Lunedì 25 gennaio 2016
Il Giubileo straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco è stato aperto l’8 dicembre 2015 e si concluderà il 20 novembre 2016. In questo contesto, P. Carmelo Casile, comboniano, ha fatto una riflessione sulla misericordia nella vita e nell’azione missionaria di san Daniele Comboni, fondatore dei Missionari Comboniani. Secondo P. Carmelo, “è facile rendersi conto come nell’azione missionaria del Comboni l’esercizio della misericordia è molteplice secondo i bisogni delle persone e delle situazioni in cui si trovano: è anzitutto annunciare il Vangelo alla Nigrizia e al mondo intero, e quindi è educare, perdonare, curare, rialzare, ammonire e rimproverare con carità; è curare, ma anche prevenire e rimettere in piedi; in una parola è rigenerare le persone, cominciando dalle più ferite, ma senza escludere nessuna”.

 

 

«In quanto Comboniani del Cuore di Gesù, voi contribuite con gioia alla missione della Chiesa, testimoniando il carisma di san Daniele Comboni, che trova un punto qualificante nell’amore misericordioso del Cuore di Cristo per gli uomini indifesi.

In questo Cuore c’è la fonte della misericordia che salva e genera speranza. Pertanto, come consacrati a Dio per la missione, siete chiamati ad imitare Gesù misericordioso e mite, per vivere il vostro servizio con cuore umile, prendendovi cura dei più abbandonati del nostro tempo.

Non cessate di chiedere al Sacro Cuore la mitezza che, come figlia della carità, è paziente, tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,4-7)».

 

Papa Francesco,
ai missionari comboniani,
delegati al XVIII Capitolo Generale
dell’Istituto,
il 1 ottobre 2015,
nella Sala Clementina,
in Vaticano.

 


 

La misericordia nella vita e nell’azione missionaria
di san Daniele Comboni

Ero già arrivato alla fine dell’excursus sulla misericordia in san Daniele Comboni, quando è giunto il succoso discorso di Papa Francesco ai Capitolari Comboniani (1 ottobre 2015). Nel brano sopra riportato, il Papa ricorda a noi Comboniani che il carisma di san Daniele Comboni: a) trova un punto qualificante nell’amore misericordioso del Cuore di Gesù per gli ultimi, b) e quindi siamo chiamati a imitare Gesù misericordioso.

Possiamo considerare la prima affermazione come l’Antifona al grande Salmo personale della misericordia, scritto in modo esemplare dal Comboni con la sua donazione totale alla causa missionaria; e la seconda come l’Antifona del Salmo personale della misericordia che ciascuno di noi è chiamato a comporre con la fedeltà al carisma vissuto nel quotidiano della sua vita.

Nella vita di san Daniele Comboni la “misericordia” come attributo fondamentale di Dio e regola d'oro del cristiano nel suo comportamento verso il prossimo (S 3350) è presente dall’inizio alla fine. Nei suoi Scritti lascia trasparire come la “divina misericordia” va modellando il suo cuore e da esso si effonde sulla vita di coloro ai quali la Provvidenza lo invia; la riconosce negli interventi di Dio nella Storia della Salvezza, che nascono da Lui, “l'Onnipotente Iddio”, che “è tutto misericordia, carità, e giustizia (S 6098), e la riconosce ancora in chi pratica la carità, la quale cambia la collera di Dio in dolcezza (S 1774). Nella vita di Comboni la misericordia non è buonismo né semplice sentimentalismo, ma amore fattivo, metodologia missionaria basata sulla misericordia e la compassione verso ogni uomo (S 7035), imparate «col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime». (2721)

Daniele Comboni definisce Dio come misericordia e amore, perché è consapevole che in fondo entrambe le definizioni dicono la stessa cosa, dato che per sua natura l’amore è misericordioso.

La misericordia di Dio non è dunque un attributo secondario, ma impegna l’amore infinito ed eterno che è Dio: è il volto stesso dell’amore di Dio per noi. Per questo Dio non si pentirà mai di essere misericordioso (573 e il missionario è chiamato a mettere come base del suo apostolato la Misericordia (6837; 6838).

Nel vissuto di san Daniele Comboni la “divina misericordia” trabocca dal cuore di Dio Padre al Cuore del Figlio Gesù, dal Cuore di Gesù al suo cuore di uomo consapevole di essere gran peccatore e quindi bisognoso di perdono (S 1136; 1692; 1693), e dal suo cuore di peccatore perdonato al cuore di tutti gli uomini, che sono di Dio, da Lui vengono e a Lui devono ritornare (S 3632). Questa dinamica della “divina misericordia” avviene sotto l’azione dello Spirito Santo, percepito da Comboni come l’Amore/Vampa di fuoco che dal Cuore Trafitto di Gesù scende sul Calvario, e da qui si effonde sulla miseria umana per rigenerare ogni uomo e tutto l’uomo ed elevarlo a Lui (S 2742).

 

Il Mistero di Dio
Amore-Misericordia


La misericordia è il mistero dell’amore folle e tenerissimo del Padre per l’uomo ferito dal peccato, ed è una misericordia che si manifesta in molteplici sfaccettature.

