Commemorazione dei confratelli, parenti e amici defunti della Famiglia Comboniana

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Roma, sabato 29 ottobre 2011
Durante il mese di novembre siamo invitati a ricordare nella preghiera i nostri confratelli, familiari, benefattori e amici defunti. P. Carmelo Casile ci offre una riflessione che potrebbe essere utile per tale commemorazione.

COMMEMORAZIONE DEI CONFRATELLI,
PARENTI E BENEFATTORI DEFUNTI DELLA FAMIGLIA COMBONIANA

(Cf. anche La Famiglia Comboniana in preghiera, a p. 196, in allegato).

1. Introduzione

«Fratelli, nessuno di voi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dl Signore».

Il principio generale della vita cristiana è quello dell’appartenenza e dell’obbedienza a Cristo. Perciò anche la nostra vita e la nostra morte devono essere indirizzate al servizio di Lui, che con la sua morte e risurrezione è l’unico nostro Signore che fa di noi una unica famiglia riunita nel suo Nome.

È in questa luce che ci riuniamo per commemorare i nostri confratelli, familiari, benefattori e amici defunti nella celebrazione eucaristica, animati dall’esperienza che san Daniele Comboni ci ha comunicato quando confessava: «Noi siamo uniti nel Cuore di Gesù sulla terra, per poi esserlo in Paradiso per sempre» (S 2373), «Egli è il centro e l’anello di comunione e comunicazione tra noi» (S 3346, 4764).

Siamo anche consapevoli della nostra fragilità, che a volte ci porta a porre ostacoli a questa comunione centrata nel Cuore di Cristo e nella missione che Lui ci affida e per questo chiediamo perdono.

O Dio, fonte di perdono e di salvezza,
per l'intercessione della Vergine Maria
e di tutti i Santi,
concedi ai nostri confratelli,
parenti e benefattori
che Sono passati da questo mondo a te,
di godere la gioia perfetta nella patria celeste.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio
e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli.

2. Significato della commemorazione

Assieme alla finalità specifica di suffragio, la commemorazione dei nostri confratelli defunti può essere per tutti noi una preziosa opportunità di riflessione nel senso che offre a ciascuno, nel corso dell’anno, almeno un’occasione per pensare religiosamente, cioè con fede e speranza, alla fine della propria vita terrena e per riflettere sui limiti, e quindi sui veri valori, dell’esistenza umana: «Quando nasce un uomo – diceva sant’Agostino – si possono fare tutte le ipotesi. Forse sarà bello, forse sarà brutto; forse sarà ricco, forse sarà povero; forse vivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà, forse non morirà. Questa è l’unica cosa assolutamente certa della vita».

Inoltre offre a tutti noi una preziosa opportunità di riflessione sul senso di appartenenza all’Istituto.

Commemorare i confratelli, familiari e benefattori defunti della Famiglia Comboniana può essere un momento particolare per fare o approfondire “l’esperienza del fratello”.

2.1. L’esperienza del fratello

Nel contesto della vita cristiana in generale e della Vita Consacrata in particolare, “fare l'esperienza del fratello” significa lasciarsi attrarre dallo Spirito del Signore Gesù mediante l'influsso della personalità dei fratelli nella fede. Si tratta di fratelli che sono capaci di trasmettere e sostenere nell'entusiasmo per la persona e l'opera di Gesù loro e nostro Signore, vivendo in modo originale e intenso alcuni aspetti specifici dell'infinita ricchezza del Mistero di Cristo come dono a beneficio dell'umanità bisognosa di salvezza; é la predicazione viva da cui nasce e si rafforza la nostra fede missionaria (cf Rom 10,17).

Per noi il primo di questi fratelli è san Daniele Comboni, Padre e Fondatore con il fascino della sua personalità di «testimone di santità e maestro di Missione».

Fare l'esperienza del fratello significa:

  • ascoltare il Dio della vita che ci chiama e c’invia al mondo d’oggi per mezzo di una moltitudine di persone concrete, che ci coinvolgono nel loro cammino di fede, speranza e carità da loro vissuto nella missione che sono stati chiamati a svolgere nella Chiesa;
  • accettare la mediazione di queste persone come dono provvidenziale di Dio che ci stimola e ci guida nella continua crescita in Cristo e nell'identificazione vocazionale;
  • riconoscere in queste persone “padri e madri” secondo lo spirito, che ci hanno generato nelle fede e nella vocazione missionaria.

