In Pace Christi

Maccani Bruno

Maccani Bruno
Data di nascita : 29/06/1923
Luogo di nascita : Riva del Garda/Italia
Voti temporanei : 07/10/1942
Voti perpetui : 07/10/1947
Data ordinazione : 06/06/1948
Data decesso : 19/08/2015
Luogo decesso : Castel d’Azzano/Italia

P. Bruno era nato a Riva del Garda (Trento) il 29 giugno 1923. Entrato dai Comboniani, emise i primi voti il 7 ottobre 1942 nel noviziato di Firenze. Passato a Verona per la teologia, fece lo scolasticato a Venegono e a Rebbio. Fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1948. Lavorò per un anno nella redazione di Nigrizia a Verona e fu poi assegnato al Sud Sudan.

Sono un Topossa anch’io
Arrivato in Sudan nel 1950, lavorò nelle missioni di Cukudum e Kapoeta, nel vicariato di Juba. Seguiamo la descrizione di P. Adriano Bonfanti, nel suo libro “Espulsi dal Sudan”, per capire la drammatica situazione politica e religiosa di quelle zone.

A Cukudum (1950-1953), P. Bruno lavorò fra i Didinga e i Boya, tribù di pastori primitivi che erano spesso in lotta tra loro e con i Topossa, per i furti di bestiame. Le autorità approfittavano, anche loro, di queste scorribande per appropriarsi del bestiame. Oltretutto, cominciarono a vedere nel cristianesimo – visto che le conversioni avevano assunto un ritmo travolgente – il primo nemico dei loro interessi, nazionali e musulmani.

P. Bruno fu mandato poi a Kapoeta, dove rimase dal 1953 al 1963. Le misure restrittive del governo musulmano (dopo il 1956) partivano quasi sempre dal distretto di Kapoeta e si estendevano in seguito anche alle altre missioni del Bahr el Gebel. Il governo voleva creare, con i Topossa, una fascia musulmana ai confini con il Kenya, il Congo e l’Uganda per prevenire l’influsso cristiano dall’esterno. Al tempo di P. Bruno, i Topossa erano circa 120.000. I cristiani rappresentavano il 20% della popolazione. Negli ultimi anni della sua permanenza, le richieste di entrare nella Chiesa cattolica erano di una frequenza talmente eccezionale che in poco tempo l’intera tribù dei Topossa sarebbe stata battezzata. Ma le punizioni e le sevizie inflitte a quanti erano o desideravano diventare cristiani aumentavano di intensità. Per capire meglio questa situazione, riassumiamo in breve dal Bollettino N° 48 (13.6.1958, p. 1377) la prima parte del paragrafo dedicato proprio a Kapoeta, 1956: “Le prigioni di Kapoeta sono strapiene. Tra i detenuti ci sono anche tre maestri cristiani. P. Bruno Maccani, col permesso dell’autorità, celebra la Messa nelle prigioni. In dicembre cominciano i processi. In febbraio arriva l’ordine di fucilare cinque condannati a morte. Uno di essi è cristiano. Gli altri si fanno istruire da lui, parlandosi da dietro le sbarre. Poi si battezzano reciprocamente. P. Bruno va a trovarli: non parlano né di parenti, né di altro; solo di Paradiso. Il capitano – un nubiano musulmano – rimane meravigliato e si congratula con P. Bruno per tanto coraggio: ‘La tua religione è veramente buona!’ e gli promette di farlo assistere all’esecuzione, ma poi un ordine superiore lo vieta. P. Bruno, comunque, è lì quando salgono sull’autocarro e li saluta. ‘Padre – gli dicono – abbiamo pregato tutta la notte… Siamo molto contenti che tu sia venuto’. Uno di loro aggiunge: ‘Padre, kotya Paradiso qa [andiamo in Paradiso, lasciaci]. Maccani piange di commozione e li benedice col SS. Sacramento che aveva portato per amministrare il viatico”.

Sui suoi primi anni di esperienza missionaria in Sudan, dove era arrivato ancora al tempo della colonizzazione inglese, P. Bruno ricordava che allora i sudanesi godevano di pace e di libertà, le missioni avevano le loro scuole, cliniche e altre opere di promozione e sviluppo umano e sociale.

Con l’arrivo al potere dei musulmani erano cominciate le difficoltà anche per i missionari cristiani, le restrizioni divennero sempre più severe fino a proibire loro di uscire dalla missione e di evangelizzare la gente del sud. Chi violava queste leggi veniva espulso immediatamente e infatti, il 30 gennaio 1963, anche P. Maccani arrivò a Roma, espulso dal Sud Sudan.

