In Pace Christi

Pellegrini Franco

Pellegrini Franco
Data di nascita : 19/07/1945
Luogo di nascita : Giovo/TN/Italia
Voti temporanei : 09/09/1967
Voti perpetui : 11/12/1970
Data ordinazione : 17/04/1971
Data decesso : 01/12/2011
Luogo decesso : Salvador/BA/Brasile

“Ci sono persone che sanno illuminare la vita degli altri con un semplice sorriso. Ci sono persone che fanno dono totale della propria vita per gli altri. Tu eri uno di loro, il tuo sorriso sarà sempre con noi. Sei stato un padre, un amico e un papà. Grazie”. Sono le parole dell’ultimo saluto rivolto a P. Franco dai suoi parrocchiani di Sussuarana. P. Franco Pellegrini era nato a Palù di Giovo, in provincia di Trento, il 19 luglio 1945, quarto dei cinque figli di Gino e Anna Simoni. Fin dall’infanzia, Franco respirò l’angustiante clima del dopoguerra: vita dura per quelli che vivevano di un fazzoletto di terra, soprattutto subito dopo gli orrori del conflitto mondiale. “La mia vocazione – dirà in occasione del suo 40° di sacerdozio – è nata in un contesto sensibile ai valori umani, ecclesiali e specialmente missionari. In quel di Palù sono stato preceduto da vari missionari conosciuti e ammirati”.

I Comboniani presenti a Trento visitavano fin da allora molti paesi del Trentino; conobbero anche il piccolo Franco e gli proposero la vocazione missionaria. Nel 1956, pur non avendo totale chiarezza di ciò che significava donarsi alle missioni, Franco entrò nel seminario comboniano di Muralta per percorrere lo stesso cammino di tanti altri ragazzi generosi e idealisti della sua terra. Il Trentino infatti era la provincia che aveva dato più Comboniani all’Istituto. In seconda media passò a Padova fino al liceo che fece a Carraia (Lucca).

Nel 1965 entrò in noviziato a Gozzano dove emise i primi voti il 9 settembre del 1967. Fece i primi tre anni di teologia a Venegono ed il quarto a Roma. Durante quegli anni di formazione conobbe i venti del sessantotto e l’ondata innovatrice del Concilio Vaticano II, nonché il rinnovamento del Capitolo Generale comboniano del 1969. La sua mente, già aperta ad una Chiesa intesa come ‘popolo di Dio’ a servizio della vita e dei poveri, si sentì ancora più confermata da questa ‘primavera ecclesiale’. Fu ordinato sacerdote il 17 aprile del 1971 a Lavis, dove la famiglia si era trasferita qualche anno prima. Frequentò il corso per l’America Latina al CUM di Verona e nel febbraio del 1972 si trovava già in Brasile Nordest, nella diocesi di Balsas, stato del Maranhão, culla dei Comboniani fin da quando erano arrivati, nel giugno del 1952.

In Brasile
Passò alcuni mesi nella città di Balsas aiutando nella pastorale e imparando la lingua e le tradizioni del popolo. Si rese subito conto della struttura sociale e religiosa della cittadina che, a quel tempo, contava circa 8.000 persone. In una lettera ai familiari, esprimeva così la sua predilezione evangelica: “I bairros (quartieri) di Balsas sono cinque, abitati da “impresari”, ingaggiati cioè nell’impresa della fame e della sopravvivenza. Gli abitanti dei bairros partecipano pochissimo alla vita civile della città; neppure si recano a messa in centro: si vergognano di avere i vestiti sporchi o di non averli affatto. Sono queste le persone che mi stanno più a cuore”.

Alla fine del 1973, P. Franco venne mandato nella cittadina di Mirador dove fece comunità con P. Andrea Filippi. Aveva una vasta area da seguire. Giovane, pieno di idee e di vita, fin da subito cominciò a seguire anche la comunità di Sucupira do Norte, uno dei tanti paesini sperduti nel sertão del sud del Maranhão. Una regione senza infrastrutture, tipicamente agricola, con grandi latifondisti e allevatori di bestiame e un numero significativo di contadini senza terra. P. Franco trovò grande accoglienza e appoggio da parte del vescovo locale, il nostro confratello Mons. Rino Carlesi. Si dedicò ad animare e a fondare piccole comunità che già a quel tempo erano chiamate comunità ecclesiali di base (CEBs). Dopo alcuni anni a Mirador, P. Franco si trasferì a Sucupira do Norte per seguire più da vicino la gente e fare comunità con una coppia di missionari laici. Fu un’esperienza indimenticabile. Con loro iniziò a costruire la Chiesa viva, quella che si organizza, rivendica, denuncia, testimonia la giustizia e il diritto.

