P. Luigi Penzo nacque il 28 settembre 1925 ad Adria, provincia di Rovigo. Entrato nell’Istituto Comboniano iniziando dalla scuola apostolica di Brescia, fece il noviziato a Venegono Superiore, emise i primi voti il 7 ottobre 1943 e quelli perpetui il 24 settembre 1948. Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 16 aprile 1949, Sabato Santo, a San Carlo ai Catinari a Roma. Nel 1950, dopo due anni di specializzazione, ottenne il dottorato in teologia. La sua monumentale tesi teologica, “L’Eucaristia: il mistero dell’altare nel pensiero e nella vita della Chiesa…”, fu scritta e discussa in latino col professor Antonio Piolanti e ricevette il massimo dei voti con lode.
Scrive P. Pietro Chiocchetta: “Il mio primo incontro con P. Luigi avvenne a Fai qualche giorno dopo la mia prima professione (1946) e subito mi colpì una sua nota peculiare, la disponibilità, anche eroica, verso il prossimo. In tale disponibilità rientrava la sua sollecitudine missionaria verso le comunità dei confratelli e consorelle, lo studio delle lingue, l’affinamento nei metodi e incontri di formazione, arricchito e potenziato nel periodo in cui venne eletto Assistente generale. Un non calcolare nel donarsi. P. Luigi resta un modello di un’esistenza presa sul serio e nella luce di un’unica autentica prospettiva: quella di una carità missionaria, sofferta e trionfante, la cui sorgente era l’Eucaristia”.
Fin dagli inizi della sua vita missionaria, P. Luigi mostrò di avere doni speciali per l’insegnamento della teologia e la formazione dei sacerdoti e religiosi. In quei suoi primi anni di servizio, fu professore e formatore nel seminario minore di Rebbio e poi, per due anni, andò in Inghilterra per approfondire l’inglese e insegnare ai novizi di Sunningdale. Dopo altri due anni a Venegono, come professore e nell’animazione missionaria, partì per il Sud Sudan.
Sud Sudan
Dal 1955 al 1964 rimase in Sud Sudan, sempre nel seminario diocesano di Tore River, come professore, formatore e direttore spirituale. In quel seminario incontrò anche l’attuale arcivescovo di Khartoum, il Cardinale Gabriel Zubeir Wako, ancora ragazzo.
Curia di Roma
Assegnato alla Curia di Roma nel 1964, proprio all’apertura della casa, vi rimase per undici anni, prima come Segretario generale incaricato della formazione permanente e poi, dal 1969 al 1975, come Assistente generale. Dopo il Capitolo del 1969, fu l’iniziatore e l’organizzatore del Corso di Rinnovamento. Scrisse numerosi articoli, apparsi su MCCJ Bulletin e su Combonianum (già rivista degli scolastici di Venegono), riguardanti la formazione e il Sacro Cuore.
Fu un grande sostenitore del movimento neocatecumenale, tanto da invitarne il fondatore, Kiko Argüello, al Capitolo del 1975. La sua intuizione di sostituire “formazione permanente” con “conversione permanente” si fonda proprio sullo spirito del movimento. Sostenne quest’aspetto anche in incontri ad alto livello con la Congregazione per la Vita Consacrata, in Vaticano.
Kenya
Ripartì per l’Africa nel 1976 e, in Kenya, insegnò per tre anni presso l’Istituto degli Apostles of Jesus. Scriveva al Superiore Generale, P. Tarcisio Agostoni: “Assieme a P. Cefalo abbiamo iniziato una visita a tutte le nostre comunità per presentare i Documenti Capitolari del 1975 e spiegare il Direttorio che dovrebbe essere discusso e approvato nella prossima assemblea regionale. Le visite alle nostre comunità mi convincono sempre di più che i veri problemi dei nostri confratelli sono per lo più di carattere spirituale: mancanza di profonda vita di fede, di interiorità nel lavoro e, conseguentemente, gravi difficoltà nella convivenza, nella collaborazione e nell’accettazione reciproca”.
