In Pace Christi

Zagotto Antonio

Zagotto Antonio
Data di nascita : 16/06/1925
Luogo di nascita : Vestenanova/VR/Italia
Voti temporanei : 15/08/1945
Voti perpetui : 22/09/1950
Data ordinazione : 19/05/1951
Data decesso : 30/05/2014
Luogo decesso : São Mateus/Brasil

“I poveri mi aspettano – diceva – rimarrò in missione finché la salute me lo consentirà, poi ritornerò. Se morirò in Brasile, sarò seppellito là. La giornata lì passa rapidamente e non mi accorgo di avere sulle spalle tanti anni”.

La vocazione
P. Antonio Zagotto si è spento in terra di missione, a Guriri, in Brasile, nella diocesi di São Mateus: il 16 giugno avrebbe compiuto 89 anni. A Vestenanova, dove era nato nel 1925, la notizia è trapelata in fretta, perché tutti lo ricordano con affetto: sacerdote discreto, sempre aperto al dialogo e dal cuore grande, sapeva accogliere con rara dolcezza quanti lo avvicinavano per una parola di conforto e di speranza.

Sull’inizio della sua vocazione, leggiamo ciò che lui stesso ha scritto – a 88 anni di età – nelle sue note biografiche: “Fin da piccolo, quando mia nonna mi conduceva alla Messa, tutti i giorni, alle cinque del mattino, mi colpiva il lavoro che il parroco, don Augusto Bortolazzi, faceva nella comunità, e soprattutto mi impressionava il suo contegno di padre buono verso tutti. Un giorno, mentre ero nella piazza della chiesa con alcuni compagni, arrivò il missionario comboniano P. Egidio Ramponi che parlò della grande necessità di sacerdoti missionari in Africa. Questo mi fece molta impressione. P. Egidio parlò con i mei genitori e si venne all’accordo che quell’anno sarei entrato nel seminario comboniano di Padova per frequentare il ginnasio. Acceso d’entusiasmo per la missione, anche grazie agli esempi dei missionari che partivano o ritornavano, percorsi rapidamente gli anni di studio e formazione, tra cui merita particolare menzione il noviziato di Firenze, e nel 1951 fui ordinato sacerdote nel duomo di Milano.

Avrei voluto partire subito, ma i superiori mi chiesero di aspettare qualche anno, lavorando nei seminari comboniani per la formazione dei missionari. Così passai diciotto anni in Italia, impegnato appunto nel compito della formazione a Padova e a Gozzano. Finalmente, nel 1969 potei partire… non per la sognata Africa, ma per il Brasile”.

Brasile
In questo suo primo periodo in Brasile (1969-1987), P. Antonio lavorò a João Neiva, São José do Rio Preto, nello stato di São Paulo (una delle zone più ricche del Paese, ma anche con la povertà estrema delle baraccopoli delle periferie), São Mateus, Pinheiro, Agua Doce, Ecoporanga e São Gabriel da Palha. Portava il sorriso ovunque, seminando fra i giovani le basi di quella coscienza politica e sociale fondamento della democrazia.

Ecco il ricordo di P. Pietro Settin: “P. Antonio era stimatissimo e in Brasile abbiamo vissuto insieme i grandi cambiamenti del dopo Concilio. Viveva e predicava il Vangelo nel senso più autentico e per questo era amato dal popolo. Decise di rimanere in missione sapendo di essere utile ai Comboniani e non un peso, nonostante l’età avanzata”.

E infatti, fino all’ultimo, con altri missionari veterani, ha confessato, celebrato, visitato gli anziani e gli ammalati.

Italia e di nuovo Brasile

Rientrò in Italia nel 1987 e fu mandato prima a Verona, come superiore della Casa Madre, e poi a Bologna, come vice superiore provinciale. Dopo alcuni anni, ormai settantenne, chiese di ripartire per il Brasile.

Così, nel 1995, fu mandato a São José do Rio Preto dove rimase fino al 1999. Poi ritornò per qualche anno in Italia, assegnato alle comunità di Gozzano e Venegono. Nel 2003 fu destinato nuovamente al Brasile e rimase sei anni a Nova Venécia.

All’inizio del 2010, P. Antonio passò a far parte della Casa Comboni, una piccola comunità di anziani a Guriri, frazione del comune di São Mateus, un’isola sull’oceano atlantico, separata dal continente da un ponte di poco più di 100 metri. Si pose a servizio della parrocchia comboniana col ritmo di attività febbrile di sempre, costretto a fermarsi solo pochi mesi prima della morte.

