Mercoledì 23 maggio 2018
Si può immaginare il carisma di san Daniele Comboni come un cerchio, con il suo centro e la sua parte periferica. Il centro costituisce il nucleo del carisma, da cui nascono, formando la parte periferica, alcuni elementi concomitanti. Dal nucleo del carisma e dai sui elementi concomitanti nasce quell’insieme di motivazioni, che costituiscono la base dell’identità del missionario comboniano e danno significato alla sua fedeltà ed al suo impegno nella Chiesa. (P. Carmelo Casile)

LETTURA SINOTTICA DELLA REGOLA DI VITA
A PARTIRE DAL NUCLEO DEL CARISMA DEL FONDATORE
Regola di Vita 1-9
P. Carmelo Casile

Si può immaginare il carisma di san Daniele Comboni come un cerchio, con il suo centro e la sua parte periferica. Il centro costituisce il nucleo del carisma, da cui nascono, formando la parte periferica, alcuni elementi concomitanti. Dal nucleo del carisma e dai sui elementi concomitanti nasce quell’insieme di motivazioni, che costituiscono la base dell’identità del missionario comboniano e danno significato alla sua fedeltà ed al suo impegno nella Chiesa.

A – Il nucleo del Carisma comboniano

Il nucleo del carisma è un fatto trans-storico, prototipico, di ordine soprannaturale, cioè, che Comboni ha ricevuto e vissuto nello Spirito del Signore Gesù, e in cui ci riconosciamo anche noi, perché è un fatto che trascende la persona, il tempo ed il luogo di origine. Questo nucleo costituisce l’anima, lo spirito interiore, la motivazione di vita e di apostolato dell’Istituto (RF 216-217). La Ratio lo chiama “nucleo originario del carisma” (217).

In questo nucleo troviamo Daniele Comboni «afferrato totalmente dall’amore e dal dinamismo del Cuore di Cristo crocifisso in favore dei più “necessitosi e derelitti” della “Nigrizia”» (AC ‘91, 12.1).

La Regola di Vita ci presenta il nucleo del carisma del Fondatore nei nn. 1-9. Tale nucleo appare costituito da un elemento originario integrato da vari componenti che lo caratterizzano, e da elementi concomitanti, che gravitano intorno ad esso.

Si trova così in questa sezione la parte fondamentale della Regola di Vita dei MCCJ, che viene poi esplicitata in modo sistematico, evidenziando la vita missionaria comboniana come sequela evangelica “ad vitam” nella consacrazione mediante la professione pubblica dei consigli evangelici, nella vita fraterna e nel servizio missionario “ad Gentes”.

È interessante notare che il tema della consacrazione, della vita comunitaria e della missione appaiono nella RV fin dal Preambolo, che possiamo considerare come il «Credo missionario comboniano», cioè, l’atto di fede della Congregazione nella missione che la Chiesa riceve da Cristo, e che l’Istituto è chiamo a realizzare nello spirito di san Daniele Comboni mediante il servizio missionario all’uomo e la testimonianza della sua consacrazione nella vita comunitaria.

Consacrazione, vita comunitaria e servizio missionario costituiscono una triade che serve di base all’articolazione dei contenuti della Regola di Vita in quanto espressione qualificata dei componenti essenziali del nucleo del Carisma comboniano e quindi della vita dell’Istituto Comboniano.

B – Componenti essenziali del nucleo del Carisma comboniano

1. Elemento originario del carisma è la missione evangelizzatrice ad gentes.

Il primo elemento del nucleo del carisma del Fondatore, quello dal quale derivano gli altri componenti essenziali, lo costituisce la missione evangelizzatrice ad gentes. Questo è il primo elemento della “inspiratio primigenia” di Comboni. Ciò che per primo apparve in lui e intorno al quale si sviluppò tutto il resto (n. 2).

2. Componenti dell’elemento originario del carisma

L’elemento originario del carisma di Comboni è costituito da alcuni componenti che lo rendono singolare. Essi sono:

2.1 I popoli dell’Africa

Il secondo elemento del nucleo del carisma comboniano è l’orientamento della missione evangelizzatrice verso i più bisognosi di essa e di promozione umana, individuati nei popoli dell’Africa Centrale (nn. 5-6) ed è accompagnata dalla animazione missionaria della Chiesa (nn. 8-9);

Per Comboni l’Africa era “la parte del mondo meno nota, e più abbandonata, la più difficile per conseguenza ad essere evangelizzata” (S 1215); in essa vivevano “le anime più abbandonate della terra” (S 2890).

