P. Emilio Fanzolin aveva un grande cuore, sapeva amare, condividere, riconoscere i suoi limiti, sapeva pentirsi degli errori, per gridare a voce alta la gioia di essere consacrato e per lottare con speranza nelle avversità della vita.
La vita
Emilio era nato a San Siro di Bagnoli di Sopra in provincia di Padova. Dopo aver frequentato le scuole elementari nel collegio diocesano di Thiene, per le scuole medie passò al seminario diocesano di Padova, dove rimase fino alla fine della seconda liceo. In quegli anni cominciò a sentire l’attrattiva per la vocazione missionaria. Proseguì gli studi nel seminario di Chioggia, dove fu ordinato sacerdote il 21 settembre 1963. Nel frattempo, aveva fatto i passi necessari per entrare nell’Istituto comboniano. Così, subito dopo l’ordinazione, poté entrare nel noviziato di Firenze, dove emise i primi voti nel 1965.
P. Emilio ha speso la sua vita missionaria tra il Portogallo (tre periodi per un totale di diciassette anni) e il Mozambico (altri tre periodi per un totale di ventinove anni), condividendo con la gente i momenti storici e drammatici, le speranze e le illusioni che hanno segnato la vita di questa nazione.
In missione
Nel 1965, subito dopo i primi voti, P. Emilio fu mandato in Portogallo, prima come formatore nel seminario di Famalicão, poi come promotore di vocazioni e per l’animazione missionaria a Maia. Nel 1969 – un anno dopo la professione perpetua – fu destinato alla provincia del Mozambico dove rimase fino al 1974. Lavorò nelle comunità e parrocchie di Boroma, Mutarara, Gambula, Maputo, Sena e Chemba, impegnato soprattutto nel ministero pastorale. Per il Mozambico, erano anni segnati da grandi cambiamenti e risultati sul piano politico, ecclesiale e pastorale. Leggiamo ciò che scriveva Mons. Franzelli a proposito di quegli anni: “Il Concilio Vaticano II porta una ventata di rinnovamento nella Chiesa e trova nel vescovo di Nampula, Mon. Vieira Pinto, un coraggioso interprete, appoggiato dal gruppo comboniano. È di questi tempi il Centro catechistico di Anchilo… All’ideale della ‘cristianità’ subentra una nuova visione di Chiesa e missione, in cui l’evangelizzazione comprende e sostiene i diritti e la dignità della persona e dei popoli” (Mondo Comboniano, G. Franzelli, 2004). Nel 1975 la nazione ottenne l’indipendenza, ma subito dopo iniziò la guerra civile che per anni ha insanguinato il paese.
Dal 1974 al 1981 P. Emilio fu destinato nuovamente al Portogallo, Maia e Famalicão, come promotore vocazionale. Ritornò poi in Mozambico. Nel 1995 rimase un anno a Roma per seguire il Corso di Rinnovamento e alla fine del corso fu mandato di nuovo a Maia, Portogallo, nel Postulato, incaricato dell’animazione missionaria. Nel 2002 fu assegnato di nuovo al Mozambico, a Maputo e a Beira, dove è rimasto fino alla morte, sopraggiunta il 26 ottobre 2011, a Beira, per un malore, mentre guidava. Stava tornando da Charre, dove aveva partecipato al funerale di P. Bruno Boschetti, saveriano, morto improvvisamente, con il quale P. Emilio collaborava, seguendo soprattutto i giovani nel discernimento vocazionale.
Testimonianze
P. José Luis Rodríguez López, provinciale del Mozambico.
P. Emilio, l’uomo sorridente che suscitava simpatia e incoraggiava con entusiasmo le persone che lo avvicinavano. Con i suoi settantaquattro anni ha sempre saputo trasmettere la passione per la missione. Instancabilmente ha raggiunto molti luoghi per animare e condividere, con la sua particolare allegria, le tante conoscenze catechetiche, pastorali, vocazionali e missionarie.
Umano ed espressivo, si avvicinava a tutti con un abbraccio e una stretta di mano manifestando il suo affetto e il rispetto per le persone. Non posso dimenticare l’espressione dei suoi occhi, cara a tutti. Nell’aprire e chiudere quegli occhi ha saputo trasmettere il suo grande amore per questo popolo. Essere sincero e dire le cose come stanno, erano sue caratteristiche personali che alimentavano il suo essere umano e semplice. Nel suo modo di parlare esprimeva il desiderio che tutti, soprattutto i giovani, vivessero e partecipassero alla gioia di essere cristiani, di essere Chiesa, di essere missionari e di essere Comboniani.
