P. Giovanni Ferracin era nato il 9 febbraio 1930 nel paese di Malo, in provincia di Vicenza (Italia). Entrato nell’Istituto comboniano, emise i primi voti nel 1952. Fu ordinato sacerdote nel 1959. Fu poi mandato in Inghilterra per lo studio della lingua e come insegnante a Stillington e a Mirfield. Destinato al Sudan, arrivò a Khartoum nel 1962 e fu assegnato come insegnante al Collegio Comboni. P. Giovanni si rivelò subito una persona saggia e spesso veniva scelto per compiti delicati; era benvoluto da tutti, sia dai superiori che dai confratelli.
Impegnato principalmente nella formazione
Nel 1969 fu chiamato a fare il padre maestro dei novizi a Venegono, in Italia. Non era un compito facile perché c’erano molte tensioni sia nel mondo ecclesiale che nella società civile. Per la Chiesa, erano gli anni del dopo Concilio Vaticano II: erano state introdotte molte innovazioni, spesso accolte con grande resistenza. Anche nel mondo civile era un momento di cambiamenti sociali, sostenuti in particolare dai giovani. P. Giovanni, con la sua capacità di dialogo e la sua semplicità, riuscì a ristabilire fiducia e armonia nei giovani che erano sotto la sua direzione.
Dal 1976 al 1979 fu mandato in Spagna, sempre come maestro dei novizi. Per quel periodo attingiamo ai ricordi di P. Salvatore Pacifico. “L’avevo incontrato in un raduno di formatori, ma il primo vero incontro con lui fu a Londra, dove accompagnavo un gruppo di novizi di Venegono. P. Giovanni era lì con i suoi novizi della Spagna che, durante i tre mesi estivi facevano un’esperienza fuori dalla loro nazione lavorando per mantenersi. Siccome ero “nuovo”, si preoccupò di facilitarmi le cose il più possibile. Prima di tutto sistemò i novizi di Venegono, offrendoci quello che era già assicurato (ostelli e posti di lavoro) e poi pensò a sistemare i suoi. Tirava dritto per la strada che aveva capito essere quella giusta. Quando decideva una cosa, anche se chiedeva un parere, avevi l’impressione che la cosa più naturale del mondo fosse fare come diceva lui: era disarmante! E anche nelle discussioni era famoso per il suo modo di fare: sembrava che condividesse quello che dicevi ma… c’era sempre un ‘ma’… e quasi sempre finiva per prevalere la sua opinione! Persino a Londra, se entrava in un negozio per chiedere lavoro per i suoi novizi, se il commerciante rifiutava, gli diceva ‘non sai quello che perdi’. Comunque, non chiedeva mai agli altri quello che non faceva lui. Per esempio, durante l’esperienza estiva a Londra, se poteva, faceva lo stesso lavoro dei novizi, e, come loro, viaggiava in autostop”. Dopo il periodo in Spagna, P. Giovanni fu mandato per due anni in Kenya (1979-1980) e, per altri due, in Uganda (1980-1981), sempre impegnato in attività legate alla formazione dei futuri missionari. Dal 1981 al 1987 fu provinciale del Kenya.
Dal 1987 al 1997 rimase a Roma come coordinatore della commissione centrale per la Formazione Permanente, altro compito delicato nel quale, ancora una volta, fu molto apprezzato. A Roma, conobbe numerose persone che hanno avuto sollievo spirituale grazie alla sua bontà, gentilezza, umanità e soprattutto al suo parlare della “gentilezza” di Dio. Molte di queste persone lo ricordano ancora con affetto.
