Mons. Camillo Ballin era nato a Fontaniva, provincia di Padova, diocesi di Vicenza, il 24 giugno 1944. Entrò nel seminario di Vicenza e poi, nel 1963, passò nel noviziato dei Missionari Comboniani a Gozzano, dove il 9 settembre 1965 emise i voti temporanei. Successivamente andò a Venegono e il 9 settembre 1968 emise la professione perpetua.
Su come era nata la sua vocazione seguiamo ciò che diceva in una recente intervista a Mary Sebastian, della parrocchia “Our Lady of Arabia”, di Ahmadi: “Volevo che la mia vita rendesse felici gli altri. Avevo capito che come insegnante avrei potuto rendere felici solo poche persone, i miei studenti e le loro famiglie. Così ho pensato di diventare medico. Ma la morte di un mio vicino mi causò una grande crisi. Mi dissi che ora quella famiglia aveva bisogno di essere consolata e aiutata, ma, come medico, non ne avevo la possibilità… Così ho pensato a una professione che mi permettesse di essere vicino alle persone in ogni circostanza, buona o cattiva che fosse. Decisi di diventare sacerdote. Avevo conosciuto un sacerdote comboniano ed ero attratto dalla sua missione in Sudan, così decisi di diventare missionario comboniano. Tutti questi pensieri mi sono stati ispirati da Dio che mi ha voluto più vicino a lui. Infatti il sacerdozio non è una professione, come pensavo quando era morto il mio vicino, ma un’appartenenza: un’appartenenza a Gesù”.
P. Camillo fu ordinato sacerdote il 30 marzo 1969, a Castelletto sul Garda, Verona. Seguiamo di nuovo il suo racconto: “Mia madre è morta all’età di 35 anni. Quando la sua morte era vicina, chiamò il parroco e gli chiese se potesse fare un voto. Ottenuta l’approvazione del parroco, gli disse: ‘Offro la mia vita perché le mie tre figlie diventino suore e mio figlio prete missionario’. Lo disse anche a mio padre: ‘sposati di nuovo e mi prenderò cura dei nostri figli’. Ed è morta.
Indipendentemente l’una dall’altra, tutte le mie sorelle sono entrate in convento. Nel 1963 entrai anch’io nel Noviziato comboniano. Il 30 marzo 1969, esattamente 22 anni dopo la morte di mia madre, sono stato ordinato sacerdote nella casa madre della Congregazione delle mie sorelle. Due giorni dopo, il martedì santo, il parroco che aveva ricevuto il voto di mia madre mi chiamò e mi disse: ‘Ora sei prete e posso dirti un segreto che ho tenuto nel mio cuore per 22 anni’. E mi disse il voto di mia madre. E aggiunse: ‘Non volevo dirtelo prima d’ora perché volevo che diventassi sacerdote liberamente, per una tua decisione’. Dopo la mia ordinazione chiesi con insistenza di essere inviato nei Paesi arabi. I superiori erano entusiasti di questa richiesta perché volevano mandare un giovane sacerdote nei Paesi arabi, ma nessuno aveva accettato”.
P. Camillo fu mandato a Damasco, in Siria, e poi a Zahle, in Libano, per lo studio della lingua araba (1969-1972).
Mons. Camillo – scrive P. Claudio Lurati nelle note biografiche che seguono – ha dedicato la sua vita a quella porzione di mondo che va dal Golfo Persico a Khartoum, ed è proprio con lo studio dell’arabo che è iniziato questo viaggio nel lontano 1969. Dal 1972, e per i diciotto anni successivi, P. Camillo lavorò in Egitto come parroco di S. Giuseppe a Zamalek (Cairo), come superiore provinciale e come insegnante. Quello fu anche il tempo per un apprendimento approfondito della lingua araba e della tradizione liturgica della cristianità orientale.
Successivamente trascorse sette anni in Sudan, nel cuore dell’Africa Centrale, e lì emerse una delle sue qualità più apprezzate: l’intraprendenza in ambito accademico. Diede vita al Catholic Teachers Training Centre, un programma universitario con riconoscimento governativo per formare gli insegnanti di religione cristiana nelle scuole. Quest’opera continua ancora oggi e svolge un ruolo fondamentale per la locale comunità cristiana. Di quegli anni a Khartoum si conserva una foto del 1993, quando P. Camillo fece da traduttore nell’incontro tra Giovanni Paolo II e il Presidente della Repubblica Omar el-Beshir.