P. Giacomo Palagi (lettera al fratello e cognata di P. Emilio)
Carissimi Piero e Bertilla, non è passato tanto tempo da quando ci siamo visti a Tete in compagnia di P. Emilio. So che vi ha fatto sperimentare giorni bellissimi e l’incontro con il popolo Mozambicano, là dove lui ha operato, ha amato ed è stato amato: a Beira, a Tete, a Mutarara, a Sena e Chemba, infine a Maputo. In ognuno di questi luoghi ha lasciato il segno della sua passione missionaria, della sua donazione come sacerdote, della sua allegria contagiosa. E, anno dopo anno, la gente l’ha aspettato, l’ha sempre accolto con gioia, ha bevuto alla Parola di Dio che sapeva trasmettere con entusiasmo e convinzione... ai giovani, soprattutto ai giovani, ai quali proponeva senza mezzi termini la via della consacrazione totale per la missione, e che convinceva con il suo esempio di vita missionaria.
A Mutarara è andato con voi, Piero e Bertilla: credo che questa sia stata la missione a lui più cara, quella cui ha dato di più, dove ha sofferto di più, ma in cui la gente gli ha dato più soddisfazioni e l’ha ricompensato con la più grande amicizia e stima che un missionario possa desiderare. A Mutarara, nelle mie visite apostoliche di questi ultimi due anni, il nome e il ricordo di P. Emilio veniva sempre fuori, ricordando episodi e momenti del periodo della guerra, ma sempre con la gratitudine di chi ha sentito in lui un padre e un fratello che nel bisogno era sempre presente. Avete anche conosciuto P. Bruno Boschetti nel vostro viaggio a Charre, i confratelli Saveriani e la comunità delle suore: una realtà missionaria bellissima, che sta facendo un lavoro di prim’ordine in una zona irrigata dai sudori e dal sangue di grandi missionari. Qui P. Emilio si sentiva bene, vi andava spesso, vi seguiva molti giovani per un discernimento vocazionale, soprattutto vi ritrovava la passione per la missione, vissuta e praticata da questi splendidi missionari, di cui P. Bruno era l’animatore. P. Bruno, nella mia ultima visita alla missione, mi ha ringraziato, come comboniano, per il grande aiuto che P. Emilio stava dando alla parrocchia. Qui si sentiva apprezzato per il suo faticoso lavoro di animazione missionaria e parrocchiale e si sentiva ripagato per l’amarezza del rifiuto che a volte è venuta da parte di alcune equipe missionarie e parrocchie.
Ecco, la morte di P. Bruno è stata l’occasione dell’ultimo viaggio di P. Emilio. Credo che lo abbia intrapreso con il cuore già in fibrillazione, già stanco da altri giorni di viaggio e di lavoro stressante. Non so come abbia trascorso i due giorni del suo arrivo e del funerale a Charre. Spero di raccogliere qualche testimonianza di quelle ore: era stanco, era triste, era dubbioso? Si sentiva male? Credo tutto questo insieme. Qualcuno avrà notato qualcosa? Qualcuno gli avrà detto che forse era troppo presto per rimettersi in strada? Senz’altro aveva altri impegni sulla sua agenda e non poteva mancare. Poi la strada del ritorno, la sonnolenza, il compagno di viaggio al suo fianco che si accorge di qualcosa che non va nella sua guida, peraltro sempre sicura, lo fa accostare, ma è già troppo tardi. P. Emilio si accascia sul volante: è già morto.
Ecco, carissimi Piero e Bertilla, carissimi tutti, familiari di P. Emilio, parrocchiani e amici, è una perdita grande per tutti: per noi che da poco lo avevamo visto e salutato, per questa Chiesa del Mozambico che ha perso un grande missionario, per la nostra gente che ne saprà custodire la memoria, per i giovani che ha aiutato nella scelta di vita, per i catechisti e i responsabili delle comunità cristiane, che lo ricordano valido maestro della Parola di Dio… Per voi tutti, che sempre lo avete aspettato e accolto nei suoi brevi momenti di riposo al suo paese natale.
