Domenica 5 ottobre 2025
L’auspicio del comboniano, da diversi anni in Brasile, è che l’esperienza del Giubileo rinnovi la missione, depurandola dalle tracce di colonizzazione, e promuova opzioni ecclesiali concrete per la trasformazione delle società. Ispirati dal principio di sinodalità, sottolinea, bisogna ripensare modelli economici e relazionali o recuperare quelli già esistenti ma soffocati dai nazionalismi: “Sono in crisi la pace, l’uguaglianza, i diritti, l’ambiente. Ma un altro mondo è possibile”. [Antonella Palermo – Vatican News]
Guardare al mondo come volto plurale, interconnesso, che non può chiudersi nel negazionismo o nel nazionalismo, sia politicamente che spiritualmente. È questo il presupposto a cui deve ispirarsi il senso della missione oggi. Ne è convinto padre Dario Bossi, coordinatore provinciale delle attività missionarie dei Comboniani in Brasile, che con i media vaticani torna alla radice dell’esperienza giubilare, torna agli input generati dal cammino sinodale, offre la chiave per interpretare le crisi belliche che stiamo vivendo, esprime i suoi auspici sulla Cop30 in programma il mese prossimo a Belem.
La missione è abbracciare il mondo e guardarlo con umiltà
Dal Brasile, dove vive da una quindicina d’anni, padre Dario parla con un’umiltà tangibile a migliaia di chilometri di distanza. Catapultato dal varesotto, dove è nato cinquant’anni fa, nella periferia di San Paolo, ha operato per dieci anni nello stato del Maranhão, dove ha preso a cuore la causa delle comunità colpite dalle violazioni socio-ambientali causate dal ciclo minerario e siderurgico, nell’ambito del progetto Grande Carajás, della multinazionale brasiliana Vale S.A. C’è una vita prima dell’essere missionario e un’altra dopo, perché mettendo la propria esistenza nelle mani della missione, osserva, se ne esce “completamente cambiati”. La missione per lui è “la capacità di abbracciare il mondo con le sue sfide e le sue aspettative, nella convinzione che siamo un’unica famiglia e un unico corpo con Madre Terra, un unico sistema complesso che vive e cerca di offrire una vita di qualità a tutti. In questo abbraccio è importante rispettare, accogliere e valorizzare le differenze, e raggiungerle non dall’alto in basso – precisa -, ma con i criteri evangelici dal basso verso l’alto, con l’umiltà di chi ascolta, avendo anche valori profondi da condividere, ma senza imporli, e al contrario proponendoli da segni concreti di speranza”.
La missione è riconciliazione con l’intera creazione
La missione di oggi, scandisce il religioso – consulente sul tema dell’ecologia integrale nella CLAR (Conferenza dei Religiosi in America Latina) e nella Commissione per l’Ecologia Integrale e l’attività mineraria della Conferenza Episcopale Brasiliana -, non può ignorare la sfida per la pace, la riconciliazione che, tra le altre cose, è riconciliazione con il pianeta, con l’intera creazione. Bisogna tener conto della “sfida violenta della disuguaglianza e della fame, che ancora tormenta la maggior parte delle persone sulla Terra”. Cita Papa Francesco quando diceva che evangelizzare è rendere presente il Regno di Dio in questa Terra. E poi condivide l’apprezzamento per Papa Leone che alla cultura nordamericana introiettata per nascita, “ha assunto nel cuore il contagio missionario dei popoli indigeni e dei campesinos peruviani, e ha la ricca esperienza dell’orizzonte ecclesiale conosciuto in Vaticano”. Eppure, anche alla latitudine da cui parla padre Bossi si percepisce tutta l’apprensione per un mondo dove pare che la voce degli oppressi sia spenta: “La situazione attuale è preoccupante. Ci troviamo in un momento particolarmente difficile, che mette in crisi il multilateralismo, i progetti di pace, i progetti di uguaglianza e dignità, il rispetto dei diritti umani”.
La missione all’inizio ci smonta, poi ci ricostruisce totalmente
Il comboniano rilancia su quello che dovrebbe essere lo stile di annuncio evangelico e di presenza alle frontiere. È un mondo prismatico quello che si apprende attraverso la missione: “Io sono completamente cambiato, facendo un’esperienza, mettendo la mia vita nelle mani della missione. Ero una persona e ne sono diventato un’altra, e questo grazie agli incontri, grazie alla realtà che ci trasforma, che all’inizio ci smonta. Al Sinodo dell’Amazzonia abbiamo detto: disimparare per imparare e reimparare”. Questa è l’eredità fondamentale su cui continuare a lavorare, sostiene Bossi, che insiste sulla spinta che nutre l’essere missionari: sapersi arricchire, “ammettere che non possediamo tutta la verità e tutta la conoscenza, e siamo assetati della presenza di Dio che ci sorprende in tutte le realtà”.
