In Pace Christi

Menegazzo Antonio

Menegazzo Antonio
Data di nascita : 13/09/1931
Luogo di nascita : Cittadella/Italia
Voti temporanei : 09/09/1950
Voti perpetui : 09/09/1956
Data ordinazione : 15/06/1957
Data consacrazione : 03/03/1996
Data decesso : 20/03/2019
Luogo decesso : Cittadella/Italia

Antonio era nato il 13 settembre 1931 a Cittadella, provincia di Padova, quinto di sette figli. Nel 1937 Antonio entrò nel seminario minore dei Comboniani a Padova. Passò poi nel Noviziato di Firenze, dove emise i primi voti il 9 settembre 1950. Continuò gli studi a Rebbio (Como) e a Venegono per la Filosofia e la Teologia. Il 9 settembre 1956 emise i voti perpetui e il 15 giugno 1957 fu ordinato sacerdote a Milano dal cardinale Giovanni Battista Montini, futuro Papa San Paolo VI.

Una vita spesa in Sudan

Subito dopo l’ordinazione, P. Antonio fu assegnato al Sudan, nel vicariato di Khartoum, “dove – gli dissero i superiori – potrai lavorare con i confratelli e i poveri in Cristo”. P. Antonio apprese rapidamente la lingua, principalmente come autodidatta.

È bene, forse, a questo punto ricordare che il Sudan ha subito diciassette anni di guerra civile (dal 1955 al 1972), seguiti da una seconda guerra civile (1983-1998) tra il governo centrale del Sudan e lo SPLA (Sudan People’s Liberation Army) del Sudan del Sud. A causa delle continue lotte politiche e militari, nel 1989, in un incruento colpo di Stato, il paese cadde sotto il potere del colonnello Omar al-Bashir, che si proclamò presidente del Sudan. La guerra civile si concluse con la firma di un accordo globale di pace che ha concesso l’autonomia a quella che allora era la regione meridionale del paese. A seguito di un referendum tenutosi nel gennaio 2011, il Sudan fu diviso in Sudan (al nord) e in Sud Sudan (il più giovane Stato al mondo) il 9 luglio 2011.

Ritornando a P. Antonio, il 17 maggio 1958 iniziò la sua missione nella parrocchia di Kadugli, prima come assistente e l’anno successivo come parroco, poi, dal 1961 al 1963, anche come superiore. Diverse chiese protestanti e l’islam stavano mettendo radici tra il popolo Nuba del Sudan centrale. C’era molto lavoro pastorale da svolgere ovunque. P. Antonio andava impratichendosi nella nuova lingua e cultura.

Rimase in questa sua prima parrocchia fino al 1963, quando fu chiamato per nuovi impegni a El Fasher, nel Darfur, che comprendeva anche Nyala. La nuova parrocchia, sebbene non fosse vivace come la precedente, stava subendo molte trasformazioni: era stata consegnata ai Comboniani da un sacerdote melchita nel 1954.

Nel 1967 i superiori lo mandarono nella parrocchia di S. Giorgio a En Nahud. P. Antonio divenne presto ben noto in città fra gli abitanti del posto che per lo più non erano cristiani. Infatti, soprattutto dopo che le suore comboniane avevano iniziato a gestire una scuoletta all’interno della chiesa, fu possibile portare avanti molte attività pastorali.

Nel 1974 P. Antonio fu trasferito a Port Sudan, nell’estremo est della regione del Mar Rosso, dove c’era parecchio da fare con i lavoratori migranti, i rifugiati eritrei e la gestione della prestigiosa scuola secondaria comboniana. Il desiderio di allargare le responsabilità pastorali a Port Sudan vide P. Antonio profondamente impegnato.

Khartoum

Dal 1975 al 1984 P. Antonio fu chiamato alla cattedrale di Khartoum dall’arcivescovo Mons. Agostino Baroni, un lungimirante missionario, che desiderava un sacerdote energico in questa nuova arcidiocesi che comprendeva tutto il Nord del Sudan e aveva una superfice di circa 1.750.000 Km2.

La sede metropolitana non solo si stava trasformando secondo i suggerimenti del Concilio Vaticano II, ma cercava di mettere in pratica le parole del Fondatore Daniele Comboni: ‘Salvare l’Africa con gli africani’.

Nel 1976 P. Antonio fu eletto vicario generale, con l’incarico di visitare parrocchie, scuole, comunità religiose, ospedali, case di formazione e incontrare i religiosi e i sacerdoti della diocesi.