Khartoum
Nel 1997 fu felice di poter ritornare in Sudan, la sua prima missione, nonostante la scarsa conoscenza della lingua araba e, a 67 anni, ricominciò a prendere lezione. Fu assegnato nuovamente alla comunità del Comboni College. Nel 2011 si spostò in quella di Omdurman. Pur non avendo mai raggiunto una perfetta conoscenza della lingua araba, P. Giovanni ha sempre fatto del suo meglio per essere disponibile a qualsiasi servizio gli venisse chiesto. “Senza alcuna critica nei confronti dei confratelli – ricorda ancora P. Pacifico – mi diceva ‘Io non mi faccio troppi problemi. Vado dove c’è bisogno, dove mi mandano. Un posto vale l’altro e un lavoro vale l’altro. Ci sono confratelli che vanno trattati con i guanti, bisogna consultarli, tener conto dei loro desideri e aspettative’. P. Giovanni si è messo a servizio della missione accettando con semplicità di spirito quello che gli veniva chiesto. E dovunque andava, viveva in pienezza la sua vocazione e c’erano sempre dei frutti”.
Era un uomo di spiritualità, sempre disponibile e pronto a predicare ritiri, a seguire le persone nella direzione spirituale e ad aiutare in qualunque tipo di programma di formazione permanente. Quando parlava del mistero della Trinità o di qualsiasi altro aspetto della nostra fede, perdeva la nozione del tempo. Amava far uso di espressioni brevi, che sintetizzavano la sua spiritualità, come ad esempio: “Gesù è il Signore”, “Grazie, sì Padre”, ecc. Questa spiritualità però non lo astraeva dalla realtà, ma gli dava quell’energia interiore che P. Giovanni esprimeva in gesti concreti di carità. A proposito di questa, in occasione del suo 50° di sacerdozio, scusandosi con i confratelli di non avere il tempo per scrivere delle note autobiografiche, ricordava una citazione a lui particolarmente cara, tratta da una lettera di Comboni, scritta da El Obeid il 13 luglio 1881, tre mesi prima della morte: “Al mondo le ho sperimentate tutte; ed ho imparato per pratica, che prima di tutto si deve avere un grande amore di Dio, che partorisce l’amore del prossimo, che è la legge universale”.
Tutti conosciamo bene la sua grande attenzione verso i poveri e per quanti lo avvicinavano per qualsiasi tipo di sofferenza, era sempre pronto a dare il suo tempo, tanto che a volte lo si invitava alla moderazione perché non mettesse a rischio la sua salute. Ci teneva a mostrare la bontà di Dio a tutti e quando non aveva nulla da offrire, invitava la persona a pregare e a porre la propria fiducia nel Signore. Poi però andava personalmente a bussare alle porte di quanti avevano le risorse… per rendere efficace la Provvidenza di Dio.
Seguiamo ancora P. Pacifico. “Era candido. Esprimeva sempre quello che aveva dentro. Non ha cercato vie singolari ma, nell’ordinario, è stato straordinario, senza rumore, senza dare nell’occhio. Iniziò al Comboni College, a Khartoum, come insegnante di matematica. Si mise a studiare l’arabo da solo e ne sapeva tanto quanto era necessario per il suo apostolato. Diventò un punto di riferimento, ricercato e creativo. Ti parlava il linguaggio del Vangelo, te lo buttava là con la massima naturalezza, serio e sorridente insieme, e faceva breccia. Persone che l’hanno avuto come direttore spirituale in momenti bui, hanno trovato luce, una luce che ha continuato a illuminarli per la vita. L’Istituto ha percepito quasi per intuizione i doni che aveva e gli ha dato l’occasione di offrirli. Era un padre spirituale e un animatore nato perché viveva secondo lo Spirito. Nei raduni spesso ci si rivolgeva a lui per una riflessione spirituale. Dovunque ha lavorato, è stato rimpianto alla partenza, e tantissime persone lo rivedevano volentieri, perché si era creato un legame spirituale fruttuoso”.