Nuovamente in Sud Sudan
Nel 1979 ritornò in Sud Sudan per insegnare nel seminario di Bussere (Wau). L’accordo di Addis Ababa fra il governo di Khartoum e i ribelli del Sud Sudan (1972) aveva facilitato il progressivo ma lento rientro di missionari. Le alterne fortune militari e le divisioni interne dell’Esercito Popolare di Liberazione del Sudan (SPLA) causavano lo spostamento d’intere popolazioni da una zona all’altra, nel tentativo di fuggire alle calamità della guerra. Molte missioni dovevano essere chiuse e abbandonate. Con grande perspicacia e chiarezza, P. Luigi scrisse al Superiore Generale, P. Salvatore Calvia: “Durante questi tre mesi trascorsi al Sud ho potuto rendermi conto che la Chiesa sudanese ha estremo e urgente bisogno di missionari stranieri, anche se qualche prete o vescovo locale non si rende conto di questa urgenza e necessità. Praticamente qui c’è da ricostruire quasi tutto: dai seminari alla vita religiosa, dalle parrocchie alle cristianità”. Per dieci anni P. Luigi si occupò del centro catechistico di Wau, nella parrocchia di Maria Ausiliatrice, per formare dei cooperatori a tempo pieno delle loro parrocchie.
Scriveva regolarmente ai superiori, a Roma, informandoli del lavoro dei missionari, dei pericoli cui andavano incontro, dei progetti, delle priorità e, in tempi difficili a causa della guerra, del tribalismo, dei profughi stanchi e affamati, dei feriti e dei morti, della paura di possibili attacchi militari alla città di Wau. Scriveva nel 1986: “In questa situazione disastrosa la gente sente un gran bisogno di Dio e viene da noi per aiuto e conforto. Mai come in questi giorni ringrazio il Signore di essere missionario e nel Sudan, per quel po’ di bene che mi dà la consolazione di fare”.
Khartoum e Italia
Nel 1995 P. Luigi fu assegnato alla provincia di Khartoum, dove rimase fino al 2007, soprattutto come professore. Qui insegnò nel seminario maggiore di Kobar. Era sempre pronto a guidare le giornate di ritiro, ad offrire la direzione spirituale ed era assiduo nel ministero della riconciliazione. Era disponibile anche a dare una mano alla parroccia di Bahri, esercitando il suo ministero specialmente nel centro di Izba.
Verso la fine degli anni novanta, si manifestarono i primi sintomi del cancro alla prostata. Fu contento che non ci fosse bisogno dell’operazione. E continuò a insegnare in seminario come se nulla fosse. Nel 2008, però, il cancro cominciò a creargli problemi piuttosto grossi. Fu così che il provinciale lo convinse a tornare in Italia. Anche se non era troppo favorevole a questa soluzione, P. Luigi accettò in spirito di fede. Nel 2008 fu assegnato alla provincia italiana, e soggiornò alternativamente fra la casa di Milano e quella di Gozzano, prestandosi per il ministero fino a che la salute glielo permise.
Il suo grande desiderio, però, era morire in Sudan ed essere sepolto accanto a P. Vittorino Dellagiacoma, suo collega d’insegnamento in seminario e suo grande amico. Anche perché nel suo cuore c’è sempre stato un posto particolare per il suo amato Sudan. Qualche mese prima di morire, a un confratello di Khartoum che era andato a trovarlo, aveva detto “portami con te in Sudan”.
P. Luigi è deceduto a Milano il 29 gennaio 2011.
Testimonianze
P. Salvatore Pacifico
Credo che nel caso di P. Luigi bisognerebbe far parlare non solo i confratelli, ma la gente. Direi ogni categoria di persone che lo ha conosciuto. Dal cardinale di Khartoum e gli altri vescovi del Sudan, fino ai poveri che gli chiedevano un piccolo aiuto. È stato sopratutto un sacerdote e un missionario vicino alle persone.
Diceva scherzosamente che era stato professore di tutti i vescovi del Sudan. Ed è vero, tranne forse uno o due, diventati vescovi recentemente. Per questo, il Vescovo di Wau lo chiamava “il professore”. Ma i cristiani di Bussere, Inghisà, Bringi, Izba lo consideravano un padre e lo chiamavano “Benson”.