P. Arlindo Ferreira Pinto
È con grande dolore che ricevo questa notizia inaspettata. Di P. Emilio ho tanti bei ricordi, sia in Portogallo sia in Mozambico. Ovunque era considerato un grande sacerdote e missionario. Un grande comboniano. Viveva della Parola di Dio e la sua visione della missione era prima di tutto annuncio e testimonianza di Cristo. Il resto era secondario. Leggeva e rifletteva molto sulla Bibbia, la teologia e la missione. Ci teneva a essere aggiornato. Credeva in ciò che diceva e metteva tutto il suo cuore in quello che faceva. Sono certo che sarà ricordato più di qualsiasi altro missionario perché, ovunque è stato, ha sempre lasciato buoni ricordi e nostalgia. I suoi occhi e il suo sguardo, indimenticabili, rimanevano impressi nella mente dei cristiani e dei parroci, dei collaboratori e dei benefattori, degli amici e dei confratelli.
Don Angelo Busetto
Non è cambiato per nulla Emilio Franzolin, da quando eravamo insieme negli anni del seminario a Chioggia. Il volto acceso, gli occhi chiari, la corporatura solida, il temperamento tenace, l’entusiasmo coinvolgente, l’amicizia fedele. Perfino la sua intraprendenza, la vivacità, lo spirito di iniziativa non sono venuti meno con il passar degli anni. E nemmeno il suo amore forte e totale al Signore Gesù e ai fratelli che gli venivano donati. Morto mentre guidava la macchina per recarsi in una parrocchia della missione. Morto in strada, morto ‘nudo’, secondo il suo ideale di vita, come ci racconta uno degli otto fratelli, poiché nell’ultimo mese era stato derubato due volte e gli avevano preso tutto. Era stato consacrato sacerdote dal vescovo Piasentini nel 1963 e poi il suo ardore l’aveva condotto tra i missionari comboniani, dediti in modo specifico all’Africa. A lunghi intervalli di tempo tornava in Italia e sempre veniva a cercare i vecchi amici, raccontando e dialogando appassionatamente. Gli era stato affidato il compito di ‘animatore vocazionale’, qualche anno in Portogallo e tanti anni in Mozambico, condividendo il dramma della guerra, dei profughi e rifugiati del Malawi, delle ingiustizie, e rispondendo alla fame e sete di Cristo del popolo africano. Folle di giovani si riunivano a guardarlo e a sentirlo parlare per ore e molti l’avevano seguito sulla via della consacrazione sacerdotale e religiosa. Ha contribuito a realizzare il motto di san Daniele Comboni ‘Salvare l’Africa con l’Africa’. Catechista, animatore di ritiri e di giornate spirituali preparati con accuratezza, amava leggere e proporre in modo saporoso la Bibbia, nelle cui pagine aveva scoperto la passione travolgente di un Dio che in Gesù si è lasciato crocifiggere anche per il popolo d’Africa crocifisso da ingiustizie e guerre. Di Daniele Comboni ha assimilato in modo particolare il coraggio dell’intrapresa, fino a sfidare gli oppressori del suo popolo; ne ha assimilato la schiettezza: non aveva paura di dire anche le cose più scomode in difesa della sua gente, senza calcolare rischi e conseguenze, sempre disposto a pagare di persona. Tenacemente sorridente e combattivo, brillava di una giovinezza instancabile nei suoi settantaquattro anni di età. Lo rilevava P. Davide De Guidi, suo compagno di missione, alla messa funebre concelebrata al suo paese di San Siro di Bagnoli di Sopra, da una quindicina di preti, in una chiesa gremita di gente, sabato 29 ottobre. Lui fisicamente non c’era; il suo corpo è rimasto in Mozambico, dove è stato sepolto e dove ha ricevuto il saluto e la preghiera di migliaia di persone, lui che ne era diventato voce e protettore, educatore e sostenitore. P. Emilio percorreva strade impervie per raggiungere i villaggi, parlava la lingua della gente e i loro dialetti, invadeva e conquistava il cuore delle persone con il suo parlare diretto ed essenziale, che diceva le cose che servono alla vita e accendono la speranza. Rimane in Africa. Come semente evangelica che porta frutto.
Da Mccj Bulletin n. 251 suppl. In Memoriam, aprile 2012, pp. 19-24.