Il gesto di Gesù che caccia i mercanti (Gv 2, 13-22) è teatrale e sorprendente. Avrebbe potuto predicare mettendo in guardia i discepoli, come farà a proposito degli scribi e dei farisei, senza la sferza di cordicelle. È un gesto che è proprio accaduto, lo riportano tutti i quattro vangeli. Solo Giovanni però, lo mette all’inizio della predicazione.
L’anticipazione
Gv 2, 13-22
Giovanni è un maestro di quella tecnica narrativa che si chiama anticipazione. Qui siamo appena al capitolo 2 e l’evangelista nel raccontare la storia di Gesù gli ha fatto dire, alle nozze di Cana, che non è ancora giunta la sua ora (Gv 2,4), ovvero sappiamo già che ci sarà un momento, più avanti, in cui invece accadranno cose grandi e ora, nel brano di vangelo che chiamiamo della purificazione del tempio, Giovanni ci parla direttamente della resurrezione.
Nel testo narrativo l’anticipazione serve a creare attenzione e attesa nel lettore. Anche qui. I vangeli sono storie raccontate e le regole sono quelle. Ma a Giovanni sembra interessare di più l’affermazione (teologicamente fondamentale diremmo oggi) che parole e azioni di Gesù possono essere comprese solo a partire dalla fine. Una fine smisurata rispetto alle attese.
Ci si aspettava la liberazione dall’oppressione, un popolo ricostituito nella sua libertà e invece arriva la morte del Messia. E poi la resurrezione. Qualcosa così difficile da accogliere che Giovanni ogni volta che può la anticipa, ancora e ancora.
Il gesto di Gesù che caccia i mercanti è teatrale e sorprendente. Avrebbe potuto predicare mettendo in guardia i discepoli, come farà a proposito degli scribi e dei farisei, senza la sferza di cordicelle. È un gesto che è proprio accaduto, lo riportano tutti i quattro vangeli. Solo Giovanni però, lo mette all’inizio della predicazione.
Qui si parla di Dio, ha scritto nel prologo. E ora chiede: dove si trova Dio? Nel tempio, risponde il buon ebreo credente che nella festa di Pasqua sale a Gerusalemme in un pellegrinaggio codificato dai capi religiosi. Nella persona di Gesù, risponde Giovanni.
Ai capi religiosi, spiazzati o arrabbiati per qualcosa che manda all’aria l’istituzione a cui appartengono, e chiedono segni, Gesù dà una risposta che non possono capire: Io sono il tempio. E nemmeno i discepoli capiscono, ma la ricorderanno dopo la resurrezione e intanto però restano con lui, non lo lasciano, imparano a credere che la fede è più grande di un mercato, fosse pure sacro.
Giovanni dice tutto e subito. L’unica cosa che conta è Gesù, la sequela, la relazione con lui che ci fa abitare insieme a lui il tempio della nuova relazione d’amore. Niente meriti per ottenere benevolenza da Dio, niente sottile devoto mercanteggiare, nemmeno attraverso prescrizioni consolidate e lecite: è così tutto nuovo che lo si può capire solo restando lì con Gesù, un giorno alla volta, ricordando e finalmente, almeno un poco, comprendendo.
Questo di Gesù è un gesto che istintivamente ci dà un moto di umanissima soddisfazione, perché sia pure in modo confuso siamo consapevoli del fatto che tutto quel mercato intorno alle cose di Dio non va proprio bene. Eppure siamo ancora così pieni di sacri mercati.
Mariapia Veladiano – L’Osservatore Romano
Dedicazione della Basilica Lateranense
La Basilica di San Giovanni in Laterano, di cui celebriamo la Dedicazione in questa trentaduesima domenica ordinaria, è la Cattedrale del Papa in quanto Vescovo di Roma. Essa è la prima, per origine e dignità, di tutte le chiese dì occidente. Ecco perché sul frontale centrale della sua facciata vi si trova il motto seguente: “Mater et Caput omnium ecclesia rum Urbis et orbis” (Madre e Guida di tutte le chiese di Roma e del mondo). Questa Basilica costantiniana eretta nel 320, cattedrale di Roma e del mondo, è dunque la madre delle altre chiese. Essa è ugualmente la custode della cattedra papale e conserva, nel baldacchino che sormonta l’altare maggiore, le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo. La festa della sua dedicazione ci ricorda, soprattutto, che il ministero del Papa, successore di Pietro, è di costituire per il popolo di Dio il principio e il fondamento della sua unità.
