In Pace Christi

Ragnoli Francesco

Ragnoli Francesco
Data di nascita : 15/10/1925
Luogo di nascita : Mazzano/BS/Italia
Voti temporanei : 15/08/1945
Voti perpetui : 15/08/1951
Data decesso : 25/12/2011
Luogo decesso : Milano/Italia

“Un Fratello con una vocazione speciale e plasmata al bello, alla contemplazione, ma anche capace di ascoltare il battito del cuore del Maestro e della Chiesa locale. Ci accompagna l’immagine di un uomo in carrozzella che va su e giù per il corridoio del secondo piano. I ricordi che ci ha lasciato ci rivelano come la sua missione sia stata piena, ci svelano una persona di grande disponibilità, una vita che ha incontrato imprevisti e a volte situazioni di pericolo che non gli hanno tolto la gioia della vocazione e di essere testimone del Vangelo”. Sono alcune delle parole pronunciate da P. Lino Spezia, nell’omelia del funerale.

I primi anni
Fr. Francesco Ragnoli (attingiamo alle note di P. Ezio, suo fratello e missionario scalabriniano) nacque il 15 ottobre 1925 a Mazzano, in provincia di Brescia, da Bortolo e Maria Maccarinelli. Frequentò i primi tre anni delle scuole elementari a Mazzano e gli ultimi due anni a Ciliverghe. Dopo la V elementare, lo aspettava già il lavoro, come maniscalco e meccanico, presso la bottega Romano a Mazzano. Ma i genitori preferivano che diventasse sarto e parrucchiere (meglio 4 mestieri che due, pensavano!) e lo mandarono a Brescia dove conobbe i Missionari Comboniani e maturò l’idea di diventare Fratello. “All’età di 16 anni incontrai Fr. Norbiato. Gli chiesi se fosse possibile farmi missionario senza studiare da prete. Mi rispose ‘E perché no? Anch’io sono Comboniano senza aver studiato da prete’. Nell’incontro col superiore mi chiesero se ero disposto a morire in Africa come il Comboni chiedeva ai suoi. Risposi affermativamente e, nei miei anni in Sudan, tale promessa mi fu sempre di stimolo e di impegno”, si legge in una lettera scritta verso la fine della sua vita e conservata nell’archivio provinciale di Khartoum. Così, nel 1941 entrò nell’Istituto Comboni a Brescia.

Formazione
Fu mandato a Thiene (Vicenza) nella Casa di formazione per i Fratelli, dove frequentò le tre classi delle medie in due anni. In seguito, fu trasferito al noviziato di Venegono Superiore dove il 15 agosto 1945 emise i voti temporanei. Seguiamo le sue parole: “L’Africa mi attende, ma ci andrò solo dopo 10 anni. Intanto ci sono anni spesi nella formazione spirituale e manuale: tirocinio in cucina, sartoria, orto, prato, ecc. Più si sa, meglio si farà. Trasferito a Firenze come sarto e portinaio, ho conosciuto due persone: la signora Carmela, scultrice, e il pittore Amigoni, che mi accettò come discepolo. Iddio mi diede la possibilità di approfittare e imparare da questi due artisti ciò che mi sarebbe stato utile nel mio futuro lavoro in missione”.

Venne poi mandato nella Casa Madre di Verona, come incaricato della sartoria, dove si confezionavano talari, pantaloni e giacche per tutti i religiosi residenti in Italia e anche per quelli che partivano per le missioni. Fu in quel periodo che cominciò ad esercitarsi nelle varie arti: scultura in gesso, pittura, intaglio su legno, ecc. Nel 1950 s’imbarcò, da Napoli, per il Libano e rimase 15 mesi a Zahle per imparare l’arabo. “Accompagnavo i chierichetti, mi occupavo della cucina, andavo al mercato: in questo ambiente appresi discretamente a parlare l’arabo”. A Zahle lasciò un bel dipinto su tela, l’Assunzione della Madonna.

