P. Giovanni Vantini era nato il 1° gennaio 1923 a Villafranca (VR). Entrò nella scuola apostolica di Brescia nel 1939, proveniente dal seminario vescovile di Verona. Passò in noviziato a Venegono ed emise i primi voti il 7 ottobre 1941. Continuò gli studi a Verona dove, il 7 ottobre 1946, fece la professione perpetua e, il 31 maggio 1947, fu ordinato sacerdote.
Assegnato a Khartoum
Subito dopo l’ordinazione fu assegnato a quella che allora si chiamava la circoscrizione di Khartoum, nel Nord Sudan. Nel mese di novembre partì per Zahle (Libano) per lo studio dell’arabo che imparò molto bene. Giunse a Khartoum il 9 luglio 1949, assegnato alla parrocchia della cattedrale, come addetto al ministero; intanto insegnava anche alla nostra Technical School.
Nella provincia di Khartoum, P. Giovanni ha trascorso 58 anni. Ha speso la sua vita sui libri e scavando nella sabbia del deserto, anche se precisa: “Sono sempre stato soltanto un missionario”, ma con una grande passione per lo studio dell’antica Nubia cristiana. Tanto da diventare un’autorità mondiale sull’argomento.
Al suo arrivo a Khartoum: “I cattolici non erano molti – ricorda – e quasi tutti non africani: siriani, maltesi, palestinesi, libanesi, italiani, francesi, inglesi... C’era anche uno sparuto numero di sudanesi, discendenti dei neri battezzati da mons. Comboni”.
E a proposito delle scuole cattoliche, nel giugno 1982 scriveva al Superiore Generale, P. Salvatore Calvia: “A Khartoum abbiamo, oltre al CCK (Comboni College Khartoum), altre scuole, dal Kindergarten alle secondarie: totale circa 10.000 alunni (media degli ultimi cinque anni). Pensi all’influenza che così si esercita sulla società. Gli alunni sono nella stragrande maggioranza musulmani e sono i genitori stessi che ce li affidano (pagando, anche) perché noi li istruiamo. Dopo 8-10 anni quasi tutti questi alunni conoscono bene noi e la Chiesa e in gran parte ci trattano come amici. C’è ecumenismo migliore di questo, che si fa senza pericolo ed è efficace, invece di tentare forme azzardate per le quali oggi l’Istituto spreca personale prezioso? Se non avessimo le scuole, i musulmani non ci conoscerebbero e noi triboleremmo per farci conoscere per altre vie forse più rischiose e meno efficaci. Inoltre, nelle nostre scuole, nel Nord, trovano posto (gratuito o quasi) anche altri ragazzi e ragazze cristiani del Sud che poi passano all’università e ad altre professioni. Senza le nostre scuole, potrebbero questi riuscire come, di fatto, riescono? Pensi anche che se noi siamo ancora nel Sudan (Nord e Sud) è proprio grazie a questo servizio che rendiamo alla società. Tolto questo, o lasciatolo decadere, il Governo avrebbe buona ragione per eliminarci dal Sudan (dove il proselitismo è vietato). E allora cosa sarebbe delle nostre cristianità in formazione?
È per la presenza di Padri e Suore, compresi gli insegnanti, (e non per i Laici Volontari) che nel Nord abbiamo oggi catecumenati fiorenti tra gli immigrati del Sud Sudan. Nella sola Khartoum abbiamo circa trenta catecumenati e un migliaio di battesimi di adulti all’anno. Tanti immigrati dal Sud trovano a Khartoum il Cristianesimo e, ritornati al loro paese, alcuni si fanno propagatori in zone dove il missionario non ha ancora potuto mettere piede. Tutto questo sarebbe irrimediabilmente compromesso se noi ci ritirassimo dalle scuole provocando un’espulsione”.
Il profilo del missionario
Riportiamo quello che ha scritto P. Salvatore Pacifico, superiore provinciale di Khartoum.
“Parlare di P. Giovanni Vantini non è facile, tanto era ricca la sua personalità e varia la sua attività. Sono certo che presto o tardi ci saranno ricercatori che scriveranno tesi di laurea su di lui. Lo merita.