Ritornò in Italia con la morte nel cuore. Avremmo molto più materiale sulla storia delle missioni fra i Topossa se P. Maccani si fosse deciso a scrivere le sue esperienze. ‘Varie volte mi accinsi a stendere i ricordi degli ultimi mesi di persecuzione – scrive in una lettera dell’8 giugno 1963 – ma smisi subito perché mi davano un senso di scoramento. Soffro a pensarci. Tenterò ancora. Avrei molto materiale, ma non sono più abituato a scrivere. Sono inselvatichito fra i miei Topossa. Sono un Topossa anch’io’.

Dopo alcuni mesi nel ministero a Troia (Italia) e a Bradford (Inghilterra), P. Bruno si preparò a partire per l’Etiopia.

Fra i Sidamo
Quando nel dicembre del 1964 P. Bruno Maccani e P. Bruno Lonfernini misero piede nell’allora piccola città di Hawassa, dopo un lungo viaggio a dorso di mulo, si apriva il futuro di una Chiesa locale.

P. Bruno, dopo due anni ad Awassa, fondò la missione di Fullasa (1966-1975). In quegli anni entrò in contatto con la parrocchia milanese degli Angeli Custodi. “Si occupava della popolazione dei Sidamo – ha scritto una parrocchiana del gruppo dei sostenitori, nella sua testimonianza – un’etnia etiope che vive in una zona molto vasta. Per questo, quando gli chiedemmo come avremmo potuto essergli utili, ci disse che avrebbe avuto bisogno di un mezzo che gli consentisse di raggiungere i ‘suoi’ villaggi più velocemente. Fu così che, con il ricavato di un’operazione quaresimale dei nostri ragazzi dell’oratorio (e con l’intervento della parrocchia che coprì il mancante), gli fu regalata una moto! Questo è solo uno dei tanti episodi che hanno caratterizzato il gemellaggio, durato parecchi anni, tra gli Angeli Custodi e i Sidamo”. E in una lettera di ringraziamento per i fondi ricevuti dalla parrocchia, nel 1973, P. Bruno scrive al parroco, don Peppino: “La ringrazio per la generosa offerta raccolta tra la comunità parrocchiale e spedita a me attraverso i miei confratelli. In questo tempo stiamo attraversando un periodo di secca eccezionale: è dalla fine di settembre che non piove. Sei mesi! La gente soffre molto. Non ci sono corsi d’acqua. Viene raccolta l’acqua piovana in bacini, in conche, che ora sono tutte secche, e qualche settimana fa erano una fanghiglia piena di insetti! Molti col bestiame si sono spostati verso il lago Margherita, a sud, o verso il lago Hawassa, a nord. Anche noi viviamo dell’acqua piovana raccolta in grandi cisterne di cemento, ma siamo agli sgoccioli… Stavo istruendo per il Battesimo più di cento adulti, parecchi sposati. Ho dovuto smettere tre settimane fa per la secca eccezionale: sono dispersi in cerca di acqua, più o meno buona”.

Dopo un breve periodo di vacanze in Italia ritornò in Etiopia. Trascorse alcuni mesi a Gondar, per imparare l’amarico, e poi fu mandato a Shafinna (1976-1982). Lavorò ad Hawassa, Tullo, Miqe, di nuovo Shafinna e Hawassa. Nel 2000 andò ad Addis Ababa, poi di nuovo a Tullo e a Fullasa; nel 2011 era a Dongora. Assegnato all’Italia nel 2015, è stato accolto nel nuovo centro per anziani e ammalati, a Castel D’Azzano, dove è morto il 19 agosto dello stesso anno.

Tullo
Il brano che segue è tratto da un’intervista fatta a P. Maccani, a Tullo, da P. José Luis Lizalde e pubblicata su Mundo Negro (maggio 2001). La missione di Tullo è sdraiata su una dolce collina coperta di piccoli boschi di wese o false piante di banane che scendono dolcemente verso il lago di Hawassa. Una piccola baia arriva fino alle porte della missione. Quando siamo arrivati, abbiamo trovato P. Maccani con la macchina accesa. È lui che cerchiamo, ma ci dice che deve andare ad assistere una persona anziana ammalata e che sarà di ritorno in un’ora. Dal lontano 1965, anno della sua fondazione, la missione di Tullo ha gradualmente cambiato la sua fisionomia e si è molto ampliata.

P. Maccani arriva puntualmente un’ora più tardi. Si chiama Bruno, ma tutti lo conoscono con il suo cognome. È alto e robusto, nonostante i suoi 77 anni già compiuti e il grande lavoro che ha indebolito il suo grande cuore. È stato, con P. Bruno Lonfernini, il fondatore delle missioni tra i Sidamo. P. Lonfernini è morto appena un anno fa (1999) e ora rimane solo P. Maccani come testimone fedele di quei primi anni di lavoro pionieristico. A lui e a P. Lonfernini, i superiori avevano affidato la fondazione della missione cattolica tra i Sidamo nell’Etiopia meridionale. Ad Hawassa trovano solo una piccola cappella cattolica, ma non manca loro l’entusiasmo e lo zelo.

