P. Giovanni Meloni era nato il 12 luglio 1920 a San Gavino Monreale in Sardegna da una famiglia abbastanza agiata almeno fino al 1930, anno in cui il padre, che contava sulla lana delle pecore per pagare l’affitto dei pascoli, si trovò ad affrontare il crollo del prezzo della lana, in conseguenza del crac della borsa di New York. Cominciò così, per la famiglia, una vita di vera povertà. Ma erano molto uniti e si volevano bene, quindi Giovanni ebbe un’infanzia felice. Leggendo “Italia Missionaria”, s’innamorò delle missioni e chiese ai genitori il permesso di farsi missionario.
A dieci anni fu accettato nel seminario minore di Carraia (Lucca) e poi passò a quello di Brescia dove terminò il ginnasio. Nel 1936 entrò in noviziato a Venegono ed emise i primi voti nel 1938. Frequentò la teologia a Verona, Brescia e Rebbio, anche perché erano gli anni della guerra, e fu ordinato sacerdote il 3 giugno 1944. Si laureò in Lettere all’Università Cattolica di Milano e si specializzò per caso – solo la Provvidenza sa il perché – in letteratura spagnola.
Dopo aver trascorso 20 anni in Italia (Venegono, Rebbio e Sulmona) come insegnante e formatore dei ragazzi, fu destinato all’Ecuador.
Dopo alcuni mesi nella parrocchia di Muisne, su un’isola di fronte all’Oceano Pacifico, fu mandato a Esmeraldas, dove è rimasto per quasi tutto il suo tempo in Ecuador (28 anni), tranne un’interruzione di sette anni (1984-1991), quando fu mandato a La Paz in Bassa California, Messico, come direttore della Città dei Ragazzi.
L’insegnamento e la diffusione della cultura sono state le caratteristiche principali del suo impegno in Ecuador.
Pochi mesi dopo il suo arrivo a Esmeraldas – scrive P. Giuseppe Ricchieri – il collegio cattolico Sagrado Corazón de Jesús era rimasto senza rettore. A quel tempo, era un modesto istituto di educazione con pochi alunni e pochi professori nemmeno tanto qualificati. Sotto la sua direzione, in pochi anni, divenne il primo collegio della città. Lasciato il rettorato del collegio, fondò, con l’aiuto diretto del ministero dell’educazione, l’Instituto Normal Superior per la preparazione dei futuri maestri elementari di tutta la provincia. Per poter assumere questi due incarichi di rettore, P. Giovanni aveva dovuto chiedere, come previsto dalla legge, la nazionalità ecuadoriana. Il decreto della sua naturalizzazione, emanato dal Presidente della Repubblica e vidimato dal Ministro degli Esteri, porta la data del 23 luglio 1975.
Lasciò poi l’Instituto Normal Superior ai Salesiani e s’impegnò nella fondazione dell’Università Cattolica di Esmeraldas, come sezione distaccata dell’Università Cattolica di Quito. Per ironia della sorte, esonerato da quest’ultimo incarico per ordine superiore, fu destinato alla direzione della Città dei Ragazzi a La Paz in Messico. Prima della sua partenza dall’Ecuador, il Ministro dell’Educazione gli conferì la più alta onorificenza del paese nel settore dell’istruzione, la Condecoración al Mérito Educativo de Primera Clase.
Se l’educazione dei giovani è stata l’occupazione principale di P. Giovanni, il suo secondo impegno è stato la preparazione dei catechisti delle piccole comunità di Esmeraldas. Specialmente durante le vacanze scolastiche, si occupava della formazione spirituale, ma anche didattica e teologica, dei responsabili laici delle piccole comunità rurali. Prima di ogni incontro, preparava sempre una serie di quaderni per lasciare loro una guida semplice e chiara, da rileggere e studiare.
Dalla testimonianza di P. Alberto Doneda
Nel suo lavoro d’insegnamento e diffusione della cultura è stato uno dei fondatori della missione comboniana in Esmeraldas, fin quasi dagli inizi, cioè dal 1964 al 2000 (salvo la parentesi di circa sei anni in Messico). È sempre stato un uomo di studio, ma anche un uomo di pace, che non si è mai intromesso nelle piccole o grandi vicende (dibattiti e scontri) della Regione e neppure nei contrasti, non indifferenti, fra vescovi e provinciali.
Era molto stimato e benvoluto da tutti, specialmente dai professori e dagli studenti del liceo e dell’Università, per la sua amabilità, la sua mansuetudine e la sua competenza nelle varie materie che ha insegnato. Infatti, ha speso gran parte della sua “missione” nell’atmosfera calda e pesante delle aule strapiene. Ha lavorato molto nei due grandi collegi religiosi di Esmeraldas, il collegio, misto, del Sagrado Corazón e quello femminile della Inmaculada. Era molto rispettato e conosciuto in tutta la città per le sue conferenze, soprattutto su temi di apologetica, trasmesse dalle radio locali.