Era un grande lavoratore. Chi fa da sé fa per tre, era il suo motto. Faceva fatica ad adattarsi ai ritmi lenti del lavoro in equipe, anzi, direi al ritmo del lavoro degli altri in generale.
Faceva fatica anche a comunicare agli altri quello che faceva: informava il vescovo o il provinciale e, quando occorreva, chiedeva i dovuti permessi, ma con le altre persone, in genere, era piuttosto reticente. Spesso, infatti, i confratelli venivano a sapere per caso che era stato in Polonia o in Germania per una conferenza importante.
Era incapace di dire di no. E questo era un altro suo difetto. Gli altri, infatti, anche se dovevano adattarsi ai suoi schemi, ottenevano sempre quello che gli chiedevano, soprattutto se si trattava di insegnare, seguire un gruppo di catecumeni, dare una conferenza, accompagnare un gruppo di confratelli al museo nazionale o semplicemente dare consigli a uno studente su una ricerca per la laurea. Talora qualcuno ne approfittava, non rendendosi conto che era molto occupato. Arrivò ad avere 32 ore di lezione a settimana, quando normalmente un maestro ne ha una ventina. E dopo le ore della scuola, c’erano le ore extra. Su richiesta, per anni, insegnò religione cristiana agli indiani indù, perché potessero prendere il Sudan Certificate. Nei ritagli di tempo insegnava arabo a molti missionari appena arrivati. Era disponibile per gli ammalati e le visite alle famiglie. Se c’era una festa di famiglia nelle nostre comunità, partecipava attivamente. L’unica cosa che gli dava fastidio era il fumo.
Per qualche anno fu professore semestrale all’università aperta dalle comboniane ad Asmara. Ma non disdegnava di insegnare religione in quarta elementare, e l’ha fatto per decenni. Era molto chiaro nell’esposizione: si faceva capire sia dall’intellettuale raffinato sia dal catecumeno analfabeta. Conosceva talmente bene l’arabo che riusciva ad adattarsi a tutte le situazioni.
Aveva una calligrafia grande quando scriveva a mano e lo faceva spesso a matita, mentre quando batteva a macchina, riempiva completamente le pagine. Solo Dio sa quante ne ha scritte traducendo regolarmente articoli di giornali arabi per documentazione personale, ma anche per passarli alla nunziatura, alla conferenza episcopale, al provinciale e ad altri.
La sua vera vocazione è stata quella dell’evangelizzatore. In Africa era venuto come missionario e così è stato. Aveva la passione dell’annuncio, anche se non tutti se ne accorgevano. Fr. Michele Sergi poté subito contare su di lui quando aprì quello che poi, popolarmente, fu chiamato il Club Sergi: un luogo d’incontro al centro di Khartoum, dove i sudisti che arrivavano potevano ritrovarsi, imparare a leggere e a scrivere e assimilare il catechismo. P. Giovanni fu il collaboratore più fedele di Fr. Sergi: riusciva a sminuzzare e a far capire il catechismo come nessun altro. Di quest’opera di Fr. Sergi, nel 1986 scrisse: ‘Mi pare un’opera sacrosanta, da non abbandonare ma da sostenere in tutti i modi’.
Anche quando partecipò agli scavi nella Nubia, in collaborazione con una missione archeologica polacca (1960-1964), lo fece nel contesto della sua vocazione di evangelizzatore: riteneva importante che i Sudanesi ritrovassero le proprie origini cristiane e fossero consapevoli che il Sudan era stato grande molto prima di essere islamizzato, come invece vorrebbero far credere alcuni libri di storia. In questi ultimi anni era impegnato a portare a termine una nuova edizione del libro che gli stava più a cuore, Il Cristianesimo nella Nubia antica. Ne vide la stampa in lingua inglese, ma per quella in arabo ebbe talmente tante difficoltà che a un certo punto sembrò abbandonare l’idea. Ma il desiderio era più forte e riprese a lavorarvi fino alla fine. Aveva a cuore soprattutto una cosa: che i Nubiani capissero in modo giusto il loro passato, un passato glorioso e cristiano.