Verso l’Africa
Nel 1952 arrivò in Sudan e fu assegnato all’Istituto professionale di Khartoum, come insegnante delle discipline tecniche, disegno industriale e artistico, pratica di officina, alle quali aggiunse alcune materie delle quali era un esperto, come la lavorazione del vetro e la sartoria. “Non trovai difficoltà di lingua, ma una mancanza di testi tecnici. Quindi preparai tre testi principali. In seguito, aggiunsi altri 24 testi per gli studenti, sempre scritti in due lingue: inglese e arabo. In questo impegno rimasi per 14 anni”. Nei momenti liberi continuava a coltivare la scultura e la pittura. Progettò, costruì e decorò la sede dell’Istituto professionale, per il quale progettò persino i banchi, in modo tale che fossero adatti per il disegno. Amava “sporcarsi le mani” per essere un vero missionario della gente locale. Numerosi confratelli lo ricordano come “un artista e un genio totalmente dedito alla missione comboniana”.

Khartoum e Sud Sudan
Dopo l’accordo di Addis Ababa (1972) per agevolare la ricostruzione del Sud Sudan, il presidente Nimeiri permise l’ingresso nel Sud di missionari stranieri, come “esperti” per progetti di sviluppo. Entrarono così vari istituti maschili e femminili. Fu richiesto anche un numero maggiore di Comboniani, soprattutto per le zone di prima evangelizzazione e per la preparazione dei “quadri”: clero, maestri, religiosi, catechisti e leader, oltre che per progetti di sviluppo sociale e sanitario.
Fr. Francesco, che si trovava nel Nord da circa 20 anni, nel 1971 fu mandato a Juba per riparare una scuola. Nei suoi anni di missione, infatti, ha lavorato molto in questo campo, decorando, restaurando, costruendo tanto che, nei diari delle missioni, lo vediamo nominato quasi sempre come architetto e costruttore. Aveva anche molte idee nuove e quando arrivò a Khartoum, fece di tutto per cambiare il vecchio sistema di costruzione usato fino a quel momento dai Fratelli comboniani.

Nel 1972 lavorò alla chiesa di Omdurman, rifacendo l’altare secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II – rivolto verso il popolo – e nascondendo la travatura delle capriate e le strutture di zinco con un soffitto da lui stesso decorato. Anche a Kosti costruì una chiesa che fu consacrata dal vicario apostolico, Mons. Agostino Baroni, nell’aprile del 1974. Lo stesso anno, restaurò l’altare e il soffitto della chiesa di Malsama. Degno di nota è il lavoro da ‘certosino’ che fece negli anni 1980: “Prestai il mio aiuto a Port Sudan, dove rimodernai la chiesa: nell’abside posi 14.000 conchiglie di madreperla del Mar Rosso”. La chiesa è diventata un’attrazione turistica della città.

In una lettera di Fr. Francesco al fratello Pierino, troviamo un lungo elenco dei lavori eseguiti in quegli anni: “30 chiesette che io nomino come centri di preghiera, e alcune cattedrali in vari luoghi”; l’altare per le Suore di S. Francesco e per la Scuola Comboni; la chiesa e l’altare a Ennanud; le chiese della missione di Kassala, di Halfa Jadida (nel 1970, per la quale ottenne a fatica il permesso dalle autorità musulmane) di Cristo Re a Malakal-Muderia, di Tonga; delle Suore Comboniane a Oaci; la cattedrale dedicata al Beato Comboni a Malakal; una cattedrale e un asilo (nel deserto) a El Obeid; la scuola tecnica per ragazzi a Malakal; i fabbricati per la scuola di Luluggu, ecc. A Tonga progettò un ponte su un affluente del Nilo e costruì vari sistemi di drenaggio.