Può darsi che non abbiamo consapevolezza di queste sorgenti da cui abbiamo ricevuto e riceviamo vita. La commemorazione che stiamo facendo ci può aiutare a ripristinare la capacità di ricordare, di ridonare il cuore alle persone più significative per la nostra vita.

Nel farci il dono della vocazione, Dio ci invita a entrare in un cammino di fede nel Dio dei nostri padri, che è un intreccio di solidarietà tra i membri del popolo in cammino e tra le generazioni.

Nasce così un cammino di fedeltà non tanto a partire da quanto noi abbiamo promesso a Dio, ma piuttosto da quanto ci è stato promesso da Lui mediante quest’intreccio di solidarietà. La fedeltà ci porta, per tanto, a guardare la vita nella prospettiva del disegno di Dio, che è il Dio-con-noi, capace di fare della nostra fragilità un cammino di fedeltà a beneficio dell’umanità intera.

2.2. Inviati dal Dio dei nostri padri

“ Mosè disse a Dio: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro? ”. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono! ”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io- Sono mi ha mandato a voi”. Dio aggiunse a Mosè: “Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione” (Es 3, 13-15).
Cfr. anche Es 20, 5‑6; Rom 10, 14‑17; Eb 11, 1‑2.39‑40; 12, 1‑2.

Il Dio che c’invia é il Dio degli altri, il Dio d’Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè...; é, per tanto, il Dio dei nostri padri, i quali narrandoci il loro Dio, ci hanno generato alla vita dello spirito, introducendoci nel loro cammino di fede.

C’è da notare inoltre che Dio è “ il Dio d’Abramo, d’Isacco, ecc.” e non semplicemente “Dio d’Abramo, d’Isacco…”, perché Dio è unico, è il Dio degli altri, ma si rapporta con ciascuno in modo del tutto personale; perciò attraverso gli altri diviene il “mio Dio” e così la narrazione di Dio continua nella comunità arricchita dall’apporto della vocazione personale di ognuno.

Questa visione storica della fede ci suggerisce che:

  • La fede stabilisce un vincolo d’ordine spirituale tra persone diverse, fa di esse una nuova famiglia nata dalla fede in Dio e riunisce generazioni e razze diverse;
  • Dio affida il compimento di tante promesse che nascono con la fede vissuta, perché si realizzino includendo i credenti dei tempi futuri in una grande unità, che costituisce la “Famiglia di Dio”;
  • Dio incontra l'uomo nella storia, lo salva e lo fa strumento di questa stessa salvezza attraverso una serie di mediazioni umane;
  • come membra della Chiesa terrestre camminiamo unendoci alla liturgia celeste che Cristo celebra con i fratelli e le sorelle che ci hanno preceduto nella gloria finale; per ciò, nel nostro cammino di fede missionaria con i suoi momenti di oscurità, siamo in stretta comunione, accompagnati e sorretti da Cristo glorioso e Capo del Corpo della Chiesa e da una folla di Testimoni (cf Eb 12,1) composta di quelli che ci hanno narrato il Signore e vivono con Lui, che é il Dio dei vivi e non dei morti (Mc 12,26-27); perciò
  • non possiamo conoscere Dio senza ascoltare le parole da Lui dette agli eletti, senza ascoltare quello che queste persone hanno detto di Lui, dopo averlo ascoltato e averne fatto l'esperienza.

Riguardo a noi Missionari/e Comboniani, questa corrente spirituale ha inizio, si approfondisce e si specifica grazie all'incontro con san Daniele Comboni e i sui primi seguaci (= esperienza originaria del fratello), con i Missionari/e Comboniani che hanno dato continuità a questa prima esperienza originaria (= esperienza remota del fratello), con i Missionari/e Comboniani con le loro attuali Costituzioni (= esperienza prossima del fratello: cf RV 1; 1.1‑4).