La misericordia di Dio, infatti, è “divina” (574; 4548), “infinita” (1470)[1]; “immensa“(1571); è la divina bontà, che fa capaci i missionari a impetrare alle misere anime la misericordia, implorando la loro conversione (2719); è la “provvida mano” con la quale Dio ci visita “in questa terra di esilio e di pianto” (416); le croci provenienti da Dio sono dono dell'infinita misericordia (1612). Così, “il povero sottoscritto, non altro domanda per sé che la misericordia di Dio per l'anima sua” (2269). Dio è “questo buon Padre”, è “il Buon Dio”, che ci elargisce le sue grazie non per i nostri meriti ma “per sua misericordia” e “per avere tanta confidenza” in questa misericordia di Dio (189;1775), che ha misericordia di quegli infelici che non ne trovano più presso gli uomini (1844), che “nella sua infinita misericordia mi ha sempre aiutato” mercé l'esimia carità dei benefattori, (1888;6403), “misericordia eius super omnia opera eius” (6920).

Dio è “l'Onnipotente Iddio” a cui elevare preghiere, affinché nella sua infinita misericordia si degni benedire i nostri passi e i nostri sforzi a favore di questa grande opera di rigenerazione cristiana della Nigrizia (2940; 2947). La sua misericordia veglia con pietosa cura all'opera sua (3133); suonata l'ora della redenzione della Nigrizia, Dio stesso nell'infinita sua misericordia guida per le amabili sue vie l'Opera sua (3460); sembra che Iddio nella sua misericordia abbia tolto di mezzo il maggiore degli ostacoli che si attraversavano alla redenzione di questi popoli, il clima micidialissimo (3602); nella sua misericordia riservava questo magnifico corpo di missionari, che sono di molto buona volontà, ad un impresa più vasta e più feconda di frutti per la Chiesa (5401).

Dio è “la Divina Misericordia”, che vuole la redenzione della infelice Nigrizia; che aiuta a rendere l'azione apostolica del Missionario libera, sicura, franca e sufficientemente efficace per l'eterna salvezza delle anime in quei paesi abbandonati; che consola con sempre più copiosi frutti il missionario, che unicamente impegna la sua operosa carità al santo fine della salvezza delle anime, avendo sulle labbra, costantemente le parole: O Nigrizia, o Morte! (4153). Fidato nella Divina Misericordia, il Missionario vola al campo delle battaglie e spera; già monta la nave; il vento soffia propizio; già parte (4548;4946), come vero angelo di misericordia (4803). Proprio là nella missione la misericordia di Dio attende i peccatori per trasformarli, attraverso un miracolo della grazia divina, in felici eredi del cielo (5311).

Dio è “il Dio della pace e della misericordia”(694), “che compie sull'uomo i disegni della sua misericordia (1049).

Dio è “la Divina Provvidenza, sempre ricca e piena di misericordia” (869; 4852); è il “Dio provvido e misericordiossimo” che “nella sua immensa carità” (720), lo chiama a cooperare  ai disegni della sua misericordia pei poveri Neri” (1034); è “quella sublime Provvidenza, che nel governo di tutte le cose procede gradatamente e con ordine sapientissimo, e nulla operando inutilmente, ogni cosa dirige al compimento degli amorosi suoi disegni divini per una regolare concatenazione di vicissitudini ed eventi (573), così che in virtù delle “vie tracciate dalla Provvidenza essi ( i poveri Neri) giungeranno a poco a poco a partecipare ai frutti ineffabili della Redenzione dell'Uomo-Dio” (810).

La misericordia di Dio si manifesta, per tanto, nei dettagli della sua Provvidenza, che interviene discretamente ma puntualmente a seconda delle necessità per prendersi cura delle sue creature a cominciare dalle più deboli e bisognose.

Il Dio “che compie sull'uomo i disegni della sua misericordia (1049), “è tutto misericordia, carità, e giustizia” (6098). La misericordia di Dio ha stabilito questa epoca per chiamare alla vera fede questa parte del mondo più abbandonata (5451), così “Padri Eminentissimi e Reverendissimi, sono persuaso di aver colto un'occasione meravigliosa per presentarmi dinanzi a voi … raccomandando a voi che siete i Padri e Maestri di tutti i popoli, la causa gravissima dei neri e scongiurando la vostra protezione e misericordia in favore dei popoli dell'Africa i quali sono i più infelici di tutti e da tutti abbandonati (2303).

 

Il Mistero di Dio
Amore-Misericordia
prende il volto di Gesù


Nella storia umana, il Mistero di Dio Amore-Misericordia prende il volto di Gesù, e si esprime nei gesti e nelle parole di Gesù, così che tutta la sua vita è azione di misericordia, amore fattivo ”sino alla fine” (cfr. Gv 13,1; Lc 23,34).

Il Cuore di Gesù squarciato dalla lancia sulla Croce si è fatto per tutti cuore accogliente, sorgente della sua misericordia rigenerante, a cominciare dai più piccoli e dai più lontani da Lui, per far giungere a tutti l’annuncio del Vangelo e il dono della salvezza eterna.

Nel vissuto di san Daniele Comboni Gesù è “il nostro caro e buon Gesù”, che protegge e difende “con singolare Provvidenza ed amore questo povero e indegnissimo suo figlio”;  che “dopo avermi tenuto per sua misericordia fra le spine e la croce, mi consolò ad esuberanza facendo trionfare la causa e l'opera sua contro i formidabili attentati di un potente nemico” (1479). Gesù è “il Signore”, che “nell'infinita sua misericordia ogni giorno dà sempre maggiori argomenti perché noi conosciamo che la nostra Opera africana è tutta sua” (1470). Grazie alla misericordia del Sacratissimo Cuore di Gesù, dal 1872, in cui io fui nominato Pro-Vicario Apostolico su 19 missionari che vi condussi, non ne morì neanche uno (4690). Il S. Cuore di Gesù, è adorabilissimo, ricco dei tesori della pietà, della bontà e della misericordia e noi siamo invitati a lodarlo e benedirlo (3502, 3990).