Dal 1983 la situazione in Sud Sudan divenne sempre più difficile a causa della nuova guerriglia degli SPLA contro il governo di Khartoum. Anche il Centro Tecnico di Luluggu venne chiuso. Abbiamo la minuziosa trascrizione di Fr. Francesco su quella “forzata chiusura” e sui momenti che la precedettero. Ne riportiamo qualche stralcio: “Comprai un terreno incolto a 8 km da Juba. La costruzione ebbe 10 anni di attività. Poi, il 7 luglio 1992, fu distrutta dai bombardamenti dei soldati del Governo e derubata dai ladri. Il 29 giugno 1992 al Centro Tecnico avrebbero dovuto iniziare gli esami del secondo trimestre. Quel giorno, però, gli studenti non poterono accedere al Centro poiché era in corso una perquisizione a tappeto da parte dei militari. Il 1° luglio ebbe luogo, sempre da parte delle forze militari, una devastante perquisizione nella zona del Centro Tecnico. Gli avvenimenti di cui sopra e il disordine lasciato dalla perquisizione obbligano a differire gli esami alla settimana successiva. Il lunedì 6 luglio è una giornata tranquilla; hanno regolare svolgimento gli esami di disegno tecnico. Attendo al mio lavoro e verso le 16.30 lascio il Centro per partecipare a Juba alla Messa comunitaria presso la Comboni House. Là passo la notte: una notte assai agitata perché durante le ore notturne esplodono diversi depositi di armi, paura, pianti, feriti, morti, scontri fra ribelli e militari. Erano stati abbattuti due piloni del ponte sul fiume. Mi faccio coraggio e riprendo in mano la situazione. I gruppi dei rifugiati partono verso la città di Juba. Poco più tardi arriva un’altra famiglia: siamo ora in sei. Un po’ di cena per tutti, preghiera e riposo. La notte è interrotta da continui spari. Al mattino del 7 luglio viene di nuovo annunciato lo sgombero totale del Centro. L’ordine è di prelevare tutto il possibile poiché tutto il resto verrà bruciato e distrutto. Dopo la sistematica distruzione del Centro e della zona, divenne impossibile vivere e operare sul posto. Il 23 luglio il comandante del luogo mi ordinò di portare via entro sera tutto quello che avevo messo da parte, e di fare piazza pulita. A nulla valsero le ragioni relative all’impossibilità di fare molto in così poco tempo. La risposta del comandante fu cinica e perentoria: questa è guerra. Amareggiato e madido di sudore tornai in città. Avevo 39 di febbre e la broncopolmonite. Ho lasciato tutto nelle mani della Divina Provvidenza e degli immancabili predatori civili e militari”.

Due anni in Egitto, poi, nuovamente a Khartoum
Nel 1993, sempre a causa della difficile situazione in Sud Sudan, Fr. Francesco venne assegnato all’Egitto, una destinazione che fece fatica ad accettare. Nonostante tutto, s’impegnò al massimo, come sempre. In quel periodo, fu di aiuto nel trasferimento del centro di lingua araba da Sakakini a Zamalek.
Ufficialmente destinato alla provincia di Khartoum, passò quegli anni lavorando sia nel Nord che nel Sud Sudan. Il 1° luglio 1995, per esempio, fu assegnato alla comunità di Wau (SS) e, nel maggio 1996, fu trasferito a El Obeid (KH). In una lettera ad amici e parenti, scriveva: “Non ho pretese di arrivare ai 50 anni di vita missionaria, lascio fare a Dio, solo desidero che anche gli ultimi giorni della mia vita siano per la Nigrizia come richiedeva il Beato Daniele Comboni. Mi trovo a El Obeid città soprannominata ‘Sposa delle Sabbie’... Il mio impegno ufficiale sarebbe di continuare la direzione delle vecchie officine abbandonate dai Comboniani in seguito all’espulsione del 1964 e l’assistenza ai veicoli della diocesi. Sono il mio braccio destro, una decina di operai i quali necessitano di essere rinforzati in conoscenze tecniche, quindi bisogna fare un corso, in lingua araba, con due ore vespertine... sviluppando i principi di disegno, geometria, scienza applicata e tecnologia di officina. A riempimento della mia giornata mi sono richiesti lavoretti decorativi che oltre a soddisfare i richiedenti mi danno un certo senso di sollievo, un grazie al Creatore valorizzando i doni che per sua bontà mi ha elargito”.

