“Coraggio e avanti nel Signore, cerco di accettare tutto per volontà di Dio e per la speranza di ritornare al più presto in missione. Grazie, P. Ravasio, per i contatti che tieni per me con i superiori maggiori che mi aiutano a sentirmi parte viva del nostro Istituto”. Queste sono le ultime frasi di una lettera, forse una delle ultime, inviata da Bergamo a P. Pietro Ravasio. Da queste parole si possono vedere i due grandi principi che hanno motivato la vita e la missione di P. Alberto: la passione per l’evangelizzazione e l’appartenenza all’Istituto.
P. Alberto Ferri era nato il 5 settembre 1935 a Cologno al Serio, vicino Bergamo, terra di famiglie piene di fede e di amore alla Chiesa. Era il primo figlio di una famiglia della classe media e il padre voleva che continuasse il suo lavoro nell'azienda di famiglia. Vinta l’iniziale resistenza paterna, il giovanissimo Alberto entrò nella scuola apostolica di Crema: in quegli anni un numeroso gruppo di ragazzi stava rispondendo ad un’efficace animazione missionaria della diocesi di Bergamo. Alberto emise i primi voti nel noviziato di Firenze il 9 settembre 1954 e iniziò lo scolasticato a Verona, passando poi, per il corso di teologia, a Venegono. Emise i voti perpetui il 9 settembre 1960 e fu ordinato sacerdote dal cardinale Giovanni Battista Montini, nel Duomo di Milano, il 18 marzo 1961.
La sua prima destinazione fu la Spagna, dove collaborò con P. Enrico Farè nell'amministrazione delle nostre riviste.
Inviato, dopo due anni, in Ecuador, iniziò il suo apostolato a Quito occupandosi degli indios della periferia della città. Nel frattempo il nord di Esmeraldas aveva bisogno di missionari generosi e attenti alle necessità dei poveri. P. Alberto fu inviato a Limones, un’isola del Pacifico, dove svolse il lavoro pastorale con P. Luigi Zanini, P. Alberto Vittadello, P. Lino Campesan, P. Raffaello Savoia: da Limones, dividendosi il lavoro, servivano le numerose comunità di afrodiscendenti sui fiumi Onzole e Santiago. Rimase a Limones fino al 1972. Dopo le vacanze e il Corso di Rinnovamento in Italia, che lo spinse ad approfondire lo studio dei documenti conciliari e della nuova ecclesiologia di comunione, fu mandato dal vescovo mons. Angelo Barbisotti a Viche, lungo la strada di Quinindé, per iniziare una nuova parrocchia.
Tutte le lettere di questo periodo sono raccolte in un libro pubblicato dall’EMI, 1976, “Una Chiesa sui Fiumi”. Ne riportiamo due brevi stralci, dai quali si può capire lo stile personalissimo che P. Alberto adottò, fin dai primi anni, come sua permanente metodologia missionaria.
Viche, 8 aprile 1978: “Il Sabato Santo, durante la celebrazione della Vigilia della Risurrezione, battezzai una trentina di nuovi cristiani parecchi dei quali adulti… il Signore è risuscitato davvero e questo cambia tutto. L’ho annunciato il giorno di Pasqua e in tre zone: Viche, Male e Lagartera. Mi dà tanta gioia e tanta speranza di vedere anche in questo mondo la vittoria sulla morte, sul male, sull’ingiustizia, sulla miseria, sulla fame, su tutto ciò che il Signore ha già vinto con la sua risurrezione”.
Chigue, 3 giugno 1972: “Qui stiamo ancora disboscando per poter cominciare a seminare… Ho visitato zone dove non ero mai stato, a piedi su per i fiumi, passando di capanna in capanna e riunendo la gente di notte in un luogo prestabilito, portando loro quel poco conforto che posso, con medicine e con qualche risata… Per visitare una nuova cappella sono stato nel fango fino al ginocchio per tre ore e con lo zaino sulle spalle e credo di non aver mai sudato in quella maniera e questo, solo per arrivare alla prima capanna. Tutta la mia vita è così: un continuo annunciare il Signore e un continuo risvegliare questa povera gente isolata”.
Nel 1978 fa parte del primo gruppo di comboniani che, fedeli al carisma e attenti alle necessità delle altre diocesi, si rendono disponibili ad uscire da Esmeraldas per andare ad iniziare una nuova esperienza missionaria nella diocesi di Portoviejo, molto più estesa di Esmeraldas e che contava pochissimi sacerdoti. Scelse la difficile zona di Honorato Vasquez dove, assieme a P. Livio Martini, dedicò tredici anni della sua vita visitando e formando numerose comunità cristiane.
