In Pace Christi

Nobili Giovanni

Nobili Giovanni
Data di nascita : 04/06/1940
Luogo di nascita : Sondrio/Italia
Voti temporanei : 09/09/1961
Voti perpetui : 09/09/1964
Data ordinazione : 26/06/1965
Data decesso : 12/04/2016
Luogo decesso : Kampala/Uganda

P. Giovanni Nobili era nato a Sondrio (Italia), il 4 giugno 1940, in una famiglia profondamente cattolica e fin da bambino si sentiva attratto dalla vita sacerdotale. Entrato nel seminario diocesano di Sondrio, incontrò P. Mario Mazzoni, comboniano, e decise di entrare nel noviziato di Gozzano, il 10 ottobre 1959. Dopo la prima professione, il 9 settembre 1961, studiò la Teologia a Roma, all’Università Urbaniana, e fu poi mandato come assistente nei seminari comboniani, a Crema e negli Stati Uniti. Il 1° luglio 1969 era in Burundi, dove poté fare un’esperienza pastorale molto forte. Ritornò in Italia nel 1974, per tre anni, nella promozione vocazionale. Nel 1977, andò negli Stati Uniti per motivi di studio e nel 1980 fu mandato a Limone. Nel 1982, fu destinato al Congo, dove rimase per otto anni. Nel 1990 fu destinato al Kenya. Il 14 aprile di quell’anno, infatti, il Superiore Generale di allora, P. Francesco Pierli, gli scriveva, ringraziandolo per la sua disponibilità a dare un contributo “in una delle più complesse baraccopoli di Nairobi, dove il nostro impegno assume una particolare connotazione dovuta alla situazione particolarmente grave della gente. La tua risposta positiva al Consiglio Generale è un segno di Dio. Il Signore ti dia infinita umiltà e pazienza per essere disponibile a fare qualcosa che sempre più risponda alle esigenze dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo in una situazione piuttosto unica come è la periferia di Nairobi”.

La lettera di P. Alex Zanotelli
“Fratello mio, mio compagno di lavoro e di lotta”, scriveva Paolo di Tarso di un suo stretto collaboratore. Sono le stesse parole che oggi potrei usare per P. Gianni Nobili. Per me, Gianni è stato un vero fratello, un compagno straordinario di lavoro missionario, ma anche di impegno, di lotta. Un uomo di una straordinaria umanità, con un’eccezionale carica umana che gli proveniva da una profonda fede in Cristo Gesù. Un uomo che sapeva rischiare per aprire strade nuove per la missione. Ne è uno splendido esempio, il fatto che nel 1991 ebbe l’incredibile coraggio di lasciare il suo lavoro in Congo per venire a vivere con me, nell’inferno di Korogocho. Il 14 gennaio 1990, dopo due anni di attesa, ero andato a vivere in una baracca di Korogocho, per sentire sulla mia pelle che cosa significasse vivere ‘all’inferno’. Per oltre un anno ho vissuto da solo: nessun comboniano se la sentiva di venire a condividere con me quell’esperienza, che a molti sembrava una follia. Fu Gianni (con il permesso dei responsabili) che accettò di venire a Korogocho. È stato anche per lui un battesimo molto duro: il battesimo dei poveri. ‘Se il fango non ti arriva addosso, se non lo calpesti, se non ti circonda, se non ti avvolge corpo e anima (parlo di fango fisico e morale), non sai neanche apprezzare il dono della salvezza e della libertà che il Signore ci ha fatto – scrisse P. Gianni in una delle sue lettere da Korogocho. Non parliamo poi di vocazione e di sacerdozio! Anche solo la quantità enorme di privilegi, in termini di educazione, libertà e cultura, che abbiamo accumulato nella nostra vita, ci obbligano a condividere in modo ben più radicale quello che siamo. Le mezze misure diventano una beffa’.