Prendersi cura dei territori e delle relazioni
Padre Bossi è stato coordinatore della rete Justiça nos Trilhos, organizzazione di diritti umani che segue le comunità delle vittime dell’estrazione mineraria lungo il Corridoio di Carajás. Alla luce di questo impegno che comprende anche il coordinamento della rete ecumenica latinoamericana Iglesias y Minería ed è consulente della REPAM (Rete Ecclesiale Panamazzonica), sottolinea che “siamo in uno dei momenti storici più drammatici, anche a causa della crisi ambientale e del collasso climatico. Quello che stiamo cercando di fare qui, soprattutto con l’ispirazione dell’opportunità della COP30, è avvicinare il più possibile le resistenze nei territori e le politiche mondiali. Diciamo, usiamo questo slogan, che la storia dei cambiamenti climatici cambia dai territori, proprio come la pace nel mondo cambia dai territori. Ci sembra che una grande sfida sia quella di ricostituire il tessuto delle relazioni e dell’appartenenza a un punto culturale, ancestrale, storico, affettivo, a un territorio di cui ci prendiamo cura e in cui cresciamo come popolo, con un progetto ereditato dai nostri antenati e che vogliamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi”.
COP30, emerga la voce degli oppressi soffocata dai nazionalismi
La dimensione rimessa a fuoco da padre Dario unisce profondamente spiritualità, cultura e cura dell’ambiente, delle relazioni e delle persone: “Questo può fare la differenza. Qui in Brasile, e in molte parti del Sud del mondo, sentiamo che l’esperienza dei popoli indigeni spinge in questa direzione, dimostrando che è possibile un altro modo di rapportarsi tra persone, ambiente e creazione, e che è anche possibile un altro modo di organizzare la società, le relazioni, l’economia. Credo che dobbiamo avere l’umiltà di pensare a modelli completamente diversi, di proteggerli, perché già esistono, e di riportarli dove sono stati soffocati”.
Scena di vita in Amazzonia
Il missionario comboniano fa il punto, inoltre, su come la voce della Chiesa si stia facendo sentire già con una certa chiarezza e determinazione proprio in vista della COP30 che si svolgerà a Belem dal 10 al 21 novembre: “Vorrei sottolineare in particolare la forza e il contenuto profondo del documento delle Chiese del Sud del mondo, dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina e dei Caraibi, che è stato consegnato a Papa Leone e anche al Segretario Generale delle Nazioni Unite in occasione dell’Assemblea Generale Onu di settembre. È un documento in cui la Chiesa denuncia le false soluzioni, evidenzia l’emergenza di questo tempo, assume impegni diretti in primo luogo come comunità locale e come organizzazione ecclesiale globale, e stabilisce anche alcuni punti essenziali per la COP30, alcune decisioni che non possono essere rinviate alla COP30”. Sarà ascoltata questa serie di istanze? “Purtroppo è una voce minoritaria, una voce che oggi è soffocata dall’arroganza del nazionalismo, ma è una voce che qui, almeno dall’esperienza che sto vivendo in Brasile, sta avendo un grande impatto sulle comunità” che stanno comprendendo il valore di questo evento internazionale, ma soprattutto il valore del contributo locale alla biodiversità e all’equilibrio climatico che, spiega padre Bossi, “dobbiamo difendere”.
Vivere il Giubileo per decolonizzare la missione
Tornando al proprium della vocazione missionaria, ciò che va smontato, secondo la prospettiva del comboniano, è sempre quel residuo di tratto colonizzatore che ha segnato la missione storicamente. “La questione della colonialità, del nostro modo di agire come missionari, è decisiva, va approfondita, bisogna essere un po’ vigili su questo tema. I nuovi protagonisti ‘dal basso’ ribaltano la lettura delle relazioni, rafforzano l’importanza di una missione capace di promuovere il dialogo tra le culture, e anche il dialogo tra le religioni, senza discriminazioni e con processi inclusivi. Naturalmente, essi portano anche molte sfide riguardo ai modelli ecclesiali e alla diversità degli approcci ecclesiali”. Torna al centro la riflessione sulla sinodalità, sulla valorizzazione del ruolo delle Conferenze episcopali, nazionali e continentali, su quello sempre più rilevante delle Chiese locali nella definizione dei propri percorsi specifici e inculturati.
Vivere il Giubileo, dunque, è non perderne di vista il profondo significato biblico e storico: segno di speranza, di trasformazione concreta nella società, a partire dal protagonismo della fede. Nella Bibbia, conclude padre Bossi, il Giubileo significa perdono dei debiti, eliminazione della schiavitù, riconciliazione con la terra e il riposo della terra. “Tutte queste categorie possono essere tradotte in modo molto concreto in opzioni pastorali e scelte che la nostra fede ci permette di fare per la trasformazione di questa società alla luce del sogno biblico del Giubileo. Pertanto, la celebrazione del Giubileo della Missione è un rinnovamento del ruolo della missione come elemento di trasformazione della società a partire dalla fede”.
Antonella Palermo – Vatican News