In due occasioni ebbe da soffrire molto. La prima, quando, sul più bello della sua carriera di professore “ad alto livello”, fu inviato in Bassa California per dirigere la Città dei Ragazzi. Un’attività del tutto estranea alla sua formazione scientifica e lontana dalla sua sensibilità umana, dal suo carattere, che non era certamente portato per fare da balia o da vigile a bambini di quell’età.
Un’altra sofferenza fu quando si rese conto che l’insegnamento veniva totalmente escluso dai piani dei Comboniani in Ecuador, sia per ordini superiori sia per mancanza di personale. P. Giovanni capì che per lui e per il gruppetto di quattro o cinque confratelli che si dedicavano all’insegnamento e al settore culturale era finita l’epoca d’oro della loro attività di docenti, costata tanti sudori e fatiche.
A Esmeraldas era molto conosciuto e amato e tante persone, anche molto tempo dopo la sua partenza, hanno chiesto di lui, della sua salute e della sua vita: del resto, più di due generazioni di ragazzi e ragazze (alcune decine di migliaia) hanno goduto del suo insegnamento, della sua guida e della sua amabilità di professore esperto e comprensivo, che ha saputo meritare il loro affetto e la loro riconoscenza.
Ad Arco
Nel 2000 P. Giovanni fu assegnato alla provincia italiana con destinazione Arco. Riportiamo alcune sue riflessioni personali.
“Da quando ho lasciato Esmeraldas, si è prodotta nella mia vita come una rottura. Ho sentito la mia vita come terminata e davanti a me vedo un’unica prospettiva: un periodo lungo quanto Dio vorrà di preparazione alla morte, e poi la morte. Rivedo tutta la mia vita non più piena di avvenimenti, ma di infedeltà alla bontà di Dio, e l’unico desiderio è di chiedergli perdono, e il pensiero di morire mi riempie di gioia, perché non potrò più dar disgusti a Dio, e finalmente potrò amarlo.
Caro Padre che scriverai di me dopo la mia morte: muoio con alcuni rimpianti, quello di non aver utilizzato quanto il Signore si aspettava da me per i doni che mi ha dato e quello di vedere l’Istituto, che tanto ho amato, scarseggiare di vocazioni in Italia.
E una cosa vorrei dire: mi hanno attribuito tante intenzioni e ambizioni ma credo che ciò sia stato falso. Per grazia di Dio non ho mai opposto resistenza alle disposizioni dei superiori. Quando mi sembrava di avere dei motivi validi e ragionevoli, li ho sempre esposti francamente ma anche sempre professandomi pronto a ubbidire. In questo sono stato molto aiutato dalla mia naturale capacità di adattarmi a tutte le circostanze e a non rimpiangere il passato. Ho finito sempre per essere contento. Ringrazio il Signore che sempre mi ha benedetto”.
P. Giovanni è morto a Verona il 15 ottobre 2010.
Testimonianza di Fr. Duilio Plazzotta
Sono rimasto colpito dalla morte di P. Giovanni, perché pur essendo da tempo al CAA non mi era giunta notizia che fosse grave, quindi immagino sia stata una partenza improvvisa.
Ho conosciuto P. Giovanni, quando era P. Juan ed “extracomunitario”. Quando è arrivato a Verona dall’Ecuador era già sulla sedia a rotelle e aveva difficoltà a muoversi. Come tutti sanno, aveva lavorato molto tempo in Ecuador ed era stato anche Rettore Magnifico all’Università. Proprio per essere integrato e poter lavorare meglio come insegnante e rettore aveva rinunciato alla cittadinanza italiana, acquisendo quella ecuadoriana.
Quando fu concessa la possibilità di avere le due cittadinanze, forse perché poco informato o distratto dai numerosi impegni scolastici, non si preoccupò di regolarizzare la sua situazione. Giunse dunque a Verona come extracomunitario a tutti gli effetti. Sappiamo quanto è complicato ottenere i permessi di soggiorno: bisognava che l’Istituto si facesse carico di tutte le spese anche sanitarie. Bisognava preparare le carte, andare in questura quando era ancora notte, mettersi in fila per ottenere un numero, e poi, se andava bene, attendere tutta la mattinata per riuscire a presentare la domanda di soggiorno. Chiaramente P. Juan non era in condizioni di fare tutto questo. Perciò andai a fare la fila e lo feci portare lì all’ultimo momento, per presentarlo e fargli firmare i documenti. Nonostante la comprensione degli incaricati della questura, ci volle qualche tempo per ottenere il “permesso di soggiorno”. Intanto avevamo avviato in comune le ricerche e le pratiche per riottenere la cittadinanza italiana, con il giuramento di fedeltà. Così ritornò ad essere P. Giovanni.