E lo ha fatto con un’umanità, una solidarietà e un’amicizia straordinarie. Potrei riassumere la nostra vita a Korogocho in due abbracci che non dimenticherò mai. Il primo avvenne il 15 dicembre 1991, al mio rientro dal Capitolo Generale. Arrivai durante la celebrazione eucaristica e deposi nelle sue mani un ramoscello di vischio natalizio dei suoi monti. Lui mi diede un abbraccio così caloroso di bentornato, che la comunità cristiana esplose in canti, trilli di gioia e di festa! Da quel giorno abbiamo camminato insieme per quasi due anni (non è stato facile per Gianni, la cui salute era piuttosto fragile).

Gianni fu fondamentale per iniziare le piccole cooperative per i più disperati di Korogocho. Giocò un grosso ruolo nella creazione della cooperativa dei raccoglitori di rifiuti nella discarica del Mukuru, proprio davanti a Korogocho. E fu soprattutto lui a propiziare l’arrivo, nel 1993, di quel formidabile missionario laico, Gino Filippini, con il quale aveva lavorato in Congo (ritengo Gino Filippini e Annalena Tonelli le due più splendide figure di missionari laici italiani del dopoguerra; Gino è morto di mesotelioma, contratto lavorando in discarica!). Fu sempre Gianni, appassionato sostenitore dell’impegno dei laici nella missione, a propiziare l’arrivo di un gruppo di laici che diedero un notevole aiuto con le cooperative.

Ma Gianni è stato per me soprattutto un compagno di viaggio con quella sua straordinaria umanità che mi ricaricava nei momenti difficili. Non posso dimenticare i momenti belli passati insieme a mangiare un po’ di cibo nel cuore della notte, seguiti da quelle lunghe conversazioni. E poi, quei momenti magici di preghiera nel cuore della notte, pregando i Salmi di Turoldo. Gianni aveva poi la capacità di prendere decisioni anche molto rischiose. Ricordo in particolare la decisione di abbandonare la baracca dove vivevamo nel complesso della scuola informale – un luogo relativamente sicuro – per andare a vivere nel cuore della baraccopoli, un luogo che la gente riteneva molto pericoloso. Decidemmo insieme di trasferirci in un’altra baracca a Grogon, contro l’opinione della comunità cristiana che temeva per la nostra vita. Infatti una notte – è la prima volta che metto questo per iscritto – una banda di sei-sette malviventi, con un tronco d’albero, sfondarono la porta della baracca e si precipitarono attorno al letto di P. Gianni, con pistole e coltelli, chiedendogli soldi. Non si erano accorti che nello stesso stanzone c’ero anch’io. Con il cuore in gola, senza sapere cosa fare esattamente, mi alzai, presi la lanterna e la scaraventai con forza contro il tetto di zinco, urlando: ‘Mwizi! Mwizi!’ (Ladri! Ladri!) Non sapendo che cosa stesse succedendo, i ladri se la diedero a gambe. E noi due dietro di loro per cercare di bloccare al meglio la porta. Accortisi dell’inganno, i malviventi ritornarono tentando di sfondarla. E noi a difenderci barricandola. Con un fischietto tentavo di richiamare l’attenzione della gente. Quella fu la mezz’ora più drammatica della mia vita. Con l’arrivo della gente, i malviventi si dileguarono. E Gianni mi diede un altro abbraccio, ringraziandomi perché l’avevo salvato. Un abbraccio ricco di umanità, tenerezza e amicizia.

P. Gianni scrive dal Congo
Nel 1996 ritornò in Italia per occuparsi esclusivamente dei Laici Missionari Comboniani. Poi, nel 2008, fu nuovamente assegnato al Congo, prima a Bondo, nel centro pastorale e poi a Dondi. Leggiamo una sua lettera, scritta agli amici e pubblicata su Missionari Comboniani (maggio 2012), nella quale, oltre alla realtà del Paese, emerge bene anche lo spirito con cui P. Gianni affrontava le situazioni.

