In Pace Christi

Magalasi Peter

Magalasi Peter
Data di nascita : 31/12/1929
Luogo di nascita : Tombura/Sud Sudan
Voti temporanei : 09/09/1956
Voti perpetui : 09/09/1959
Data ordinazione : 07/07/1957
Data decesso : 08/12/2018
Luogo decesso : Lacor-Gulu/Uganda

P. Peter, figlio di Baripi e Anyongo, era nato in Sud Sudan, nel villaggio di Diayanga (parrocchia di Maringindo, a quel tempo nella prefettura apostolica di Mupoi, ora diocesi di Tombura-Yambio) il 31 dicembre 1929. Fu battezzato da P. Carlo Arrighi all’età di undici anni a Raffili (Bahr-el-Gahazal), l’8 dicembre 1940, e cresimato l’anno seguente, il 20 aprile 1941, da Mons. Rodolfo Orler. Sentì la chiamata al sacerdozio ed entrò nel seminario minore dove studiò la filosofia e la teologia. Era già in seconda teologia quando espresse il desiderio di diventare comboniano. P. Longino Urbani, rettore del Sacred Heart Seminary di Gulu, diede un parere positivo alla sua richiesta e P. Luigi Parisi, suo parroco, scrisse: “Conosco Pietro Magalasi e le dico che ha fatto sempre e a tutti un’impressione favorevole sotto ogni rispetto”. Mons. Domenico Ferrara, prefetto apostolico di Mupoi, lo presentò ai comboniani e fu ammesso al noviziato di Firenze (Italia). Fece la prima professione il 9 settembre 1956, completò la teologia e fu ordinato sacerdote il 7 luglio 1957 a Verona. Dopo l’ordinazione fu mandato a Roma per studiare il Diritto Canonico all’Università Urbaniana.

In Sud Sudan
Dopo aver completato gli studi e aver emesso i voti perpetui il 9 settembre 1959, tornò in Sud Sudan. Dal luglio 1960 al giugno 1962, fu mandato come insegnante nel Seminario maggiore di St. Paul di Tore River. Successivamente si trasferì a Mboro, vicino a Wau, come assistente parroco e, un anno dopo, nel 1963, divenne parroco di Wau. Erano anni difficili per la Chiesa in Sud Sudan. Nel 1964 tutti i missionari stranieri furono espulsi. Il seminario di Tore fu chiuso e trasferito a Kit con P. Urasi come rettore e P. Magalasi come insegnante e direttore spirituale. Rimasero a Kit solo per un breve periodo. Nel 1965 sacerdoti e seminaristi fuggirono in Uganda e continuarono la loro formazione lì. P. Magalasi, oltre a portare avanti il suo impegno come insegnante, ci teneva ad essere coinvolto pastoralmente nei fine settimana.

Nel 1971 fu assegnato alla provincia dell’Etiopia-Eritrea e lavorò nella parrocchia di Fullasa, in Etiopia, anche come insegnante. Nel 1972 la firma dell’Accordo di pace di Addis Abeba diede la possibilità alla Chiesa del Sud Sudan di riprendere il suo lavoro con nuovo dinamismo. Così, nel 1973, P. Magalasi tornò in Sud Sudan e andò prima a Rejaf e Kit, anche come direttore spirituale dei Fratelli di St. Martin de Porres. Nel giugno 1980 fu assegnato a Rumbek, dove lavorò instancabilmente per la comunità della cattedrale. Visitò anche le cappelle fino a Cueibet e Bargheil. Nel frattempo, era iniziata la seconda guerra civile e il personale della Chiesa avrebbe sofferto ancora molto. Nel 1984, vicino a Tonj, P. Magalasi, che viaggiava in macchina, fu assaltato e derubato. Dopo quell’incidente, decise di lasciare Rumbek e trasferirsi a Maringindo, la zona della sua infanzia. Si stabilì a Nagero dove offriva assistenza pastorale alla popolazione locale. Nel 1986 fu assegnato alla comunità di Lomin a Kajokeji. Lì rimase fino al 1987 quando la comunità fu chiusa a causa dell’insicurezza.