Rientro in Italia e di nuovo in Brasile
Nel 1977 fu richiamato per entrare in rotazione in Italia. Rimase a Padova per circa 3 anni lavorando principalmente con i giovani finché non fu destinato nuovamente alla diocesi che era stata il suo primo amore, Balsas. Nel 1980 era a Riachão, una cittadina a 70 km dalla sede della diocesi. È qui che riprese ciò che altri Comboniani avevano iniziato: le visite alle numerose comunità sparse su quell’esteso territorio, dando priorità alla formazione catechetica, ministeriale e biblica di catechisti e animatori e appoggiando l’organizzazione sindacale dei contadini che subivano i continui abusi e soprusi di latifondisti e allevatori di bestiame. Forse fu qui che, con maggiore chiarezza, P. Franco riuscì a capire e a fare la sintesi tra fede e impegno sociale, fede e giustizia. Non come qualcosa di parallelo, ma come due facce-dimensioni della stessa moneta. Gli anni ottanta rappresentarono per la Chiesa e per la società brasiliana la decade più effervescente da un punto di vista di impegno e organizzazione sociale e politica. P. Franco intuì che si stava costruendo un nuovo paese e una nuova Chiesa. La dittatura militare aveva i giorni contati e la Chiesa, col suo modo di concepire la sua missione evangelica attraverso le numerose e attive comunità ecclesiali, contribuì notevolmente ad accelerare la sua fine. P. Franco accettò di essere il coordinatore, a livello diocesano, delle centinaia di CEBs della diocesi e, anche all’interno della provincia, ne divenne uno strenuo promotore e difensore. In questo troviamo le basi per capire tutta la sua attività nei vari luoghi in cui è passato: non ha mai smesso di concepire la Chiesa come ‘popolo di Dio’ sempre in cammino, nel quale tutte le persone sono chiamate a partecipare e a decidere in comunione e con uguale responsabilità. Dopo alcuni anni, riflettendo sulla sua presenza tra queste comunità, scriveva: “È stato proprio dentro queste comunità che ho trovato il mio posto di missionario. Con loro ho riscoperto il Vangelo che mi ha spinto ad assumere le mie responsabilità nella famiglia di Dio. Lo Spirito del Signore, l’ho trovato presente ovunque: mi ha aiutato a resistere alla tentazione di voler realizzare certi schemi che la mia mente accarezzava. Un giorno, in una delle comunità di base che visitavo una volta al mese per la Messa, la gente mi ha detto: ‘Oggi, non celebriamo l’Eucaristia; nella comunità c’è stato un omicidio di cui siamo tutti responsabili. Sapevamo che tra due famiglie regnava l’odio ma non abbiamo fatto nulla per portarle alla riconciliazione’. Così, invece della Messa, abbiamo celebrato una liturgia penitenziale”.

P. Franco intuì che era in questo spazio che doveva reinventare anche il suo modo di essere sacerdote. Uno spazio in cui non esistono privilegi se non quello di servire. E proprio qui appare una delle dimensioni umane più spiccate della sua personalità: servire chiunque e in qualsiasi circostanza. P. Franco ‘aveva piacere a servire’, come affermava un confratello che lo aveva conosciuto bene e anche se a volte si accorgeva di ‘venire usato’, non si tirava mai indietro, incapace di dire di no a chi gli chiedeva un favore o un aiuto.