Comboni aveva colto uno dei tratti dello spirito di Gesù: il suo amore preferenziale all’escluso, il suo cominciare dalle “periferie”: il pubblicano, il povero, la donna calpestata, il lebbroso impuro, l’ammalato considerato peccatore. Ma ciò che muoveva il cuore di Comboni era anzitutto l’essere escluso dai beni dell’Evangelo. A ciò si univa tuttavia il fatto dell’abbandono e dell’essere dimenticato, cioè le situazione di abbandono sociale, come è già stato sottolineato.

Non si tratta dunque soltanto dell’Africa centrale in senso geografico, ma di quella parte di umanità che soffre più abbandono, ha bisogno più di tutti gli altri dell’evangelizzazione e crea difficoltà ad essa.

L’Africa può esserci quindi anche altrove. Bisogna cercarla. Questo è compito di tutti i Comboniani, ma come frutto di discernimento e di scelte a livello dei Capitoli generali e dei Governi generali. In questa ricerca non va dimenticato l’attaccamento solidale con l’Istituto attraverso l’esercizio dell’obbedienza, che parta da una visione integrata delle dimensioni della vita dell’Istituto stesso. Né può essere dimenticata la solidarietà con l’Africa reale, quella di oggi, che lotta per passare “dalla schiavitù degli aiuti alla libertà dei diritti” soprattutto del lavoro, della cittadinanza, della salute e dell’alimentazione1.

2.2 Il Mistero del Cuore di Gesù trafitto sulla Croce

Il terzo elemento centrale del carisma comboniano nasce da una esperienza dell’amore del Cuore Trafitto di Cristo verso i più bisognosi (n. 3 e 5).

Tutti gli Istituti religiosi professano una relazione particolare con Cristo; riconoscono un posto centrale nella loro spiritualità al Figlio di Dio incarnato: la sequela. Lo fanno centrandosi nei diversi misteri della sua vita, e vi trovano sostegno alla loro missione.

Il caso di Daniele Comboni sembra differente. La relazione con Cristo non nasce solo a livello di vita religiosa e quindi nell’aspetto concomitante della spiritualità derivata dalla missione dell’Istituto, ma appartiene già prima al nucleo centrale del carisma comboniano; cioè: questa relazione non deriva dalla missione evangelizzatrice ma la precede e la crea. Daniele Comboni si è fatto missionario per portare l’amore di Cristo (genitivo soggettivo) ai più bisognosi d’evangeliz­zazione e promozione umana.

Comboni parla spesso della salvezza degli africani. Si preoccupa quindi degli esseri umani, specialmente dei più bisognosi. Ma la forza motrice del suo instancabile ministero è il fatto che “il Cuore di Cristo palpitò anche per gli africani e che anche per essi è morto sulla croce” (S 5647).

Questa affermazione non è frutto di una elaborazione teorica ma di una esperienza: Comboni sentiva e diceva molte volte con parole differenti che l’amore di Cristo si dirigeva adesso con intensità raddoppiata agli africani (S 3464; 6080; 6381; 6447). Il suo ministero consisteva nell’estendere le fiamme di quel fuoco, cioè di quel mistero di carità che ha trafitto il Cuore Cristo per gli uomini e quindi anche per gli Africani (Piano).

Questa esperienza si trasformerà in Comboni in una esperienza mistica radicale. Attraverso di lui è Cristo che ama l’africano.

Simbolo di tutto questo: il Cuore di Cristo trafitto sulla croce dalla sua Carità per gli uomini.

Sta qui il contributo originale, la novità che Comboni apporta allo sviluppo della devozione al Sacro Cuore di Gesù: la sua unione all’evangelizzazione.

Il mistero del Cuore trafitto di Cristo è intrinsecamente unitoal mistero della Croce. La croce, infatti, come evento di amore e di salvezza, è la fonte di ogni energia apostolica del Comboni, del suo amore per i popoli africani discriminati dalla storia e dagli uomini. Egli, infatti, vive il suo incontro personale con Gesù, il Buon pastore che ama fino alla fine, cioè innalzato sulla Croce, con il Cuore Trafitto e le piaghe aperte.