“Carissimi amici, tre anni e mezzo passati a Bondo, nel cuore del Congo, sono una missione davvero impegnativa. Clima pesante, contesto sociale e culturale ancora squassato da ferite profonde che hanno segnato la vita della società e della Chiesa. Problemi e sfide pastorali a non finire. E i settanta sono passati da un pezzo. Provo a riassumere in poche parole la missione che ho vissuto in questi anni. Attualmente siamo l’unico Istituto missionario presente nella diocesi. Già arrivare a Bondo è un problema. Molti Istituti missionari sono restii a venire qui, proprio a causa di questo isolamento geografico, che non è esente da rischi. Ricordo che io stesso, nel lontano ottobre del 2008, venendo da Kinshasa a Bondo, impiegai ben diciotto giorni prima di arrivare. La nostra presenza però dà coraggio alla gente, alla Chiesa locale, alle varie istituzioni e anche alle autorità civili. Tutti gli aspetti della vita sociale, prima o poi, richiedono una nostra partecipazione attiva: dalle scuole all’amministrazione pubblica, alla radio, al Centro ‘della Speranza’ (Elikya), dove sono accolte le persone più fragili. Ho cercato di ascoltare tutti e senza distinzione, ma in particolare le persone alle prese con difficoltà di ogni genere: disgrazie familiari, salute rovinata, problemi creati da figli scapestrati. A volte, su alcune famiglie, il carico di miseria e di dolore era talmente pesante da farmi gridare al Signore: ‘Ma non ti pare di esagerare?’. Ma Lui, naturalmente, non mi rispondeva. Aveva già risposto da tempo. Quante volte mi sono riletto il capitolo 53 del profeta Isaia, la terribile esperienza del servo del Signore che si prende sulle spalle il dolore e il peccato dell’umanità. È un testo che fa venire i brividi. Dopo l’esperienza di Korogocho, mi sembrava di essere abbastanza preparato ad accostare il mondo dei poveri. Poveri veri e poveri falsi; gente rovinata dall’alcool o da una condotta sregolata; poveri maliziosi e pieni di astuzie (altrimenti come potrebbero sopravvivere così a lungo?). A Bondo ho scoperto la povertà quotidiana, tipica di una società, dove l’agricoltura, con tutti i suoi limiti, è l’unico mezzo di sussistenza e i salari sono ancora a livello troppo basso. Ho dovuto confrontarmi con la povertà dignitosa dei maestri e quella delle mamme abbandonate dal marito e con un grappolo di figli da mantenere. Oppure l’angoscia di chi, operato d’urgenza in ospedale, rimane poi bloccato finché non paga la fattura, o la tristezza di tanti ragazzi espulsi dalla scuola per non aver pagato le dovute tasse.