A queste serie di persone, bisogna aggiungere molte altre che in un modo o nell’atro ci hanno accompagnato e sostenuto nel nostro cammino missionario: sono i nostri familiari, benefattori, amici. Conosciuti, ma anche anonimi…

2.3. L'esperienza originaria del fratello: Comboni e i Comboniani/e della “prima ora”
      
Sulla scia dei comboniani/e della “prima ora”

I missionari/e comboniani della prima ora costituiscono il primo anello della catena storica attraverso la quale arriva a noi l’influsso del Fondatore. Assieme a Comboni danno vita al periodo fondazionale, che si svolge intorno agli sforzi per la realizzazione del Piano per la rigenerazione dell’Africa e all’erezione degli Istituti missionari di Verona. Questo primo periodo di vita comboniana passa per il coinvolgimento di un gruppo di missionari/e nella rivoluzione mahdista (1881 – 1899) e arriva all’incirca fino al 1915, anno in cui si può considerare già avvenuta la morte della maggior parte dei primi discepoli/e del Comboni.

Caratteristica di questo periodo è la grazia delle origini. Infatti, i primi seguaci di Comboni (come la serva di Dio Giuseppa Scandola, la Mansur, la Grigolini, Ohwalder, Dichtl, Pimazzoni, ecc.) esplicitano la ricchezza misteriosa del carisma originario e ce la comunicano. Essi sono per noi i messaggeri, gli animatori, che ci narrano il carisma del Fondatore nel suo nascere e nei suoi primi tentativi di sviluppo, coinvolgendoci così nella sua fede missionaria, cioè nella sua dedizione totale al “Piano per la rigenerazione dell’Africa mediante l’Africa stessa”. Da questo coinvolgimento nasce e si alimenta il nostro “credo missionario” di fronte alla sfida delle Nigrizie di oggi.

Della grazia delle origini fa parte l’evento della schiavitù di un gruppo di missionari/e ad opera del Mahdi: un evento che scuote le fondamenta della missione comboniana in Sudan; un evento segnato da un profondo e sconvolgente coinvolgimento dei prigionieri nel Mistero Pasquale, che fa parte delle nostre origini comboniane, della grazia quindi delle origini, ma che ancora facciamo fatica ad accogliere come parte della nostra eredità carismatica; di esso cogliamo facilmente la dimensione di morte, di fallimento, mentre cominciamo a chiedere al Signore che ci riveli quale “risurrezione” si è sprigionata da questa morte, come si è manifesta la bontà salvatrice di Dio da questo “martirio”, che significato ha per noi oggi.

2.4. L'esperienza remota del fratello

È l’influsso che riceviamo da quei Missionari/e che hanno ricevuto in eredità il carisma di Comboni dai primi missionari/e comboniani e l’hanno passato a noi con gli sviluppi che si sono verificati con il passare degli anni; soprattutto da quelli/e la cui vita ci offre la migliore esemplificazione del carisma originario e ci trasmette lo spirito o la tradizione dell’Istituto (cf RV 1.4; AC ’91, 13).

Questo periodo, che si unisce con quello delle origini, per i MCCJ comincia nel 1885 con la trasformazione dell’Istituto per le missioni della Nigrizia in Congregazione religiosa. E analogamente è avvenuto per l’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia.

2.5. Comboniani/e Modelli

Nell’esperienza originaria e remota del fratello, svolgono un ruolo particolare “i Modelli”, che “sono lo specchio –sempre originale ed inedito per tempo e ruoli che essi rappresentano- di una tradizione vissuta, testimoniata e perciò proposta a tutti”.

Nell’impossibilità di passare in rassegna tutti coloro che ci hanno preceduto, ricordiamo qualche figura che in questo momento ci sta più vicino come: Mons. Antonio Roveggio, P. Bernardo Sartori, P. Giuseppe Ambrosoli, Mons Franco Masserdotti; Mons Cesare Mazzolari, i martiri che teniamo esposti nelle nostre comunità.

Tra le Suore merita un ricordo particoalre Sr. Maria Giuseppa Scandola (1849 - 1903)

Si incontrò casualmente con don Daniele Comboni, fu attratta dal fascino della sua personalità appassionata per l’Africa e venne accolta dallo stesso Fondatore nel nascente Istituto delle “Pie Madri della Nigrizia”.

Comboni riconosce in lei una “eminente santità…, che brilla troppo in un soggetto di eroica umiltà ” (S 6653), la chiama “vera santa” (S 6820), capace di “…Confidenza in Dio! ” (S 7063).

