In Pace Christi

Pisoni Giuliano

Pisoni Giuliano
Data di nascita : 19/05/1942
Luogo di nascita : Calavino/TN/Italia
Voti temporanei : 09/09/1966
Voti perpetui : 09/09/1969
Data ordinazione : 04/04/1970
Data decesso : 27/09/2010
Luogo decesso : Alenga/UG

P. Giuliano Pisoni era nato a Calavino, provincia di Trento, il 19 maggio 1942. Frequentò le scuole medie (1956-1961) nei nostri seminari di Trento e Padova e le superiori (1961-1964) nella nostra casa di Carraia (Lucca). Fece il noviziato a Gozzano (Novara), dove emise i voti temporanei il 9 settembre 1966. Per la teologia fu mandato a Venegono. Fu ordinato sacerdote il 4 aprile 1970.

In Uganda
Subito dopo l’ordinazione, P. Giuliano fu assegnato all’Uganda, dove in pratica spese tutti i suoi trentanove anni di vita sacerdotale e missionaria. Durante questo periodo ha avuto una numerosa corrispondenza epistolare con i superiori, in cui possiamo facilmente intravedere la sua personalità aperta e il desiderio di condividere quello che accadeva nella sua missione, nella sua vita e nella sua famiglia.

Da Sunningdale, dov’era stato mandato subito dopo l’ordinazione, scriveva: “Sono qui da poco più di un mese per imparare l’inglese che mi servirà in Uganda. L’ho trovata una lingua completamente nuova e difficile ma spero con il passare del tempo di cavarmela abbastanza bene. L’entusiasmo non mi manca e spero di partire presto per la missione”. Per prepararsi meglio, chiese e ottenne il permesso di prolungare per altri sei mesi lo studio della lingua.

Arrivò in Uganda il 12 ottobre 1971, nella diocesi di Lira, dove è rimasto per tutti questi anni, andando in quasi tutte le missioni, in alcune per due periodi.

Rimase alcuni mesi ad Aboke con P. Bruno Marcabruni, un veterano della missione, che lo introdusse allo studio della lingua lango e al servizio pastorale. In seguito, fu mandato a Iceme e, nel 1974, ad Aduku, con P. Enrico Redaelli, che scrive: “Ho trascorso qualche tempo con P. Giuliano, nella missione di Aduku. Era un appassionato di fotografia. Ricordo che una mattina lo vidi uscire dalla sua stanza con la scopa in mano, invece della solita macchina fotografica: con calma, spingeva fuori dalla porta un serpentello che aveva trovato sotto il letto! Subito, corsi a guardare sotto il mio letto. Eravamo tutti e due missionari in erba! E il periodo che abbiamo trascorso assieme ci ha probabilmente aiutati entrambi a riflettere su alcune situazioni pastorali, ad uscire dagli schemi mentali ai quali eravamo abituati, a preoccuparci di fare le cose più col cuore che con la testa, a considerare le persone più importanti dell’orario e l’evento più del cerimoniale”.

Amolotar
Nel 1977 fu assegnato alla parrocchia di Amolotar con P. Egidio Ferracin. Fu in quel periodo che P. Giuliano, rientrato in Italia per le vacanze, sembrava dovesse trattenersi più a lungo, per l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre, ormai cieco e nell’impossibilità di camminare. Invece, due mesi dopo, il padre morì, e non ci fu bisogno di cercare un confratello che lo sostituisse in Uganda.

Successivamente, fu mandato ad Alito. Il 1979 fu un anno molto difficile e sofferto per l’Uganda, a causa della guerra di liberazione combattuta contro i soldati di Idi Amin Dada, occupati più che altro a saccheggiare e a fuggire. Al termine di questa guerra, il Superiore Generale, P. Tarcisio Agostoni, dopo un sopralluogo nella provincia ugandese (maggio 1979), scrisse in Familia Comboniana n. 337: “La regione che ha sofferto di più è quella tra i Lango, nel cui capoluogo, Lira, sono stati uccisi P. Giuseppe Santi e il sacerdote ugandese P. Anania Oryang. In molti casi i padri sono stati sottoposti ad angherie e intimidazioni da parte dei soldati di Amin e hanno sofferto, inoltre, per il lungo isolamento che li aveva tagliati fuori da ogni comunicazione con le altre missioni. Le sofferenze della gente locale a causa dei massacri e dei soprusi hanno pesato fortemente sugli stessi missionari. Le missioni di Aber e di Ngeta (Lira) hanno subito danni gravissimi”.