Vorrei sottolineare tre aspetti che, mi pare, abbiano caratterizzato il suo ministero sacerdotale e missionario: la dimensione del formatore, la dimensione pastorale o zelo apostolico in senso stretto e l’attenzione ai poveri. Per tutta la vita ha coniugato queste tre dimensioni, qualunque fosse il servizio che svolgeva in quel momento.
Anzitutto la dimensione formativa. Aveva iniziato la sua vita sacerdotale come formatore. Prima, tra gli scolastici comboniani di Rebbio e poi, come professore, vice rettore e padre spirituale dei seminaristi nel seminario maggiore di Tore, in Sudan. Questa prima esperienza sacerdotale lo segnò per tutta la vita. Non solo nel tempo in cui fu formatore in senso stretto, seminario, corso di aggiornamento a livello di Istituto, centro pastorale (PALICA) di Wau. Tutti i suoi rapporti con le persone, infatti, tendevano a essere dominati dalla preoccupazione di comunicare i valori cristiani.
Fu Assistente generale nel periodo che sancì la riunione dei due Istituti comboniani. In quella veste, diede un contributo sostanziale alla stesura della Regola di Vita, privilegiando la dimensione carismatica rispetto a quella giuridica. Per tutta la vita, colse tutte le occasioni per puntualizzare certi aspetti della vita comboniana che gli sembravano particolarmente importanti. A cominciare dalla centralità del Sacro Cuore, che gli era particolarmente caro. Il Bollettino dell’Istituto ne è costantemente testimone. Era sempre disponibile a predicare esercizi spirituali e ritiri. Era ricercato per la direzione spirituale. Vari Istituti religiosi africani chiesero la sua collaborazione quando si trattò di scrivere o aggiornare la loro Regola di Vita.
C’è poi la dimensione pastorale o zelo apostolico. In qualunque servizio si trovasse – professore del seminario, Assistente generale, incaricato della formazione permanente dei Comboniani – abbinò sempre al suo lavoro “d’ufficio” il servizio pastorale diretto. Mentre era professore nel seminario nazionale a Bussere, contribuì ad aprire e a rinforzare varie comunità cristiane nell’area di Baggari. Negli anni passati a Roma svolgeva il suo ministero in alcune parrocchie e frequentava le comunità neocatecumenali. A Khartoum prese particolarmente a cuore la comunità cristiana di Izba, alla periferia di Khartoum Nord. Perfino nell’ultimo periodo della sua vita, a Gozzano, si era reso disponibile per dare un aiuto pastorale nelle parrocchie della zona, specialmente a Invorio. Non poteva vivere senza apostolato.
Infine, l’attenzione ai poveri. Anche se qualche confratello si era fatto l’idea che distribuisse soldi a destra e a sinistra, in realtà gli aiuti che dava erano molto limitati: una o due sterline sudanesi. Era un gesto di amore, non la soluzione di un problema. C’era anzitutto l’ascolto, la parola di consolazione, la preghiera. Mi confidò che l’attenzione ai poveri gli veniva dalla sua famiglia: suo padre era stato un perseguitato politico per le sue idee socialiste, al tempo del fascismo. E mi raccontò che mentre il padre era in prigione, la mamma un giorno andò con lui, ragazzetto, da una signora a chiedere aiuto per sfamare la famiglia. Quel fatto gli s’impresse profondamente nella mente e se ne ricordava ogni volta che i poveri si rivolgevano a lui. Faceva fatica ad accettare la parola “mendicanti di professione” che qualche confratello appioppava a certi poveri.
P. Luigi non avrà realizzato grandi progetti materiali, ma è stato coinvolto in numerosi e stupendi progetti formativi e pastorali. In tutti ha lasciato un marchio consistente che non si cancellerà facilmente. Era solito dire: “Non sono fatto per essere un primo. Sono solo un buon secondo”. Ma poi finiva per dare il tono: più per l’autorevolezza che gli veniva dai valori che proponeva e viveva, che per autorità giuridica.
