P. Ferdinando Moroni all’età di dieci anni, nel 1951, a Vaiano, incontrò P. Berto Zeziola e fu conquistato dalle sue parole su Daniele Comboni e il suo amore per Cristo e per l’Africa. Entrato dai Comboniani, fu mandato per il noviziato a Sunningdale, in Inghilterra. Fu ordinato sacerdote a Brescia il 15 giugno 1968.
Dopo aver trascorso i primi tre anni di sacerdozio nel seminario comboniano di Crema, nell’ottobre 1971 partì per l’Uganda, dove ha trascorso il resto della sua vita, tranne gli ultimi mesi. Nel suo 45° di ordinazione sacerdotale scriveva: “Ringrazio gli africani per tutto quello che mi hanno dato: amicizia, serenità nelle difficoltà, sostegno, collaborazione. Nella mia zona non c’è famiglia che non abbia perso uno dei suoi cari ucciso a causa della guerra. Però ho tanti esempi di gente che ha saputo perdonare e di questo li ringrazio molto. Negli incontri con le piccole comunità fondate sull’ascolto della Parola di Dio, ho sperimentato quanto la parola di Dio possa cambiare i cuori. I ribelli ci hanno visitato e derubati ben nove volte. Nonostante questo la gente è convinta che se la Madonna non ci avesse assistito le cose sarebbero andate peggio. Per questo si è costruito un santuario alla Madonna, per ringraziarla della sua protezione. Spesso abbiamo gente che viene in pellegrinaggio a piedi, anche da una distanza di 30 km, e si ferma per tre giorni in preghiera. Termino portando l’esempio di Jeoffrey, un catechista. I ribelli gli avevano ucciso la moglie e un figlio. Mi disse: ‘Padre, questo mi ha fatto soffrire molto, volevo vendicarmi ma Gesù che ricevo ogni giorno mi ha dato la forza di perdonare. Padre, non posso vivere senza fare la comunione’”.
Nella missione di Ngeta
P. Maurizio Balducci, che ha trascorso molti anni assieme a P. Ferdinando nella missione di Ngeta, a cinque miglia dalla città di Lira, ricorda: “Ho avuto la grande fortuna di vivere con Moroni (da tutti chiamato così perché per la gente era difficile chiamarlo Ferdinando…) dal 2005 al 2011. Non ho remore nel dire che era il confratello con cui tutti avrebbero voluto vivere: era l‘accoglienza fatta persona ed era sempre cordiale verso tutti. Stare con lui era una festa (aveva anche una certa propensione per la festa e per le sue cose buone con le quali a volte indulgeva un po’ troppo…). Tutti si sentivano accolti da lui, sempre. Era attento a quei confratelli che talvolta erano costretti a vivere da soli o che si trovavano a vivere momenti di sofferenza. Aveva la grande capacità di essere vicino e di consolare e motivare magari senza troppi argomenti ma con la vicinanza e con interesse sincero.
La gente gli voleva un gran bene perché era sempre più che accogliente con gli ugandesi, indistintamente, e non solo con i Langi, di cui parlava a menadito la lingua. Manifestava sempre un gran rispetto per la gente pur riconoscendone i limiti e sapeva parlar chiaro sempre senza umiliare anche quando sapeva che l’altro non avrebbe preso bene la correzione; ma da Moroni si accettava tutto. Tutti sapevano che non diceva mai qualcosa con astio bensì con sincero interesse per la persona, per ogni persona. Del resto aveva con tutti una grande pazienza nell’ascoltare, nello stare, nel comprendere e perfino nello scusare. Questo a volte gli costava, perché era un buon organizzatore e gli dispiaceva che spesso le cose non andassero come aveva previsto.
Sapeva “perder tempo” per stare con la gente. Conosceva le famiglie (e il nome di ogni membro!), le situazioni dei catechisti e di tanta gente. Segno, questo, di un interesse reale e coinvolgente. La gente si rendeva conto che egli viveva realmente per loro.