In quegli anni P. Benito Buzzacarin, che lavorava al centro PALICA (Pastorale, Liturgia e Catechesi) nella formazione dei catechisti, dei quali si aveva particolare necessità in parrocchia, pensò di coinvolgere Mons. Menegazzo chiedendogli di offrire la sua esperienza pastorale, maturata nel Kordofan (Kadugli) e nel Darfur (En Nahud, El Fasher). “Fu un successo – scrive P. Buzzacarin – il suo approccio all’ampio tema della pastorale fu molto apprezzato e utile. Sempre tanto diligente, puntuale alle lezioni pur essendo molto impegnato come vicario generale”. Inoltre, era superiore della cattedrale ed era stato eletto vice-superiore regionale.

Mons. Gabriel Zubeir a Khartoum

In occasione del centenario della morte di Daniele Comboni (10 ottobre 1981), l’arcivescovo Agostino Baroni pensò saggiamente di consegnare l’arcidiocesi a un giovane vescovo nativo del Sudan. Quella decisione cambiò definitivamente il volto della Chiesa cattolica nel Paese. Con la nomina del vescovo Gabriel Zubeir, primo vescovo indigeno di Khartoum, iniziò il processo di sudanizzazione della Chiesa nel Nord Sudan. Mons. Zubeir, originario della diocesi di Wau, nel sud del paese, che aveva lavorato a Khartoum come coadiutore dal 1979, assunse il suo ufficio il 10 ottobre 1981, con sede a Khartoum. P. Antonio aiutò il nuovo arcivescovo ad amministrare l’immensa diocesi.

Con l’aumento del lavoro pastorale, l’arcivescovo Zubeir sentì l’urgenza di dividere geograficamente la diocesi creando una regione pastorale, finalizzata a diventare diocesi, con a capo la città di Kosti, una città portuale fluviale, 300 km a sud di Khartoum, scelta per la sua importanza e posizione strategica. P. Antonio fu incaricato di questa regione pastorale e assunse il titolo di Vicario episcopale. Continua P. Buzzacarin, allora parroco della parrocchia di Kosti: “Vivemmo gomito a gomito per sei anni. Attivo, generoso e sempre pronto ad ogni richiesta di servizio pastorale-liturgico, ma anche pronto a offrire i più umili servizi. Il suo linguaggio era semplice e diretto. Pur non avendo fatto studi linguistici di arabo e di inglese, studiò in loco le due lingue e si difese ottimamente e con profitto”. Iniziò quindi a visitare le parrocchie e i centri pastorali della regione. Mentre nel sud si intensificava la guerra, molti sfollati trovarono protezione nella Chiesa: avevano bisogno di sentire parlare di Dio attraverso i sacerdoti, i catechisti, i missionari e le missionarie. Mons. Menegazzo riaprì le aree di Bunj, che erano state chiuse e tagliate fuori dal suo ministero pastorale: Renk, Singa, Kenana, Damazin, Sennar e Dueim. Aveva chiesto ad alcuni suoi sacerdoti di vivere costantemente in mezzo alla popolazione tanto provata. Il mandato di mons. Menegazzo nella regione pastorale di Kosti fu caratterizzato dall’espansione della Chiesa e dalla sua crescita nella fede.

Vescovo di El Obeid

Nel 1990, Mons. Macram Gassis, allora vescovo di El Obeid, aveva dovuto lasciare il Sudan per ragioni di sicurezza. Nel 1992 Mons. Menegazzo fu eletto Amministratore Apostolico della diocesi, “ad nutum Sanctae Sedis”, e ordinato vescovo nel 1996 col titolo di Mesarfelta.

Continua P. Buzzacarin: “Nel ’98 fui destinato al El Obeid come parroco della cattedrale. Mons. Menegazzo si prodigò per offrire un servizio creativo e generoso alla diocesi, in semplicità, in umiltà e tanta carità. L’elogio più bello al suo servizio episcopale, gli fu reso dai suoi preti, tutti africani, al termine della sua permanenza in diocesi, i quali dissero: il nostro vescovo Antonio si è fatto in tutto uno di noi, si è ‘incarnato’ nella nostra cultura, nel nostro stile di vita povero, mangiava con noi, il nostro povero cibo; si adattava soprattutto nei difficili e lunghi safari, ad alloggi poveri e anche squallidi. Insomma, mons. Menegazzo è stato un pastore ‘con l’odore delle pecore’. Ne sono stato testimone e ne ero ammirato. Grato al Signore per avere offerto alla Chiesa che è in Sudan un pastore e un padre, degno discepolo del nostro Fondatore. Non è stato un uomo che ha brillato per doti e qualità intellettuali, ma ha sicuramente brillato per umanità, umiltà e carità”.