Le tradizioni antiche si stanno sbriciolando: i giovani si stanno liberando in parte dalle paure ancestrali; la radio è ormai accessibile a molti e Internet comincia a offrire notizie e informazioni straordinarie, nuovi stili di vita. Alcuni riescono a viaggiare e a studiare nelle città vicine: Buta, Kisangani, Yakoma. Centinaia di trasportatori in bicicletta, i famosi ‘tolekisti’, portano ai mercati di Bondo e dintorni i prodotti di una civiltà del benessere che riesce a far sognare soprattutto studenti e adolescenti. I capi tradizionali, i genitori, il famoso clan africano (praticamente la famiglia allargata) non hanno più il prestigio e l’autorità di un tempo. Troppe ragazze rimangono incinte durante le scuole medie, fanno crescere il bimbo per un anno e poi lo scaricano sulle mamme per tornare a studiare. Molti giovani invece abbandonano i libri e la casa per tentare la fortuna nelle miniere d’oro. Si sta allargando un fossato pericoloso tra le generazioni. In un contesto così complesso, dove annunciare il Vangelo diventa una sfida sempre più difficile, ho vissuto anche preziosi momenti di vita e di impegno con alcuni gruppi di persone particolarmente aperte: i maestri e i catechisti. Momenti intensi di amicizia e di festa con la comunità di Limbasa, che ho accompagnato in questi tre anni. Si tratta di una realtà di poche centinaia di famiglie cristiane raggruppate attorno ad una cappella destinata a diventare parrocchia. Con loro ho camminato da amico, da fratello maggiore, e da padre. Ho celebrato la vita e la morte; la fatica del lavoro dei campi e la gioia dei primi frutti. L’offerta al Signore dei bambini neonati; le danze scatenate dei ragazzi e i canti di una liturgia che riempie il cuore di festa. Quando una celebrazione eucaristica (quella che noi impropriamente chiamiamo “Messa”) dura oltre 4 ore in un susseguirsi gioioso di preghiere, di canti e di danze, vi assicuro che tutta la comunità torna a casa rafforzata nella sua fede e nelle sue relazioni interne. I piccoli respirano questa serenità. E lentamente la comunità cresce e si rafforza. San Daniele Comboni parlava di ‘rigenerazione” dell’Africa. Un termine tipicamente pasquale, che implica mentalità nuova, cuore nuovo, vita nuova. Un termine carico di forza per noi missionari. Ogni giorno dobbiamo riprendere con umiltà e tenacia questo sogno e questa sfida: credere che l’Africa può crescere e rigenerarsi, superando le mille difficoltà in cui è immersa. Di rigenerazione e di rinascita l’Africa ha un bisogno estremo. Ma ha anche bisogno di amici sinceri. Se saprà impegnarsi e se avrà leader illuminati, questi non mancheranno di certo.

Il messaggio di un giovane keniota
P. Gianni è morto improvvisamente il 12 aprile 2016 all’ospedale di Kampala (Uganda). In seguito a problemi di pressione, era stato portato prima all’ospedale di Watsa, poi, nella speranza di cure più appropriate, era stato trasportato in aereo fino a Kampala.

È stato sepolto nel noviziato di Namugongo, accanto ai Martiri d’Uganda, “dove i novizi potranno ispirarsi alla sua vita missionaria”, ha detto P. Joseph Mumbere, provinciale del Congo.

Riportiamo il messaggio di cordoglio, fatto pervenire al provinciale del Kenya, da un giovane di Korogocho, cresciuto accanto a P. Gianni, Raphael Obonyo, che ora è consigliere per la Gioventù di Ban Ki-Moon, il Segretario Generale delle Nazioni Unite.

“A nome mio e degli abitanti di Korogocho, inviamo le nostre più sentite condoglianze ai Padri Comboniani e ai nostri amici in Italia in questo difficile momento. Piangiamo la perdita di P. Gianni Nobili, un sostenitore della generazione di leader che ha portato la luce a Korogocho. Era un uomo di coraggio, determinazione e passione. Il mondo si ricorderà sempre di P. Gianni venuto a Korogocho a condividere la sua vita e a servire la comunità. Assieme a P. Alex, ci ha aiutato a nutrire il sogno di una nuova Korogocho, a renderci conto che Dio viveva in mezzo a noi, il Dio dei poveri.

P. Gianni ha camminato e lavorato con noi, gente di Korogocho, per trasformare la nostra vita nel modo più pratico possibile. Era un gigante che si muoveva con un grande sorriso sul volto e pieno di fiducia. Ha dato speranza a noi poveri e ci ha ricordato di rinascere con il poco che avevamo e di risplendere.

Se P. Alex Zanotelli è stato nostro padre a Korogocho, P. Gianni è stato il nostro zio migliore. Se P. Alex ha predicato il Vangelo, P. Gianni è stato quello che ha messo il Vangelo in pratica: noi attribuiamo la fondazione della maggior parte dei progetti per i mezzi di sussistenza nella parrocchia cattolica di San Giovanni a Korogocho all’intelligenza e all’incessante impegno di P. Gianni. Sapeva ciò di cui avevamo bisogno: conoscere Dio e avere l’opportunità di vivere con dignità. Se P. Alex ha portato il mondo a Korogocho, P. Gianni ha portato Korogocho al mondo.