Fu testimone della nascita e della crescita della Chiesa nel Nord Sudan, giorno dopo giorno. Quando era arrivato a Khartoum, nel 1949, i cattolici erano circa 50.000, quasi tutti di origine straniera, per lo più siriani o libanesi. Cinquant’anni dopo, erano diventati quasi un milione: molti stranieri se n’erano andati ed era nata una Chiesa sudanese di sudanesi sudisti e Nuba. Negli anni cinquanta, la diocesi aprì un centro di accoglienza vicino al mercato di Khartoum, il “Welfare Center”. Era aperto a quelli che venivano da fuori, Nuba inizialmente, ma poi anche ai sudisti, gente che arrivava a Khartoum e non sapeva dove sbattere la testa. Vi lavorarono anche P. Carlo Muratori, P. Elio Soriani, P. Igino Benini e altri. Il Welfare Center divenne, dal 1958, la residenza di P. Giovanni che vi rimase per 26 anni. Fu lì che diede vita allo SCIO, Sudan Catholic Information Office. Con mezzi rudimentali preparava programmi cristiani domenicali che trasmetteva su Radio Omdurman. Continuò a pubblicare il giornale cattolico As-Salaam, iniziato due anni prima alla scuola tecnica. Intanto continuava a tenere i contatti con la missione archeologica polacca della quale aveva fatto parte.
E tutto quello che faceva lo faceva con scrupolo e competenza. E sempre con lo spirito dell’evangelizzatore. Non è mai stato un intellettuale astratto. Nel 1989, quando fu destinato a Omdurman come vice parroco, nella lettera di destinazione, il provinciale gli chiedeva di “collaborare in particolare nel catecumenato, mettendo a profitto la sua esperienza nella catechesi biblica e la conoscenza dell’arabo, e di prendersi a cuore la formazione dei catechisti”. Per molti anni fu anche parroco di Shendi (150 km da Khartoum) dove si stava formando una comunità cristiana. Vi andava regolarmente due week-end al mese, dal sabato al lunedì. Non potendo risiedere sul posto, si era assicurato che il catechista portasse avanti il lavoro con responsabilità. Ebbe la fortuna di poter contare su un bravissimo catechista, Anselmo, che era talmente apprezzato che la gente lo chiamava ‘padre’.
Leggeva e studiava molto e, tra i tanti libri, sapeva trovare quelli giusti. Nella casa provinciale di Khartoum ci sono ancora sei armadi, dove si conservano libri suoi. Aveva una memoria formidabile, lucida fino alla fine: era una vera biblioteca vivente”.
Il profilo dello studioso
Nel 1953, ebbe fine il condominio anglo-egiziano in Sudan e Khartoum ottenne un regime di autogoverno. Si parlava sempre più d’indipendenza e il vescovo Mons. Agostino Baroni, desideroso di influenzare positivamente il nuovo corso con principi sociali cristiani, decise di aprire un giornale e pensò a P. Giovanni come direttore. Così, nel 1954, andò a Londra per un corso di giornalismo. Tornò alla fine dell’anno seguente. Il 1° gennaio 1956, giorno dell’indipendenza del Sudan, pubblicò il primo numero di As-Salaam (‘la pace’), un quindicinale che “tirò subito 2.500 copie”.
Abuna Hanna, come veniva chiamato da tutti, dal 1956 al 1958 abitò alla Technical School, dove insegnava, e dal 1958 al 1984 alla sede del seminario minore, ora PALICA (Pastoral Liturgical Catechetical Center).
Dal 1966 in poi fu responsabile del “Sudan Catholic Information Office (SCIO)”, in particolare del settore notizie e studi.
Nel dicembre 1967 ottenne la laurea in lingue e civiltà orientali presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, con una tesi sugli scavi di Faras. Pubblicò un estratto della tesi in inglese (Bologna 1972). Poi raccolse in un solo volume tutte le testimonianze sulla Nubia sparpagliate nelle fonti arabe e altre lingue orientali tradotte in inglese: “Oriental Sources concerning Nubia” (Heidelberg-Warszawa 1975). Pubblicò pure una “Storia del Cristianesimo nella Nubia” in arabo (Khartoum 1978) e un rifacimento dello stesso in italiano “Il Cristianesimo nella Nubia antica” (Bologna 1985).