La diocesi di El Obeid comprende tre regioni: Nord Kordofan, Sud Kordofan e Darfur e ha una superficie di circa 888.0002. Organizzare una diocesi con molti bisogni pastorali non fu un compito facile. La guerra infuriava sui monti Nuba, mentre Abyei ed Heiban erano sotto assedio e parecchie parrocchie chiuse dal governo di Khartoum. La regione non era un campo completamente nuovo per mons. Menegazzo, che vi aveva già lavorato negli anni 1960 e 1970. Riprese i contatti con i vecchi parrocchiani e instaurò relazioni con i non cristiani per facilitare il buon funzionamento della diocesi. Completò i progetti iniziati dal suo predecessore e ne avviò molti altri.

Erano gli anni in cui l’intero paese stava subendo una severa islamizzazione. Il governatore dello Stato aveva supervisionato personalmente la costruzione di una grande moschea per oscurare la bella cattedrale di El-Obeid, costruita nel 1960.

Mons. Menegazzo non si era ancora insediato e già cominciava a sperimentare l’odio contro la Chiesa. I movimenti dei missionari venivano limitati, i loro permessi di soggiorno annullati senza motivo. Nemmeno gli anziani missionari furono risparmiati. Ovunque, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli erano tenuti sotto controllo dalla polizia e le strutture ecclesiastiche subivano continue visite e controlli, nelle ore più impensate. Alcuni laici influenti furono arrestati solo perché avevano aderito al cristianesimo. Le scuole della Chiesa cattolica furono chiuse, cliniche e medicine prese di mira, le opere di aiuto ostacolate nel senso che la distribuzione degli aiuti era strettamente monitorata o addirittura diretta dalle autorità governative.

Mons. Menegazzo doveva spesso chiedere i permessi per le sue visite pastorali che, il più delle volte, dovevano essere concessi da Khartoum. C’erano ritardi e, a volte, rifiuti che creavano disagi ai cristiani che aspettavano la visita del loro vescovo. Tra il 1992 e il 2004, almeno una volta l’anno, vi furono attacchi costanti e incendi da parte dei militari in molte parrocchie come a Ed Daein, Nyala, Nahud, Babanusa e altrove. La Chiesa, sebbene non fosse coinvolta nella guerra civile del 1983-2005, fu presa di mira per la sua chiara posizione sui diritti umani. Non esistono documenti che dimostrino che una qualsiasi delle cappelle distrutte sia stata mai risarcita dal governo. “Fatevi coraggio, riprendete a pregare anche sotto gli alberi”, erano le parole di consolazione che Mons. Menegazzo rivolgeva ai suoi sacerdoti che lavoravano in queste zone provate dalle ostilità.

Sforzi di pace

Mentre la guerra civile infuriava nella maggior parte delle regioni del Sudan, migliaia di sudsudanesi si rifugiarono nel Darfur e nel Kordofan. Nel 1993 i bisogni spirituali tra gli sfollati sparsi nelle città e nei villaggi del deserto erano così numerosi che alcuni catechisti iniziarono a battezzare la gente perché ai sacerdoti era proibito andare in queste zone.

Mons. Menegazzo decise di inviare i sacerdoti comboniani rimasti a El Fasher e Nyala a questi sfollati: P. Davide Ferraboschi e P. Salvatore Marrone sarebbero stati ricordati come i pionieri dell’evangelizzazione di massa degli sfollati nel Darfur settentrionale e meridionale. Nel 1995 i due sacerdoti furono raggiunti da P. Ireneo Jangko e P. Kamilo Laku. Pastoralmente gran parte del Darfur fu assistita da questi pochi instancabili sacerdoti che dormivano all’aperto, mangiavano con gli sfollati e pregavano con loro. Decine di migliaia di sfollati furono battezzati non solo nei capoluoghi di provincia, ma anche in località pià lontane come Geneina, Mahajeria, Buram, Ed Daein, Adila, Alait, ecc. Così, ogni anno migliaia di nuovi cristiani venivano ammessi ai sacramenti.

Con l’avvento della pace e della normalità in gran parte della diocesi di El-Obeid, Mons. Menegazzo iniziò a costruire delle chiese. I lavori di costruzione della chiesa di Nostra Signora dell’Annunciazione ad Abyei furono terminati nel 2005. La chiesa, con una struttura imponente, fu ufficialmente inaugurata il 24 luglio 2005 dal vicario generale P. Philemon Kuku.