P. Gianni era un insegnante. Ci ha insegnato che non ci sono norme speciali per la gente di Korogocho. Ci ha insegnato che quando si riesce ad avere l’opportunità di fare qualcosa, bisogna fare del proprio meglio, cercare di essere i migliori e soprattutto farlo secondo gli standard internazionali: un insegnamento che ho fatto mio nel mio lavoro nei diversi ambiti.

Ci ha insegnato a guardare a noi non come le vittime, i poveri o gli oppressi, ma come vincitori, sognatori e protagonisti di cambiamento. Ci ha sfidato ad alzarci e ad affrontare le sfide e i nostri oppressori, a superare gli ostacoli, le tribolazioni e la povertà, ci ha insegnato che avevamo le capacità e la grandezza di rifare la nostra vita e di fare di Korogocho quello che volevamo che fosse: Korogocho Mpya! (Korogocho Nuova!)

P. Gianni era un guerriero. Ricordiamo quando furono attaccati da teppisti nel cuore della notte. Fu P. Gianni ad affrontare gli uomini e a lottare contro di loro. E si è sempre scherzato sul fatto che P. Alex, in quel momento, stava in ginocchio a pregare o si era messo ad implorare i teppisti.

P. Gianni non cedeva mai all’autocommiserazione, si riprendeva sempre. Il suo spirito di resistenza e il suo buon umore hanno aiutato molti di noi a non rinunciare mai e a non cedere e questo aspetto è evidente nella maggior parte dei giovani cresciuti accanto a lui. La sofferenza, il dolore e l’angoscia lo hanno reso più aperto alla sofferenza degli altri.

È stato un vero campione della gente di Korogocho. La maggior parte di noi, senza alcun dubbio, è riuscita grazie all’amore di P. Gianni, in parole e opere. Tutti abbiamo delle belle storie da raccontare su di lui: i suoi insegnamenti, le opportunità che ha creato per noi e le sue azioni innovatrici. La sua eredità, per aiutarci a camminare con il Signore, è un dono inestimabile per la nostra comunità e per il mondo.

P. Gianni non è morto, perché tutti noi stiamo vivendo il suo grande sogno. Non parleremo di lui come qualcuno del passato, ma come qualcuno del futuro. Ci ha lasciato ricordi vivi, grandi lezioni, esempi positivi e una grande sfida per rendere Korogocho un posto nuovo e il mondo, un posto migliore per tutti”.

Pane spezzato
Ecco la testimonianza di P. Joseph Mumbere, provinciale del Congo.

Il sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete (Gv 6,36). Queste parole del Vangelo riassumono la vita missionaria di P. Gianni: l’ha vissuta tutta come la concretizzazione di ciò che Gesù ha fatto e vissuto, come il Pane spezzato per la salvezza dell’umanità. Ecco perché aveva fondato l’associazione ‘Pane spezzato’: in questa espressione è racchiusa tutta la teologia di P. Gianni.

Vorrei condividere tre caratteristiche della profondità della sua fede che custodisco in me come un’eredità spirituale: è stato missionario comboniano per dare e condividere la sua vita come pane spezzato per la salvezza dell’umanità, per testimoniare la gioia e l’ottimismo del Vangelo, per vivere la comunione e la fraternità con le popolazioni martoriate del Congo.