Al centro della liturgia della Parola c’è l’episodio dell’espulsione, da parte di Gesù, dei venditori al Tempio, in occasione del suo soggiorno a Gerusalemme durante la festa di Pasqua. Questa espulsione ha luogo non nel “Sancta sanctorum” ma nel cortile dei gentili, la parte meno nobile della spianata sacra, l’unica alla quale gli stranieri avevano accesso. Le sane tradizioni richiedevano che vi si comportasse con grande rispetto. Bisognava, per esempio, evitare di passarvi per il solo motivo di accorciare il proprio cammino. Ma tante di tali prescrizioni, soprattutto in prossimità della Pasqua, non erano affatto osservate. I sacrifici che dovevano offrire i pellegrini (un bue o una pecora i ricchi, una colomba i poveri) e l’offerta di mezzo siclo, da pagare esattamente secondo il siclo del Tempio, erano all’origine di un grande trambusto. I capannoni dei mercanti di buoi e di pecore, come pure i tavoli dei cambiavalute disposti qua e la trasformavano il recinto in un gran mercato. Lungi dall’opporsi a questa profanazione, i responsabili del Tempio vi scorgevano una fonte preziosa di guadagni.
Indignato per tale mancanza di rispetto verso il santuario, Gesù si sente obbligato a reagire. Si fece una frusta con delle corde per cacciarli tutti fuori dal Tempio, uomini e bestie. Rovescia i tavoli dei cambia denaro. Quanto ai venditori di colombe, di certo perché il loro commercio appariva meno offensivo, viene loro ingiunto di abbandonare il posto portando via i loro uccelli: “Togliete ciò di qua, non fate della dimora di mio Padre un luogo di commercio”.
Difatti, a partire dal Vecchio Testamento, il Tempio è considerato come casa di Dio (la sua dimora in mezzo agli uomini); è così che lo stesso Gesù la chiama in Mt. 12,4, Mc. 2,26 e Lc. 6,4. Se Giovanni sostituisce a questa espressione corrente quella, completamente inaudita, di “casa di mio padre”, è per mettere in rilievo la filiazione divina di Gesù. Questo modo di presentarsi di Gesù, chiamando cioè Dio suo Padre, equivale a una dichiarazione messianica. Si è dunque di fronte qui a una prima manifestazione messianica di Gesù, certamente velata per la maggior parte, ma di cui gli scribi e i farisei dovevano essere in grado di supporre.
Le ingiunzioni di Gesù ai rivenditori e ai cambia monete sembrano essere state immediatamente eseguite. Non è stato dunque necessario che i discepoli intervenissero; ma lo zelo di Gesù li impressionò vivamente, a tal punto che essi si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo della tua casa mi divora”. In altre parole, essi videro nel gesto energico di Gesù l’illustrazione impressionante di questo meraviglioso versetto del salmo 70. Questo testo si addice bene allo zelo di Gesù per il rispetto della casa di Dio, zelo che dovrebbe essere anche il nostro.
Quanto ai sacerdoti, essi non perdono tempo a entrare in scena per reclamare a Gesù un segno capace di giustificare il suo atteggiamento. Egli dice loro: “Distruggete questo Tempio e in tre giorni io lo riedificherò”. Quando, cioè, il Tempio sarà distrutto da loro, egli lo ricostruirà. Queste parole non si riferiscono al tempio di pietre. Gesù non alludeva che al suo proprio corpo e al grande segno della Resurrezione, dopo che egli sarà stato ucciso. Infatti i lavori di costruzione del Tempio avevano necessitato di una considerevole mano d’opera (che Giuseppe Flavio valuta in circa 18.000 operai). Date tali condizioni, come un solo individuo poteva farsi garante di ricostruire, da solo, questo Tempio, e in tre giorni? Inoltre, la prova esigeva che si cominciasse distruggendo tutto! Lo stesso eccesso dell’assurdità avrebbe dovuto mettere i Giudei in guardia da una interpretazione troppo frettolosa e letterale delle intenzioni di Gesù. Ma tant’è, essi preferirono gridare all’assurdo. È, questo, un atteggiamento che tenta gli uomini di tutti i tempi.
Questa narrazione dell’Evangelista San Giovanni, in questo giorno in cui commemoriamo la Dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, ci invita fortemente a imitare l’atteggiamento dei discepoli: essi, con una fede generosa, credono in Gesù sull’autorità della sua parola. Tale è l’atteggiamento dei veri credenti. Questo brano ci proibisce, d’altra parte, di imitare l’incredulità dei capi dei Giudei, ostinatamente chiusi alla Luce e evidentemente impenetrabili alla Grazia. La fede è resa più facile da una docilità di spirito che non appartiene a coloro che sono imbevuti di se stessi, ma a coloro che sono umili.
Don Joseph Ndoum