Nel 1976 aveva avuto un infarto e ricevuto l’unzione degli infermi, ma dopo tre mesi passati al Cairo, si ristabilì e riprese il lavoro di sempre.
Dal 1968 al 1980 ebbe anche l’incarico di produrre programmi radio in arabo per il Sud Sudan.
Dal 1981 in poi insegnò storia del mondo arabo e religione alla Sisters’ School, delle Suore Comboniane, religione al pre-seminario St. Augustine, nei catecumenati e al Club Sergi. Fu docente di Storia delle Religioni all’Università di Asmara per tre periodi nel 1973-1974 e 1977. Nel 1978 sostituì P. Attilio Laner nelle visite mensili alla parrocchia di Shendi. Dal 1989 al 2007 rimase a Omdurman come vice parroco.
Lavorò alla traduzione in arabo e alla preparazione di catechismi e altri sussidi didattici e liturgici per il Nord e il Sud Sudan. Diede anche corsi di lingua araba per missionari e suore.
Radici cristiane, sotto sabbia islamica
Nel 1955 nel Sud Sudan era scoppiata la guerra civile, destinata a protrarsi fino al 1972. Decine di migliaia di sud-sudanesi cercarono rifugio al nord. P. Giovanni racconta: “Masse innumerevoli di spiantati, diseredati, bisognosi di tutto. Cerchiamo di accoglierli e aiutarli. Creiamo centri d’incontro (nadi o club) per loro. Diamo inizio anche al catecumenato. Ogni anno impartiamo 80-100 battesimi. Dopo lo scoppio della seconda guerra civile, nel 1983, i catecumeni ‘sudisti’ diventeranno migliaia. Nella mia nuova parrocchia di Omdurman giungerò a battezzare 700-800 adulti ogni anno. Sparita la comunità cattolica bianca nel 1956, ci troviamo davanti a una nuova fiorente Chiesa nera in terra islamica”.
“All’apparenza sembrava una Chiesa trapiantata, – spiega –. In verità, questi cristiani non sono del tutto ‘stranieri’ nel Nord Sudan. Per quanto possa apparire strano, il cristianesimo si era stabilito in questo paese molto prima dell’arrivo dell’islam. Dal 500 al 1400, la fede cristiana era fiorita lungo la valle del Nilo, a nord di Khartoum, dando vita a tre grandi regni cristiani”.
E le prove vennero a galla a migliaia. Infatti, nel 1958 l’Unesco lanciò un appello al mondo intero perché intervenisse per salvare i monumenti dell’Antica Nubia, destinati a sparire per sempre sotto le acque del grande lago artificiale che si sarebbe venuto a creare a monte della nuova superdiga progettata dall’Egitto”.
A Pasqua del 1959, P. Giovanni andò a Wadi Halfa, una delle zone destinate a essere allagate e visitò i siti dove alcuni archeologi stavano facendo degli scavi; scattò numerose foto, prendendo nota di tutto. Di ritorno a Khartoum, scrisse ogni cosa sul giornale: era la prima volta che la gente del Sudan veniva a sapere dell’esistenza di quei reperti archeologici. Scrisse articoli anche per Nigrizia, perché anche il resto del mondo sapesse.
Nel 1966, dopo un nuovo appello dell’Unesco, l’Università di Roma La Sapienza decise di inviare una sua spedizione archeologica nella Nubia. Il Vaticano diede un forte contributo finanziario e chiese la presenza di un sacerdote. Seguiamo ancora le parole di P. Giovanni: “Si dà il caso che, in Vaticano, ci sia un monsignore abbonato a Nigrizia. Legge i miei articoli, s’informa su chi sia l’autore, e mi vedo arrivare una lettera in cui mi si chiede di aggregarmi alla spedizione dell’Università di Roma”. Dal 1966 al 1970 P. Giovanni partecipò direttamente agli scavi.