1. Dare la propria vita come il pane spezzato per la salvezza dei popoli affidati a lui come missionario.
Nel biglietto per il suo 50° di sacerdozio, P. Gianni rivela il suo nome ‘segreto’: ‘Pane spezzato è il mio nome segreto (Ap 2,17) scoperto a Gerusalemme nel lontano 1995. È la sintesi semplice e chiara della missione che Gesù affida ai suoi amici’. E P. Gianni ha realizzato veramente la missione vivendo questo nome segreto, vivendo la spiritualità del pane spezzato per la salvezza dell’umanità. Per vivere questo nome segreto non risparmiava la sua salute perché voleva finire fino in fondo ciò che Gesù ha vissuto durante la sua passione, dopo aver istituito l’Eucaristia.

Per comprenderlo, ecco che cosa scriveva nella Pasqua del 2015: ‘50 anni sono ormai trascorsi da quando sono stato ordinato sacerdote a Milano, nel 1965. Mentre ringrazio il Signore per questo dono prezioso, non riesco a far scomparire dalla mia mente la figura del Servo sofferente. Anch’io, come lui, vorrei accompagnare il Signore fino a Gerusalemme. So che vedrò la festa e l’entusiasmo della gente, la gioia dei bambini, le danze, gli Osanna e i canti. Quel giorno tutti si sentiranno amici e agiteranno le palme con il volto illuminato dalla gioia di accogliere il Messia. Ma subito dopo arriveranno i giorni della tristezza e dell’angoscia, del tradimento e della paura. Seguiranno l’arresto, il processo, il giudizio e il rifiuto totale. E infine la croce e il suo cuore trafitto. Pensando ai miei 50 anni di sacerdozio, vorrei solo camminare accanto a Gesù e portare con Lui il peso immenso del dolore e della sofferenza, delle contraddizioni e delle infedeltà di questo popolo congolese che mi è stato affidato come missionario’.

Ecco perché a Bondo come a Dondi, malgrado la sua salute fragile, voleva andare a vivere in mezzo alla gente, per darsi totalmente e condividere tutte le loro condizioni di vita facendo causa comune con loro. È lui, quindi, che è all’origine del nostro impegno nella quasi-parrocchia del Sacro Cuore di Limbasa a Bondo. Un impegno nato dalla sua preoccupazione di fare causa comune, di donarsi totalmente ai più poveri e abbandonati di questo contesto.

Durante il periodo prolungato di riposo che ha avuto l’anno scorso per celebrare il suo cinquantesimo di sacerdozio, P. Gianni era venuto a Roma, dove mi trovavo per i lavori del Capitolo Generale, per affrontare con me, profondamente e nei dettagli, la valutazione dei suoi 50 anni di sacerdozio. Prima di tutto ha riconosciuto come il suo stile di fare missione, come pane spezzato da condividere con tutti, come un’Eucaristia, non solo celebrata ma vissuta nel quotidiano donandosi fino all’esaurimento delle energie, aveva minato la sua salute. Così mi ha detto che pensava di continuare a vivere la missione come una cooperazione missionaria fra l’Italia e il Congo con il mondo del laicato: avrebbe passato sei mesi in Congo e sei in Italia dove, curandosi e riposandosi, avrebbe coinvolto laici e volontari affinché venissero in Congo come collaboratori della missione nei settori di loro competenza. E in Congo, li avrebbe accompagnati in un partenariato con i movimenti dei laici comboniani e nella collaborazione in alcune opere e attività della missione comboniana.

Ed ecco che cosa mi scriveva quando gli ho comunicato che il Consiglio era d’accordo con il suo progetto e gli proponevo per questo una nuova comunità ‘sono felice che il progetto sia stato accolto dal Consiglio. È un progetto che mi affascina, anche se so che dovrò affrontare difficoltà e fatiche. In effetti, il fatto di accogliere i laici come possibilità di collaborazione missionaria è ancora in fermento nella Chiesa. E i nostri confratelli non sempre sono aperti a questo mondo. Ma ci sono esperienze positive che possiamo sostenere con coraggio e dalle quali dobbiamo sentirci provocati. E in questo mondo del laicato nostro padre Comboni è stato un Maestro incomparabile. Se sapremo seguirlo anche solo in parte, saremo fedeli al suo sogno missionario’.