Ministero tra i profughi

Di Mons. Menegazzo dobbiamo ricordare la semplicità e la vicinanza ai bisognosi nei momenti più difficili e le visite pastorali in cui emergeva la sua grande umanità. Gli anni 1996-2007 furono gli “anni d’oro” della diocesi di El-Obeid: amministrò i sacramenti in centinaia di centri, si prese cura delle sue parrocchie di El-Obeid, dei vicini centri di Umm Rwaba e Rahad e delle parrocchie di Abu-Jebeiha. La cessazione delle ostilità tra l’esercito sudanese e lo SPLA nel 2002 gli permise di rimanere in stretto contatto anche con l’altra metà della diocesi passata sotto il controllo dello SPLA. Nel cuore dei Monti Nuba, il vescovo Antonio visitò le parrocchie di Kauda, Lumon e Gidel, mentre a sud proseguì fino a Mading Acweny che prima della guerra civile era unita ad Abyei. I giovani componevano canti nelle loro lingue che rendevano omaggio alla vita semplice del loro vescovo quando andava in visita.

Lettera di Pasqua del 2006

Durante la guerra civile, Mons. Menegazzo aveva aggiunto la sua voce a quella della gerarchia episcopale sudanese pubblicando lettere pastorali che riguardavano le situazioni concrete di quei giorni. Ma la sua lettera pastorale più conosciuta fu il messaggio pasquale del 2006, nel quale il vescovo affrontò la questione della riconciliazione postbellica, una dimensione di cui la società sudanese aveva estremamente bisogno dopo la lunga guerra civile. La guerra aveva causato molti danni alle famiglie sudanesi e spezzato i legami di affetto che contraddistinguevano la società sudanese. Il vescovo, nella lettera, esortava i suoi fedeli al perdono e a risolvere i problemi amichevolmente.

La lettera fu diffusa in arabo, inglese e Dinka e ampiamente letta nelle chiese e nelle lezioni di catechesi. Il vescovo chiedeva in particolare ai giovani di fare un giusto uso del loro tempo e delle loro risorse poiché avevano davanti molte sfide.

Come un profeta nei tempi della sofferenza e delle prove, Mons. Menegazzo ha anche scritto una bella “Preghiera per il Darfur”, che resterà a lungo nei cuori e nella memoria dei cristiani.

Il ritorno in Italia

“Il 15 agosto 2010 – scrive Mons. Menegazzo nel settembre del 2017, in occasione dell’Incontro dei Vescovi Comboniani a Limone – con l’ordinazione episcopale del nuovo vescovo, Michael Didi Adgum Mangoria, mio successore, terminai il mio mandato e lasciai il Sudan per l’Italia. Qui mi sono messo a disposizione della mia parrocchia di origine”. Mons. Menegazzo è deceduto a Cittadella il 20 marzo 2019.

Il funerale si è svolto nel duomo della cittadina lunedì 25 marzo ed è stato presieduto dal vescovo di Padova, Mons. Claudio Cipolla, accompagnato dal suo predecessore, Mons. A. Mattiazzo, da un vescovo africano della Tanzania, da oltre 60 sacerdoti concelebranti fra cui una quindicina di comboniani, compreso il Superiore Generale P. Tesfaye Tadesse e il Superiore Provinciale d’Italia, P. Giovanni Munari. La chiesa era gremita di gente, erano presenti anche diversi rappresentanti delle autorità civili e delle associazioni parrocchiali. La salma è stata tumulata nella cripta riservata ai sacerdoti diocesani nel cimitero di Cittadella.

Saluto del Padre Generale

Grazie per la tua vita umana, cristiana e comboniana. Grazie per aver amato Dio, la Chiesa, San Daniele Comboni e il nostro Istituto. Grazie per essere stato un degno figlio di San Daniele e uno dei suoi successori nella Chiesa sudanese in generale e a El Obeid in particolare.

Grazie per la tua vita di fede e di preghiera. Sei stato uomo di preghiera e di contemplazione. Vedevi, valutavi, giudicavi le situazioni difficili nel tuo territorio di missione con molta fede, speranza e pazienza.

Grazie per aver amato il popolo che Dio, i Missionari Comboniani e la Chiesa ti avevano affidato. Hai mangiato, hai cantato e pianto con il tuo popolo. Ne conoscevi bene la lingua, i costumi, le gioie e le sofferenze perché gli eri vicino e lo amavi.

Grazie per la tua pazienza davanti ai problemi della società e durante le tensioni esterne e interne nella vita della Chiesa e nel tuo servizio di pastore, grazie per la pazienza e il perdono che elargivi. Anche se a volte sono mancati i ringraziamenti ufficiali nei tuoi confronti, la gente, la Chiesa, la famiglia comboniana, la tua Chiesa d’origine, il tuo paese di Cittadella, tutti ti diciamo grazie: shukran.

Grazie per aver fatto partecipare la tua Chiesa d’origine, i tuoi benefattori, la tua famiglia e la generosa diocesi di Padova alla causa della tua missione comboniana e della Chiesa di missione. Grazie a tutti coloro che ti hanno appoggiato spiritualmente, materialmente, con quello che hanno e con la loro disponibilità. Ad alcuni sei rimasto legato fino alla fine e altri, li incontrerai adesso davanti al Signore, compreso mons. Giacomo Bravo, 70 anni, originario di Cartigliano, e mons. Antonio Doppio, 55, di San Pietro di Schio, che morirono in quell’incidente in cui eravate rimasti feriti anche tu e don Armido Gregolo.

