlli. Anche quest’anno era andato ed era tornato a Khartoum il 19 settembre.
Testimonianze
Mons. Antonio Menegazzo lo ricorda così: “Alla notizia della sua tragica morte, il cordoglio è stato generale. Tutti gli volevano bene. Non parliamo del suo entusiasmo, della sua facilità nel socializzare sia con i piccoli che con i grandi. Il suo cuore e il suo grande interesse andavano, in particolare, al popolo Nuba, tra cui aveva lavorato per parecchi anni, prima del 1994. Ricordava spesso i meravigliosi anni passati lì. Nell’aprile di quest’anno volle venire con me a visitare alcuni villaggi sulle Montagne Nuba: ricordava le strade, i nomi dei villaggi e delle persone come se avesse lasciato quei posti solo ieri… ma erano passati 15 anni. Ha avuto un’accoglienza calorosa. Tutti quelli che avevano una certa età si ricordavano bene di lui e guardavano con curiosità le foto che mostrava loro, scattate anni addietro, per cercare di riconoscersi”.
“La scomparsa di P. Giovanni Fenzi” – ha scritto P. Teresino Serra nel suo messaggio al provinciale di Khartoum – “mette sulle spalle della provincia e di tanta gente una croce pesante. La fede ci dice di prendere questa croce e di seguire Cristo. La croce non dice niente, anzi crea difficoltà, per chi non sa aprirsi al mistero, per chi non accetta la sapienza che viene dall’alto, per chi non rispetta i tempi e i misteri nei quali si dispiega l’azione di Dio… Nel dolore e nella croce v’invito a ringraziare Dio per la vita e per la morte di P. Giovanni Fenzi. Una vita di generosità e di amore alla missione”.
Da Mccj Bulletin n. 242 suppl. In Memoriam, ottobre 2009, pp. 65-69.