Daniele Comboni è convinto che la solenne Consacrazione di tutto il Vicariato al S. Cuore segna per l'Africa Centrale un'era novella di misericordia, di pace e di risurrezione e che dal seno misterioso di questo divin Cuore trafitto sgorgheranno su questo gran popolo torrenti di grazie e fiumi di celesti benedizioni, i tesori della pietà e misericordia di quell'adorabilissimo Cuore (3330; 3990); è convinto che per l'Africa Centrale incurvata da tanti secoli sotto l'impero di Satana; (…), il Cuore di Gesù nell'infinita sua pietà si è degnato di esaudire i suoi ed i voti di parecchie centinaia di migliaia di pii associati all'Apostolato della Preghiera (3411).

Il Divin Cuore di Gesù colla infinita sua bontà e misericordia riparerà a tutti i danni, come Quei che colla sua grazia guidò sempre, guida e guiderà l'Opera santa (3834).

La Vergine Maria specchio della “divina misericordia”

Nel suo rapporto con la Vergine Maria Comboni vede la “buona Madre di misericordia” (1642), che di fronte allo spettacolo di miseria di tanti uomini e donne, è venuta sulla santa montagna de “La Salette” per piangere sui mali dell’umanità e per cambiare la giustizia in misericordia:

«Profondamente commosso per la tua apparizione per invitare gli uomini all'espiazione e annunciare la riconciliazione della terra con il cielo, sono venuto su questa santa montagna per implorarti, Vergine divina, che hai pianto qui sui mali dell'umanità e sei venuta qui per cambiare la giustizia in misericordia, io vengo dunque a lanciare verso di Te un grido di estrema disperazione che Tu cambierai in un grido di speranza e di salvezz» (1640).

 

Comboni cantore
della
Misericordia-Provvidenza di Dio


Comboni vive intensamente il Mistero della “Divina Misericordia”, così che fluisce spontaneamente dalla sua bocca e dalla sua penna, facendoci partecipi della sua ricca esperienza di Dio Amore-Misericordia.

Leggendo i suoi Scritti, possiamo notare come l’inizio del suo pellegrinaggio missionario è segnato da un emozionante Inno alla Misericordia di Dio che si rivela come Provvidenza: Quest’inno è scaturito dal suo cuore di giovane missionario in occasione della notizia della morte della mamma avvenuta il 14 luglio 1858, alcuni mesi dopo dal suo arrivo nella missione (febbraio dello stesso anno). Le parole rivolte al papà, in questa dolorosissima occasione, sono un vero “Cantico alla Misericordia divina e all’Ordine della Provvidenza”, che egli vedeva realizzarsi nella Storia della Salvezza dell’umanità e nella sua storia personale attraverso il Mistero del Crocifisso-Risorto.

Così Comboni che in precedenza, di fronte ai paesaggi immensi e inediti dell’Africa, in una lettera a suo padre (3 marzo 1858), aveva cantato la grandezza di Dio, esclamando: «Quanto è grande e potente il Signore!» (S 242-246), ora nella lettera scritta a suo padre dalla tribù dei Kich, il 20 novembre 1858, si fa cantore della Misericordia - Provvidenza di Dio. Sullo sfondo della lettera aleggia lo spirito delle Beatitudini: sulla tristezza prevale la gioia di essere visitati dalla provvida mano di Dio e viene impresso il sigillo della «verace sentenza di Cristo: BEATI QUI LUGENT: e vuol dire: Beati quelli che piangono (S. 441).

Comboni è tra quei beati che piangono benedicendo “quella provvida mano che per divina misericordia si è degnata visitarci in questa terra di esilio e di pianto»:

«Ah! dunque la mia madre non è più?... Dunque l'inesorabil morte troncò il filo ai giorni della mia buona madre?... Dunque voi siete ridotto solo soletto, dopo avervi veduto attorno una volta la felice schiera di sette figli, accarezzati ed amati da colei, cui Dio trascelse ad esser la compagna indivisibile dei vostri giorni?.. Sì; la cosa per divina misericordia è pur così. Sia benedetto in eterno quel Dio che volle così: sia benedetta quella provvida mano che si è degnata visitarci in questa terra di esilio e di pianto. (416)

Oh! dolcissimo Padre mio! con quale lingua dovremo noi ringraziare la divina misericordia, che, malgrado i nostri demeriti, si degna di riposare con noi, di visitarci, di ricolmarci di benefizi?... La mia anima rimase oltremodo consolata allorquando lessi la vostra cristiana rassegnazione al beneplacito divino, che volle separarvi da quanto al mondo formava la vostra felicità. So che a certi momenti la debolezza dell'umana natura vi fa soccombere sotto il peso d'una grave malinconia: ma so ancora che la grazia del Signore, la preziosa assistenza della Vergine Immacolata, e l'efficace parola di quelle pietose anime che vi portano vero affetto, vi sollevano a più nobili pensieri, e fan sì che abbiate a lodare e benedire quella mano, che benefica si degnò visitarvi. (417)