Qualche anno in Italia e poi in Congo
Nel luglio 1988, i superiori proposero a P. Magalasi un periodo di ministero in Italia nel campo dell’animazione missionaria, perché potesse riposare un po’ e riprendersi dai traumi subiti negli anni precedenti. Fu in quel periodo che maturò una particolare devozione alla beata Clementine Anuarite, una martire congolese. Nel 1991 fu assegnato al Congo, dove rimase per 16 anni, lavorando in tre diverse parrocchie: Ango, Bambilo e Duru. Mentre era a Duru, il 17 settembre 2008 la missione venne attaccata dalle milizie dell’LRA. I missionari dovettero fuggire in fretta e furia assieme ai fedeli per salvarsi e si rifugiarono in Sud Sudan percorrendo l’enorme distanza a piedi.

Dopo un periodo a Yambio, P. Magalasi si unì alla comunità del postulato di Layibi (Uganda), cooperando alla formazione dei candidati Fratelli. Dal giugno 2013 rimase circa un anno con il vescovo emerito Mons. Joseph Gazi Abangite, a Yambio, ma la sua salute peggiorò e fu portato a Lacor, nella comunità comboniana annessa all’ospedale. Lì ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Il Signore lo ha chiamato a sé l’8 dicembre 2018, all’età di 89 anni.

Testimonianza di P. Fermo Bernasconi (2001-2007)
Tra i ricordi che ho di questo confratello che ho incontrato spesso e con il quale ho condiviso molti dialoghi, eccone alcuni.

1. La sua gioia di essere comboniano e di essere il primo comboniano africano. Lo diceva senza orgoglio, anzi con un bell’umorismo, ricordando alcune frasi di P. Giorgetti che gli diceva: “resterai sempre un piccolo selvaggetto” e questo lo faceva sorridere. Ricordo la sua gioia il giorno in cui ha celebrato i 50 anni di ordinazione sacerdotale: la gioia di essere missionario, la gioia nel vedere come la gente si era stretta attorno a lui per fare festa e offrigli tanti regali, la gioia di vedere tanti sacerdoti attorno a lui.

2. La sua sofferenza, che non nascondeva, frutto di tante situazioni di violenza e di insicurezza che ha dovuto subire, in Sudan e in Congo; l’umiltà e la verità con la quale ha vissuto queste situazioni, chiedendo di non essere lasciato solo, di avere le medicine giuste, e anche chiedendo di cambiare missione per poter stare in situazioni un po’ più tranquille. Anche se poi… – come gli dicevo scherzando – le situazioni di violenza se le attirava. Come quando, ad esempio, mi chiese di andare nella comunità di Duru perché la considerava un luogo tranquillo… dopo un po’ arrivarono i banditi del LRA che, non avendo trovato niente da rubare nella sua stanza, lo picchiarono. Un’altra volta, sempre a Duru, arrivarono di nuovo i soldati dell’LRA: dopo aver ucciso, bruciato capanne e anche la nostra casa, volevano portare via dalla nostra missione i tre padri, Pietro Magalasi, Ferruccio Gobbi e Mario Benedetti, che poi furono rilasciati.

3. Il suo amore per la comunità e per i confratelli: spesso ha chiesto perdono, qualche volta anche in ginocchio, davanti ai confratelli, per qualcosa che poteva aver fatto e che poteva averli feriti.

4. La sua gioia nello stare tra i più abbandonati. Ha vissuto tanto tempo nella comunità di Bambilo, dove i confratelli avevano fatto la scelta di vivere tra la gente, per parecchio tempo nelle capanne. E quando avevo fatto in modo che si potesse cominciare a costruire una casa in mattoni, era stato il primo a dire di no a questa scelta. Conosceva la lingua zande e quindi poteva stare a lungo con le persone, ascoltarle e parlare con loro, da saggio.
Da Mccj Bulletin n. 278 Suppl. In Memoriam, gennaio 2019, pp.144-147.