Questa è per Comboni un’esperienza vitale della sua fedeltà alla vocazione ricevuta. Per Comboni la Croce non nasce da un ascetismo masochista né può essere frutto della negligenza umana; nasce invece ed ha valore come conseguenza del suo impegno di seguire Gesù nel suo amore fino alla fine per i dimenticati Africani; per tanto, è il sigillo della sua partecipazione alla missione di Gesù e garanzia della sua fedeltà a questa vocazione. Per questo “le opere di Dio devono nascere e crescere ai piedi della croce”, cioè dalla logica evangelica del dono di sé senza limiti fino alla morte.

2.3 Metodologia missionaria

Il quarto elemento del nucleo centrale del carisma comboniano è costituito dalla metodologia, che si può riassumere in tre principi basici: «salvare l’Africa con l’Africa», cioè suscitare e formare evangelizzatori locali (n. 7); vivere e agire all’insegna della cattolicità (n. 8); fare attenzione all’ora di Dio (n. 6).

3. L’eternità, orizzonte in cui Comboni scopre e vive il carisma

L’orizzonte in cui Comboni scopre e vive il carisma, èl’eternità, intesa come esperienza profonda, dinamica e perseverante del MISTERO DI DIO.

In fatti, in Comboni, il carisma nasce ed è apertura verso l’eternità, cioè verso il Mistero di Dio-Trinità. Perdendo di vista l’eternità, il carisma è ridotto a semplice attività filantropica e perde lo slancio divino della sua origine ed il suo significato ultimo, per cui il missionario è il primo a rimanere esposto ad una specie di vuoto e isolamento intollerabile (cfr. Regole 1871., Cap. X).

“La forte e straordinaria presenza della beata Trinità in Comboni, (come appare all’inizio del Piano), divenne sorgente della sua apertura e spinta missionaria, e così diventò servizio, ministero fino al martirio a quelli che per lui parvero i più poveri e abbandonati del suo tempo, cioè gli Africani dell’Africa Centrale” (Missione in Africa, p. 78).

Nell’esperienza carismatica di Comboni, la missione non è una filosofia della vita o un’avventura filantropica causata dai problemi umani degli Africani, ma un’offerta di salvezza, presenza dell’AMORE ASSOLUTO, che produce la gioia propria del Regno di Dio, nel costatare che è presenza rigeneratrice dell’uomo oppresso. Il missionario è partecipe di questa gioia, sentendosi amato e inviato da Dio per essere suo strumento in quest’opera di ri-generazione. Far presente l’amore rigeneratore di Dio in mezzo agli ultimi della terra ed esperimentare questo stesso amore nella propria vita èlavorare per l’eternità.

Per tanto, per Comboni lavorare per l’eternità non significa che si dedica alla missione per far meriti per comprare la felicità eterna per se stesso e per gli africani oppressi, ma che si dedica alla missione, perché sa che le uniche buone sono le mani di Dio, Amore “fontale” e finale di ogni vita umana: abbia successo o insuccesso nella missione, il Padre è sempre con lui ed è l’unico garante del suo Regno. Perciò egli può morire, ma l’opera che il Padre gli ha affidato non morirà. Senza la di­mensione escatologica, il carisma di Comboni sarebbe come una casa senza fondamenta e senza tetto.

4. Genesi del carisma di Daniele Comboni

Il nucleo del carisma, in Comboni, si va formando ed emerge nel contesto di un itinerario spirituale intenso, che affonda le sue radici nel dinamismo della sua consacrazione missionaria.

Infatti, Daniele Comboni all’età di 17 anni, all’inizio del 1849, consacrava la sua persona e la sua vita all’evangelizzazione dell’Africa con un gesto che consistette in un giuramento fatto alla presenza del suo superiore don Mazza.

È un fatto che Comboni contava la sua vita a partire daquell’atto di donazione. Anche se a volte egli prende a spartiacque della propria vita l’arrivo in Africa nel 1857, tuttavia la data che conta di più di ogni altra è sempre quella della sua donazione a Dio per l’evangelizzazione dell’Africa. Nelle terribili difficoltà che ha dovuto affrontare lungo il suo cammino missionario, il ricordo di aver consacrato la sua vita all’Africa Centrale sin dall’adolescenza lo convinse sempre a perseverare sino alla morte nella sua donazione.