Grazie per essere riuscito a dire grazie alla tua Chiesa e città, attraverso i tuoi ultimi anni di servizio pastorale nell’umiltà e semplicità. Grazie anche alla grande accoglienza e collaborazione della tua parrocchia d’origine, Cittadella, della diocesi di Padova e della comunità dei Frati Francescani Minori.

Caro Mons. Antonio, ti aspettano San Daniele Comboni, i nostri confratelli, i santi della Chiesa del Sudan e del Sud Sudan, Santa Bakhita, la schiava sudanese divenuta Canossiana vicentina, il Santo di Padova, i nuovi santi e martiri della Chiesa di Padova, P. Ezechiele Ramin e Don Ruggero. (P. Tesfaye Tadesse Gebresilasie)

Testimonianza di Mons. Daniel Adwok Marko Kur

(Vescovo ausiliare di Khartoum e Vicario Episcopale della Regione Pastorale di Kosti)

Il vescovo Antonio Menegazzo ha esercitato il suo ministero in molte funzioni nell’arcidiocesi di Khartoum, come parroco, economo, Vicario generale, e nel 1985 fu assegnato alla Regione Pastorale di Kosti, ufficialmente eretta come regione pastorale nel 1988, e nominato Vicario episcopale per le parrocchie dell’arcidiocesi di Khartoum, sotto la regione pastorale di Kosti.

Tale circoscrizione ecclesiastica includeva anche aree della diocesi di Malakal che ora appartengono al nuovo stato del Sud Sudan.

Nel 1992 fu nominato dal Santo Padre Amministratore Apostolico della diocesi di El Obeid, ruolo che tenne fino al suo ritiro, avvenuto nel 2006.

Come Vicario episcopale per la regione pastorale, il vescovo Antonio ha lavorato molto per rafforzare il programma pastorale nelle parrocchie della regione che erano ancora centri pastorali sotto le parrocchie di Wad Medani e di Kosti. In sette anni, ha creato un centro pastorale a Kosti per la formazione dei catechisti della Regione, ha costruito abitazioni per sacerdoti e religiosi delle parrocchie che operavano in quella zona.

Il piano a cui ha lavorato è stato di preparare la regione di Kosti a diventare una diocesi separata a sud di Khartoum, un piano impedito dalla divisione della nazione nel 2011. Questa situazione fece sì che l’insieme delle parrocchie del Nilo Superiore passasse al nuovo stato del Sud Sudan (nonostante il fatto che da allora fino ad oggi quelle aree siano amministrate da Kosti, benché appartengano al Sud Sudan).

Dal tempo in cui fu nominato alla sede di El Obeid, nel 1992, il vescovo Antonio ha lasciato tre parrocchie ben organizzate nella parte del Sudan e due parrocchie nel Nord della regione del Nilo Superiore, l’area della regione di 350 Km quadrati, con 52 centri pastorali e 60 catechisti impegnati a tempo pieno o parziale.

Il vescovo Antonio è stato un grande pastore che andava a visitare ovunque ci fosse una comunità cristiana nella regione. Si muoveva anche a piedi e condivideva la vita della gente, cibo e alloggio senza nessun problema.

Nel 1993 fu assegnato alla regione di Kosti come nuovo Vicario Episcopale (e ausiliare di Khartoum).

Membro della Conferenza Episcopale del Sudan, il Vescovo Antonio ha svolto diversi incarichi nella pastorale, nella promozione umana e nel settore di Giustizia, Pace e Integrità del Creato: ha portato avanti queste responsabilità con dedizione e amore per il popolo del Sudan.

La carità di Cristo era il suo motto episcopale e questo lo ha portato a identificarsi completamente con fratelli e sorelle del Sudan, volendo essere ad ogni costo uno di loro. Il vescovo Antonio ha onorato la Chiesa del Sudan con la sua vita, in perfetto accordo con lo spirito del fondatore del suo Istituto missionario. Ha capito che le opere di salvezza si alimentano ai piedi della croce. La croce che ha portato fino a quando ha lasciato il Sudan, per ritirarsi dal lavoro apostolico.

Il nostro ringraziamento e la nostra gratitudine vanno alla gente di Padova per il dono del loro figlio alla missione. Ringrazio tutti coloro che sono presenti al funerale del vescovo Antonio: ci rappresentate tutti, la gente dell’arcidiocesi di Khartoum, la diocesi di Kosti e la regione pastorale di Kosti.