Di fronte a questa situazione di necessità, P. Agostoni, chiese a P. Giuliano di continuare a lavorare in Uganda, trasferendosi magari tra gli Alur del West Nile se non si sentiva più di lavorare nella diocesi di Lira. P. Giuliano ritornò ad Alito. Per capire un po’ i pericoli e le difficoltà di quegli anni difficili in Uganda, tra i tanti episodi, ricordiamo il seguente, riportato nel suo diario: “Il 13 dicembre del 1980, ore 20.30 e quindi già immersi nel buio, attorno alla missione si sono sentiti degli spari, risa e canti che si avvicinavano. Sentendoli ormai dietro la nostra casa, abbiamo pensato subito al peggio. Poco dopo abbiamo udito degli spari provenire dalla casa del nostro cuoco, di origine lotuko. Quando tutto è ritornato tranquillo, abbiamo mandato i due guardiani a vedere cosa era successo. Hanno trovato una figlia del cuoco morta, un’altra moribonda e il cuoco ferito alla gamba. Era stato un soldato che si era presentato dal cuoco con un mitra, accompagnato da alcuni vicini. Il gruppo, dopo avergli rubato il letto, l’orologio e la radio, per non essere accusati avevano convinto il soldato a sparare, causando un morto e due feriti. P. Egidio Ferracin è partito subito in macchina, per portare i feriti all’ospedale di Aber. Così sono rimasto da solo nella missione, poiché anche i due guardiani erano scappati per paura”.

Nel 1982 P. Giuliano venne assegnato alla parrocchia di Minakulu. In quell’occasione scrisse al provinciale: “Lascio la parrocchia di Alito con un po’ di tristezza, com’è naturale, dopo aver trascorso, lavorato e sofferto per quasi tre anni. Tuttavia sono sempre disposto a fare la volontà del Signore”.

Negli ultimi anni, dopo essere stato di nuovo ad Aduku, fino alla consegna di questa alla diocesi (2008), P. Giuliano fu assegnato alla missione di Alenga. In settembre, rientrato dalle vacanze in Italia, giunto a Kampala, il provinciale gli fece presente la necessità di spostarsi nella missione di Ngeta, vicino Lira, per sostituire P. Luigi Polini, deceduto recentemente. Si mostrò subito entusiasta di andare in una nuova comunità e iniziare a lavorare in una nuova missione.

Vittima di un incidente stradale
P. Giuliano è morto il 27 settembre 2010 per un incidente stradale nei pressi del villaggio di Ibuje, a pochi chilometri dalla cittadina distrettuale di Apac, mentre viaggiava in moto per trasferirsi da Alenga a Ngeta. P. Pinuccio Floris era già partito con la sua roba caricata su un camioncino (pickup). Lungo la strada, è sopraggiunto un altro motociclo con tre persone a bordo, che proveniva dalla direzione opposta ma procedeva sullo stesso lato di P. Giuliano. Lo scontro è stato inevitabile. P. Giuliano è morto all’istante per un violento colpo alla testa causato dal manubrio dell’altra moto.

Il corpo è stato riportato alla missione di Alenga e la sera seguente c’è stata una veglia di preghiera, ripetuta la sera dopo a Ngeta, dove si è svolto il funerale, celebrato da Mons. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira, con Mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, e Mons. Giuseppe Filippi, vescovo di Kotido, alla presenza dei confratelli e di una moltitudine di religiose, sacerdoti diocesani e fedeli. La salma è stata tumulata nel cimitero della missione di Ngeta, fra la gente per la quale ha speso gran parte della sua esistenza e alla quale ha donato la sua carità e il suo impegno.

Testimonianze
Il provinciale: “P. Giuliano era una persona che trovava il modo di esprimere i suoi sentimenti apertamente e con chiarezza e a questo riguardo non esitava a lamentarsi con la procura di Kampala o di Lira se pensava che qualche operazione finanziaria non fosse stata eseguita bene. Sembrava avesse sempre una risposta immediata per ogni situazione. Si esprimeva con umorismo anche in situazioni difficili”.

Il nipote Alessandro: “Era un grande uomo, ci scriveva sempre tante lettere, mandava foto e, ultimamente, anche video della vita che conduceva in Uganda e della sua gente. Lettere semplici di una persona semplice e di un cuore grande che non riusciva a contenere tutto in sé, ma sentiva il bisogno di condividerlo con gli altri. Noi, cercavamo di sostenerlo anche economicamente ad aiutare più gente possibile attraverso i suoi progetti che gli hanno dato la possibilità di sostenere veramente molte persone, senza chiedere nulla in cambio”.