Tale donazione, formulata davanti al superiore, ha un carattere di giuramento, con il quale Daniele si impegnava con il suo Istituto a consacrarsi all’attività missionaria. E siccome non si impegnò genericamente all’evangelizzazione di non-cristiani, bensì all’apostolato dell’Africa Centrale, egli contrasse un vincolo religioso anche con l’Africa nera.

Era un gesto religioso di donazione, una sorta di professione religiosa dentro della vita del proprio Istituto, che possiamo comprendere richiamando alla mente il concetto di voto di religione (= votum religionis), che sta all’origine della professione religiosa.

In fatti, il voto di religione nella tradizione più antica esprimeva anzitutto non un vincolo giuridico ma l’aspirazione di vivere una vita centrata in Dio e dedicata al suo servizio nella Chiesa, che si manifestava assumendo un genere particolare di vita.

Nel caso di Daniele Comboni, il voto di religione assunse la forma di VOTO DI MISSIONE (Votum missionis) orientato all’Africa: Comboni faceva così di Dio l’assoluto della sua vita donandogli tutto se stesso per l’evangelizzazione dell’Africa (Cfr. Vostro per sempre, pp. 76-77).

Comboni, consacrato a Dio per l’evangelizzazione dell’Africa Centrale, di fronte al buio misterioso che ricopre quelle remote contrade, si mette davanti a Lui chiedendogli cosa vuole. “Dall’alto -vera esperienza carismatica- gli giunge l’illuminazione di Colui che guida la storia: Dio attraverso il suo Figlio incarnato, morto e risorto, ascolta il grido del povero ed entra con tutto il suo essere nella storia e nel dolore degli ultimi. Si sente spinto ad assumere questa stessa storia e questo dolore diventandone parte e facendo “causa comune”, anche con il rischio della vita” (AC ’91, 6; 6.1).

Così l’esperienza carismatica di Daniele Comboni è punto di arrivo e di partenza della sua consacrazione missionaria: a partire da questo momento i palpiti del Cuore di Cristo per la Nigrizia e la Nigrizia stessa configurano la sua personalità missionaria e la sua donazione incondizionata in una relazione sponsale e martiriale.

In Comboni il rapporto con il Cuore di Cristo, Buon Pastore, precede e crea il rapporto con la missione evangelizzatrice; Comboni si è fatto missionario per portare l’amore di Cristo (genitivo soggettivo) ai più bisognosi di evangelizzazione e promozione umana. Comboni è decisamente orientato verso l’Africa nera, che diventa l’unica passione della sua vita. Ma la forza motrice del suo instancabile ministero è il fatto che “il Cuore di Cristo palpitò anche per gli Africani e anche per essi morì sulla Croce”; è ancora il fatto che nei neri poveri ed oppressi si rivela il volto doloroso del Crocifisso, che fissa lo sguardo su Comboni e lo chiama non soltanto a evangelizzarli ma anche a lavorare per il loro progresso e, soprattutto, per la soppressione della schiavitù.

E il suo ministero consisteva nell’estendere le fiamme di quel fuoco, cioè di quella carità che Cristo è venuto a portare.

Questa esperienza è una esperienza mistica: in Comboni è Gesù che ama l’africano e nell’africano Comboni ama lo stesso Gesù.

Per tanto, nel nucleo del carisma, troviamo il Cuore di Gesù e la Nigrizia, indissolubilmente uniti, che possiedono e dinamizzano la vita di Comboni.

Il nucleo del carisma del nostro Fondatore consiste nel fatto che Daniele Comboni, sotto l’azione dello Spirito Santo, è reso sacramento dell’amore rigeneratore di Dio Padre, incarnato nei palpiti del Cuore di Gesù per l’infelice Nigrizia.

Perciò, da questo momento, la sua vita ha senso solo come donazione a questi due amori, che possiedono il suo cuore in un rapporto indissolubile di reciprocità fino alla morte.

