Gesù inizia il suo discorso di addio che culminerà con il testamento spirituale (16,33) e la grande preghiera al Padre. All’inizio del capitolo, Giovanni ci ricorda che Gesù: “avendo amato i suoi, li amò fino alla fine” (13,1). Un amore significato dal gesto rivoluzionario della lavanda dei piedi. Tutto si compie, non perché Giuda tradisce, ma perché Gesù ama; non perché Pietro rinnega ma perché Gesù ama. La nostra vita si compie perché Gesù ci vuole bene.

L'amore fraterno:
forza esplosiva, contagiosa, missionaria

Atti 14,21-27; Salmo 144; Apocalisse 21,1-5; Giovanni 13,31-33a.34-35

Riflessioni
Tradimento e glorificazione: il Vangelo presenta due momenti contrastanti, umanamente inconciliabili. Durante l’ultima Cena, Giuda esce dal Cenacolo portando in cuore il suo mistero: in quella tragica notte (v. 30) consuma il tradimento. Eppure, Gesù parla con insistenza della sua ‘glorificazione’: ne parla ben cinque volte (v. 31-32). Il contrasto è paradossale: mancano appena poche ore alla cattura e alla morte in croce, eppure Gesù si ostina a parlare di glorificazione. La sua gloria è il momento stesso della morte-risurrezione, come il chicco di grano che cade in terra e muore per dare molto frutto (cfr. Gv 12,24.20-21). Essere chicco di grano è la sua carta d’identità. Strana gloria che si esprime nella folle umiliazione della croce! Con la sua morte-risurrezione Gesù rivela quanto è grande l’amore di Dio che salva tutti.

Alla luce di questo amore divino che oltrepassa ogni misura, si percepisce la grandezza del comandamento nuovo (v. 34), che Gesù lascia ai suoi ‘figlioli-discepoli’ come distintivo di riconoscimento: “come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli” (v. 34-35). Gesù insiste sull’amore vicendevole  -lo ripete tre volte in due versetti-  ne fa il suo testamento spirituale, è un comando che Egli, a ragione, definisce “nuovo”. È il progetto di vita, che Gesù lascia ai discepoli; l’unico loro distintivo!

L’Antico Testamento prescriveva: “amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18). Gesù va oltre.

1. Anzitutto, la Sua misura non è più solo il “come te stesso”, con le incertezze e gli errori propri dell’egoismo, ma il “come io ho amato voi”; con la certezza e la misura senza misura dell’amore divino. Amare “come”, al modo di Gesù: questa è la novità, l’originalità del cristiano. Gesù non dice quanto dobbiamo amare, ma ci propone il suo stile, il modo come Lui ha amato: il suo amore è servizio, misericordia, tenerezza, perdono… Di questi esempi sono pieni i Vangeli.

2. L’amore che Gesù propone è nuovo, perché è completamente gratuito: non va in cerca di motivi per amare, ama anche chi non lo merita o non può ricambiare, ama anche chi ti fa del male...

3. È nuovo, perché Gesù non dice solo “amatevi”, ma “amatevi gli uni gli altri”. Per Gesù l’amore è relazione, reciprocità; l’amore non è solo dare, ma anche saper ricevere, ascoltare, lasciarsi amare.

4. Si tratta di un comandamento nuovo, perché “nessuno prima di Gesù ha mai tentato di costruire una società basata su un amore come il suo. La comunità cristiana è posta così come alternativa, come proposta nuova a tutte le società vecchie del mondo, a quelle basate sulla competizione, sulla meritocrazia, sul denaro, sul potere. È questo amore che deve ‘glorificare’ i discepoli di Cristo” (F. Armellini). È un nuovo principio associativo, una forza speciale di aggregazione. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli...” (v. 35). Gesù non ha detto di portare una divisa particolare o un distintivo; ha detto semplicemente: vi riconosceranno da come vi amate. L’amore vicendevole e gratuito ha una irresistibile, contagiosa ed esplosiva forza di irradiazione missionaria. L’amore vicendevole si alimenta nel perdono, riconciliazione, sopportazione, donazione di sé, opzione per gli ultimi, rifiuto della violenza, opera di pace… Dei primi cristiani la gente diceva: “Guarda come si amano”!

