La mia vita è per l’Africa
Fr. Luciano Giacomelli
(21-04-1939 – 04-06-2023)
Dopo la sua morte, sul tavolo della sua stanza, è stata ritrovata una lettera aperta in cui Fr. Luciano ci regala il racconto della sua vita. Lasciamo che sia lui a presentarcela.
“Sono un fratello Missionario Comboniano, mi chiamo Luciano Giacomelli e sono nato a Padova. L’anagramma del mio cognome è “come i Galli”: come i galli, voglio emergere, comandare … Sono come un fiammifero che si accende facilmente, ma poi facilmente si spegne e chiede scusa.
La vocazione è nata da tre componenti:
– L’ azione Cattolica e l’impegno parrocchiale e missionario mi hanno spinto a pensare alle missioni.
– Lo zoppicare a scuola mi ha suggerito una scorciatoia per essere missionario (una volta per diventare fratelli c’era molta pratica e poca teoria). A dire il vero, preferivo sempre il lavoro manuale a quello in ufficio con il papà.
– Terza componente, mi sembrava che la vita – casa – scuola – lavoro – parrocchia fosse monotona, quasi opprimente. Volevo donare la mia vita per altre persone perché non soffrissero e fossero amate. Il mio insegnante di Religione mi indirizzò verso i Comboniani.
Durante le vacanze andai a Thiene e mi accordai per entrare ad ottobre. Dopo una furibonda lite con mio padre entrai a Thiene nel 1957
(Qui voglio aprire una parentesi: le vicende della vita avevano inciso duramente sul carattere del papà che ci voleva molto bene; ma era chiuso, poco espansivo e grande lavoratore e ognuno dei suoi figli era proprio come l’anagramma e il papà ci faceva rigar dritto. La lite prima di partire era stata causata dal mio voler interrompere gli studi e, siccome eravamo soci in una ditta, la mia partenza gli poteva causare preoccupazioni economiche).
Dopo un breve periodo a Thiene nel 1958 sono entrato in Noviziato … ma ben presto mi sono ammalato e sono ritornato a casa. Nel ’61 rientro in Noviziato a Firenze e lo termino nel 1963. Dopo i voti mi mandano a studiare a Verona non meccanica come io avevo richiesto ma sartoria! Fu molto duro. Nel ’64 mi mandarono portinaio a Carraia e vi rimasi fino alla fine dell’anno scolastico 1966.
Il 29 settembre di quell’anno partii per il Canada. Per la prima volta lasciavo l’Italia, ero solo sull’aereo, avevo 27 anni, mi faceva un po’ paura affrontare il viaggio e le nuove realtà e . . piansi.
Il lavoro in Canada fu la propaganda missionaria, con la diffusione del giornalino “Baobab” fratellino del P.M. e la mostra. Nel ‘71 ritornai in Italia per le vacanze e un corso d’aggiornamento. Poi fui dirottato a Verona con gli ammalati (altro cambio d’attività).
Nel ’77 fui destinato al Togo. Andai in Francia per un breve corso di Francese e in aprile del ‘ 78 ero pronto per partire per l’Africa. Due sentimenti erano in me:
1) Ancora una volta avevo paura di staccarmi da mio mondo, dalle mie sicurezze. Cristo aveva un bel ripetermi: “Non temere. Sarò con te”;
2) La paura era alternata all’euforia. Partivo, volevo andare a vivere con la gente. Vivere come loro. Non volevo fare costruzioni, scuola od altro. Volevo solo andare a lavorare con loro, per loro e come loro. Volevo spogliarmi della mia pelle bianca e trasformarmi, quasi fossi un camaleonte, in un uomo bianco-nero. Giunsi in Togo il 15 aprile del ’78.
Le mie incertezze cominciarono a scomparire. Stavo iniziando a Rinascere. L’accoglienza che ho ricevuto arrivando alla mia prima Missione mi ha fatto allargare il cuore. Volti sorridenti di adulti e di bambini. L’ Africa stava entrando in me.
La mia Prima Africa, la mia prima elementare. E sì, perché arrivando ho avuto l’impressione di ritornare bambino, andavo a scuola per conoscere la lingua del posto, gli usi, i costumi, la religione. Stavo imparando a conoscere l’Africa e la sua gente. Io che avevo tanto zoppicato per terminare gli studi, mi sono trovato a dirigere una piccola scuola professionale ad Afanya.
I giovani fuggivano il lavoro dei campi e venivano a imparare un mestiere per cercare di migliorare la loro vita. Cominciai a girare per i villaggi per conoscere le famiglie dei ragazzi che avevo a scuola. Seguivo anche un gruppo di studenti e ci siamo preparati a ricevere il battesimo. Loro con il battesimo sono rinati in Cristo e io, con loro, facendo lo stesso cammino, sono rinato come missionario e sono nato un po’ Togolese.
Non sono mai stato molto bravo a scuola e non ho imparato bene la lingua del posto. Ho così cercato, con l’aiuto del Signore, di parlare la lingua della Carità, dell’Amore.
L’Amore di Dio per tutti gli uomini mi ha spinto a rispettare questo popolo, la loro vita, la cultura e la religione tradizionale. Io cercavo di annunciare Cristo perché chiunque lo desiderasse potesse conoscerlo, accoglierlo ed essere così accolto.