In questo rapporto Cuore di Gesù-Nigrizia, la fonte da cui nasce il senso della vocazione di Comboni è il Cuore di Gesù, Buon Pastore; il termine a cui lo spinge questo Cuore fino ad un rapporto di tipo nuziale è la Nigrizia. La passione di Gesù per l’africano si incarna e si esprime attraverso il cuore di Comboni, disposto a dare la sua vita con Gesù fino al martirio: Comboni lascia che l’amore di Gesù lo porti all’Africano, lo trasformi in Cuore di Gesù per l’africano.

C – Elementi concomitanti del carisma comboniano

Dal carisma di Comboni nasce:

  • Un tipo di vita missionaria (nn. 13-19; 56-71), attenta all’ora di Dio (n. 6; 16), e vissuta nella consacrazione mediante i voti religiosi (nn. 1; 10-11 = comunità di fratelli e pluralità di servizi; 20-35 = Vita consacrata); in comunità (36-45 = vita comunitaria, cenacolo di apostoli; 164 = comunione, condivisone e autolimitazione dei beni economici).
  • Una spiritualità missionaria, centrata in Cristo (RV 3-4; 21), germogliata da un’esperienza dell’amore di Comboni al marginato (RV 5), e di una consacrazione piena della sua persona e vita al Cuore di Gesù Buon Pastore, che porta il comboniano a incarnare questo duplice amore.
  • Questa spiritualità:
  • porta il missionario verso una “esperienza di Dio”, qualificata dagli ideali e dall’esperienza del Comboni: n. 81; per tanto
  • si nutre della contemplazione del Cuore trafitto di Cristo: n. 3;
  • sviluppa la sua dimensione contemplativa al contatto con le sofferenze e le necessità degli esseri umani (il Cristo crocifisso totale; Teofania e Cristofania nell’oppressione), partecipando quindi alla vita con la gente: nn. 3.2-3; 5; 45;
  • ha un forte senso di comunione ecclesiale e tende a vivere e agire all’insegna
  • della cattolicità: n 8;
  • del servizio interecclesiale: n. 17;
  • dell’internazionalità: n. 18
  • e della cooperazione: n. 19;
  • si realizza nella comunità e per la comunità, mediante un processo di maturazione che dura tutta la vita: nn. 41; 84-85;
  • ciò suppone una grande apertura mentale ed una sensibilità profetica alle necessità della gente e della Chiesa: nn.16; 60-61; 81; 99-101;
  • ha coscienza della parte centrale che ha la Croce e il martirio nella vita missionaria (n. 4; 22); l’esperienza della croce comincia con l’uscita dalla propria patria e suppone un continuo uscire da se stesso (n. 15).
  • prende Maria come modello della sua consacrazione e si affida a lei con fiducia: n. 24;
  • prende vita nella preghiera comunitaria e personale, alimentata dall’ascolto della Parola di Dio e dalla preghiera liturgica: nn. 46-54.
  • ha come caratteristiche proprie:
  • l’amore generoso, che si manifesta nella disponibilità: n. 15; e nel mettere i propri talenti ed energie e la stessa vita al servizio di Dio e degli uomini: n. 41;
  • la provvisorietà: n. 71;
  • la fiducia e l’abbandono in Dio, ponendo al centro della vita il Mistero della Croce: n. 4; 4.1-2.

D – Identità e nome: RV 1

Quando andiamo “ad gentes”, nasce nelle persone che incontriamo il desiderio di sapere chi siamo, da dove veniamo, che cosa intendiamo fare e perché lo facciamo. La rivelazione della nostra origine, e del nostro curriculum vitae, delle nostre intenzioni, costituiscono la lettera di raccomandazione (cfr. 2Cor 3,2-3) o il certificato di garanzia della nostra vita e del nostro messaggio, che ci apre la via ad un incontro fecondo con loro.

Ma questa rivelazione non può avvenire immediatamente per mezzo di un certificato di garanzia burocratico, ma per via esistenziale, cioè per mezzo della testimonianza nella condivisione della vita.

Il missionario, per tanto, porta la sua lettera di raccomandazione scritta nel suo cuore; è una lettera che ha la sua origine in Dio che dà al missionario la missione e la capacità di esercitare questo ministero, e che porta il sigillo di Cristo e del suo Spirito; è una lettera che egli scrive e perfeziona nella comunità da cui proviene, e che viene letta dalla gente gradualmente tramite la qualità delle relazioni e la dedizione competente e generosa agli altri…

Come lettera di Cristo il missionario è una “sequentia sancti evangelii”, cioè una pagina di Vangelo aperta, dove tutti sanno leggere, anche gli analfabeti…

Il comboniano è chiamato ad essere lettera di Cristo personalmente e comunitariamente mediante san Daniele Comboni, «testimone di santità e maestro di missione».