Sr. Giuseppa fu presente all’agonia e alla morte di Comboni, prese parte al giuramento di fedeltà alla Missione coralmente rinnovato dai superstiti in quell’“ora” e visse il resto della sua vita entro il dilemma “o Nigrizia o Morte”, facendo memoria dei propri incontri e della sua personale convivenza con il Comboni.

Contagiata dalla spiritualità e dall’amore alla missione del Fondatore, Sr. Giuseppa continuò da vera discepola sui passi di Comboni, suo padre. Le toccò passare per molte valli oscure di situazioni missionarie difficili e tragiche. Le attraversò tutte con la forza della confidenza totale nel Dio della sua vocazione e con la pratica dell’umiltà, per cui seppe mantenersi costantemente nell’ordine dell’eroico quotidiano, fino al giorno in cui offrì la sua vita in cambio di quella di un giovane missionario, p. Giuseppe Beduschi, che poté continuare per molti anni ancora la sua attività apostolica in Africa.

2.6. L'esperienza prossima del fratello

Esperienza prossima del fratello siamo tutti noi, che abbiamo motivi di gratitudine a Dio per la crescita nella fedeltà al dono carismatico ricevuto attraverso il Fondatore e che siamo chiamati a dare risposte nuove di fronte alle sfide del mondo di oggi in fedeltà all’eredità ricevuta da una moltitudine di testimoni.

Questa esperienza del fratello che va dal Fondatore fino ai noi oggi è proporzionale al senso di appartenenza affettiva all’Istituto, per cui ci sentiamo membri di una stessa famiglia, capaci di gioire, soffrire, lavorare e sperare assieme…

L’immagine di Gesù Pastore che lascia le novantanove pecore per cercare l’unica smarrita e della donna che spazza la casa perché non si rassegna a non trovare la moneta smarrita, ci può aiutare ad approfondire la comprensione dell’esperienza del fratello e dell’appartenenza affettiva all’Istituto: la consapevolezza di non poter fare a meno dell’altro perché fa parte della mia vita; senza questa o quella presenza che la Provvidenza ci ha messo accanto la nostra vita rimane incompleta. Senza questa o quella presenza la nostra vita avrebbe un sapore e un calore con meno forza e meno gusto, può arrivare ad essere una vita spezzata..…

2.7. Una storia di solidarietà missionaria

Questa appartenenza affettiva la viviamo nella misura in cui ciascuno è fedele alla sua vocazione personale. La fedeltà alla vocazione personale si approfondisce, diviene ricchezza comune tra noi e circola nella Chiesa e nel mondo nella misura in cui viviamo in profondità il dinamismo dell’ “esperienza del fratello” nei suoi vari livelli.

Il “Messaggio dei Consigli Generali in occasione della canonizzazione del Beato Daniele Comboni…”, ci mette su questa strada esortandoci a vivere il senso della solidarietà missionaria che mantiene saldo il senso della storia e costruisce il futuro dell’umanità a partire dall’interno della storia e della vita dei nostri Istituti, che è l’attuazione della storia della Chiesa:

“La canonizzazione di Daniele Comboni mette un sigillo d’autenticità sulla storia missionaria vissuta dai suoi figli e figlie che con la propria vita hanno testimoniato il Vangelo in mezzo a difficoltà, sofferenze, persecuzioni ed anche fino allo spargimento di sangue (dimensione storico martiriale). La tradizione comboniana (dalla Madhia ai nostri numerosi martiri e alle splendide figure di missionari/e che ci hanno preceduto o abbiamo attualmente fra noi) rappresenta un fuoco che si diffonde “con i suoi raggi luminosi” a partire da tanti “cenacoli di apostoli” che testimoniano per il mondo un amore fraterno senza misure. La dimensione martiriale è criterio di discernimento e caratteristica della spiritualità missionaria oggi. La canonizzazione di Daniele Comboni ci conferma che l’esperienza di croce che ha il sapore di apparente sconfitta, è invece la genesi della fecondità del nostro carisma –“la mia opera non morirà”- ed è questa solidarietà missionaria che mantiene saldo il senso della storia e costruisce il futuro dell’umanità” (p. 5s).

P. Carmelo Casile
Casavatore, Ottobre 2011