Formatore a São Paulo
Dopo quattro anni di servizio missionario a Riachão, fu chiamato dal Consiglio Generale per essere formatore nello scolasticato di São Paulo e assumere l’amministrazione parrocchiale di Santa Maddalena, dove c’era la casa di formazione degli studenti di teologia. Gli ex-scolastici, oggi sacerdoti, ricordano molto bene la presenza di P. Franco in quella struttura formativa e pastorale: “È stato grazie a lui, alla fiducia che ci dava, che abbiamo iniziato una presenza significativa tra i minori in situazione di rischio sociale di quel quartiere, fra le vittime della droga, accogliendo e seguendo bambini con handicap... P. Franco aveva intuito che sono queste esperienze che fanno maturare una persona, per di più consacrata al Regno: è qui che uno ha la possibilità di misurarsi con se stesso e discernere se può o meno essere missionario comboniano!”.

Vila Embratel
Nel 1989 tornò nel Maranhão, non più a Balsas bensì a São Luis, per circa dieci anni, nell’area di Vila Embratel, una vasta e caotica regione periferica della capitale con sfide sociali ed ecclesiali a non finire. La regione era in continua effervescenza socio-economica: lotte per l’occupazione del suolo urbano, industrializzazione accelerata, traffico di droga, violenza. Ma P. Franco non si spaventò.
L’esperienza di São Paulo lo aveva aiutato a ‘capire’ che non si trovava più in una sperduta cittadina agricola del sud dello stato, ma nelle violente e spersonalizzate periferie dei capoluoghi di stato. Fece comunità con P. Luigi Zadra, suo amico sin dai primi anni di seminario, il quale aveva lavorato, anche lui, per lunghi anni, nella diocesi di Balsas. Ne uscì una convivenza estremamente fruttuosa. Assieme, strutturarono parecchie comunità ecclesiali, ne seguirono le difficoltà e le preoccupazioni, organizzarono la prima ‘Romaria do trabalhador’ che tutt’oggi sussiste, crearono la ‘scuolina del popolo’ per bambini e ragazzi in situazione di rischio sociale. P. Franco intuì che ormai il Brasile era diventato il suo paese, la terra in cui sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni. Richiese e ottenne la cittadinanza brasiliana anche come segno di appartenenza sociale e culturale a un popolo per il quale nutriva affetto e ammirazione.

Potosi e Itupiranga, nel Maranhão
Nel 1999, dopo circa 10 anni passati a São Luis, andò a Balsas per quasi tre anni, prendendosi cura dell’area pastorale di Potosi, che allora non era ancora parrocchia. Si mise a disposizione della Chiesa locale, entrando anche a far parte dell’equipe di coordinamento pastorale della parrocchia di Santo Antonio e di quella diocesana, oltre a portare avanti il servizio missionario che gli era stato chiesto nella comunità comboniana di Potosi. Lì incontrò il suo amico e compagno di ‘vecchie battaglie’, Mons. Franco Masserdotti, comboniano e successore di Mons. Rino Carlesi. Collaborò con la diocesi a varie iniziative, in vista del giubileo dell’anno 2000, alla ricerca di campo promossa dall’Università di Brasilia sulla presenza della Chiesa nel Sud del Maranhão, e per il 50° anniversario (2002) della presenza comboniana nell’allora prelatura di Balsas. In quel momento la diocesi cominciava ad avere un maggior numero di sacerdoti diocesani locali e i Comboniani, già da alcuni anni, stavano lasciando il territorio. Si sentiva il bisogno di fare un bilancio storico e metodologico della presenza comboniana per tracciare un nuovo progetto di diocesi, dopo i grandi eventi ecclesiali del Concilio e delle conferenze latino-americane e la presenza comboniana.

Agli inizi del 2002 a P. Franco fu chiesto di spostarsi nella parrocchia di Itupiranga, una nuova comunità a circa 30 km da Marabá, la sede della diocesi, nello stato del Pará. La regione, ancora oggi, è conosciuta come una delle più violente del Brasile: ha il più alto indice di omicidi e molti di questi hanno come vittime contadini e sindacalisti che difendono il diritto alla terra. I Comboniani legarono immediatamente con le organizzazioni ecclesiali che operavano per la difesa dei diritti umani e P. Franco si fece notare subito per il suo interesse e impegno.

Salvador-Sussuarana
Agli inizi del 2004 gli fu chiesto di andare a Salvador-Sussuarana. I Comboniani avevano scelto questa città agli inizi degli anni 1980 per conoscere e seguire da vicino la popolazione afrodiscendente, numerosissima soprattutto nei quartieri e nelle periferie della città. La regione urbana prescelta era Sussuarana. P. Franco assunse il coordinamento pastorale parrocchiale e, per più di sette anni, garantì che la linea pastorale scelta dalla provincia fosse sempre presente nelle dinamiche dell’evangelizzazione di quel territorio.