Sara Fumagalli, una laica: “Non si può descrivere con poche parole una persona come P. Luigi, la sua grandezza e la sua forza nell’umiltà, nella semplicità, nella debolezza. P. Luigi era innamorato dell’Africa, e in particolare del Sudan, dove, si può dire, ha formato e aiutato a crescere una parte importante della Chiesa locale. Il suo cuore non si è mai rassegnato a lasciare il Continente della Nigrizia, se non per obbedienza. Fu proprio P. Luigi a confidarmi nel 2007 due grandi sogni africani: la costruzione di una grande scuola a Izba e la realizzazione di un Istituto contemplativo in Sudan. Abbiamo appena finito di realizzare il primo progetto. La malattia e gli anni lo portavano ultimamente a perdere, a tratti, la memoria e la lucidità, ma mai il sorriso gentile e il fare simpatico e bonario che gli erano propri né i ricordi della sua amata e sempre rimpianta terra di missione”.
I cristiani della comunità di Baraggia, vicino a Gozzano, dove negli ultimi anni P. Luigi andava a celebrare la Messa ogni domenica, lo ricordano così: “Carissimo P. Luigi, credo che ognuno di noi in questi giorni, chiudendo gli occhi, abbia cercato in fondo al proprio cuore una parola, un’espressione che potesse racchiudere e rappresentare il grande affetto che ciascuno ha avuto per te. E penso che, spontanea, ne sia emersa una su tutte le altre: Grazie! Grazie a Dio, innanzi tutto, per il privilegio che ci ha concesso mettendo te sulla nostra via. E grazie a te, servo di Dio umile e gioioso, che hai saputo portare nella nostra vita un’ondata di amore, oasi di pace sicura cui approdare nei momenti di difficoltà.
Sei arrivato a Baraggia in punta di piedi una domenica di luglio e il tuo modo di parlare puntando dritto al cuore ha fatto breccia in ciascuno di noi; i banchi della chiesa, domenica dopo domenica, sempre più gremiti, insufficienti a contenere la sete di Vangelo di grandi e piccoli.
Un bambino, tornando dalla Messa, alla nonna che gli chiedeva chi avesse celebrato quella domenica, ha risposto: “Nonna, quel sacerdote che ti mette Gesù nel cuore!”. Ecco, nella frase innocente di un bambino si riassume tutto il tuo essere sacerdote; hai saputo parlarci di Gesù con profondità e, insieme, con semplicità; ci ha commosso il tuo continuo e affettuoso ricordo dell’Africa, specialmente dell’amato Sudan; ci hai insegnato ad abbandonarci con fiducia a Maria con la quale avevi un rapporto speciale. Trovavi sempre un motivo per recitare un’Ave Maria alla nostra mamma del cielo; nel breve tragitto in auto dalla Casa dei Comboniani di Gozzano alla chiesa di Baraggia quasi riuscivi a recitare un intero Rosario!
La tua proficua vita terrena si è conclusa, ora sei fra le amorevoli braccia della Mamma celeste; è iniziata per te la vera Vita. Da lassù veglia sempre su tutti noi, accompagna i nostri gesti, le nostre azioni, affinché anche noi possiamo un giorno godere della gioia del Paradiso. Ciao, P. Luigi”.
Dall’omelia di P. Lino Spezia. “I ricordi che sono dentro i nostri cuori ci aiutano a esprimere un grazie sincero a Dio e al Comboni per averci fatto dono della presenza bella e gioiosa di un uomo che ha sempre accolto e amato ciascuno di noi in modo unico e speciale. La sua semplicità, molto evangelica, ha messo ogni persona a proprio agio, così da trovare e vedere in P. Luigi un cuore di padre e una guida sicura per un cammino di fede. In lui non è mai venuta meno la sua devozione affettuosa a Maria.
Come non ricordare il suo continuo desiderio di Sudan e il poster di santa Giuseppina Bakhita che lo accompagnava in ogni suo spostamento? Penso che questo continuo desiderio della missione e del Sudan siano segno di una vita donata per rigenerare questo continente a Cristo formando giovani e seminaristi a essere protagonisti di un futuro nuovo e pieno di speranza. Il grazie, che ognuno di noi porta nel cuore per tanti momenti belli vissuti accanto a lui, diventa un frammento di passione per la missione e di gratitudine per la semplicità e la bontà di un uomo capace di toccare il cuore e di renderci partecipi di un compito/progetto in cui ognuno può fare qualche cosa per gli altri”.
P. Francesco Pierli ha mandato una testimonianza sotto forma di “chiacchierata” con P. Luigi. Ne riportiamo un riassunto qui sotto.