2. Testimoniare la gioia e l’ottimismo del Vangelo in mezzo alle difficoltà.
Tutti quelli che hanno conosciuto P. Gianni non potranno mai dimenticare il suo sorriso, la gioia e la serenità che diffondeva attorno a lui. Non si rassegnava di fronte a niente. Ha sempre creduto che il bene vince sul male.

Per me personalmente era una fonte di ispirazione e il mio consigliere spirituale nella mia responsabilità di provinciale. Nella nostra Provincia ci sono dei confratelli che sono per me, come Provinciale, dei consiglieri nell’ombra e anche degli accompagnatori spirituali, che con la loro saggezza, le esperienze di vita, di fede e di missione e soprattutto per il loro ottimismo, mi hanno sempre incoraggiato di fronte alle difficoltà che incontro nella pesante responsabilità che ho ricevuto. E il primo di questi è stato proprio P. Gianni che nei momenti più difficili della provincia mi scriveva parole d’incoraggiamento. Aveva l’abitudine di chiamare tutti con affetto “Mwana na ngai” (figlio mio), e chiamava me ‘giovane fratello maggiore’.

3. Vivere la comunione e la fraternità con le popolazioni martoriate del Congo.
A causa delle sua salute, divenuta più fragile, molti amici e confratelli avevano consigliato a P. Gianni di rimanere in Italia, ma lui ha risposto che sentiva il bisogno di ritornare in Congo per vivere la comunione e la fraternità con il popolo martoriato del Congo, seguendo Papa Francesco nella sua prima visita africana (anche in Centrafrica) quando tutti glielo sconsigliavano per l’insicurezza.

Ecco che cosa scriveva nella lettera di Natale del 2015: ‘sto facendo le valigie e il 5 gennaio 2016 ritornerò in Congo. Questa volta la mia permanenza in Italia si è prolungata in maniera straordinaria e per diversi motivi. Innanzitutto il mio giubileo sacerdotale. Poi per esami medici lunghi e completi, dopo i quali ho avuto il permesso di tornare in Africa. Ne sono contentissimo. Molti amici invece mi sconsigliano di partire, primo per la mia età e poi perché mi dicono ‘non vedi che ormai l’Africa è arrivata da noi? Non vedi che la missione è diventata ancora più urgente qui in Europa? Non posso negare la forza di questa provocazione, ma, almeno per il momento, è bene che io riparta. Anche il Papa, malgrado i rischi della drammatica situazione in cui viviamo, ha deciso di andare in Africa per dare una lezione di coraggio e di fede, per gettare i ponti del dialogo laddove gli altri preferiscono scavare fossati e costruire barriere, È andato senza gilet antiproiettile, senza vettura blindata, ma con molta fiducia in Gesù che lo invia e nella preghiera di tutta la Chiesa che lo accompagna. In quest’Africa ‘continente crocifisso’ – come dice spesso il mio amico Zanotelli – ricca di tutti i beni del mondo ma incapace di conservarli a causa della voracità dei suoi governanti e delle pressioni delle potenze straniere, a causa delle tante guerre che vi si combattono per conto di terzi, la visita del Papa è considerata da tutti come una benedizione e un’occasione di riconciliazione. Anche se l’Africa sanguina di mille ferite, rimane un enorme bacino di energia vitale e di speranza per l’umanità… Mentre in Europa i seminari sono deserti e le vocazioni rare, il numero di candidati africani al sacerdozio è in continuo aumento e, molto probabilmente, in un futuro non lontano per quanto riguarda i valori umani e spirituali, l’Africa non salverà solo l’Africa ma anche la nostra vecchia Europa’.

È con questa fede e questa fiducia in un futuro migliore per l’Africa che è ritornato, nel gennaio 2016, per l’ultima volta e per non tornare più in Europa.
Da Mccj Bulletin n.270 suppl. In Memoriam, gennaio 2017, pp. 62-72.