Ecoporanga: una piccola fotografia del Brasile
P. Antonio nelle sue lettere amava parlare delle sue missioni e del suo lavoro, cercando di inquadrarlo nella situazione sociale del tempo. Ne riportiamo alcuni passaggi che contengono notizie utili e interessanti anche sul modo di lavorare dei missionari.

Sulla parrocchia di Ecoporanga, ad esempio, scriveva: “Un’estensione di 2.100 kmq. con 30 mila abitanti. Gli abitanti sono un miscuglio di razze: africani, discendenti degli schiavi venuti dal continente nero, altri di origine europea, soprattutto italiani e portoghesi. La maggioranza però è originaria di altri stati brasiliani: gente emigrata qui da Minas Gerais e da Bahia, figli dei colonizzatori del Brasile, portoghesi soprattutto. Ecoporanga è una piccola fotografia del Brasile: tutti i colori della pelle e la maggior parte delle nazioni vi sono rappresentate.

La gente vive di allevamento e agricoltura. I proprietari di bestiame vivono generalmente in città: così il denaro se ne va nelle metropoli ed è investito altrove. Fuori dal comune abitano anche i grandi latifondisti che investono altrove anche loro. Rimangono solo i piccoli proprietari che lavorano per sopravvivere: un certo numero di mezzadri e una grande quantità di braccianti che guadagnano poco e stentatamente. A livello diocesano ci siamo organizzati per creare nella gente la coscienza dei propri diritti e doveri e offrire mezzi adeguati a favorire la solidarietà e quelle organizzazioni che difendono i diritti dei più poveri.

La parrocchia è divisa in 40 comunità cristiane autonome. Ogni comunità ha una propria organizzazione, come se si trattasse di una piccola parrocchia: catechisti, responsabili degli adolescenti, giovani, genitori, gruppo liturgico, pastorale, sociale, gruppi di riflessione o circoli biblici, consiglio pastorale”.

La città del “fiume nero”
“São José do Rio Preto – scriveva P. Antonio – è il nome della città brasiliana a 450 Km da San Paolo, al confine con gli stati del Mato Grosso del Sud e Minas Gerais. Il ‘fiume nero’ (rio preto) è un canale da tre a cinque metri di larghezza che passa alla periferia della città; deve il suo appellativo al colore scuro dell’acqua, che cambia a seconda dell’erba, di fiori, rami, foglie e altro che incontra nel percorso.

I comboniani giunsero a Rio Preto nel 1962 e venne loro affidata un’area alla periferia della città, con una chiesa dedicata all’apostolo San Giuda Taddeo. Non appena arrivati, P. Angelo Dell’Oro e altri confratelli si resero conto della difficile situazione sociale della zona, aggravata dalla presenza di giovani e adolescenti abbandonati o con problemi familiari, che bighellonavano, rubacchiavano e litigavano in continuazione, senza poter accedere alla scuola o al lavoro. Così, nella mente e nel cuore di P. Angelo si fece chiara una voce: ‘Aiuta questi ragazzi. Con loro arriverai alle famiglie. Sarà la miglior evangelizzazione che voi missionari possiate fare’.

Chiamati cinque ragazzi, P. Angelo iniziò a fabbricare con loro delle statuette di gesso; una volta colorate, venivano vendute in città e il ricavato serviva per comperare altro gesso e altro colore. Fu proprio nella stanzetta adibita a questo lavoro che ebbe inizio il Servizio Sociale San Giuda Taddeo, per la promozione integrale dei ragazzi poveri e delle loro famiglie.

Oggi il San Giuda – come lo chiama la gente – ha una scuola elementare, una professionale e varie officine per seguire 500 ragazzi della periferia, in età compresa fra i 10 e i 17 anni. Al termine dei corsi, tenuti da uomini e donne qualificati e regolarmente stipendiati, i ragazzi ricevono un diploma professionale e vengono richiesti da imprese, ditte e officine della città. Il Servizio Sociale, diretto da P. Marillo Spagnolo, è anche ricordato per la sua banda musicale e i corsi di tipografia e informatica. Oltre all’organizzazione scolastica e professionale, i ragazzi ricevono assistenza medica e psicologica, materiale scolastico e igienico. Per i più poveri sono previsti pranzo e merenda. Un’assistente sociale cura il funzionamento interno del centro e tiene contatti regolari con le famiglie degli alunni per vedere se in casa c’è pulizia, igiene, impegno nel lavoro e si fa buon uso del denaro. Agli inizi di tutte queste attività la gente della zona le guardava con curiosità e ammirazione, ma anche con distacco e scetticismo, in quanto si trattava di ragazzi di strada. Un po’ alla volta, visti i risultati positivi ottenuti nel comportamento e nei settori dello studio e del lavoro, la gente ha imparato a guardare i ragazzi con simpatia e a collaborare con materiale e denaro” (Azione Missionaria – Settembre-Ottobre 1995).