“Ti sentivi veramente Missionario del Cuore di Gesù. Eri convinto che tale cuore doveva battere e ardere in te, suo ministro, per arrivare così a tanti altri fratelli attraverso di te. Quante volte ne parlammo, soprattutto durante la preparazione del Capitolo del 1979, quando ci fu il referendum sul nuovo nome dell’Istituto riunito! Noi desideravamo ardentemente includere il riferimento al Cuore di Cristo nel nuovo nome.
Ci siamo incontrati per la prima volta dopo la tua espulsione dal Sudan nel febbraio-marzo del 1963 a Roma nello scolastico di San Pancrazio, dove anche tu eri stato dal 1945 al 1949. Tutti eravamo stravolti e toccati nel profondo da un evento di cui vedevamo solo la negatività, la persecuzione degli arabi contro i cristiani, soprattutto i confratelli e le consorelle del Sud Sudan. Ricordo il linguaggio crudo e risentito e le novene a cascata al Sacro Cuore per ritornare... Il discernimento su un evento così importante sembrava mancare, importava solo ritornare per continuare come sempre si era fatto. Mai ci domandavamo se, per caso, nell’espulsione fosse presente anche un piano di Dio per il Sudan e per la famiglia comboniana e per la Chiesa.
M’impressionò che tu, come anche P. Renato Bresciani e P. Vittorino Dellagiacoma, non parlavate come gli altri. Noi giovani osservavamo e tu ci aiutavi a riflettere nella fede. Così ho imparato la sapienza della vita! Man mano che passavano gli anni, quella espulsione veniva vista con occhi diversi. Oggi dal paradiso, forse potrai dirci che quell’espulsione fu non una fine, ma un inizio per la famiglia comboniana e per il Sud Sudan, oggi nazione indipendente. Se vogliamo essere missionari generatori di nuovi cristiani dobbiamo mettere il martirio nel conto come parte costitutiva della vocazione missionaria e non come una disgrazia.
Uno dei frutti più immediati dell’espulsione fu l’avvio di una grande iniziativa per assicurare una struttura alla formazione permanente, quanto mai urgente. “L’anno di formazione permanente” fu lanciato e tu fosti scelto per organizzarlo e condurlo. La tua proverbiale “capacità” di accoglienza fu messa alla prova. Si trattava di aiutare tanti confratelli ad accettare, a fare pace, a riconciliarsi con la Chiesa in profonda trasformazione con il Vaticano II allora in corso.
Poi il primo grande Capitolo Speciale del dopo Vaticano II, con una preparazione lunga, sistematica e capillare di tre anni, dal 1966 al 1969. Un cammino di riflessione e discernimento mai sperimentato dopo! Tutto ciò portava sul tuo tavolo di coordinatore della commissione precapitolare una montagna di materiale in risposta a tutti i questionari. E tu a digerirlo e a sistemarlo con l’aiuto dell’efficiente P. Venanzio Milani, per poi rimandarlo alle comunità comboniane, in un gioco di ritrasmettere l’informazione che veramente aiutò l’Istituto a entrare in una nuova era storica. Quante belle novità: la scoperta del Comboni come padre e fondatore; una rivisitazione critica della nostra storia; soprattutto il rapporto vita missionaria e vita religiosa, una visione aperta e positiva del mondo moderno. In via Luigi Lilio eravamo una quindicina a studiare per la Licenza o la Laurea e tu, Luigi, ci coinvolgesti nella stesura dei documenti dato che attraverso di noi arrivava al Capitolo la nuova teologia e altre scienze come Bibbia, Liturgia, Missiologia, Pedagogia, eccetera. E noi, senza essere nell’aula capitolare, ci sentivamo totalmente coinvolti. I famosi Documenti Capitolari del X Capitolo Generale furono il frutto di un entusiastico lavoro di cordata, di cui tu fosti il tessitore.
