P. Alberto, conosciuto come Tito, era nato il 27 novembre 1933 a Las Heras, Buenos Aires, in Argentina, dove i genitori erano emigrati dal poverissimo comune di Andalo (provincia di Trento). Qualche anno dopo però ritornarono in patria e Alberto, cresciuto ed educato in questa famiglia profondamente cattolica, ben presto decise di consacrare la sua vita alla missione.
Trascorse gli anni della formazione – dal 1951 al 1960 – prima a Firenze, poi a Sunningdale (Inghilterra) e a Venegono (VA). Ordinato sacerdote nell’aprile del 1960, ha trascorso tutta la sua vita sacerdotale-missionaria in Uganda, dal 1960 al 2008, a parte una breve parentesi di due anni a Roma (1982-1984) come Segretario Generale.
Quarantasei anni in Uganda
P. Alberto arrivò in Uganda nel 1960 e fu mandato a Koboko, come assistente di P. Bernardo Sartori, che era parroco, e con P. Francesco Cifaldi che era direttore delle scuole. “Fondamentale fu la sua prima esperienza di missione a fianco di un santo, P. Sartori. – ha detto P. Maurizio Balducci al funerale – Una frequentazione che lo ha marcato e che è un tratto distintivo della nostra spiritualità comboniana: raccogliere il testimone di uno di noi e portarlo avanti con onore. La sua, è stata una vita dedicata alla ricerca, all’approfondimento della verità, del volto di Dio sapienza incarnata, che si rivela nell’uomo e nelle culture. Memorabili sono i suoi studi, come la raccolta di proverbi lugbara che gli sarà costata tanta costanza, ricerca e ascolto. Il fatto che per anni sia stato il responsabile – lui, non-ugandese – del dipartimento di filosofia all’università di Makerere, a Kampala, è un chiaro segno della fiducia di cui godeva presso il senato accademico”.
P. Alberto, ricorda P. Antonio Solcia, era “una persona molto ordinata, basta vedere la sua calligrafia. Da studente, in Inghilterra era ‘ricercato’ per le sue interessanti conversazioni e le sue barzellette. Appena arrivato in Uganda, si applicò allo studio della lingua Kakwa ed essendo dotato per le lingue riuscì ad impararla bene: credo sia l’unico comboniano che abbia imparato questa lingua. Dopo un anno, P. Sartori andò ad aprire la missione di Otumbari e P. Alberto rimase da solo in parrocchia. Un anno dopo andò anche lui a Otumbari. Oltre che nel ministero, si impegnò per la costruzione della chiesa, coinvolgendo tutti i cristiani con una colletta. Con la partenza di P. Meneghini da Arua, gli fu chiesto di passare lì, alla parrocchia di Cristo Re, per essere il direttore del ‘Nile Gazette’, un giornalino in inglese per Arua e per una parte di Gulu. Intanto cominciò a studiare i costumi e le tradizioni dei Lugbara. Visto il buon lavoro che faceva per il ‘Nile Gazette’, gli fu chiesto di prendere la direzione di ‘Leadership’, che allora era stampata soprattutto per il Nord Uganda. Nel frattempo s’immerse sempre di più negli studi, iscrivendosi alla Makerere University per un ‘Master’s degree’. Il suo tutor fu sorpreso dell’impegno con cui P. Alberto portava avanti le ricerche – sostenendo che non era neanche necessario per un ‘Master’s degree’ – e, visto il suo talento, gli propose di continuare in vista del dottorato (PHD). P. Alberto, incoraggiato, presentò il suo lavoro che fu giudicato sufficiente per il dottorato: caso rarissimo anche a quei tempi. Infatti, fu il secondo studente al quale fu conferito questo titolo di studi.
Proprio in quel periodo, il famoso prof. John Mbiti lasciò la cattedra di Filosofia a Makerere e fu lui stesso a chiedere a P. Alberto di fare domanda per prendere il suo posto. Così P. Alberto entrò a far parte dello staff della Makerere University. Questo incarico lo impegnò molto e dovette anche fare diversi seminari all’estero. Pubblicò un libretto di ‘Proverbi Lugbara’ che è tuttora apprezzato e vari articoli per la rivista ‘Anthropos’. Lasciò la cattedra per la pensione ma continuò per qualche anno a seguire alcuni studenti nelle loro ricerche, fino a quando la malattia lo costrinse a ritirarsi”.