Gli ultimi mesi
P. Antonio aveva problemi di salute, ma questo non gli ha impedito di portare avanti fino agli ultimi mesi di vita un servizio costante alla parrocchia.

Nel marzo 2014 la situazione è andata peggiorando, col manifestarsi di dolori in varie parti del corpo. La soluzione migliore sembrava quella di tenerlo in casa, a riposo, facendolo seguire dai medici ma P. Antonio collaborava poco. Era cominciato il suo calvario. La sua croce era l’immobilità, come lui stesso confessava. È rimasto un mese nell’ospedale di Nova Venécia, costruito dai comboniani all’inizio della loro presenza e passato più tardi ai Camilliani. Ha avuto buoni risultati riguardo ai dolori, ma lo stato generale non è cambiato. Rientrato a Casa Comboni, sembrava un po’ più vivace, ma presto è ritornato allo stato di scoraggiamento e di rifiuto delle cure e dell’alimentazione. Nuovamente ricoverato, questa volta nell’ospedale statale della città, è rimasto per due settimane in terapia intensiva: ormai l’attenzione era concentrata sul cuore, con alterne speranze e nuove ricadute. La fine è arrivata all’alba del 30 maggio 2014.

La mattina stessa, la salma è stata portata nella parrocchia di Guriri. Nel pomeriggio, è stata celebrata la Messa funebre, presieduta da Mons. Aldo Gerna, vescovo emerito della diocesi, alla presenza di vari sacerdoti e numerosi fedeli. Subito dopo, la salma è stata portata a Nova Venécia. Dopo la notte di veglia, alle 8 di sabato è stata celebrata la Messa, alla quale era presente il provinciale, P. Alcides Costa, e i comboniani delle tre comunità dello stato di Espírito Santo. Dopo le esequie, il suo corpo ha trovato sepoltura nel cimitero dei comboniani di Nova Venécia.

Testimonianze
Fin dai primi giorni del suo arrivo, la gente di Guriri aveva capito che P. Antonio era un uomo sempre in movimento, di poche parole e totalmente dedito al suo compito: un grande regalo del Cielo. Una signora che lo conosceva bene e ha collaborato con lui fino alla fine ha detto: “Era una persona speciale, diversa, piena di qualità, intelligente e onesta, ricca di insegnamenti e di umanità. In poche parole, con una bellezza interiore non facile da trovare ai nostri giorni. Le sue omelie aprivano visioni, attraevano la nostra attenzione. Passando gli anni, moltiplicava gli sforzi ‘per compensare i suoi limiti’, come diceva lui. Ammiravo la sua dedizione e competenza; scoprivo sempre di più i suoi sentimenti; valorizzavo i suoi consigli, come quando, con un sorriso discreto, chiedeva pazienza per lui e per gli altri padri, tenendo conto dell’età avanzata. Mi colpiva la maniera rispettosa con cui si rivolgeva a tutti, dando sempre del ‘lei’, con la variante di ‘bimba’, quando esigeva un servizio più attento e rapido. Era una persona rara, che ho ammirato e continuerò ad ammirare”.

Questa testimonianza è in sintonia con quella di molte altre persone che hanno conosciuto P. Antonio e che hanno detto: era una persona semplice, umile, servizievole; praticava la povertà accontentandosi del minimo necessario; era sempre pronto al servizio di chi lo cercava; annunciava il Vangelo con fermezza; la sua maniera semplice conquistava le persone, in modo particolare i giovani; piaceva la sua grande devozione alla Madonna.

Ed ecco cosa dicono di lui i suoi confratelli. È stato un prezioso compagno di viaggio. Non ha mai avuto nessun senso di superiorità, che avrebbe anche potuto avere per i molti incarichi ricoperti nell’Istituto. Uomo di molta preghiera. Diligente nel presiedere – quando era il suo turno – la Messa della comunità con una breve riflessione, scritta su un foglietto, come quando celebrava per la gente. Scrupoloso nel portare avanti i suoi incarichi, come quello di registrare sul Diario della casa la cronaca dei fatti principali. Paziente con gli altri anche quando non apprezzava alcuni comportamenti.
Una sua parente, contattata per telefono al momento della morte, ha detto: “Una cosa bella è che mio zio è morto dove desiderava. Ci ripeteva sempre il mio sangue è italiano, ma il mio cuore è brasiliano”.
Da Mccj Bulletin n. 262 suppl. In Memoriam, gennaio 2015, pp. 43-48.