Rivolgo il mio umile saluto anche al vescovo della grande diocesi di Padova con cui ho avuto l’onore di partecipare alla sua Messa di insediamento nella diocesi.

Altre testimonianze

P. Celestino Prevedello

Ho incontrato mons. Antonio Menegazzo di persona nel febbraio del 1980. Quella prima positiva impressione di semplicità e disponibilità che trovai in lui fin da quel primo incontro, ebbi poi modo di provarla e sperimentarla negli anni seguenti, soprattutto negli anni trascorsi con lui a Kosti e poi nei contatti frequenti quando veniva in seminario a visitare i suoi studenti di teologia ed infine quando lo ebbi per sei anni come diretto superiore nel dipartimento di pastorale alla Conferenza Episcopale Sudanese. Nel 2009 lo lasciai per ritrovarlo l’anno dopo a Cittadella e così spesso veniva a Padova nella comunità comboniana per partecipare ad eventi significativi e dare la sua testimonianza missionaria.

Una semplicità che dimostrava nell’approcciarsi alle persone con naturalezza e con l’immancabile sorriso, pronto ad ascoltare e, nella sua saggezza, a suggerire una soluzione ai vari problemi che gli venivano presentati. Ricordo con piacere le ore serali trascorse sotto la veranda a Kosti: ci raccontavamo le vicende passate e la domenica sera, sul più bello, si alzava e andava a prendere la radiolina perché doveva ascoltare i risultati di calcio alla Radio Svizzera. Ad un certo momento avevamo intrapreso la costruzione di una grande chiesa a Renk, sul Nilo Bianco, e non sapevamo come risolvere la questione del tetto. E lui calmo mi diceva che era un’opera di Dio e prima o poi ci sarebbe venuto incontro: faceva così anche Comboni. E così accadde. Un ragioniere e architetto italiano di passaggio, venuto a conoscenza del nostro problema, si fermò una giornata in missione e ci diede tutte le istruzioni necessarie sul tipo di angolari, lunghezza delle capriate, spessore delle piastre, grossezza delle viti e ci fece anche il disegno dettagliato delle capriate stesse e come ancorarle alla costruzione per evitare che il vento portasse via il tetto. Era sempre entusiasta e contento della sua vita missionaria e riusciva a trasmettere questo suo entusiasmo anche alle persone accanto a lui.

Incontrandolo, dopo che nel luglio del 1992 era passato ad El-Obeid come Amministratore Apostolico, mi disse che gli era dispiaciuto aver lasciato Kosti dopo 35 anni di vita apostolica. Benché fosse già stato da giovane missionario nel Darfur e Kordofan, era timoroso per via della situazione politica che stava precipitando nei confronti sia della popolazione cristiana sia dei missionari, considerati dal governo degli “stranieri”. “Ma avevano bisogno di uno che andasse lì e io non potevo rifiutarmi di rendere visibile la presenza della Chiesa come segno di speranza per un futuro migliore”. Questo mi disse e me lo ricordo bene.

I suoi timori si avverarono e diverse chiese furono bruciate, i cristiani perseguitati e dispersi… atrocità che poi sfociarono nella guerra del Darfur del 2003. E lui, nella sua semplicità e disponibilità, rimase al suo posto, vicino al suo gregge, girando in lungo e largo per incoraggiare le comunità cristiane. E ai suoi sacerdoti usava dire sempre questa frase: “Coraggio, continuate a pregare con la comunità, anche sotto gli alberi”.

Il 15 giugno 2007, in occasione della celebrazione del suo 50° di sacerdozio, il cardinale Gabriel Zubeir durante la sua omelia riassunse in poche parole la grandezza di mons. Antonio Menegazzo, parole che condivido pienamente.

“Il vescovo Menegazzo ha fatto della sua vita un servizio alla Chiesa del Sudan, ma in quali condizioni? Il Sudan è un paese difficile, pieno di conflitti, di guerre, di tensioni religiose ed etniche, e lui, come il buon pastore, è rimasto saldo, ancorato alla croce opponendosi a questi nemici. Ha così preparato la strada verso la fede, la riconciliazione e l’accettazione di ogni persona. Ha dato al nostro paese la sua vita come giovane missionario servendo nel Darfur, Kordofan, Khartoum, Kosti e ora qui a El-Obeid. Ha dimostrato poi – sull’esempio di San Daniele Comboni fondatore di questa nostra Chiesa – di essere un missionario santo e capace di sostenere gli impegni più difficoltosi in situazioni estreme; ha perseverato in questo servizio nel silenzio più profondo, da vero missionario comboniano”.