Io esulto di gioia, perché ora ella m'è più vicina che prima; e voi pure rallegratevi, che il Signore vuole esaudire i fervidi voti dei nostri cari, che ora pregano per noi e per la nostra salvezza al trono di Dio. Esultiamo ambedue, e direi quasi gloriamoci a vicenda, perché Iddio per sua infinita misericordia pare che si degni di farci sentire e mostrarci i contrassegni infallibili, ond'egli quai suoi teneri figli ci ama, e ci ha predestinati alla gloria. Noi siamo sommamente avventurati, mentre Dio ci largisce, e benignamente ci porge mezzi ed occasioni di patire per amor suo. (419)

Che sia così, volgete uno sguardo all'ordine della Provvidenza… [420]

Con l’invito a volgere lo sguardo all’ordine della Provvidenza, Comboni collega la Misericordia di Dio con i disegni della sua Provvidenza, cioè al modo che tiene Iddio verso dei fedeli suoi servi, cui predestina all'eterna beatitudine… [420].

 

Il Cantico della Provvidenza
e il proposito di combattere da forte


L’opera meravigliosa della creazione è nell’animo di Comboni simbolo della presenza provvidente di Dio in tutti i luoghi. Quest’opera raggiunge il suo vertice nella Risurrezione di Gesù, suprema manifestazione della Misericordia-Provvidenza divina, che per mezzo della Croce penetra anche nel regno della morte (cfr. (1Cor 15, 14-20).

Il Comboni era convinto che nessuna salvezza, e quindi neppure quella dell’Africa, era possibile senza la Croce. Egli aveva posto la Croce come “un’inevitabile grazia suprema, garanzia di apostolato e di santità”. Gesù, infatti, vince morendo, attraversando il muro della morte, e anche le membra del suo corpo vincono vivendo le vicissitudini della vita con la mentalità del Signore, che oppose al male la debolezza della bontà, generando così rapporti nuovi con gli uomini tutti (Cf Rom 12, 21).

Il cristiano, lasciandosi “crocifiggere”, salva con e in Cristo il mondo intero, perché si sente membro del Signore che prolunga il Mistero della sua Passione a vantaggio della Chiesa e di tutta l’umanità (cf Col 1,24); nello stesso tempo, più si unisce al Crocefisso (cf Gal 6, 14), più fa l’esperienza del Risorto.

Nelle parole rivolte al papà, in occasione della morte della mamma, Comboni sviluppa il Cantico della Misericordia di Dio, formulando un vero “Cantico dell’ordine della Provvidenza”, che egli vedeva realizzarsi nella Storia della Salvezza dell’umanità attraverso il Mistero della Croce, che culmina nella Risurrezione. Così Comboni approfondisce il suo Cantico delle creature, facendosi cantore della Sapienza della Croce e invitando a combattere da forti al fianco “del medesimo Cristo che combatte e patisce per noi e con noi; fiancheggiati ed assistiti da sì generoso e potente Capitano e Signore”.

Con queste espressioni Comboni ci indica in Gesù Risorto, il “Re Eterno”[2], che ci invita a seguirlo “nel dolore per esserlo anche nella gloria”:

«Volgete uno sguardo all'ordine della Provvidenza, al modo che tiene Iddio verso dei fedeli suoi servi, cui predestina all'eterna beatitudine. La Chiesa di Cristo cominciò sulla terra, crebbe e si propagò tra le stragi e i sacrifizi dei suoi figli, tra le persecuzioni e tra il sangue de' suoi Martiri e Pontefici. Lo stesso suo Capo e Fondatore Gesù Cristo spirò sopra di un infame patibolo, vittima del furore d'una crudele ed empia nazione: i suoi Apostoli subirono la medesima sorte del Divino Maestro.

Tutte le Missioni, ove si diffuse la Fede, furono piantate, s'accrebbero, e giganteggiarono nel mondo tra il furore dei principi, tra i patiboli, e le persecuzioni che distruggevano i credenti. Non si legge di verun santo, che non abbia menato una vita tra le spine, i travagli, e le avversità: delle stesse anime giuste che noi pur conosciamo, una non v'ha che non sia tribolata, afflitta, e disprezzata. Oh la palma del cielo non si può acquistare senza pene, afflizioni e sacrifizi; e quelli che si trovano visitati con questa sorta di favori celesti, possono a buon diritto chiamarsi beati su questa terra, mentre godono della beatitudine de santi, pei quali fu somma delizia il patire gran cose per la gloria di Cristo.

L'umana miseria s'adopera a toglierci la pace del cuore, e la speranza d'una vita migliore; e noi al fianco di Gesù crocifisso che patisce per noi, tripudiamo in mezzo all'avversa fortuna, mantenendo intatta quella pace preziosa, che solo appiè della croce e nel pianto può trovare il vero servo di Dio. Siamo nel campo di battaglia, vi ripeto, e bisogna combattere da forti. A grandi premi e trionfi giungere non si può se non per mezzo di grandi fatiche, travagli e patimenti. Ci sia adunque di sprone e ci consoli la grandezza del premio che ci aspetta nel cielo; ma non ci sgomenti e non ci atterrisca la grandezza e la difficoltà della pugna.

Abbiamo al nostro fianco il medesimo Cristo che combatte e patisce per noi e con noi; e noi fiancheggiati ed assistiti da sì generoso e potente Capitano e Signore, non solamente potremo sostenere con gaudio e costanza quei travagli e patimenti che il Signore ci manda, ma sarà nostro perenne esercizio il chiederne di maggiori, perché solo con questi, e col disprezzo di tutto il mondo, si può fare acquisto dei preziosi allori del Cielo”[3].

