Sabato 28 marzo 2015
Il Forum dell’orgoglio tunisino. Non proprio «globale», essenzialmente maghrebino, molto di base, il Forum sociale mondiale che si conclude oggi, dopo tre giorni di workshop, incontri e manifestazioni, ha mostrato soprattutto un’anima tunisina. Un’anima ferita dall’attentato al Museo del Bardo dello scorso 18 marzo, solidale con le vittime e i loro familiari, ma anche un’anima fiera di essere riuscita a reagire e mostrare al mondo che almeno un’“altra” Tunisia è possibile. Non quella degli islamisti e dei terroristi. Ma quella di un popolo che ha voglia di guardare avanti con fiducia e senza paura. [Avvenire.it: di Anna Pozzi]


«Très desolés! Ci dispiace molto», ripetono continuamente i tunisini che si incontrano nei viali o nelle aule del campus di El Manar, sulle colline di Tunisi, dove si svolge il Forum. «Ci dispiace – insistono – per gli stranieri morti nell’attentato, ma anche per il nostro Paese, per il nostro futuro. Ma non dobbiamo, non vogliamo avere paura. Altrimenti avrebbero vinto loro, i terroristi».

C’è voglia di “normalità” tra le migliaia di persone che hanno affollato le aule e gli auditorium di questo campus molto vasto e un po’ decadente, dove in modo totalmente autogestito, ma tutto sommato abbastanza organizzato, circa 4.300 organizzazioni hanno animato oltre mille workshop sui temi più svariati: diritti e dignità, pace e democrazia, cittadinanza e migrazioni, uguaglianza e ambiente, sviluppo sostenibile e giustizia sociale, istruzione, lavoro, salute, libertà di espressione. Settantamila i partecipanti, in rappresentanza di 120 Paesi, secondo gli organizzatori. Probabilmente parecchi meno, anche se non sono state moltissime le defezioni. Qualche workshop qua e là non si è svolto, rinunce soprattutto di stranieri, ma il grosso dei partecipanti era qui e veniva soprattutto dal Maghreb e dal Medio Oriente con gli estremi geografici – saharawi e palestinesi – particolarmente evidenti. Nel complesso il Forum rinviava l’immagine di una società giovane, parecchio al femminile, generalmente preparata e consapevole, con qualche residuo di ideologia e molte aspettative per il futuro e il desiderio di impegnarsi concretamente per costruirlo.

Fatma è una delle centinaia di interpreti volontari che assistono in particolare gli stranieri soprattutto per la traduzione dall’arabo. Ha un master in interpretariato e lei, a differenza della gran parte dei giovani tunisini, ha un lavoro abbastanza regolare. Ma al Forum sociale mondiale è venuta anche per testimoniare la sua militanza di donna e di tunisina. E, non a caso, partecipa a un workshop sulla transizione democratica nel Maghreb: «C’è un generale senso di rifiuto nei confronti di questi terroristi e per questo vogliamo dire che la Tunisia non sono i jihadisti».

Rida Saidi, ricercatore universitario, insiste sulla necessità di «promuovere la riconciliazione nel Paese», ma sottolinea anche le ripercussioni negative del caos libico sulla Tunisia, oltre a quelle della crisi economico-finanziaria mondiale. «Siamo un piccolo Paese, senza risorse, ma dobbiamo reagire sia a livello sociale che politico per consolidare la pace e lo sviluppo ». «Bisogna avere il coraggio anche di dire apertamente che non c’è solo il bene nell’islam. Bisogna fare autocritica. Non rifugiarsi nei precetti o nascondersi dietro il buonismo», incalza Moez, che affronta una questione estremamente delicata e controversa: quello di una riforma e di una rilettura dell’islam. «Anche se abbiamo fatto la rivoluzione è difficile esprimersi apertamente su questo tema». Lui lo fa intervenendo in un workshop promosso dal network dei comboniani e comboniane per la giustizia, la pace e la riconciliazione, presente al Forum con una delegazione di una quarantina di persone di quattro continenti. Il tema “Religioni e culture: fattori di conflitto o di dialogo per la pace” è alquanto 'sensibile'. E il dibattito molto animato.

«Nella nostra esperienza – spiega suor Anna Maria Sgaramella, una vita tra Palestina ed Egitto – il dialogo della vita è sempre possibile. Non bisogna però concentrarsi solo sulle differenze, ma essere coscienti delle differenze per non cadere in trappole».
Ahmed invece si entusiasma, parlando dei nuovi spazi di libertà che si sono aperti in Tunisia dopo la “rivoluzione”. Lui, giovane uomo, partecipa a un incontro per la promozione della donna nella vita politica. «In poco più di tre anni sono nate più di 17mila associazione – dice –. Questo ha contribuito a vivacizzare la vita sociale, culturale e anche politica, ma al tempo stesso c’è stata una sorta di “banalizzazione” dell’associazionismo. C’è sete di libertà, ma bisogna saperla gestire». Lui stesso, cantore di questa nuova libertà, non vuole lasciare il suo cognome e preferisce non farsi fotografare. La libertà in Tunisia è ancora una materia da maneggiare con molta cura. E mentre Tunisi si prepara alla marcia di domani con i leader mondiali (tra loro Matteo Renzi, François Hollande e Abu Mazen), anche il presidente Sergio Mattarella torna sulle stragi di Parigi e del Bardo e afferma – in un’intervista a Le Figaro– che è l’ora di «lanciare un Patto di civiltà per contrastare le campagne d’odio e di indottrinamento».
[Avvenire.it: di Anna Pozzi]