Era una persona umile e schiva, che non amava i posti di comando, eppure più volte gli sono state affidate comunità complesse per diversità di impegni, ruoli e nazionalità e lui, anche se con sofferenza personale, era capace di comporre le differenze e tenere unite le persone anche quando sembrava impossibile (pagando spesso di persona!). Una volta il provinciale lo presentò come parroco e superiore da sempre… Era un “peace maker” convinto, capace di unire attorno ad un progetto comune. Per questo intratteneva sempre buoni rapporti con le comboniane e anche con le suore ugandesi di varie congregazioni. Aveva chiesto lungamente di essere “liberato” dalle responsabilità che per lui erano un peso esagerato e fu davvero una grande liberazione potersi finalmente trasferire al Santuario di Iceme, dove non avrebbe avuto più incarichi pesanti.
Sapeva riconoscere i doni degli altri (a volte anche esagerando) e li aiutava a prenderne coscienza e a svilupparli, sempre stimolando la persona e dandole piena fiducia.
Di natura era un po’ insicuro e mi stupiva quanto coscienziosamente preparava tutto, ad es. le omelie (che per lui erano quasi un incubo) dedicando un tempo che a me pareva anche eccessivo. Tutti lo conoscevano come una persona scherzosa e sorridente. Memorabili le serata passate con lui sotto la veranda della missione, marcate spesso da sonore risate!
Pastoralmente era moderno, credeva nella formazione dei catechisti e dei vari leader. Gran parte del suo impegno andava in questa direzione, anche se la pastorale ordinaria di una grande parrocchia lo assorbiva certamente molto. Come in tante altre cose, si confrontava spesso con i confratelli e con la gente anche se poi non esitava a prendere le decisioni che spettavano a lui.
Si era giocato la salute stando con la gente e affaticandosi troppo; così ultimamente tornava dai periodici controlli in Italia con valigie piene di medicine per il cuore e il diabete. Dato che non era esattamente un “cuor di leone”, la malattia lo abbatteva ed era lui ad avere bisogno di conforto. Periodicamente aveva dei brutti attacchi di malaria che incidevano pesantemente sui valori glicemici, allora la situazione si faceva preoccupante perché iniziava a sragionare. E nonostante questo, a volte insisteva per andare in safari dalla sua gente. Quanti spaventi ci ha fatto prendere… quando ci chiamavano perché avevano dovuto togliergli le chiavi dell’auto e lui insisteva per guidare senza disturbare nessuno, anche quando non era proprio in grado di farlo. Più volte nel corso di queste crisi abbiamo dovuto portarlo d’urgenza in ospedale in condizioni preoccupanti, tanto che due volte è stato perfino necessario portarlo in Kenya.
Aveva paura di morire e la morte non era un argomento che affrontava volentieri; per questo tutti lo prendevamo in giro. Il Signore è stato generoso con lui, visto che non ha dovuto affrontare né una dolorosa malattia né una lunga agonia.
Al suo funerale, assieme ad altri ex ugandesi, ho rappresentato tanti confratelli ma anche migliaia di persone che erano nel pianto per il suo passaggio. Tante si sono stupite della sua morte, come se Moroni, che era per tutti un punto di riferimento, non dovesse morire mai. Il suo nome e il suo ricordo continueranno certo per un bel pezzo ad Alanyi, Dokolo, Aliwang, Ngeta, Iceme e… in tutta Lira. E penso che sentiremo spesso nelle orecchie il rumore rassiurante del suo ciabattare!”.
Fr. Bettini Gilberto
Oggi, domenica, il parroco, P. Luis Arellano, ha annunciato la morte di P. Moroni. C’è stato un lungo momento di silenzio. La chiesa era gremita. Tutti lo conoscevano. Tutti gli volevano bene.
Ha battezzato tanti, ha celebrato molti matrimoni e confessato tante persone. In vari periodi è stato per parecchi anni qui a Ngeta come parroco e superiore.
In tempi diversi sono stato anch’io con lui qui a Ngeta, per più di 30 anni. Tutto il tempo che siamo stati assieme ci siamo trovati bene. In comunità, con il suo sorriso, sapeva superare i conflitti dei confratelli. Teneva alle pratiche giornaliere, come le Lodi e i Vespri. Spesso i vari Istituti di suore gli chiedevano di predicare gli esercizi spirituali e accettava anche se gli costava per il tanto lavoro pastorale.
Da Mccj Bulletin n. 274 suppl. In Memoriam, gennaio 2018, p. 12-16.