 

Il Mistero di Dio Amore-Misericordia
nell’evento carismatico
del settembre del 1864


In Daniele Comboni il vissuto de Mistero di Dio Amore-Misericordia raggiunge il punto culminate, di arrivo e di nuova partenza, nell’evento carismatico del 15 settembre del 1864 nella basilica di S. Pietro nel contesto di una esperienza forte di preghiera in occasione della beatificazione di Margherita Maria Alacoque.

In questo giorno Comboni si trova in preghiera sulla tomba di S. Pietro. Egli stesso dirà più tardi che, mentre si trovava in quel giorno nella basilica di S. Pietro, “come un lampo mi balenò il pensiero di proporre un nuovo Piano per la cristiana rigenerazione dei poveri popoli neri, i cui singoli punti mi vennero dall’alto come un’ispirazione” (S 4799). Il contenuto di quest’illuminazione lo formulò nell’introduzione alla I edizione del Piano (Torino, dicembre 1864, p. 3-4):

“Il cattolico, avvezzo a giudicare le cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comune Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana.

Allora trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato di un Crocifisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per stringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli” (S 2742-2743).

L’intuizione di Comboni è chiara: nel regno della morte Dio, Amore-Misericordia, entra per mezzo di Gesù Crocifisso. Sul Calvario, la Croce diventa strumento e segno perenne dell’amore salvifico che eternamente sgorga dal cuore del Padre; Gesù, Agnello immacolato sulla Croce, proprio mentre è oggetto della nostra violenza, prende su di sé il male del mondo, ed è la vera rivelazione del volto misericordioso di Dio, a cui l’umanità ferita può tornare per vivere. Comboni è il primo a sentirsi raggiunto da questo amore smisurato di Dio incarnato nel mistero di Cristo Crocifisso, che entra nella regione della morte e la vince con la sua Risurrezione. Così per Comboni la Croce diviene nella sua vita segno dell’amore personale del Padre per lui ed espressione chiara dell’offerta di salvezza in Cristo che Dio vuol portare per mezzo di lui ai popoli dell’Africa.

Dal Cuore Trafitto di Gesù si sprigiona una potenza generatrice di vita, una “divina Vampa di carità”, che come una punta laser avrà ragione del “buio misterioso”, che avvolge la Nigrizia e di tutti gli ostacoli che si frappongono nel cammino dell’Apostolo dell’Africa Centrale. Gesù crocifisso entra nelle vicende dolorose della Nigrizia, è l’espressione della sua estrema e totale vicinanza ad essa, diventa uno di essa; con la “divina Vampa di carità” che promana dal suo Cuore, assorbe i veleni che la paralizzano, la solleva e la conduce a sé. Gesù che muore nella “carne” presa dalla Nigrizia, è anche il Figlio di Dio; perciò il suo ingresso nel buio che l’avvolge, è esplosivo e spezza la prigionia della sua natura avvilita e le catene della sua schiavitù, recuperandola totalmente all’abbraccio dell’amore del Padre. Nel morire di Gesù, la sua divinità è effusa su coloro che sono giudicati gli ultimi della terra e diviene in essi forza salvifica e presenza rigeneratrice dell’uomo oppresso. Si schiude così per la Nigrizia l’orizzonte del destino ultimo della sua storia, che è l’eternità e l’infinito di luce della divinità e della risurrezione riversato nella sua storia di oppressione: credere e sperare con amore è già andare là dove Gesù si trova per sempre, presso il Padre.

Comboni alimenta costantemente il suo coinvolgimento nel Mistero del Cuore trafitto di Cristo e immette il dinamismo di questo Mistero della Divina Misericordia nella sua azione evangelizzatrice con la contemplazione dei Misteri della vita del Signore.

Così nella "Lettera Pastorale” (1873), in cui propone la consacrazione al S. Cuore del Vicariato dell’Africa Centrale, presenta una sintesi della spiritualità del Cuore di Gesù da lui stesso vissuta; in essa Gesù è contemplato nel suo cammino di amore per l’umanità dalla “sacra culla di Betlemme” al sepolcro del Crocifisso-Risorto in Gerusalemme

«Questo Cuore adorabile divinizzato per l'ipostatica unione del Verbo con l'umana natura in Gesù Cristo Salvatore nostro, scevro mai sempre di colpa e ricco d’ogni grazia, non vi fu istante dalla sua formazione, in cui non palpitasse del più puro e misericordioso amore per gli uomini.  Dalla sacra culla di Betlemme s'affretta ad annunziare per la prima volta al mondo la pace: fanciulletto in Egitto, solitario in Nazaret evangelizzatore in Palestina divide coi poveri la sua sorte, invita a sé i pargoli e gl'infelici conforta, risana gl'infermi e rende agli estinti la vita; richiama i traviati e ai pentiti perdona; morente sulla croce mansuetissimo prega pei suoi stessi crocifissori; risorto glorioso manda gli Apostoli a predicare la salute al mondo intero" (S 3323).

L’energia dello Spirito (“la Divina Vampa) che sgorga dal Cuore trafitto di Cristo, fonte di salvezza e santuario dell’Amore redentore, è l’energia che tiene in piedi il missionario, e che attraverso l’attività missionaria si ramifica e penetra il mondo. Il missionario entra in questo dinamismo salvifico mediante la contemplazione del Mistero del Cuore Trafitto di Gesù, in cui convergono tutti i misteri della sua vita, e così diviene discepolo missionario del Cuore di Gesù, secondo lo spirito di san Daniele Comboni (RV 1).