Desiderava poter trascorrere i suoi ultimi anni in Sudan ma ha dovuto nuovamente fare le valigie e rientrare nella sua terra di origine e passare qui a Cittadella gli ultimi anni della sua generosa e gioiosa vita terrena, ancora una volta nella più profonda semplicità e disponibilità.

Fr. Agostino Cerri

“Salutami la Santa Chiesa di El Obeid”. Con queste parole Mons. Antonio si è congedato dal Sudan. Questo è infatti il messaggio che ho ricevuto da lui il 7 febbraio 2019. Un messaggio che mi ricorda le parole che gli apostoli e i Padri della Chiesa rivolgevano ai fedeli per esprimere il loro amore e affetto.

Mons. Antonio a El Obeid ha lasciato un ricordo di impegno e di affetto in tutte le parrocchie sparse nel Kordofan e Darfur. La bianca Land Rover, che usava solo per i lunghi viaggi, diventava il mezzo con cui raggiungere le cappelle più lontane. I catechisti, le donne delle varie associazioni, i leader delle parrocchie erano sempre presenti e sempre ascoltati negli incontri parrocchiali e lui era contento, dopo un lungo viaggio, di sedersi su una panchina sotto un tetto di paglia ad ascoltare e pregare con loro.

I sacerdoti nelle loro difficoltà e aspirazioni trovavano in Mons. Antonio parole di conforto, sostegno e incoraggiamento. Le sue celebrazioni nella bella chiesa di El Obeid erano belle e partecipate da tutti. Al mattino presto della domenica si faceva trovare nel confessionale in fondo alla chiesa per ascoltare, consigliare e assolvere.

Aveva un particolare affetto per gli “ultimi”. Cartoon, un giovane senza fissa dimora e in balia dell’alcol, ogni tanto appariva nel cortile della chiesa. Tutti lo conoscevamo e cercavamo di aiutarlo ma lui trovava sempre il modo di entrare nell’ufficio di Mons. Antonio. Poco dopo, ecco Cartoon scendere le scale contento, con un rosario nuovo al collo e un piccolo dono tra le mani.

Mons. Antonio ha lasciato il suo ricordo in tutte le parrocchie della diocesi perché ascoltava e faceva sue le istanze e i bisogni di ognuno. Diverse chiese e centri parrocchiali del Sud Kordofan o del Darfur sono stati bruciati, distrutti e i fedeli dispersi, però il ricordo di questo vescovo, delle sue visite pastorali così animate e fraterne, è rimasto come segno indelebile dell’amore che ogni Pastore ha per il suo gregge. Gesù Buon Pastore l’accolga tra i suoi santi.

P. Salvatore Marrone

Mons. Menegazzo era sicuramente un uomo di Dio. La sua spiritualità si esprimeva principalmente attraverso le sue omelie e la sua visione pastorale. Si è profondamente interessato della Chiesa del Sudan e l’ha amata con tutto il cuore. Il modo in cui si relazionava con i sacerdoti nella sua diocesi indicava il suo amore e il suo rispetto per loro, rispettava la loro forza e anche le loro debolezze.

Oltre a portare avanti le sue responsabilità pastorali, è stato un “professionista” come amministratore apostolico della diocesi di El-Obeid. L’aspetto più sorprendente della sua personalità è stata la sua capacità di accettare la percezione di non essere gradito ad alcuni Vescovi, anche se questo lo ha fatto soffrire. Riuscì a interiorizzare la tragedia dei due sacerdoti vicentini che morirono in un incidente stradale mentre si recavano a El-Obeid. In quell’incidente fu coinvolto anche lui, ma riuscì a sopravvivere, anche se ne riportò delle conseguenze per il resto della sua vita, con dolori di cui non si è mai lamentato. Aveva un carattere forte che a volte si manifestava attraverso una sana testardaggine, ma allo stesso tempo era aperto alle critiche. Amava i bambini e con loro si rilassava e si dimostrava come era veramente. Sicuramente ora pregherà per il Sudan, per tutti noi e anche per chi, come me, a volte lo infastidiva.

P. Peppino Puttinato

Responsabilità giuridiche e rapporti a parte, mi chiedo se un confratello che diventa vescovo possa considerarsi, sentirsi ed essere considerato da noi ancora come un nostro vero confratello.

Il vescovo Menegazzo sicuramente si considerava e doveva sentirsi – prima, durante e dopo il suo servizio episcopale – un mio vero confratello e si rivolgeva a me sempre come tale.

In occasione delle feste del nostro Istituto (Sacro Cuore e Festa del Comboni), veniva sempre nella nostra comunità di Khartoum per la Santa Messa e il pranzo fraterno.