Tra il 1997 e il 2000, P. Camillo ottenne un dottorato al Pontificio Istituto Orientale, con uno studio sulla Mahdia e i missionari. La ricerca divenne successivamente un libro “Il Cristo e il Mahdi” (ed. Emi, Bologna 2001).
I cinque anni successivi, P. Camillo li trascorse al Cairo, come direttore di Dar Comboni for Arabic Studies, una scuola di lingua e cultura araba per personale destinato a lavorare nel mondo arabo.
Nel luglio 2005 giunse la sua nomina a Vicario Apostolico del Kuwait. Questa rappresentò per lui un’altra audace apertura alla scoperta della “cristianità del Golfo”, cioè la realtà di milioni di cristiani che vivono per lavoro nei paesi del Golfo Persico e che con coraggio e freschezza esemplare vivono la loro fede.
“Spendendo la sua vita missionaria tra il Sudan e l’Egitto – scrive P. Manuel Augusto Lopes Ferreira nella sua testimonianza – per molti di noi incarnava la figura del missionario comboniano identificato con la missione primigenia dell’Istituto, la presenza nelle terre d’Egitto e Sudan”.
Nel 2011, i confini delle giurisdizioni ecclesiastiche del Golfo vennero ridisegnati. Mons. Ballin da Kuwait City si trasferì in Bahrein e alla sua cura pastorale vennero affidati anche il Bahrein, il Qatar e l’Arabia Saudita. In Bahrein avviò un rapporto molto proficuo con le autorità civili. Gli venne riconosciuta la cittadinanza bahreinita e concesso il terreno per la costruzione della nuova cattedrale. Era questo un grande progetto per cui Mons. Ballin si è speso molto e che ora è giunto ad uno stadio molto avanzato di realizzazione, ma di cui lui non vedrà il compimento.
La principale occupazione di Mons. Ballin, continua P. Lurati, era la visita alle comunità cristiane che risiedevano in questi paesi. Credo che al mondo esistano poche altre realtà ecclesiali con una complessità linguistica, culturale e liturgica simile a quella del Vicariato dell’Arabia Settentrionale.
“La sfida più difficile – diceva sempre nell’intervista – è formare un’unica Chiesa cattolica. Io rispetto la Liturgia di tutte le comunità. Nella Cattedrale del Kuwait, celebriamo in 5 Riti: siro-malabarese, siro-malankarese, maronita, copto e latino. Non dovremmo essere 5 Chiese cattoliche l’una accanto all’altra, ma una sola Chiesa cattolica. È una sfida ardua”.
Ai primi di febbraio di quest’anno, durante una visita alle comunità di Riyadh in Arabia Saudita, è emerso all’improvviso il male che ha segnato gli ultimi giorni di Mons. Ballin. Rientrato in Italia e ricoverato all’Ospedale Gemelli, ha avuto subito una diagnosi che non lasciava molto spazio alla fantasia. Tra il primo e il secondo ricovero al Gemelli, ha trascorso quasi un mese nella Casa Generalizia dei Comboniani. Nel riposo forzato si faceva gradualmente strada la consapevolezza che era giunto il momento di “consegnare tutto”. Mai un lamento, ma un cammino silenzioso e sereno perché chi ha donato e ricevuto tutto non vive l’affanno neanche nel momento estremo.
“Mi sono ritrovato di nuovo con lui – sono le righe conclusive di P. Manuel Augusto – stavolta all’ospedale Gemelli di Roma, dove è stato ricoverato d’urgenza. La serenità e la fiducia in Dio lo accompagnavano, come anche il desiderio di poter ritornare nel Vicariato. Mons. Camillo Ballin era un missionario che si spingeva in avanti, sempre sul filo del rasoio, in situazioni incresciose, fiducioso in Dio fino alla fine… fin dove il suo Signore lo aspettava, il giorno di Pasqua, il 12 aprile dell’anno 2020, la Pasqua del coronavirus”.