Con la sua vita di donazione totale alla causa missionaria (RV2) san Daniele Comboni ci invita a continuare il suo cammino missionario nel mondo di oggi, contemplando il Mistero del Cuore trafitto di Gesù sulla Croce, cercando di capire sempre meglio “che cosa vuol dire un Dio morto sulla crocce per la salvezza delle anime”.

 


La Misericordia di Dio-Amore
e il mistero
dell’identificazione di Gesù
con i più poveri e abbandonati


Il Signore Gesù introdusse Daniele Comboni nel dinamismo della sua divina misericordia soprattutto per mezzo del Mistero della sua identificazione con i più poveri e abbandonati, introducendolo così nella logica evangelica dell'amore preferenziale dei poveri.

C’è una pagina del Vangelo, nella quale Gesù s’identifica con i poveri e marginati della società (Mt 25, 31-36).

È un’affermazione estremamente chiara, anche se sconcertante: il povero è Gesù. È proprio Lui che lo afferma, con la stessa parola efficace, con la quale afferma: “Chi ascolta voi ascolta me” (Lc 10, 16); e “Questo è il mio corpo” (Lc 22, 19).

Questa identificazione mise Daniele Comboni di fronte alla Teofania e Cristofania nell’oppressione, in quanto avviene in un Tempio di pietre vive, bisognose di rigenerazione. Attratto dalla visione di questo Tempio, Daniele Comboni scopre negli Africani della sua epoca il volto sfigurato di Gesù, bisognoso di liberazione, per vivere in pieno la dignità di figli di Dio[4]; intraprende così il suo itinerario missionario verso l’Africa Centrale come un autentico pellegrinaggio verso questo Santuario esistenziale, in cui il suo amore a Cristo Redentore e al prossimo si fondono “in una cristofania nel nero oppresso[5], dalla quale gli giunge chiarissima la chiamata ad essere strumento di liberazione della Nigrizia.

Egli morirà crocifisso con Cristo in questo Santuario, radicato nella certezza di essere “una pietra nascosta sotterra che forse non verrà mai alla luce, e che entra a far parte del fondamento di un nuovo e colossale edificio, che solo i posteri vedranno spuntare dal suolo…» (S 2701).

Molte persone soffrirono e soffrono a causa della crudeltà, della prepotenza e delle ingiustizie umane, perché l'uomo è ancora incapace di realizzare l'amore e la misericordia.

Essere missionario comboniano è entrare nel dinamismo di questa lotta pasquale e liberare lo stesso Gesù oppresso, sofferente e povero; è partecipare al coinvolgimento di Gesù nel dolore e nella povertà degli uomini sotto la guida di san Daniele Comboni (RV 3-5; 3.2).

La Storia della Salvezza è precisamente un'azione liberatrice dell'uomo tutto e di tutti gli uomini da parte del Verbo Incarnato, mediante una lotta nella quale Egli soffre e cade in ogni persona, che soffre e che muore, con il fine di far trionfare nell'oppresso e nell’oppressore la legge universale dell'amore.

Questa posizione dello zelo misericordioso di Comboni, orientato preferenzialmente agli ultimi della storia ma aperto a tutti gli esseri umani, è espressa in  un brano dell’Omelia di Kharthum (11 maggio 1873). In esso Comboni afferma chiaramente che nella su azione pastorale la metodologia per esercitare l’ufficio di guida è usare misericordia e compassione verso ogni uomo:

«Non ignoro punto la gravezza del peso che mi indosso, mentre come pastore, maestro e medico delle anime vostre, io dovrò vegliarvi, istruirvi e correggervi: difendere gli oppressi senza nuocere agli oppressori, riprovare l'errore senza avversare gli erranti, gridare allo scandalo e al peccato senza lasciar di compatire i peccatori, cercare i traviati senza blandire al vizio: in una parola essere padre e giudice insieme. Ma io mi vi rassegno, nella speranza, che voi tutti mi aiuterete a portare questo peso con allegrezza e con gioia nel nome di Dio» (S 3159).

 

Comboni ci propone due modelli di misericordia


Nei suoi Scritti Comboni ci propone due persone che si distinguono in modo particolare nella pratica della misericordia: don Nicolò Olivieri e Sant’Angela Merici.

1. Don OLIVIERI, vero angelo di misericordia”

Nicolò Olivieri: nato a Voltaggio (Alessandria) il 21 febbraio 1792, nipote di S. Giovanni Battista De Rossi, dopo aver alimentato il suo ideale missionario alla lettura degli Annali del Buon Pastore, nel 1838 fondò l'Opera del Riscatto: che consisteva nel riscattare fanciulle schiave sui mercati d'Egitto per collocarle poi per la loro educazione negli Istituti religiosi d'Europa. Morì a Marsiglia il 25 ottobre 1864. La sua opera fu continuata dal milanese don Biagio Verri.

Tra don Olivieri e Comboni, c'era una profonda affinità spirituale alimentata dall'amore per i piccoli schiavi africani e dal desiderio di liberarli dalla loro schiavitù.

Don Olivieri stimava ed amava Comboni. Da parte sua Comboni aveva espresso alla Società di Colonia il proposito di scrivere una biografia dell'Olivieri. Il proposito fu realizzato solamente in parte.