Aveva una metodologia che noi Comboniani in Ecuador abbiamo poi fatto nostra e che ha dato molti frutti pastorali. Consisteva nel coinvolgere e impegnare la gente: i laici locali, non solo ad essere fedeli alle promesse battesimali, ma anche ad impegnarsi per la costruzione e crescita della loro comunità cristiana. Da questa attenzione sorsero i vari ministeri, con persone che seguivano i vari corsi di formazione per diventare guide di comunità, catechisti, ministri dell’eucaristia, ministri della salute, ministri della cappella e dei poveri. P. Alberto seppe anche responsabilizzare i laici nell’amministrazione del denaro della comunità, fino ad iniziare, come sua ultima opera, una cooperativa di risparmio.
Da questo coinvolgimento della gente, ma soprattutto dal suo esempio e dal suo stile di vita, sono nate le prime vocazioni alla vita religiosa, missionaria e diocesana in una terra dove era difficile prevedere tanta ricchezza. Inoltre, proprio in questo periodo e sulla linea del forte impegno che P. Alberto chiedeva ai cristiani è nato il gruppo delle “laiche missionarie”, ragazze che s’impegnavano al servizio della Chiesa locale per un’attività missionaria nelle zone della diocesi che, per diversi motivi, richiedano una presenza missionaria. Questo gruppo si è andato definendo sempre meglio, fino a diventare un’associazione di persone consacrate, approvata dal vescovo.
Ricordiamo che Mons. Mario Ruiz, arcivescovo di Portoviejo, ripeteva sempre che la metodologia di P. Alberto era “ammirevole” ma non “imitabile”.
Infatti, era estremamente puntiglioso ed esigente nel programmare le visite alle comunità senza tralasciarne nessuna e soprattutto nell’essere fedele, a qualunque costo, all’impegno preso con Dio, con la gente e con l’Istituto. Aveva fatto suo il motto del Comboni: “Ho una vita, vorrei averne mille per entusiasmare il mondo alle missioni”.
Da Honorato Vasquez fu inviato, con grande sofferenza da parte sua, a El Carmen, per continuare il lavoro pastorale nelle numerose comunità rurali e vi rimase sette anni. P. Alberto, però, voleva occuparsi di “Manga de cura”, dove i cristiani erano più numerosi e così, dal 1988 fino alla morte, rimase in quella zona, con P. Antonio Mangili. Fondò la parrocchia della Bramadora e di El Paraíso-La 14 e aveva in progetto anche le parrocchie di Santa Teresa e Santa Maria.
Durante tutti questi anni, numerose sono le cappelle e le chiese costruite con la collaborazione della gente, molte le aule di catechismo e gli edifici per ospitare i corsi di formazione dei suoi collaboratori. In molte cappelle la comunità cresceva con tanto fervore che vi lasciò l’eucaristia.
Nel 2008 i medici gli diagnosticarono un tumore al pancreas, ma dopo un ciclo di chemioterapia, P. Alberto volle ritornare nella sua missione de La 14 per aiutare i giovani sacerdoti dell'arcidiocesi a continuare il suo lavoro pastorale.
Nell’aprile 2009 chiese alla Direzione Generale di rimanere in famiglia per curarsi in casa di suo fratello Mario, a Bergamo, che si trovava vicino all'ospedale “Beato Luigi Palazzolo”. Nelle ultime settimane la sorella ha voluto portarlo vicino alla mamma di 103 anni, anche lei grande missionaria come il figlio. È morto sereno, abbracciando P. Enea Mauri che era andato a trovarlo, nel pomeriggio del 16 ottobre a Cologno al Serio, nella casa paterna.
Solo l’insistenza dei vescovi locali e della gente ha spinto i famigliari ad accettare che il corpo di P. Alberto tornasse in terra manabita per rimanervi ed essere un “punto di riferimento missionario e sacerdotale per i vescovi, il clero e i fedeli manabiti”, in particolare durante quest’anno sacerdotale.
P. Alberto è stato un vero figlio di san Daniele Comboni. Si può applicare anche a lui ciò che è stato scritto del Fondatore, nei documenti per la canonizzazione: “Fin da quando si rese chiaramente conto dell’autenticità della sua vocazione missionaria, tutta la sua vita divenne dedizione senza riserve, coerente e costante contro ogni difficoltà. Il suo zelo apparve costantemente sostenuto dalla fede nel valore universale del sacrificio di Cristo e dall’urgenza del suo mandato di evangelizzare tutte le genti”.
Da Mccj Bulletin n. 242 suppl. In Memoriam, ottobre 2009, pp. 70-76.