Nel Natale del 1997, inviando gli auguri ai confratelli da Malakal (SS), dove rimase quasi due anni, scriveva: “Il mio impegno missionario si svolge nel centro del bacino del Nilo, posto acquitrinoso, difficile per le comunicazioni e inesistenti i servizi postali. La costruenda Cattedrale situata nelle paludi dà segni di affondamento e crepacci murali; il vescovo locale Mons. Vincent Mojwok mi aveva chiamato per un sopralluogo e aveva fatto una richiesta ai superiori comboniani affinché accettassi la responsabilità della stabilizzazione. Da Comboniano non ho rifiutato tale impegno sicuro che Iddio mi avrebbe fornito di forza e di entusiasmo nonostante la mia discreta età. Dalle officine meccaniche di El Obeid sui monti Nuba andai così a lavorare nelle paludi del Nilo”.

Nel luglio 1998 Fr. Francesco passò un periodo di riposo e cure in Italia. Alla fine del giugno del 2000 ebbe una specie di collasso psicofisico da cui fece fatica a riprendersi. Trasportato d’urgenza a Khartoum, fu ricoverato in clinica per circa un mese. Dovette, quindi, lasciare definitivamente Malakal. Il 25 marzo partì per l’Italia. Il 1 gennaio 2002 fu nuovamente destinato all’Egitto, ma l’anno successivo si preparò al definitivo rientro in Italia.

Racconta P. Angelo Giorgetti: “Durante quei mesi mi trovavo ad Asswan, in attesa del visto per il Sudan. P. Vittorio Barin aveva invitato Fr. Francesco in quella comunità sperando di aiutarlo a risollevargli il morale affidandogli alcuni dipinti nella chiesa di Asswan. Fr. Francesco venne, ma la salute non gli permise di realizzare le opere e si convinse che era veramente giunto il momento di ritirarsi. In quel periodo mi mostrò un album di fotografie con moltissimi dei suoi dipinti e mi parlò a lungo delle sofferenze durante la guerra, in particolare a Juba, che gli avevano causato il diabete e lo stato confusionale in cui si trovava”.

Rientro in Italia
Dopo 53 anni vissuti in Africa, nel 2003 ritornò definitivamente in Italia, fortemente esaurito. La sua prima residenza fu Rebbio (Como). Nel 2004 fu trasferito alla comunità comboniana di Brescia e dal settembre 2004 alla Casa di riposo di Milano, bloccato su una sedia a rotelle, ma sempre con il sogno di ritornare nella sua ‘Africa bella’. Qui è morto il 25 dicembre 2011.

Alcune testimonianze
P. Angelo Giorgetti (riguardo agli anni 1992-1993). Fr. Francesco passò un periodo nel postulato di Firenze dove mi trovavo come postulante. Era evidente che veniva da un’esperienza dura, ma dalle sue parole si vedeva il grande amore per il Sudan e il desiderio di ritornarvi. In postulato mise molto ordine e contribuì con varie creazioni ingegnose a migliorare la casa. Ricordo un orto circolare con al centro uno spruzzo per irrigarlo; una specie di ponteggio su uno dei lati del giardino, dove poter riparare le auto lavorando dal di sotto; la fabbricazione di un carrello per portare le vivande in tavola. Nella piccola officina mise un grande ordine e una scritta: mantieni l’ordine e l’ordine ti manterrà. Noi postulanti, a turno, avevamo settimanalmente un’ora di lavoro con lui. Ricordo con ammirazione che organizzava e preparava con intelligenza il lavoro da farci fare, in modo da non perdere un secondo di tempo. Ricordo di aver piantato con lui varie piante nel nostro giardino.