Abituato alla vita in missione e ai suoi ritmi di studio e insegnamento, P. Giovanni faticò ad inserirsi in un contesto particolare come quello del Centro Ammalati e Anziani. Cercò di mantenere vivo l’interesse per lo studio e si mise subito all’opera passando diverse ore al giorno ad utilizzare il computer. Era riservato ma affabile e gioviale; conservava piccole manie e abitudini. Amava incontrarsi con i confratelli e ascoltare le loro esperienze.
P. Giovanni è stato una bella presenza al CAA e penso che tutti ne sentiremo la mancanza, conservando di lui un bel ricordo e sapendo che da lassù ci aiuterà nel nostro cammino come missionari per testimoniare l’Amore del Padre nella fedeltà a Gesù.
Testimonianza di P. Teresino Serra
L’anziano giovane – P. Giovanni aveva deciso di non invecchiare e di vivere la gioia di ogni giorno. Guardava al futuro con ottimismo e serenità. Gli piaceva la saggezza della Bibbia che insegna che “la vecchiaia non si calcola dalla longevità e dal numero degli anni” (Sapienza 4, 8). La vecchiaia si calcola dalla qualità degli anni e dalla giovinezza del cuore. P. Giovanni è rimasto sempre giovane.
Professore e formatore – Lo ricordiamo volentieri come superiore e professore a Sulmona, dove trascorse i primi anni del suo sacerdozio. Fu padre e maestro. Formava con cuore e intelligenza. La sua cultura gli dava autorità. Aveva un massimo rispetto di noi ragazzi, sapeva dialogare e, soprattutto, sapeva ascoltare. Come formatore ci faceva amare Comboni e sognare le missioni africane.
Il Missionario – Arrivò il giorno sospirato, il giorno del “Già fischia e l’ancora…”. Partì contento verso la terra promessa. Come tutti, a quei tempi, anche P. Giovanni aveva sognato l’Africa. L’obbedienza lo diresse verso l’America Latina. Non si fece problemi. L’importante era andare in missione. Amò l’Ecuador e la sua gente impegnandosi con tutte le sue forze nel campo dell’educazione. Donò e si donò senza risparmiarsi e Dio gli diede la grazia di vedere qualche frutto dei suoi sacrifici. P. Giovanni seppe anche raccontare la sua missione alla gente del suo paese. In occasione del 50° del suo sacerdozio ebbi modo di vedere i suoi paesani, nella chiesa parrocchiale gremita, manifestare ringraziamento e ammirazione per il loro missionario.
Gli costò lasciare l’Ecuador e soffrì molto. La sua fede e il suo ottimismo lo aiutarono a lasciare quella terra amata per raggiungere la provincia del Messico. Alla sua età si rimboccò le maniche e ricominciò in una nuova terra, in una nuova cultura, in una realtà diversa. Sempre con ottimismo e fede, accettò di dirigere la città dei ragazzi a La Paz, Bassa California.
Il nonno – Apparentemente, a La Paz, non fece grandi cose. Accompagnò i ragazzi con l’affetto di un nonno. I ragazzi lo chiamavano abuelito (nonno) e a lui piaceva. El abuelito non faceva altro che stare con loro, ascoltarli, parlare, raccontare storielle e sorridere sempre. Ai ragazzi dava ciò di cui loro avevano bisogno: tempo, presenza, ascolto e affetto.
Il pensionato – A P. Giovanni non piaceva essere chiamato né anziano né ammalato. Il suo ottimismo, basato sulla fede e sulla gioia del vivere, gli permetteva di trascorrere le sue giornate serenamente. Sia ad Arco che a Verona lo incontravo sempre o leggendo o scrivendo o pregando. Interrompeva subito la sua attività, anche la recita del breviario, per stare insieme e parlare. Dei nostri incontri ricordo il suo sorriso e qualche sua battuta. Diceva: “Noi Comboniani sardi siamo una razza in estinzione. Chissà perché l’Istituto non ha pensato più seriamente a fondare una casa in Sardegna… i continentali non sanno quello che hanno perso”. E sorrideva.
Uno sconosciuto? – Non so quanti conoscono veramente la figura di P. Giovanni. Certamente non sarà facile fare un ritratto di questo missionario sardo innamorato della missione di Comboni. Certamente possiamo dire che nei suoi novant’anni ha seminato molto. E chi semina raccoglie. Il raccolto non è subito visibile; la costanza e l’attesa sono leggi dello spirito insuperabili. Anche il contadino deve attendere il fluire delle stagioni. Ma se hai seminato con amore, alla fine un frutto ci sarà, anche se tu non lo potrai gustare. Sarà Dio a raccoglierlo. Sono parole di Robert L. Stevenson (1850-1894). Ma prima di lui, le aveva dette Gesù.
Da Mccj Bulletin n. 247 suppl. In Memoriam, gennaio 2011, pp. 68-74.