Seme sepolto
P. Giovanni decise di raccogliere tutto quanto era stato scritto sull’argomento dagli antichi autori e iniziò a visitare le più note biblioteche d’Europa e del Medio Oriente. Un giorno, in uno scantinato dell’università di Khartoum, s’imbatté in un armadio pieno di antichi volumi. “Lo apro e mi trovo davanti a tomi enormi, zeppi di documenti antichissimi, corredati di mappe, che coprono il periodo che va dai geroglifici fino al 1550. Li leggo uno dopo l’altro, ricopiando ogni cosa che riguarda l’Antica Nubia. Riempio così oltre 2.000 fogli di protocollo con passi di autori arabi, siriaci, etiopici, copti, ebraici, e altri ancora”.
Nel 1969 a Essen, Germania, si svolse la prima conferenza sugli studi nubiani e anche P. Giovanni fu invitato a parteciparvi. Tra le risoluzioni finali della conferenza figurava la necessità di preparare un repertorio di tutti i testi antichi riguardanti l’Antica Nubia. P. Giovanni alzò la mano: “Se intendete dire testi scritti da storici, io li avrei già pronti”.
Ebbe inizio, così, un periodo di lavoro frenetico di pubblicazioni: dapprima, The Escavations at Faras. A Contibution to the History of Christian Nubia, nel 1970 (Bologna); quindi, Oriental Sources concerning Nubia (Warszawa/Heidelberg: Akademie der Wissenschaften, 1975).
P. Giovanni racconta: “E così, entro nel ristretto circolo degli addetti ai lavori. Ma il mio scopo non è ‘archeologico’: io sono ben piantato nel presente. Intendo mostrare che i sudanesi che battezzo non sono ‘fuori luogo’. Il governo di Khartoum vorrebbe imporre la legge islamica, la sharia, su tutto il paese, e presenta l’apparizione e ascesa del Mahdi (l’inviato) e dei suoi immediati successori negli anni 1880 come punto di riferimento storico per una tale decisione. Eh no! La fede cristiana ha qui radici molto più antiche dello stesso islam”.
Continua il grande lavoro di pubblicazione
P. Giovanni, nei suoi libri, si è interessato a numerosi argomenti: archeologia e storia (del Sudan, dell’Africa, della Chiesa, dell’islam), innanzitutto, ma anche diritto, politica, antropologia. L’elenco dettagliato dei suoi scritti è reperibile nel catalogo della Biblioteca della Curia Generalizia a Roma. Sul cristianesimo, ad es., pubblicò tre testi divulgativi in cui raccoglieva le conclusioni dei suoi lunghi studi: in arabo, Tà rikh al-masihiyya fi-l maàlik al-nubiyya al-qadima wa-l-Sudan al-hadith (Khartoum, 1978), in inglese, Christianity in the Sudan (Bologna, 1981) e in italiano, Il Cristianesimo nella Nubia antica (Verona, 1985).
“Dopo il 1964 – scriveva – quando non fu più possibile scavare a Wadhi Halfa, si passò a Dongola. Qui sono state rinvenute altre chiese e una miriade di importanti reperti archeologici. Negli anni 1990 è stata trovata una casa privata con i muri coperti di dipinti cristiani. Nel 1993 è stata la volta di un monastero, con cimitero e ospizio per pellegrini, anche quest’ultimo tutto istoriato. Simili scoperte si sono avute fino al 1998, e tutte hanno confermato la mia convinzione: l’avvento dell’islam in Sudan ha, sì, sepolto sotto spesse coltri di sabbia le vestigia gloriose di antiche chiese cristiane, ma l’odierna comunità cristiana di Khartoum può dire che il seme sepolto non è morto invano”.
È anche grazie a queste sue pubblicazioni, che oggi, gli intellettuali del Nord Sudan sanno che il loro paese ha sviluppato un’arte e un’architettura cristiane seconde a nessun’altra.
La sua ultima fatica è stata La Missione del Cuore - I comboniani in Sudan nel ventesimo secolo, pubblicato nel maggio 2005 (Emi, Bologna). In 992 pagine, P. Giovanni ripercorre l’intera storia comboniana in Sudan, frutto della sua conoscenza diretta della situazione ecclesiale e civile. “Una miniera d’informazioni – scrive P. Pacifico – per tutti coloro che scriveranno la storia della missione del Sudan. Aveva letto pagina per pagina tutti i numeri di Nigrizia, tutti i bollettini dell’Istituto. Sentiva il forte bisogno di trasmettere la memoria della missione del cuore alle nuove generazioni di missionari, anzitutto, ma anche di cristiani”.