Infatti, in una successiva relazione alla Società di Colonia, redatta certamente prima del giugno 1868, ci é narrato l'incontro commovente  dell'Olivieri con il Comboni. Nella sua relazione questi presenta una breve traccia biografica di tutti i suoi collaboratori  presenti negli Istituti di Cairo. Ed è dandoci notizie dell'armena suor Maddalena Carcassian, che ci offre questa specie di profilo del fondatore della "Pia Opera del Riscatto.

É interessante notare come Comboni traccia questo profilo, descrivendo un percorso romano fatto da loro due (approssimativamente nel dicembre 1860) motivati dal comune amore e interessamento per un gruppo di giovani nere riscattate.

"Una bella mattina di qualche anno fa, stavo seduto nel mio alloggio al quarto piano in Roma, quando entrò da me un venerando sacerdote, anziano, senza respiro, accompagnato da una vecchia signora vestita di nero. Dal suo volto raggiante di gioia si poteva facilmente capire che un avvenimento straordinariamente felice lo commoveva, e anche gli occhi vivamente splendenti della vecchia donna manifestavano una gioia intima.

Quel sacerdote era il p. Nicolò Olivieri, comunemente venerato da tutti e che ora si trova in Paradiso; e la signora che l'accompagnava era la sua domestica, la vecchia Maddalena. Lo scopo della sua venuta presso di me era di venire a prendermi per una visita alle giovani negre arrivate dalla Siria, ospitate presso le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, dopo che erano state da lui riscattate in Egitto dalla schiavitù.

Scendemmo in strada, seguiti dalla vecchia Maddalena. Il pio vecchio aveva una tremenda tosse, e si capiva che non sarebbe vissuto più tanto a lungo.

Giunti a Piazza Farnese, ci siamo girati a destra e siamo arrivati nella Piazza della S. Trinità dei Pellegrini. Qui prima di entrare nella Piazza del Monte di Pietà, sotto un arco c'é una immagine miracolosa della Madonna molto venerata. Il pio Olivieri era abituato a inginocchiarsi davanti a quest'immagine e a pregare ogni mattina, quando si recava alla posta, dalla sua abitazione nel monastero dei Trinitari a S. Crisogono in Trastevere. Più volte l'ho accompagnato in questa strada distante un quarto d'ora e fui testimone di quanti sospiri per le povere negre uscivano dalla sua anima e con quanto fervore, con quante lacrime le affidava alla S. Vergine. Questa volta, inginocchiato sulla nuda terra, dopo aver pregato nel suo fervore, li sfuggì, forse senza accorgersene, improvvisamente l'esclamazione: Grazie mamma, grazie tanto, grazie.!

Siamo andati oltre e, passando da S. Carlo in Piazza dei Catenari e a S. Caterina dei Funari, siamo arrivati in Piazza Morgana presso le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione. Appena seduti in parlatorio, alcune piccole negre entrarono accompagnate da due suore. Il nostro caro Olivieri le guardava tutto beato" (S 1809-11).

La conclusione di questo profilo di don Olivieri la troviamo nella Relazione alla Società di Colonia del 1877, dove lo definisce “vero angelo di misericordia”:

«Solo nel 1867, con l'aiuto di Dio, trovai il vero punto d'appoggio sul quale poter erigere su solida base l'edificio del mio Piano. L'illustre Marchese di Canossa, poi Vescovo di Verona ed ora elevato alla dignità della porpora, degno rampollo della celebre contessa Matilde dei memorandi tempi di Gregorio VII, e degno nipote della contessa Maddalena di Canossa, fondatrice delle Figlie della Carità, che lo educò negli anni della sua giovinezza, gradì che dal pio P. Olivieri gli si presentasse un gruppo di morette e, mosso da profonda compassione, non solo gli diede una somma di denaro, ma insieme dispose il suo amico, il venerando Don Mazza, ad accoglierle nel suo Istituto di Cantarane, affinché fossero istruite nella fede cristiana e divenissero poi atte a diffonderla, sotto la guida dei missionari, nella loro patria. Caldeggiò insieme la raccolta di moretti in istituti situati sulla costa africana, che sembravano meglio rispondere allo scopo, perché i neri in Europa morivano. Il P. Olivieri, questo vero angelo di misericordia, se gli fosse stata concessa più lunga vita, sicuramente avrebbe attuato più tardi il suo proposito di trasportarle nell'interno quali messaggeri apostolici» (4803).

2. SANT’ANGELA MERICI, esempio di amorevolezza, dolcezza e Misericordia

Angela Merici nacque nel 1474 a Desenzano del Garda (Brescia) in una povera famiglia contadina; entrò giovanissima tra le Terziarie francescane. Rimasta orfana di entrambi i genitori a 15 anni, partì per la Terra Santa. Qui avvenne un fatto insolito. Giunta per vedere i Luoghi di Gesù, rimase colpita da cecità temporanea. Dentro di sé, però, vide una luce e una scala che saliva in cielo, dove la attendevano schiere di fanciulle. Capì allora la sua missione. Tornata in patria, istituì sotto il nome di Sant’Orsola una Congregazione femminile (Compagnia di Sant’Orsola), le cui prime aderenti vestivano come le altre ragazze di campagna. Ad esse affidò il compito di cercare la perfezione di vita nel mondo e di educare le adolescenti nelle vie del Signore. La sua idea di aprire scuole per ragazze era rivoluzionaria per un’epoca in cui l’educazione era privilegio solo quasi maschile.