Fr. Agostino Cerri. Ho incontrato per la prima volta Fr. ‘Francis’, come tutti lo chiamavamo qui in Sudan, nella nostra casa di Khartoum Bahri. Era appena arrivato da Juba e si leggevano nei suoi occhi e nei suoi atteggiamenti i momenti di tensione e di paura vissuti in quegli anni di guerra al Sud. Parlava di violenze, bombardamenti, pericoli scampati, ma senza una parola di odio o di rancore nei confronti di chi aveva causato e causava ancora tanto dolore. Una sua caratteristica era il rapporto bello e schietto che riusciva ad avere con gli operai; si interessava a loro, ci teneva al fatto che migliorassero la loro formazione e a tale scopo spesso, dopo la giornata di lavoro, organizzava lezioni di disegno. Qui, nell’officina di El Obeid, dove Fr. Francis ha lavorato, c’è ancora un cartello scritto in arabo in bella calligrafia, fatto mettere da lui all’entrata, con le parole: “Il lavoro degli operai è il futuro della nazione”. Nel cuore dei ragazzi di allora, oggi uomini con famiglia, ha lasciato un ricordo indelebile di amore e di attenzione per la persona e l’attività. Anche nell’arte della pittura esprimeva questo suo interesse per la fatica degli operai. Nella chiesa di Kosti, nella parte destra dell’ambone, dipinse una scena tipica del porto di questa cittadina sulla riva del Nilo bianco. Si vede una fila di uomini curvi sotto pesanti sacchi, che stanno scaricando la stiva di un battello. Da lontano, una donna con un bambino in braccio e un altro accanto, in piedi, osserva, incuriosita, la scena. Forse è la moglie di uno degli scaricatori che aspetta la fine del lavoro per avere i soldi necessari per comprare il cibo. Mi è particolarmente cara questa immagine perché descrive bene il modo di pensare e di lavorare di Fr. Francis sempre attento a chi gli stava attorno e alla fatica umana. Lo ricorderò così, con la sua grande voglia di fare cose belle e la voglia di amicizia, fatta di condivisione e di momenti di preghiera, con l’immancabile rosario recitato alla sera dopo una lunga giornata di lavoro e, magari, pensando già a un altro disegno da insegnare ai suoi giovani operai.

P. Carlo Plotegheri ricorda, in particolare, una sera del 1974, a Tonga, tra gli Shilluk: Fr. Francesco era felice come una pasqua! C’era stato un guasto al generatore e aveva chiamato il suo aiutante per ripararlo, fermandosi ad osservarlo mentre lavorava. Il guasto era piuttosto serio, ma il giovane lo aveva ben presto sistemato e Fr. Francesco era contento e fiero di aver addestrato un vero meccanico. Sapeva fare di tutto: muratura, meccanica, elettricità, tubi per l’acqua. Non aveva nessuna pretesa e durante il giorno aveva sempre qualcosa da fare. Se la cavava bene in arabo e anche in inglese. Era stimato dagli operai e dalla gente.

P. Salvatore Pacifico. Fr. Francesco, conosciuto e ricordato soprattutto come istruttore e costruttore, ha dato vita a istituzioni formative di un certo valore, quali il politecnico di Juba e qualcosa di simile a Wau, e ha lasciato costruzioni belle e importanti. Ovunque c’è un pizzico di originalità: nel disegno, nella tecnologia, nelle pitture. Non durava molto nello stesso posto, non perché creasse problemi ma perché veniva continuamente richiesto dai superiori per far fronte a tante emergenze. Solido nella vocazione missionaria, in spirito di fede e di servizio alla missione, si è sempre mostrato disponibile a ogni richiesta che gli veniva fatta dai superiori. E questo gli ha permesso di mettere a frutto i tanti doni che il Signore gli aveva fatto.
Da Mccj Bulletin n. 251 suppl. In Memoriam, aprile 2012, pp. 54-61.