Il contenuto di questa lettera lo troviamo sintetizzato nel primo numero della Regola di Vita, intitolato appunto «identità e nome».

La comprensione, accettazione e integrazione di questo nome, ci permette di approfondire e mantenere dinamica la nostra identità di Missionari Comboniani e quindi di situare l’azione missionaria, alla quale siamo consacrati, in coerenza con questa identità.

Una profonda consapevolezza della propria identità è previa ad ogni tipo di analisi della realtà, è punto di partenza imprescindibile per discernere le urgenze missionarie del mondo di oggi, per interagire con l’identità del popolo o gruppo umano a cui siamo inviati, e di altri agenti pastorali, con i quali condividiamo la missione. Questa consapevolezza nella relazione con l’altro da una parte ci porta a rafforzare la nostra identità e, dall’altra, a sentire come arricchimento la presenza e l’apporto che ci viene dall’altro e a individuare i punti di aggancio per l’azione missionaria.

Per ottenere questo obiettivo, è indispensabile rimanere radicati o ritrovare le radici della nostra vita missionaria comboniana, e dedicarci a coltivarle, così da coniugare armonicamente l’essere e il fare dei membri dell’Istituto, che è composto di Sacerdoti e Fratelli.

La connessione con le radici o le sorgenti della nostra identità ci mantiene in un cammino di continua crescita in Cristo e di identificazione con il carisma dell’Istituto, necessari per mantenerci fedeli alla nostra vocazione e da qui rispondere alle esigenze sempre nuove della missione della Chiesa nel mondo di oggi (cfr. RV 99).

“Ogni persona è potente della potenza in cui si costruisce accogliendosi come dono dalla sua sorgente. Ognuna può dire, con Maria, in verità: Io santifico nel cuore l’Onnipotente che ha fatto in me cose grandi; lo lodo nel fiat del mio volermi secondo il fiat della Parola in cui mi ha costituito sua immagine” (Mongillo).

Alla radice della nostra identità e nome c’è la consacrazione, che è un evento nella Storia della Salvezza, cioè una scelta storica di Dio, un’iniziativa dell’amore che Egli, creatore e Padre, ha per il genere umano bisognoso di essere salvato: un dono quindi che viene dall’Alto e che può essere capito e accolto soltanto con la luce e la forza che vengono dall’Alto (cf S 2742).

È un dono, un evento amicale, una proposta di amicizia, in cui convergono l’elezione e l’alleanza: l’elezione è propriamente un scelta di Dio assolutamente gratuita, «analogamente» a una nuova creazione; l’alleanza suppone una libera accoglienza dell’elezione da parte dell’uomo. Quindi è una chiamata ad una comunione, ad un coinvolgimento reciproco. Con l’elezione ha inizio l’economia dell’alleanza. Se alla proposta di Dio io rispondessi «no», rimarrei per sempre qualcuno che Dio per primo aveva scelto, ma che ha rifiutato tale scelta.

La consacrazione, per tanto, come evento nella storia di un credente passa attraverso il suo cuore, luogo dell’incontro con Dio. Il cuore, infatti, è terra dell’uomo dove egli si agita, desidera e cerca Dio, ed è simultaneamente terra di Dio, che in essa si manifesta con il suo stile di Dio-Amore, Padre di tutte le genti. L’agitazione dell’uomo provoca l’intervento di Dio e l’intervento di Dio stimola l’instabilità e la precarietà dell’uomo nel suo desiderio di Dio, introducendolo nella profondità del suo Mistero.

In questa ottica, la consacrazione è una questione di cuore, una relazione di grazia e di dono di sé da parte di Dio, a cui corrisponde una relazione di rendimento di grazie e di libero dono di sé da parte dell’uomo; è un evento divino-umano, che è essenzialmente comunione d’amore con Dio che genera missione nel quotidiano della vita.