Il ritorno in Italia
Nel 2008, proprio perché ammalato, rientrò in Italia e andò, prima, al Centro Ammalati di Verona e poi al Centro Fr. Alfredo Fiorini, di Castel D’Azzano, dove è rimasto fino al giorno prima della morte. Il 2 febbraio 2016, infatti, era stato portato all’ospedale di Negrar, dove è deceduto il giorno seguente.
È stato un grave lutto per la comunità di Andalo, ha scritto il giornale locale il “Trentino”, giovedì 5 febbraio, giorno dei funerali (che si sono svolti a Verona, in mattinata, e ad Andalo, nel pomeriggio). Il giornale riportava anche le parole di cordoglio dell’assessore alla cultura Claudia Osti che, a nome dell’amministrazione comunale di Andalo, ha così descritto P. Alberto: “persona limpida, riservata, elegante, abile oratore, acuto filosofo e religioso, lascia un grande vuoto ma anche un immutabile esempio di vita”.
A proposito dell’ultimo periodo della vita di P. Alberto, P. Balducci ha detto: “Il carattere spigoloso e riservato non lo aiutava certamente nei rapporti ma i lunghi anni di malattia lo hanno purificato in questo. Credo che, con l’aiuto costante di P. Sartori, questi ultimi anni siano stati di grande ricerca e rilettura, non più accademica ma interiore, della persona umana e della sua persona”.
La testimonianza di P. Giovanni Taneburgo
Non è facile descrivere la vita, la personalità e la spiritualità di P. Alberto in poche parole ma cercherò di farlo per due motivi: primo, perché P. Alberto lascia ai parenti, ai confratelli missionari, agli amici, a tutti coloro che l’hanno conosciuto bene e a quanti hanno beneficiato del suo sacerdozio e della sua preparazione culturale, un’eredità che può essere veramente creativa; secondo, perché per lui ho sempre nutrito stima e, soprattutto negli ultimi anni della sua vita a Verona, anche amicizia e tenerezza.
Descrivendolo, distinguerei il suo modo di essere dal suo modo di apparire. A chi lo guardava con distacco, P. Alberto poteva apparire serio, esigente, non molto sensibile verso quelli che aveva vicino, tutto preso dal mondo dei suoi interessi di studio, di insegnamento, di affermazione.
Ma chi, avendo a che fare con lui, è riuscito ad andare al di là delle apparenze, ha potuto scoprire un P. Alberto completamente diverso, grazie ai suoi tratti interiori che rivelava con forza. Vorrei descriverne brevemente alcuni.
1. P. Alberto aveva un grande senso di Dio che metteva al centro della sua vita, soprattutto nel contesto della preghiera. È interessante vedere le annotazioni che faceva sulle pagine di libri e libretti che custodiva con cura meticolosa, per avere spunti che lo aiutassero a entrare sempre meglio in contatto con Dio. In un mondo dove tantissimi hanno messo Dio in un angolo o addirittura lo hanno escluso dalla loro vita, P. Alberto ci lascia questo messaggio: “Mettete Dio al centro della vostra vita perché di essa Lui è il datore e in essa ci sostiene con l’energia del suo Spirito. Ravvivate la vostra relazione con Dio, giorno dopo giorno, attraverso la preghiera”.
2. P. Alberto era un uomo coerente, tutto d’un pezzo, non accettava nessun compromesso, a volte con una forza che poteva sembrare esagerata. Il messaggio che ci lascia è questo: “ Mentre nella società in genere tutto è diventato fluido, come se tutto fosse ‘usa e getta’, adoperatevi perché i vostri valori umani e cristiani e i vostri impegni siano duraturi.
3. Aveva un profondo senso della missione a lui affidata dal Signore con una nota unica, l’insegnamento. Ci teneva molto e per ogni lezione che doveva tenere all’Università, si preparava in modo molto esigente. Il messaggio che ci lascia è importante: “Camminate su questa terra per rendere questo mondo un mondo migliore, ciascuno operando secondo i doni ricevuti”.
4. Come Comboniano amava l’Istituto e soffriva quando gli sembrava che la conoscenza del Fondatore non era ben promossa e che c’erano confratelli che non avevano un chiaro senso di appartenenza alla famiglia comboniana. Il messaggio che lascia ai confratelli è questo: “Amate l’Istituto e siate attivi nella sua azione per la missione”.
5. Un ultimo punto: P. Alberto era molto sensibile al dolore e spesso cedeva al lamento. Ma questo lamento diventava anche preghiera: “Sono stanco – mi diceva due anni fa – e vorrei andarmene a casa lassù. Ma sia fatta la Sua volontà”.
Da Mccj Bulletin n. 270 suppl. In Memoriam, gennaio 2017, pp. 13-18.