Solo l’amore è capace di ispirare e tessere rapporti nuovi e vitalizzanti fra le persone; solo la rivoluzione dell’amore è capace di trasformare le persone e, quindi, le istituzioni. Lo insegnava così anche Raoul Follereau, ‘apostolo dei lebbrosi e vagabondo della carità’: «Il mondo ha solo due possibili destini: amarsi o scomparire. Noi abbiamo scelto l’amore. Non un amore che si accontenti di piagnucolare sui mali degli altri, ma un amore da combattimento, un amore-rivolta. Per il suo avvento, per il suo regno, noi lotteremo senza posa e senza sosta. Bisogna aiutare il giorno a spuntare». È questo il senso profondo di una vita donata nel sacerdozio, la consacrazione religiosa, la vita missionaria. (*)

Chi fa sua questa sfida accetta l’utopia di “un cielo nuovo e una terra nuova” (II lettura), entra nella nuova “tenda di Dio con gli uomini” (v. 3), dove saranno bandite le lacrime, la morte, gli affanni (v. 4), per la fede in Colui che ha la forza di far “nuove tutte le cose” (v. 5). Inclusa una società nuova che si basa e ha come obiettivo la civiltà dell’amore. Anche il viaggio missionario di Paolo e Barnaba (I lettura) aveva questo obiettivo: aprire “ai pagani la porta della fede” (v. 27), esortare i discepoli a “restare saldi nella fede, perché dobbiamo entrare nel Regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (v. 22). Questo viaggio (Atti 13-14) è una pagina intensa e stimolante di metodologia missionaria: per il modo come la comunità cristiana di Antiochia sceglie i missionari da inviare, per il coraggio (parresía) di Paolo e Barnaba nel dare il primo annuncio del Vangelo di Gesù a giudei e a pagani, per la costituzione di nuove comunità ecclesiali e la designazione di alcuni presbiteri come loro guide, per le nuove frontiere geografiche di evangelizzazione oltre i territori usuali dell’Antico Testamento e dei Vangeli, per il confronto con la comunità di Antiochia al loro rientro... In sintesi, un modello di prassi missionaria!

Parola del Papa
(*)
«La parola “vocazione” non va intesa in senso restrittivo, riferendola solo a coloro che seguono il Signore sulla via di una particolare consacrazione. Tutti siamo chiamati a partecipare della missione di Cristo di riunire l’umanità dispersa e di riconciliarla con Dio. Più in generale, ogni persona umana, prima ancora di vivere l’incontro con Cristo e abbracciare la fede cristiana, riceve con il dono della vita una chiamata fondamentale: ciascuno di noi è una creatura voluta e amata da Dio, per la quale Egli ha avuto un pensiero unico e speciale, e questa scintilla divina, che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna, siamo chiamati a svilupparla nel corso della nostra vita, contribuendo a far crescere un’umanità animata dall’amore e dall’accoglienza reciproca. Siamo chiamati a essere custodi gli uni degli altri, a costruire legami di concordia e di condivisione, a curare le ferite del creato perché non venga distrutta la sua bellezza. Insomma, a diventare un’unica famiglia nella meravigliosa casa comune del creato».
Papa Francesco
Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 2022

P. Romeo Ballan, MCCJ

Il comandamento dell’amore

La testimonianza più viva della nostra fede in Cristo

At 14,21-27; Salmo 144; Ap 21,1-5; Gv 13,31-33.34-35

Siamo giunti alla quinta domenica di Pasqua e siamo ancora invitati a meditare sull'avvenimento centrale della nostra fede: la Risurrezione di Cristo, e sulle sue conseguenze. Nella prima lettura, dagli Atti degli Apostoli, Luca ci narra la conclusione del primo viaggio missionario compiuto da Paolo con il suo compagno Barnaba. Essi hanno fatto nascere le primissime comunità cristiane tra i pagani e tornati a Gerusalemme, riferiscono agli altri discepoli. Nella seconda lettura, dall'Apocalisse, descrive la situazione futura dell'umanità, partendo da una visione riguardante la Gerusalemme celeste.