Aliwang
Stralciamo da un paio di lettere di P. Giuliano. “Altra novità è che nella missione di Aliwang abbiamo cominciato a dare una scodella di ‘mosa’ (farina gialla e zuccherata, quasi liquida, che ben conosciamo in Trentino) a tutti i bambini presenti nel campo di raccolta, ma anche negli altri campi. Sono quattro pentoloni che vengono svuotati in un attimo! Arrivano già due ore prima con i loro piatti di plastica e rimangono in attesa fino alla distribuzione. Sono almeno 400 perché ci sono anche tutti i ragazzi della scuola. Per i più piccoli, abbiamo iniziato a dare qualche lezione di lettura sotto i manghi. Non so se i piccoli accettino volentieri di essere istruiti ma, per nostra e loro fortuna, dopo c’è la ‘mosa’”. (Giugno 2005)

Campi profughi
“Olara Otunnu, ex sottosegretario generale dell’Onu, ci dice che 1000 profughi di etnia acholi muoiono ogni settimana nei 200 campi del Nord Uganda: 50.000 l’anno e, di questi, oltre un terzo sono bambini. Il campo è un agglomerato di capanne di fango vicinissime fra loro. Dentro solo una pentola e tre sassi come fornello. In cinque metri quadrati dormono in otto. Il cibo viene distribuito ogni due mesi. Il 40% dei bambini è denutrito. Sbucano da tutte le parti quando arriva uno straniero, si spingono e attendono una caramella o una moneta.

Dopo vent’anni di guerra civile e le infinite atrocità dei ribelli di Kony, dopo che i loro villaggi sono stati attaccati e 20.000 giovani sono stati portati via, anche i più ostinati sono stati convinti dai bombardamenti dell’esercito regolare a rifugiarsi nei campi.

Campi per profughi, come li definisce il governo, o campi di concentramento per un lento sterminio? Qui troviamo un processo di distruzione della persona: gente che una volta lavorava e mandava i figli a scuola, ora è costretta a chiedere l’elemosina, a non fare niente tutto il giorno, senza prospettive.

Il campo profughi ti resta addosso con un orizzonte cieco. Eppure lo sguardo ti cade su un’altra capanna, i cui bambini paiono veramente troppi. ‘Non sono tutti nostri, - spiega la donna - abbiamo preso con noi gli orfani di una vicina morta di Aids’. Allora capiamo meglio quello che ci ha detto il vescovo di Lira: il regno di Dio è anche qui. Il regno di Dio cresce anche in mezzo al fango!”. (Ottobre 2006)

Il saluto dei sacerdoti diocesani della diocesi di Lira
I sacerdoti diocesani, riuniti per il funerale, hanno detto che P. Giuliano era sempre stato per loro un grande compagno e amico. Generosamente, ha spesso condiviso con loro i beni materiali che la Provvidenza e gli amici e parenti dall’Italia gli mandavano. Dal punto di vista spirituale, contribuiva positivamente alla formazione di parecchi sacerdoti che erano inviati, per l’esperienza pastorale, nelle missioni dove lui lavorava, specialmente ad Aduku e Alenga.

Questi sacerdoti hanno voluto inviare un messaggio alla sua famiglia: “Carissimi membri della famiglia di P. Giuliano, desideriamo informarvi che abbiamo perso un fratello sacerdote e servo di Dio che a noi è stato sempre tanto caro. Non vogliamo giudicare dal proverbio che ‘la morte è una pessima mietitrice che sempre cerca il frutto acerbo’. Come persone di fede, invece, vogliamo ripetere a una sola voce la parola di Dio: ‘Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!’ (Giobbe 1,21). Accettate il nostro messaggio di condoglianze. Possa il Signore consolare l’intera famiglia dei Missionari Comboniani, il vescovo della diocesi di Lira e tutti voi suoi familiari in Italia. Soprattutto, possa donare a P. Giuliano la pace eterna nel suo regno per il quale ha così tenacemente lavorato insieme con noi in questi trentanove anni”.
P. Hategek’Imana Sylvester, mccj

Da Mccj Bulletin n. 247 suppl. In Memoriam, gennaio 2011, pp. 52-57