L’ultimo giorno
P. Giovanni era un uomo gioioso. Non aveva paura della morte. L’8 dicembre 2013, nell’omelia aveva detto: “Ora, vedete, io sono un uomo vecchio, sono un uomo molto vecchio, sono vicino agli 84 anni adesso, quindi non mi aspetto di vivere ancora molti anni. Il Signore verrà per vedermi e io andrò per vedere lui. Potrebbe succedere domani, dopodomani, quindi, se la settimana prossima sentirete dire che padre John non c’è più, non dite ‘Oh, pover’uomo’. No! Dovete dire ‘Siamo molto felici perché padre John ha raggiunto l’obiettivo! Ed è morto, infatti, la domenica seguente, terza domenica d’Avvento, la domenica della gioia. Si era recato a Qaria 10, un centro della parrocchia di Omdurman, per le confessioni e l’Eucaristia. Non ha potuto completare la sua ultima Messa all’altare ma ha compiuto l’offerta della sua unione totale con il Signore che ha servito fino alla fine.
Privo di sensi, è stato portato a Villa Gilda, dove è stato soccorso e ha iniziato a riprendersi. Per qualche ora abbiamo creduto che lo svenimento della mattina fosse dovuto a debolezza e a disidratazione. Invece, era il Signore che gli veniva incontro. Nel pomeriggio, infatti, improvvisamente ha avuto un secondo attacco. Mentre stavamo preparando l’ambulanza per portarlo in un altro ospedale, il suo respiro si è ulteriormente affievolito e P. Giovanni ha abbandonato in pace la sua anima nelle mani del Signore.
Pochi minuti prima, quando ancora nessuno si era reso conto di quello che stava per succedere, un confratello è passato a salutarlo e gli ha chiesto di pregare. Come al solito, P. Giovanni ha risposto: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria a te, Dio Padre onnipotente, nei secoli dei secoli. Amen... Grazie... Sì, Padre”. Sono state le sue ultime parole.
La Messa e il funerale sono stati celebrati il 16 dicembre a Khartoum. P. Giovanni è stato sepolto nel cimitero di S. Francesco, accanto ad altri grandi missionari, tra cui P. Josef Ohrwalder.
Testimonianze
Numerose sono state le testimonianze pervenute al provinciale di Khartoum. Ne riportiamo due:
P. Enrique Sánchez González, Superiore Generale
“Questa mattina ho ricevuto la notizia della morte di P. Giovanni e mi sento triste. Il Signore ha chiamato a sé un grande missionario e un sacerdote straordinario che ci lascia un esempio veramente grande di vita missionaria, di passione per i poveri, di grande amore per l’Istituto, sicuramente un comboniano secondo il cuore di san Daniele Comboni. Sono contento che P. Giovanni, avendo vissuto fino alla fine in mezzo alla gente che lui amava con tutto il cuore, abbia lasciato le sue ultime energie tra i più lontani: questo è molto bello. Mi chiedo che cosa il Signore si aspetta da noi in questo momento così difficile per la nostra missione in Sudan, dove il personale diventa sempre più scarso. Dio sa bene perché ci fa vivere questo momento così, e certamente ci darà la forza per continuare ad andare avanti con tutta la fiducia in Lui. Voglio unirmi al vostro dolore, ma sicuramente alla vostra azione di grazie in questo giorno. Adesso abbiamo in P. Giovanni un altro intercessore per la missione del Sudan in P. Giovanni”.
P. Giovanni B. Antonini
“La notizia della morte di P. Giovanni mi ha sconvolto e nello stesso tempo mi ha dato un senso di esaltazione. Sconvolto, perché quando si perde un amico, una persona che si stima e con la quale si è stati legati nella vocazione, nel lavoro didattico e pastorale, è come cadere in un vuoto d’aria mentre si vola verso una destinazione sicura. Esaltazione, perché quando penso a P. Giovanni mi sembra di accostarmi a un confratello che si è grandemente realizzato nella sua vocazione missionaria comboniana, servendo il Signore in vari modi e in molti paesi diversi, ma sempre con lo stesso spirito, con lo stesso disinteresse e la stessa dedizione. Vi assicuro la mia vicinanza nella sofferenza per la sua mancanza e nella preghiera perché la sua intercessione sia una nuova protezione per la missione nel Sudan”.
P. Angelo Giorgetti
Da Mccj Bulletin n. 258 suppl. In Memoriam, gennaio 2014, pp. 155-160.