P. Joseph Ssemakula

È stato il primo vescovo con cui ho lavorato: sono stato con lui per dieci anni, essendo parroco di due parrocchie nel Darfur. Non ho più conosciuto un vescovo di tale carisma. Era un uomo pratico, diretto, che amava e apprezzava il duro lavoro pastorale. Aveva il suo carattere ma era molto generoso nel profondo del suo cuore, un vero pastore in ogni suo atteggiamento. Nelle sue visite pastorali, spendeva il suo tempo ad aiutare i sacerdoti, anche quelli diocesani come me, a vedere le cose, come avrebbe fatto un pastore. Era così preso dal suo compito che, quando raccontava qualcosa di spiritoso, sembrava un’altra persona ed era bello, in quei momenti, vederlo sorridere. Sono contento di essere stato introdotto da lui nel mio lavoro pastorale con grande senso di responsabilità. Lo ricordo come un uomo veramente dedito alle cose di Dio, senza fronzoli.

P. Davide Ferraboschi

Era Amministratore Apostolico di El Obeid quando nel 1994, di ritorno dall’Egitto, sono arrivato a Nyala. Per undici anni sono stato uno dei suoi sacerdoti e dei suoi confratelli che lavoravano nella diocesi di El Obeid.

Per chiarezza e concisione riassumerò i miei ricordi sotto tre intestazioni:
a) tempi difficili;

b) un programma pastorale semplice ma impegnativo;
c) un documento per il futuro.

a) Tempi difficili. Il vescovo Menegazzo arrivò nella diocesi di El Obeid in tempi difficili. Il vescovo residente, il sudanese Mons. Macram Max Gassis, aveva dovuto lasciare il paese per sfuggire alle minacce della polizia di sicurezza; i missionari espatriati dovettero abbandonare tutti i centri fuori della città, come Kadugli, Dilling e Abiey, e concentrarsi a El Obeid. I Nuba ebbero un atteggiamento amichevole verso i movimenti di liberazione nel Sud del paese, movimenti che hanno portato alla sua indipendenza nel 2011. Anche l’Occidente del paese era ben consapevole di questi movimenti e aveva le proprie aspirazioni. Questo periodo difficile ha segnato tutto il suo servizio, fino alla nomina di Michael Didi a vescovo di El Obeid nel 2010.

b) Un programma pastorale semplice ma impegnativo. Mons. Menegazzo aveva scelto come suo motto episcopale le parole di Paolo: “L’amore di Cristo ci spinge”. Essendo un uomo pratico, aveva messo la carità al primo posto; ciò significava essere vicini al clero, sia sacerdoti nativi che espatriati, aiutando i centri lontani a migliorare le loro strutture, controllando attentamente i soldi assegnati ai diversi settori, in modo che ogni settore ricevesse la quota dovuta, e mantenendo i contatti con i donatori all’estero. L’attuazione di questo programma di aiuto finanziario non fu un percorso facile: le scelte non sempre furono le migliori, a volte trovarono qualche opposizione o fallimento, ma senza dubbio la loro ispirazione era la carità. Posso accennare qui a un episodio personale, per rendere più concreti i miei ricordi. Ero a Nyala come parroco e un gruppo di giovani mi invitò con insistenza e con parole forti a lasciare la parrocchia e recarmi a El Obeid. Mi misi in contatto con il vescovo che mi disse di andare e vi andai. Era il mese di gennaio. Una settimana dopo, avevamo l’incontro annuale degli agenti pastorali, dei sacerdoti, delle suore e dei laici. L’incontro andò bene. Penso che nel frattempo il vescovo avesse avuto il tempo di sapere che cosa fosse successo veramente e infatti mi disse di tornare a Nyala. La coincidenza dell’Assemblea annuale con la mia partenza dalla parrocchia fu in qualche modo provvidenziale, ma ebbi la netta sensazione del pieno appoggio del mio vescovo.

c) Un documento per il futuro. Il vescovo Menegazzo è stato membro della SCBC (Conferenza dei Vescovi Cattolici del Sudan), responsabile della sezione pastorale e, in quanto tale, gli era stato chiesto di preparare un’edizione del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica per il Sudan. Lo fece e il Catechismo fu pubblicato nel 2008, in occasione della festa del Sacro Cuore (30 maggio). Questo documento, presentato e firmato a nome dei Vescovi del Sudan, può essere considerato la sua eredità. L’arcivescovo Michael Didi invita i sacerdoti, i catechisti e i fedeli a leggerlo e ad usarlo, perché è semplice, chiaro e appropriato al Sudan. In questo testo c’è l’anima pastorale del vescovo Menegazzo: è il suo retaggio, firmato dal suo amore, dalle sue sofferenze e da una vita donata agli altri. Possa riposare in pace.
Da Mccj Bulletin n. 282 Suppl. In Memoriam, gennaio 2020 pp. 21-35