Nel 1539 Angela fu colpita da una malattia, che fra alti e bassi la condusse alla morte il 27 gennaio 1540;

Nel testamento spirituale, Angela tratteggiò le linee essenziali del suo metodo educativo, basato sull’attenzione alla persona, cioè basato tutto nel rapporto di sincero amore tra educatore ed educando e sul pieno rispetto delle libertà altrui.

Così lasciò scritto alle sue Orsoline:

“Vi supplico di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore, tutte le vostre figliole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che non vi sarà difficile, se le abbracciate con viva carità… Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, è non imperiosamente e con asprezza, ma in tutto vogliate essere piacevoli.

Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza; perché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia…”.

Comboni vede in questa proposta un invito rivolto anche al missionario, perché adotti una metodo pastorale basato sulla dolcezza e la Misericordia.

Verso la fine della vita, in una lettera inviata dal El-obeid, il 13luglio 1881, al Sembianti, rettore degli Istituti di Verona, il Comboni gli suggerisce la lettura di due brani della Vita di S. Angela Merici, scritta dalla bresciana Elisabetta Girelli nel 1871[6], che aveva già suggerito a don Bortolo perché riflettesse sulla necessità di adottare un metodo pastorale fatto di umiltà e di carità (6836; 6839):

«Come feci osservare a lui ( = don Bortolo) in una lettera, gli trasmisi copia di due brani della vita di S. Angela Merici, scritta dalla Girelli nel 1871.

La prego, Signor Rettore di leggerla, perché è buona per me, per lei e per tutti i missionari; ne diedi copia anche alle Suore di qui. Si faccia dare dalla Superiora la Vita di S. Angela 1871 e legga a pag. 41, 12 sulla Dolcezza e Misericordia: "Si è detto a ragione che per guadagnare una grande influenza sui cuori la santità sola non basta, ma conviene secondo la sapiente lezione dell'Apostolo, che ella si rivesta di viscere di misericordia, di bontà, di umiltà, di modestia e di pazienza... ma adoperossi (S. Angela) di trasfonderlo nelle sue Vergini, e desiderava di renderle quasi calamite celesti per guadagnare anime a Dio. Lungi da noi quel tratto severo e sprezzante (D. Bortolo), che non sa comportare le debolezze del prossimo, e si eleva censore delle sue stesse virtù. Lungi quello zelo indiscreto, che non vede mai le opere altrui perfette abbastanza, e cerca il bene con superbia ed ira. Onoriamo tutti colla… e quando pur dovremo esortare correggere... facciamolo con quella santa amorevolezza, di cui S. Angela ci diede continuo esempio in tutta la sua vita".

Legga ancora (io ne ho copiato a Nuba molti pezzi) quest'altro brano 15 a pag. 48, e anche di questo io ne rimasi stupito, e conosco di essere zero nella carità. Eccolo: "Quando Gesù Cristo vive spiritualmente in un cuore, gli ispira sensi di amore simili ai suoi; e quel cuore diventa, secondo la graziosa espressione di S. Francesco di Sales, fontana pubblica ove tutti hanno diritto di attingervi aiuto e consolazione. Venivano ad Angela i poveri, i fanciulli, gli afflitti, i peccatori, ognuno cercando da lei chi un soccorso chi ... ed ella dal tesoro della sua carità traeva sempre di che appagar tutti... Col suo materno amore, scrive il Cozzano, ella abbracciava ogni creatura; e chi era più peccatore, si trovava da lei più accarezzato; se non poteva convertirlo (ponderi Signor Rettore; io ignorava questa idea), l'induceva almeno con amorose parole a far qualche bene, od a commettere meno male; affinché per quel poco di bene potesse ricevere qualche refrigerio, al punto di morte, e nell'inferno minor tormento", etc. etc. etc. (6837; 6838).

 

Conclusione


In conclusione, Comboni dichiara senza esitare che vive e lavora soltanto per la Gloria di Dio (407; 920;1004), ma la gloria di Dio non è una Gloria superba, è una Gloria umile, la Gloria dell’Amore-Misericordia che si è dato fino alla fine, che porta Comboni a far causa comune con la gente a cui è inviato (S 2742; 3159).

Per questo è facile rendersi conto come nell’azione missionaria del Comboni l’esercizio della misericordia è molteplice secondo i bisogni delle persone e delle situazioni in cui si trovano: è anzitutto annunciare il Vangelo alla Nigrizia e al mondo intero, e quindi è educare, perdonare, curare, rialzare, ammonire e rimproverare con carità; è curare, ma anche prevenire e rimettere in piedi; in una parola è rigenerare le persone, cominciando dalle più ferite, ma senza escludere nessuna.
P. Carmelo Casile, mccj
Casavatore, ottobre 2015

 


[1] Cf anche 1576; 1774; 1888; 2940; 2947, 3460; 4153.

[2] Cf. Contemplazione della vita del Re Eterno, proposta da Sant’Ignazio all’inizio della IIª Settimana degli EE.

[3] Lettera al padre dalla tribù dei Kich, 20 novembre 1858, S 420- 422; 424-425.

[4] Cf  P. Chiocchetta, Carte..., pp. 111-112.

[5] J. M. Lozano, Cristo è anche nero, pp. 78-79.

[6] Comboni aveva in mano altre opere della stessa scrittrice, sul S. Cuore e S. Giuseppe, che consigliava espressamente ai missionari e alle suore: Scritti, 6652; 7151; 7153; 7183.