Nell'amore di Gesù. Il suo amore "folle" verso gli esseri umani è quindi il paradigma dell'amore che dovrebbe improntare i rapporti tra di noi. Il suo è un amore gratuito. Inutile ricercare prioritariamente una causa dell'amore di Dio nelle qualità dell'uomo. Cristo non ci ama perché siamo buoni, virtuosi, meritevoli, ma amandoci ci fa buoni, ci conferisce valore. E' un amore creativo. Il vero amore cristiano quindi non dipende dagli atteggiamenti altrui nei nostri confronti.

L'amore, partendo dal testamento di Gesù, è la vera divisa del cristiano, cioè ciò che lo fa riconoscere in quanto tale. Il cristiano è, essenzialmente, uno che ama. L'amore è il messaggio fondamentale che il cristiano dovrebbe trasmettere quotidianamente. "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l'amore, sarei come un bronzo che risuona" (1Cor13, 1).
Don Joseph Ndoum

Tutto si compie nell’Amore

Gesù inizia il suo discorso di addio che culminerà con il testamento spirituale (16,33) e la grande preghiera al Padre. All’inizio del capitolo, Giovanni ci ricorda che Gesù: “avendo amato i suoi, li amò fino alla fine” (13,1). Un amore significato dal gesto rivoluzionario della lavanda dei piedi. Tutto si compie, non perché Giuda tradisce, ma perché Gesù ama; non perché Pietro rinnega ma perché Gesù ama. La nostra vita si compie perché Gesù ci vuole bene.

La “novità” del comandamento è questo Amore che si lascia vincere, si lascia prendere, si lascia usare, e in questo modo illumina le tenebre di ogni notte e di ogni cuore. Così anche si manifesta la Gloria di Dio. Essa non proviene dalla sofferenza in croce, ma dalla sofferenza per amore che dà valore alla croce.

Il Padre “lo glorificherà subito”. La Chiesa prega questo brano nel Tempo di Pasqua perché nel vangelo di Giovanni la sofferenza per amore è già Gloria. Lo sappiano tutti quelli, che soffrono per amore; tutti coloro che, schiacciati dalla vita, non smettono di amare; l’Amore non dipende dalle circostanze, ma dal nostro rapporto indissolubile con Dio che è Amore. La croce è un “luogo” di sofferenza per amore, dove Dio parla, si rivela e compie la storia della nostra salvezza.

Anche noi sull’esempio di Gesù, siamo chiamati per vocazione a percorrere la stessa strada, a vivere così la vita. E in questo modo: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Lo saprà il mondo intero, che aspetta questo da noi; un mondo che in parte ha smarrito Dio, ma non è contro Dio, anzi lo cerca e ha diritto di aspettarsi da noi la testimonianza di Amore che ci ha trasmesso Gesù. Lo saprà anche il Padre. Noi saremo riconosciuti da Lui, non se abbiamo vissuto una fede forte, dura, che non ha mai dubitato; non saremo riconosciuti neanche se avremo vissuto una Speranza incrollabile. Al contrario saremo riconosciuti nella fragilità di una fede che ha saputo amare anche nel dubbio; saremo riconosciuti nella disperazione di tanti giorni che non hanno mai smesso di lasciarsi amare.

Gesù Cristo ci ha rivelato un Padre misericordioso che ci vuole più felici che fedeli, deboli ma che amano con la fede che c’è uno Spirito che ci previene, ci sostiene e ci guida verso la verità tutta intera. Gesù vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere come una colomba. Da questo cielo aperto per sempre, e non chiuso dentro nessuna legge o dottrina, noi attendiamo ancora una volta il dono dello Spirito che continua ad agire, a volerci bene e parla in molte lingue e in molti modi. Chiediamo al Signore di saperlo ascoltare e alla Madonna di saperlo custodire. Nell’attesa di poterlo incontrare.
Francesco Pesce – L’Osservatore Romano