In quasi sei decenni di presenza nel paese, infatti, ha incontrato la quasi totalità dei comboniani che hanno lavorato in Sudan, sia nel nord che nel sud. Grazie al suo impegno nel mondo della scuola, in particolare al Comboni College di Khartoum, ha potuto accedere a una vastissima rete di contatti e d’informazioni. Scrive: “Ho cercato, per quanto possibile, di riportare le parole dei protagonisti, inquadrandole, ove necessario, nell’ambiente storico e geografico, senza prestare loro i miei commenti”. Alla fine dell’immenso lavoro di ricerca, P. Giovanni espresse lapidariamente il suo parere: Digitus Dei est hic (qui c’è il dito di Dio).
Gli ultimi anni
Nel 2007 dovette rientrare in Italia per malattia e andò al Centro Ammalati di Verona, dove ha trascorso i suoi ultimi anni, ancora impegnato in ricerche storiche.
È deceduto a Verona il 3 maggio 2010. Il funerale è stato celebrato nel Duomo di Villafranca. P. Giovanni è stato sepolto nella tomba di famiglia.
A Khartoum, il 5 maggio, c’è stata una celebrazione speciale in cattedrale, presieduta dall’amministratore apostolico di Malakal, Mons. Rocco Taban. Erano presenti 30 sacerdoti e quasi tutte le suore operanti a Khartoum, oltre ai laici che avevano appreso la notizia della morte. Il 10 maggio è seguita una seconda celebrazione, presieduta da P. Pacifico, provinciale, nella parrocchia di Omdurman, dove P. Giovanni aveva lavorato dal 1989 fino a quando ha lasciato il Sudan nel 2007. Due giornali, uno in arabo e uno in inglese, hanno pubblicato un articolo su questo grande missionario.
Testimonianze
Alla notizia della morte di P. Giovanni, Mons. Camillo Ballin, che ha vissuto con lui alcuni anni a Omdurman, ha scritto: “Con lui scompare un pozzo inesauribile di conoscenze del Sudan, della Chiesa e del Paese”.
Mons. Daniel Marco Kur Adwok, vescovo ausiliare di Khartoum, ha colto due punti essenziali di P. Giovanni quando, nel suo messaggio di condoglianze ai Comboniani, ha scritto: “P. Vantini ci ha lasciato dopo un lungo e fecondo lavoro in Sudan. La Nubia cristiana è diventata parte integrante (part and parcel) della nostra identità grazie alle sue ricerche. P. Vantini è stato anche un eccellente catechista che sapeva come condurre i suoi catecumeni all’incontro con Cristo”.
I cugini al suo funerale (Luisa, Umberto, Pietro e Niccolò)
I miei ricordi più belli di te risalgono all’adolescenza, quando mi aiutavi a tradurre le versioni dal latino e ci mettevi tutta la passione di cui eri capace. Ricordo che quando trovavi nel testo qualche accenno storico, ti si illuminavano gli occhi e iniziavi ad approfondire il contesto storico, l’evoluzione semantica delle parole, le derivazioni dal greco, dal latino e dall’aramaico, passando dai termini inglesi al francese con grande naturalezza... eri proprio incredibile! Sapevi rendere semplici anche i concetti più complicati ed era impossibile non imparare quando insegnavi tu. Ricordo anche le lunghe lettere che scrivevi da Khartoum in occasione del Natale e della Pasqua, nelle quali raccontavi le tue intense giornate nella missione, scandite dall’insegnamento, dalla catechesi, dallo studio e dall’archeologia ed era bello ascoltare i racconti dell’Africa quando, nelle tue vacanze a Villafranca, accettavi un invito a pranzo... raccomandandoci sempre di preparare poco da mangiare! Rimarrai nei nostri cuori come esempio di sapienza e umiltà, di slancio e prudenza, di coraggio ed equilibrio, perché hai testimoniato la tua fede fino all’ultimo momento, accettando con riconoscenza e serenità la volontà del Signore.
Da Mccj Bulletin n. 247 suppl. In Memoriam, gennaio 2011, pp. 1-12.