P. Lonfernini, conquistato fin dal primo momento dalla bellezza di Tullo, apre lì la prima missione, mentre P. Maccani raggiunge le montagne di Fullasa che coronano il lago Hawassa e vi pianta le fondamenta di una seconda missione. La zona è densamente popolata. Gli Yanase, che vi abitano, si presentano come gente dura e primitiva ma P. Maccani arriva a scoprire i valori positivi e spirituali di questo popolo.

In un primo momento, vive in una tenda, mentre si costruisce con le proprie mani una capanna di pali e lamiera, ma dedica i suoi più grandi sforzi all’apprendimento della lingua. Non esistono dizionari o grammatiche. Solo alcune note che gli italiani hanno lasciato e che gli servono come punto di partenza.

Il suo maestro è un anziano lebbroso, una persona di grande sensibilità interiore e di una profonda acutezza di spirito che gli insegna i segreti della lingua sidamo e, soprattutto, gli consente di inserirsi nel mondo degli anziani. P. Maccani si impratichisce della lingua Sidamo così bene che prepara una grammatica e delle traduzioni, mentre P. Lonfernini si dedica alla traduzione dei testi liturgici.

P. Maccani rimane nove anni a Fullasa e il suo lavoro produce frutti abbondanti. Attualmente – ricordiamo che questo articolo è stato scritto nel 2001 – la missione ha più di 23.000 cattolici. Impressiona la massiccia presenza di uomini adulti e di anziani. Il missionario rivela il segreto del suo successo: ‘iniziare a lavorare con gli anziani, che erano i custodi della tradizione e dirigevano tutta la vita della società’. Dopo la lingua, P. Maccani decide di conoscere la cultura, perché è persuaso che questo gli procurerà una maggiore stima da parte loro.

Dedica inoltre un’attenzione particolare alla preparazione di famiglie veramente cristiane, un’impresa nella quale ha raggiunto risultati sorprendenti. Le giovani spose erano proprietà del marito, che aveva dovuto pagare una dote notevole per loro. Si trasformavano così in manodopera e conducevano una vita di semi-schiavitù. Molte di loro fuggivano di casa, abbandonando i figli. Il missionario fa comprendere loro i vantaggi del matrimonio cristiano, perché il cristianesimo vieta di maltrattare la moglie e chiede più rispetto e amore. E, interrogato sulla vocazione del missionario, P. Bruno dice: ‘Quanti battesimi ho amministrato... Ho migliaia di persone che mi chiamano padre. Non è una paternità secondo la carne, ma è una vera paternità perché li ho generati con la sofferenza e sono in qualche modo il padre delle loro anime e della loro fede. È una grande cosa essere sacerdote missionario in queste zone!”.

Testimonianza di P. Giuseppe Cavallini
P. Maccani mi aveva introdotto al lavoro della missione, come aveva fatto con diversi altri confratelli, nel 1980. Mi diceva che sentiva quasi come una chiamata di Dio il fatto di ‘addomesticare’ i giovani comboniani (spesso selvaggi e sfrenati) che raggiugevano l’Etiopia in quegli anni. Tanti sanno bene quanto abbiamo ottenuto da questo missionario apparentemente duro ma con un grande cuore e la passione per la missione! Abbiamo imparato da lui tante cose, ad esempio come bilanciare la serietà con la bontà del cuore, ma soprattutto la dedizione assoluta e la radicale donazione alla missione e al Regno di Dio.

Le parole del provinciale, P. Julio Ocaña Iglesias
Dio lo ha chiamato all’età di 92 anni, 48 dei quali trascorsi in Etiopia, nell’evangelizzazione del popolo Sidamo. Se aggiungiamo i 13 anni durante i quali ha lavorato in Sudan, si può dire che i suoi 61 anni spesi nella missione africana abbiano rappresentato per lui una grazia oltre le sue stesse aspettative. Chi di noi lo ha conosciuto non potrà dimenticare la sua corporatura robusta e la determinazione di un leader che ha forgiato la propria vita nella fornace purificatrice dell’esperienza sudanese fino alla sua espulsione.

I sui safari, i suoi catecumeni, i suoi progetti e i suoi metodi missionari erano tutti parte di una missione che a quel tempo aveva un carattere piuttosto unitario. Un missionario non era migliore di un altro, ma quelli che erano figure di spicco, lo erano per il loro atteggiamento spirituale, per le loro capacità umane di imparare le lingue, di sopportare condizioni climatiche difficili, di tradurre il Vangelo nelle culture locali.
Da Mccj Bulletin n. 266 suppl. In Memoriam, gennaio 2016, pp. 106-113.