In quel capitolo fosti eletto Assistente Generale nel governo di P. Tarcisio Agostoni. Fu una grande occasione per mostrare il tuo grande amore per l’Istituto e per i confratelli, di cui apprezzavi con ammirazione le doti d’intelligenza e di cuore. Eri uno di quelli che non hanno mai avuto paura degli intelligenti. Riponevi grande speranza nei confratelli giovani. Secondo te avrebbero onorato l’Istituto portando un soffio di novità e creatività, liberando potenzialità inedite nel carisma del Comboni. Un capitolo difficile del governo di quegli anni fu l’inizio dell’uscita di diversi confratelli che per un motivo o per l’altro non potevano continuare nel ministero missionario dell’Istituto. A volte, il problema principale non era ottenere la dispensa ma trovare loro il lavoro per una vita dignitosa. Hai fatto veramente il cireneo andando a bussare a molte porte per trovare loro un posto di lavoro. Né vorrei dimenticare il tuo grande contributo alla promozione della spiritualità missionaria e comboniana attraverso i numerosi corsi di esercizi spirituali che dirigesti in quegli anni.
Finito il servizio a Roma nel 1976 eccoti a Nairobi, in Kenya. Finalmente di nuovo in Africa, la passione del tuo cuore, dove san Daniele Comboni si reinventava in te e attraverso di te. Ti adoperasti col solito entusiasmo nel settore della formazione degli agenti pastorali locali: sacerdoti, fratelli, religiose e catechisti; e nell’Istituto missionario degli Apostoli di Gesù, fondato dal tuo compagno di scuola Marengoni.
Intanto le porte del Sud Sudan, primo amore della tua giovinezza, si riaprirono. Lì eri arrivato nel 1955 ed eri stato subito coinvolto nella formazione del clero sudanese nel mitico seminario di Tore, ad alcuni chilometri da Yei. Anni belli, che avevano lasciato nel tuo cuore tanta nostalgia. Come colleghi avesti lo straordinario P. Renato Bresciani, l’estroverso P. Pietro Tiboni, l’ineffabile P. Vittorino Dellagiacoma. Il ritorno in questo Sudan, però, non fu rose e fiori. Ti fece molto soffrire la situazione di diversi agenti pastorali. I lunghi anni della prima guerra di liberazione e la situazione di abbandono e d’isolamento avevano lasciato una realtà pesante, pur non negando i casi di eroismo. Poi, un po’ alla volta, la speranza in Dio e nelle persone ebbe di nuovo il sopravvento e ti sentisti nuovamente così a casa che solo il tumore alla prostata ti strappò da quella terra, prima per alcuni mesi e poi definitivamente. Quante energie, preghiere, insegnamento, ritiri per gli agenti pastorali, prima a Wau e poi a Khartoum.
Carissimo Luigi, negli ultimi anni della tua vita ci siamo visti di rado, soprattutto quando il tumore alla prostata ha iniziato il suo subdolo e corrosivo lavoro nel 2002. Perciò voglio rivisitare con te questo tempo con delle frasi stralciate dalle lettere che scrivevi a una suora. Ancora una volta, senza il tuo rapporto di amicizia profonda con questa donna, uno spezzone importante della tua vita ci resterebbe sconosciuto. ‘Ti confesso che ero partito da Khartoum molto malvolentieri. Avevo già preparato tutti i miei programmi scolastici per il secondo semestre. A Milano, però, nella preghiera, il Signore mi ha fatto capire che ciò che conta nella vita è la sua santa volontà, non i miei progetti, ma quello che Egli vuole da me: le sue vie non corrispondono alle nostre. Così mi sono abbandonato a Lui con fiducia e ho goduto quattro mesi di grande gioia e consolazione. Ho sperimentato una comunione intensa con tutte le persone che pregavano per me; un’esperienza nuova, che mi ha fatto comprendere quanto la preghiera abbia un potere unificante, e sia così efficace. Ripensando a quanto è accaduto, devo solo ringraziare il Signore che è stato veramente buono con me, e ringraziare anche le persone che sono rimaste vicino a me con il loro ricordo e preghiera’.
Carissimo Luigi, grazie per avere lasciato Dio operare in te e attraverso di te. Tanti di noi, quando il 29 gennaio 2011 ci ha raggiunto la notizia che il Signore ti aveva aperto la porta del Mistero, abbiamo recitato il Gloria prima del Requiem.
Da Mccj Bulletin n. 249 suppl. In Memoriam, ottobre 2011, pp. 6-17