Io pensavo che stessi facendo poco di missionario nel senso “classico” della parola, ma il mio girare per i villaggi, l’incontrare con rispetto, amore, e la sete di conoscere questo popolo mi portavano ad essere conosciuto da Tutti. Poco tempo prima di ritornare in Italia, la prima volta, fui invitato ad una festa in onore del primo Antenato del villaggio di Magnan.
Era notte fonda, nella piazzetta c‘era molta gente, i tamburi suonavano, quando arrivai mi fecero sedere e dopo avermi salutato fecero un segno a coloro che battevano i tamburi. Per un attimo ci fu un grande silenzio, poi ripresero a suonare in una maniera diversa e mi dissero: “Lanciano il Tuo nome verso il cielo per ringraziarti di quello che stai facendo qui”
Non avevo fatto grandi cose; avevo, così spero, parlato la lingua della carità. L’amore di Dio per tutti gli uomini mi ha aiutato a conoscere la gente, la loro vita e la loro religione.
Ci fu un secondo periodo in Togo, la mia seconda elementare. Questa volta fui chiamato a progettare e realizzare un centro per i non vedenti a Togoville (1984).
Non è stato facile perché la gente del posto credeva che il cieco fosse da evitare in quanto la sua menomazione era ritenuta una punizione di Dio. Ma quando videro, per la prima volta, un cieco leggere in chiesa, tutti si meravigliarono e rimasero ancora più stupiti quando li videro intrecciare corde, borse, ecc. A poco a poco la gente capì che coloro che essi ritenevano persone da evitare e incapaci d’ogni lavoro erano degli amati da Dio perché piccoli, poveri ed emarginati.
Contemporaneamente al centro per i ciechi, ho iniziato delle cooperative artigianali per dare lavoro a molti giovani. Alcuni più dotati furono iniziati alla scultura. Questo è stato un inizio per inculturare il Vangelo. Facevano delle immagini Sacre per sostituire a poco a poco quelle che venivano dall’Europa. Per molti di loro Dio è bianco ed è il Dio dei bianchi, per questo rimanevano attaccati alle loro tradizioni religiose.
Mi sono impegnato a conoscere le loro tradizioni, ho provato a far loro comprendere che il nostro Dio era il loro Dio, e questo aiutato anche dalle raffigurazioni che essi facevano. Dio e i santi non erano più d’importazione!
Poi venne il terzo periodo: altre attività, altri lavori, altre cose imparate a Kouve (1987), e questa fu la mia terza elementare. Poi ci fu un lungo periodo in Italia per assistere i miei genitori dal ’90 al ’97. Nel ’98 sono ritornato per la quarta volta in Togo per aiutare ad aprire una nuova missione: Asrama (1998).
La mia quarta elementare. Gli abitanti di questa zona sono assetati di Dio e nel villaggio, di 5.000 persone, avevano fatto ben 14 chiese di varie denominazioni. Quattordici sette che si riunivano per pregare mescolando riti cattolici e riti della loro religione. Arrivati noi, abbiamo cercato tutto quello che ci univa. Il nostro annuncio non è stato mosso da spirito di proselitismo, ma dall’Amore di Cristo, pensando che egli è morto per tutti.
Sabato 19 gennaio 2011, dopo un breve periodo in Italia, ripartirò per l’Africa per imparare ancora un po’ e sarà la mia quinta elementare (Tabligbo). I fratelli Comboniani con la loro vita, il loro lavoro cercano di fare una Chiesa dell’Amicizia, delle Cose piccole e Semplici, della Speranza, dei Passo dopo Passo. Alla base di tutte le cose fatte c’è Amore nell’Amicizia. I fratelli aiutano con la loro vita a fare una Chiesa della speranza che non ha Potere ma semina ogni giorno. I fratelli aiutano la Chiesa a costruire legami di fraternità a partire dagli Ultimi e da chi ci ripugna. Il Comboni diceva: “Per l’Africa ho votato la mia Anima, il mio cuore, il mio sangue e la mia vita”. Per questo sabato prossimo ripartirò. Spero, alla fine della mia vita. di poter dire come il Comboni: “L’ Africa e i poveri si sono impadroniti dei mio cuore, che vive soltanto per loro”.
Dopo un periodo molto breve in cui sono impegnato nell’accompagnare nei lavori di costruzione nella parrocchia di Tabligbo, ritorno in Italia ammalato.” Qui termina il racconto di Fr. Luciano.
Rientrato in Italia, nel 2012 è assegnato alla Casa Madre di Verona, dove si presta volentieri ad aiutare confratelli che, tornando dalla missione, hanno bisogno di visite mediche o degenze ospedaliere. Luciano è sempre disponibile. Nel 2022, passa alla comunità di Castel d’Azzano dove ritornerà alla casa del Padre il 4 giugno 2023. Riposa ora nel cimitero monumentale di Verona, accanto ai confratelli comboniani.
Fr. Agostini Cerri scrive: «Mentre riordinavo la tua stanza ho trovato un foglietto nel tuo comodino con una frase che mi ha colpito: “Si dice che i sogni muoiono all’alba, io aspetto l’alba per realizzarli”. Oggi festa della Santissima Trinità, te ne sei andato all’alba per realizzare i tuoi sogni con Colui che ti ha chiamato e amato. Ciao».
(A cura di P. Girolamo Miante e P. Gaetano Montresor)