Attraverso quest’esperienza, Dio prende possesso della persona eletta in modo radicale, nuovo e definitivo ed imprime in essa dei tratti distintivi che raggiungono l’intimo del suo essere. Con questo prendere possesso della persona, il Signore la individualizza, la contrassegna, in modo così irrepetibile che dà un senso completamente nuovo al suo stesso nome e la lascia segnata per sempre; così, per esempio, Abram diviene Abraham, cioè Padre di una moltitudine di popoli (Gn 17, 5); Simone diviene Pietro, cioè Roccia (Gv 1, 42); ecc….

Nel mondo orientale imporre il nome a una cosa o ad una persona, significa prendere possesso di essa: il papà, per esempio, riconosceva il figlio, imponendogli il suo nome. Nella teologia della vocazione, imporre il nome nel momento della chiamata rivela che questa persona diviene già in modo speciale “proprietà di Dio”. La persona è segnata con il Sigillo di Dio e nessuno potrà mai offenderla senza offendere nello stesso tempo Dio stesso, ed essa a sua volta non potrà sottrarre niente di sé dal servizio di Dio, senza essere colpevole di profanazione o di adulterio.

Quando chi prende possesso è il Creatore, la consacrazione è un’azione che parte dallo stesso Dio. Per mezzo di quest’azione Dio opera nella persona una trasformazione, che è come una nuova creazione, e la riserva al suo servizio, orientandola verso la missione che deve compiere.

L’imposizione del nome, per tanto, porta alla scoperta di una nuova propria identità, quella vera, che l’Altro ci rivela, e che diviene manifestazione del suo disegno d’elezione particolare in vista di una misericordia universale.

Questa imposizione del nome è effettuata da Dio Padre in Cristo Gesù, perché il piano di Dio Padre per ciascuno di noi è che “siamo conformi all’immagine del Figlio suo” (Rom 8, 29), non solo in modo generico, ma in un modo profondamente personale ed unico.

La Regola di Vita, fin dall’inizio, si collega con l’evento della consacrazione nella Storia della Salvezza, e afferma chiaramente che il dono della consacrazione dà al missionario la sua identità e nome nuovi: missionario comboniano del Cuore di Gesù (RV 1), che riceve attraverso la mediazione di san Daniele Comboni.

In questa definizione, l’espressione “…del Cuore di Gesù”significa la reciproca appartenenza tra il Cuore di Gesù ed il missionario (cf. RV21.1), fondata sui tratti del Mistero di Cristo che Dio Padre imprime in modo peculiare nell’intimo del missionario; l’aggettivo “comboniano” si riferisce alla mediazione umana della quale Dio si serve per far arrivare al cuore del missionario la sua parola-chiamata che dipende “dalla predicazione” (cf Rom 10, 17).

Tale mediazione è ovviamente Daniele Comboni, che, di fatto, visse “la sua dedizione totale alla causa missionaria” (RV 2) in un profondo e intrinseco legame con la motivazione vocazionale personalizzata nel Cuore di Gesù. Comboni è missionario dei popoli dell’Africa perché, per dono dello Spirito Santo, è stato introdotto nel mondo del Cuore di Gesù ed è stato coinvolto nel suo amore salvifico di Buon Pastore, “che offrì la sua vita sulla croce per l’umanità”. La RV nella sezione che definisce il carisma del Fondatore e quindi dell’Istituto2, evidenzia questo rapporto usando le parole stesse del Comboni: «E fidandomi in quel Cuore sacratissimo… mi sento vieppiù disposto a patire… e a morire per Gesù Cristo e per la salute dei popoli infelici dell’Africa Centrale». (RV 3).

Per tanto, nel nucleo del carisma, cioè alla radice della vocazione missionaria del Comboni troviamo il Cuore di Gesù e la Nigrizia che, indissolubilmente uniti, possiedono e dinamizzano la sua vita missionaria. Quest’unione, vissuta da Comboni sotto l’azione dello Spirito Santo, lo rende sacramento dell’amore rigeneratore di Dio Padre, incarnato nei palpiti del Cuore di Gesù per l’infelice Nigrizia. Simbolo di questo amore rigeneratore è il Cuore Trafitto di Gesù. Sta qui il contributo originale di Comboni allo sviluppo della devozione al Sacro Cuore di Gesù: ha unito il Mistero del Cuore di Gesù all’evangelizzazione e ne ha fatto il centro e l’orizzonte della sua vita missionaria.