“Ero stato – scrive P. Claudio Bombieri, provinciale – nella comunità di Salvador-Sussuarana poche settimane prima del fatale incidente e avevo parlato a lungo con P. Franco, in quei quattro giorni di visita. Uscii con lui una sera per alcuni rapidi incontri con i coordinatori e le coordinatrici della novena di Natale. Seguii con attenzione ciò che diceva, come si muoveva, notavo le espressioni del suo volto e pensavo dentro di me a come un sacerdote con oltre 40 anni di ministero riuscisse a mettere entusiasmo in ciò che diceva, tanto da lasciarci sbalorditi. Come se fosse un prete novello! Parlai di questa cosa con il suo confratello, P. Arturo Bonandi e lui, che lo conosceva bene, me la confermò. P. Franco, infatti, viveva il suo sacerdozio come qualcosa di permanentemente creativo, nuovo, sempre inedito”. “Con lo stesso entusiasmo – continua il comboniano P. Luigi Moser, suo cugino – difendeva anche le sue convinzioni e lo faceva in maniera così calorosa e martellante da essere quasi considerato testardo. La sua tenacia, la persistenza e l’insistenza nel difendere le linee dell’evangelizzazione della Chiesa brasiliana, il coraggio di esporsi senza aver paura di mettere a repentaglio la propria ‘immagine’ ma, allo stesso tempo, la fermezza nel non accettare, per esempio, certe cariche, perché consapevole dei propri limiti, hanno fatto di P. Franco un missionario ‘per tutte le stagioni’.

In questi ultimi vent’anni, è stato quasi sempre consigliere provinciale, segno della stima che i confratelli nutrivano nei suoi riguardi. Ho sempre ammirato la sua disponibilità, la sua attenzione verso le persone, la semplicità con cui cercava di venire incontro alle loro richieste. Alla sua morte, all’età di 66 anni, aveva la lucidità e la freschezza di un giovane e, pur accettando e beneficiando ‘dei diritti degli anziani’ – tra i quali già si considerava, dimostrava a tutte le generazioni di missionari come si possa maturare e invecchiare mantenendo sempre uno spirito ‘aggiornato’, con una visione critica e il senso della limitatezza umana”. P. Franco è morto il 1° dicembre 2011, vittima di un incidente automobilistico, poche ore dopo aver partecipato a una riunione con il clero diocesano. Il funerale ha avuto luogo nella parrocchia San Daniele Comboni a Salvador-Sussuarana, dove P. Franco è stato sepolto; i familiari infatti hanno accolto il suo desiderio di rimanere per sempre in Brasile.

Dice ancora P. Moser, suo cugino: “Nell’agosto del 2011 è rientrato in Trentino per partecipare alla manifestazione Sulle rotte del Mondo – Dall’America al Trentino per parlare di missione, una settimana d’incontri dei missionari trentini in quel continente, organizzata dalla Provincia e dalla diocesi. P. Franco era più felice che mai: ‘Queste vacanze sono state bellissime’, ripeteva. L’8 settembre, a Lavis, dove si trovava per festeggiare il suo 40° di ordinazione sacerdotale, gli fu chiesto come avrebbe riassunto questi anni di sacerdozio e di missione: ‘Una sola parola: grazie! Dal momento dell’ordinazione a oggi è stato un susseguirsi di incontri con gente e culture, opportunità di crescita umana ed ecclesiale, per cui mi ritengo davvero fortunato’. E per il futuro? ‘Una parola sola: serenità! In tutti questi anni di missione non ho mai chiesto ai superiori di andare in un posto anziché in un altro e neppure di cambiare perché stanco. Il fatto di essermi trovato bene in ogni luogo, direi quasi di essermi trovato ogni volta meglio, sempre più ricco di esperienza umana e pastorale, questo mi lascia tranquillo quanto al futuro’”.
Da Mccj Bulletin n. 251 suppl. In Memoriam, aprile 2012, pp. 42-49.