Il nome nuovo, per tanto, cioè il Mistero del Cuore di Gesù non può essere una connotazione puramente devozionale nella vita del missionario comboniano, giacché il missionario, all’essere consacrato da Dio per la missione, viene segnato in modo peculiare dal Mistero del Cuore di Gesù.

L’espressione “missionario comboniano del Cuore di Gesù”significa che il Signore Gesù attira a sé il missionario nella Congregazione Comboniana, facendolo partecipare in modo particolare al dinamismo del Mistero del suo Cuore sotto l’influsso di tre dimensioni che pervadono questo stesso Cuore e che divengono altrettante provocazioni per la generosità del missionario: il suo Amore, la Croce, la sua identificazione con i più poveri e abbandonati: RV 3 5.

In questo cammino gli offre come guida san Daniele Comboni, che percorse questo itinerario di generosità e totalità in modo esemplare. Ciò significa che il missionario comboniano vive il suo incontro personale con il Signore Gesù, contemplando in primo luogo, il Mistero del suo Cuore, con lo sguardo contemplativo del Comboni.

E – Conseguenze per la formazione permanente e di base

Un avvenimento carismatico è come un mosaico ideato e progettato dallo Spirito Santo: la sua originalità e novità va cercata nel suo insieme ed anche e soprattutto nella relazione di reciprocità tra le parti che la compongono, nel modo come ogni componente si relaziona con le altre parti.

Eliminare, sottovalutare o isolare una parte significa mettersi nella situazione di non comprendere più l’avvenimento carismatico originario; d’altra parte, perdere di vista l’avvenimento carismatico nella sua globalità significa non comprendere più il significato di ogni componente. Infatti, essendo lo Spirito Santo l’architetto di questo avvenimento-progetto, c’è un’interna armonia tra le sue parti, che è indispensabile captare e non perdere di vista in nessun momento.

Può darsi che anche tra noi comboniani si sia infiltrata la tendenza a identificare il carisma con l’obiettivo apostolico, con ciò che l’Istituto fa nella Chiesa. Non c’è dubbio che questo per noi comboniani è un modo riduttivo di intendere e vivere il dono dello Spirito, ricevuto per mezzo di san Daniele Comboni; questo modo di intendere il carisma impoverisce il missionario comboniano, fino a portarlo alla perdita dell’identità vocazionale (cfr. AC ’91, 11.3).

In effetti, è impossibile comprendere e vivere l’obiettivo apostolico, quando si lascia di approfondire l’esperienza mistica e progredire nel cammino ascetico; allo stesso modo, il senso di appartenenza e le relazioni comunitarie vengono approfondite quando sono vissute nella dinamica dell’esperienza mistica ed in vista del servizio missionario.

Dallo sviluppo del carisma comboniano nell’attuale contesto storico, nascono delle esigenze specifiche nel campo della formazione di base e permanente dei missionari:

  • La centralità della vocazione missionaria “ad gentes” e ”ad vitam” (RV 2), intesa anzitutto come impegno a muoversi verso luoghi o ambiti in cui il vangelo non è ancora conosciuto; come coraggio di andare oltre, di collocarsi in ambiti culturali e sociali di frontiera e di “far causa comune con la gente”; come zelo missionario, fondato nella santità e nella carità solidale del missionario, che deve essere quindi “santo e capace”.
  • L’amore alla Chiesa che bisogna impiantare o aiutare a crescere.
  • La disponibilità totale, la generosità, cioè, l’abnegazione, nella quale tanto insiste Comboni (S 2722; 5022).
  • Lo “sradicamento” da se stesso e dal proprio ambiente per mettersi in cammino alla ricerca dell’“altro” sotto la spinta della “certezza della vocazione” e così farlo partecipe della Benedizione divina nell’incontro con il Nome di Gesù.
  • La capacità di innamorarsi di gente e culture diverse e la capacità di imparare da esse.
  • Una sana formazione teologica sul valore delle religioni non cristiane nella storia della salvezza.

Casavatore, Giugno 2013

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1. Cf. Conclusioni del Convegno internazionale dell’Università di Ancona, 25 Febbraio 2002.

2 Regola di vita, nn. 1-9.